<p style="text-align: justify;">Con la sentenza n. 29628 del 2019 la Suprema Corte si è pronunciata affermando la configurabilità del delitto di truffa aggravata in danno dello Stato nel caso in cui la condotta sia consistita in ripetute assenze ingiustificate da parte dell’impiegato o del funzionario pubblico dal luogo di lavoro, anche laddove le stesse cagionino un danno economico di difficile quantificazione. In particolare – chiosa la Corte- la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che la funzione dei cartellini segnatempo (o dei corrispondenti strumenti o procedure di attestazione degli stessi dati, quali, ad esempio, i fogli di presenza) è quella di costituire prova della continuativa presenza del dipendente sul luogo di lavoro nel tempo compreso tra l’ora di ingresso e quella di uscita, e comporta che integra il reato di truffa aggravata la condotta del pubblico dipendente che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi, conglobati nell’arco del periodo retributivo, siano da considerare economicamente apprezzabili (Cass., Sez. 2, 16 marzo 2004, Nisco; n. 34210 del 06/10/2006, Buttiglieri, Rv. 235307). Recentemente, in relazione a fattispecie caratterizzate da un minimo pregiudizio economico per l’ente di appartenenza, la giurisprudenza della Corte ha segnalato che la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata anche a prescindere dal danno economico corrispondente alla retribuzione erogata per una prestazione lavorativa inferiore a quella dovuta, incidendo sull’organizzazione dell’ente, mediante la arbitraria modifica degli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e compromettendo gravemente il rapporto fiduciario che deve legare l’ente al suo dipendente (Sez. 2, n. 3262 del 30/11/2018, dep.2019, PMT Plutino, Rv. 274895), valorizzando le ricadute pregiudizievoli, quantunque di non agevole stima, che il fenomeno dell’assenteismo provoca all’organizzazione del servizio e all’efficienza delle prestazioni richieste al dipendente pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">La stessa giurisprudenza ha, inoltre, da tempo chiarito in tema di truffa contrattuale che il danno patrimoniale non è necessariamente costituito dalla perdita economica di un bene subita dal soggetto passivo, ma può consistere anche nel mancato acquisto di un’utilità economica che quest’ultimo si riprometta di conseguire in conformità alle false prospettazioni dell’agente dal quale sia tratto in errore (Sez. 2, n. 37859 del 22/09/2010, Bologna e altro, Rv. 248908; n. 48630 del 15/09/2015, Pircher e altri, Rv. 265324) e, se non può essere configurato dalla violazione di una mera aspettativa fondata su una astratta situazione giuridica ipotizzata dalla legge, è tuttavia integrato quando l’aspettativa sia divenuta concreta e dia luogo al sorgere di un interesse munito di tutela giuridica, avente contenuto patrimoniale (Sez. 2, n. 34722 del 14/05/2014, Soleri, Rv. 260029). A quanto detto deve si deve aggiungere che il danno, nel delitto di truffa, può essere realizzato non soltanto per effetto di una condotta commissiva della vittima (quale un atto di disposizione patrimoniale, compiuto a causa dell’errore ingenerato dagli artifizi o raggiri e consistente nel trasferimento di un bene o di un diritto dal patrimonio proprio a quello altrui), ma anche per effetto di una condotta omissiva, nel senso che la vittima, per effetto dell’errore cui l’ha indotta l’agente, ometta il comportamento inteso a fare acquisire al proprio patrimonio una concreta utilità economica, alla quale essa ha diritto e che rimane invece acquisita al patrimonio altrui (Sez. 2, n. 5465 del 23/02/1972, Pozzi, Rv. 121775).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte d’Appello che si è previamente pronunciata sul caso in esame ha evidenziato che l’imputato -quale dirigente medico- aveva, in relazione alla qualifica e al contratto di lavoro, l’obbligo di prestare servizio per un determinato monte ore settimanale che era stato sempre rispettato e che egli era, anzi, a credito nei confronti dell’azienda, avendo un numero di ore superiore a quelle obbligatorie che - secondo la difesa - potevano essere compensate in relazione alle uscite ingiustificate.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò evidenziato, la Suprema Corte assume che la sentenza impugnata è erronea laddove ritiene che le ore eccedenti quelle effettivamente prestate e attestate fraudolentemente mediante l’illecito utilizzo del cartellino marcatempo non erano comunque retribuibili, con conseguente impossibilità di configurare un danno a carico dell’azienda sanitaria.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, occorre rilevare che al sistema dei recuperi orari -posto in essere dall’imputato- si riconnette all’evidenza un danno immediato e diretto per la P.A., conseguente alla mancata prestazione di servizio del dipendente pubblico, solo apparentemente lecita.</p> <p style="text-align: justify;">Non si tratta, assume la Corte, di un pregiudizio ipotetico ed eventuale ma di una diretta conseguenza dell’illecito, consistente nell’accumulo di plurime frazioni temporali esentate dalla prestazione lavorativa per effetto di un’ingannevole rappresentazione circa l’esatta consistenza delle attività funzionali in precedenza rese. Non si tratta neppure, come il P.m. impugnante sembra ritenere, di ricomprendere nell’area del danno il lucro cessante, categoria difficilmente adattabile alle dinamiche della P.A., ovvero il pregiudizio di carattere mediato (come pure si assume sulla base di una non attenta lettura di Cass. n. 3262/18), ma di perimetrare le conseguenze suscettibili di valutazione economica che si riconnettono in via diretta alla condotta illecita e che non possono che abbracciare, in conformità ai principi ermeneutici enucleati dalla giurisprudenza di legittimità, anche la violazione degli obblighi contrattuali a carico del dipendente pubblico che comporti il fraudolento emungimento di risorse lavorative dal settore di appartenenza.</p> <p style="text-align: justify;">Nella specie, entrambe le sentenze di merito hanno dato conto delle reiterate ed ingiustificate assenze dal posto di lavoro dell’imputato che hanno necessariamente prodotto un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una "frazione" della prestazione giornaliera non effettuata ovvero a rinunciare alla prestazione stessa per effetto del meccanismo dei recuperi, con l’ulteriore danno correlato alla mancata presenza del dipendente nel presidio lavorativo, sguarnito della corrispondente unità di lavoro. Siffatte circostanze rilevano, dunque, agli effetti della configurazione del reato contestato senza che possa riconoscersi valenza esimente alla obiettiva difficoltà di quantificazione del pregiudizio, la cui sussistenza ed apprezzabilità in termini economici la sentenza impugnata ha incongruamente escluso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>Domiziana Pinelli</em></p>