<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tra i due estremi del contratto che già c’è, è valido ed efficace e le relative prestazioni non sono adempiute, da un lato (responsabilità contrattuale); e del contratto che non c’è e che nessuno ha mai pensato neppure di stipulare (responsabilità aquiliana), si colloca una ipotesi mediana che vede gli interlocutori negoziali lavorare in vista della stipula di un contratto che non arriva mai, o che arriva invalido o, ancora, che arriva valido ed efficace ma si atteggia a precipitato di scorrettezze (specie informative) che fanno luogo ad un accordo iniquo: sono le ipotesi della c.d. responsabilità precontrattuale, a cavallo tra un “</em>non-contratto<em>” e un “</em>contratto-non<em>” equo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale prescrive l’obbligo di un comportamento secondo buona fede nella sola fase di esecuzione del contratto (art.1124), e non ancora nella relativa fase di formazione, che resta giuridicamente irrilevante ed esposta alle scorrettezze dei potenziali contraenti. Resta applicabile il regime della responsabilità aquiliana ex art.1151 c.c., che tuttavia presuppone la lesione di un diritto assoluto, difficilmente configurabile in una fase in cui siano solo partite delle trattative. Qualche anno prima, nel 1861, lo Jhering aveva tuttavia già elaborato la moderna nozione di <em>culpa in contrahendo</em> e di risarcibilità del solo interesse c.d. negativo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile, sulla base degli studi della dottrina più illuminata ed in particolare del Faggella, prevede (articoli 1337 e 1338) due specifiche ipotesi di responsabilità precontrattuale, legate rispettivamente la prima alla necessaria buona fede nelle trattative, e la seconda alla conoscenza che una delle parti abbia di una causa di invalidità del contratto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Entra in vigore la Costituzione repubblicana che, all’art.2, prevede quei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale cui verrà ricondotta dalla dottrina la buona fede oggettiva, quale canone comportamentale corretto previsto anche in sede di trattative contrattuali (art.1337 c.c.).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1963</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1142 che, discostandosi dall’orientamento tradizionale incline a negarla recisamente, assume configurabile una responsabilità precontrattuale anche in capo alla PA in caso di ingiustificata rottura delle trattative orientate alla stipula di un contratto. Per la Corte in particolare non vale invocare né la presunzione di correttezza (e legittimità) che assisterebbe il contegno dei soggetti pubblici, né la non ammissibilità di un sindacato del GO sulle scelte discrezionali dell’Amministrazione (potendo egli solo disapplicare ex art.4 della L.A.C.), né - più in radice - la non configurabilità in capo al privato di un affidamento meritevole di tutela, stante la natura pubblica delle norme che disciplinano l’attività della PA e che, proprio in quanto tali, non potrebbero ingenerare appunto un affidamento meritevole di tutela. Per la Corte va piuttosto seguito l’insegnamento della dottrina più illuminata, alla cui stregua un conto è valutare da parte del GO se il funzionario si sia condotto da corretto amministratore, ed un altro conto è valutare se si sia condotto da corretto contraente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.399 onde onde non può aversi responsabilità precontrattuale laddove la parte abbia escluso col proprio comportamento qualsiasi certezza sulla conclusione del contratto, come nel caso in cui l’interruzione delle trattative o la mancata conclusione del contratto medesimo siano state esplicitamente previste. In tali situazioni non può aversi violazione del principio di buona fede proprio perché la rottura delle trattative o la mancata conclusione del contratto sono state in anticipo programmate e costituiscono pertanto esercizio di una facoltà legittima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2253, che assume configurabile una responsabilità precontrattuale della PA laddove, intervenuta l’aggiudicazione di una gara ed il successivo contratto, la PA medesima impedisca in modo doloso o colposo l’attività di controllo sul contratto medesimo da parte degli organi competenti, non confezionandolo in modo formale ovvero, dopo averlo confezionato, non trasmettendolo appunto all’autorità di controllo, e così impedendogli di acquisire efficacia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre esce la sentenza della Cassazione n.3922 che, inserendosi in un orientamento pretorio definito, afferma come la responsabilità precontrattuale sia concepibile solo in presenza del mancato perfezionamento dell’accordo per recesso dalle trattative (ex art.1337 c.c.) ovvero in ipotesi di contratto invalido ex art.1338 c.c., mentre laddove il contratto sia stato perfezionato e sia valido, può configurarsi solo ormai una responsabilità di tipo contrattuale, con possibilità per le scorrettezze precontrattuali di essere rilevanti solo laddove si traducano in un inadempimento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della Cassazione n.2704 che ribadisce come non possa aversi responsabilità precontrattuale laddove il comportamento della parte escluda qualsiasi certezza sulla conclusione del contratto, come nel caso in cui l’interruzione delle trattative o la mancata conclusione del contratto medesimo siano state esplicitamente previste. In tali situazioni non può aversi violazione del principio di buona fede proprio perché la rottura delle trattative o la mancata conclusione del contratto sono state in anticipo programmate e costituiscono pertanto esercizio di una facoltà legittima.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3621 che ribadisce come il contratto valido assorba la responsabilità precontrattuale, trasformandola eventualmente in responsabilità contrattuale. La responsabilità precontrattuale è concepibile solo in presenza del mancato perfezionamento dell’accordo per recesso dalle trattative (ex art.1337 c.c.) ovvero in ipotesi di contratto invalido ex art.1338 c.c., mentre laddove il contratto sia stato perfezionato e sia valido, può configurarsi ormai solo una responsabilità di tipo contrattuale, con possibilità per le scorrettezze precontrattuali di essere rilevanti solo laddove si traducano in un inadempimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 ottobre esce la sentenza della Cassazione n. 8778 che si inserisce nel solco della consolidata giurisprudenza onde in caso di responsabilità precontrattuale va risarcito il solo interesse negativo, vale a dire le spese inutilmente sostenute per la partecipazione alle trattative (e per l’eventuale stipula del contratto), nonché la perdita delle occasioni alternative di contrattazione laddove le trattative non abbiano condotto ad un contratto (ovvero abbiano condotto ad un contratto inutile). Le trattative sono state infruttuose e va ricostruita la posizione giuridico-economica <em>ex ante</em> rivestita da chi è stato in esse coinvolto invano.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 10649 onde il danno risarcibile nei limiti dell'interesse negativo in caso di responsabilità precontrattuale non può annoverare né il danno biologico né quello alla vita di relazione, ma solo le spese sostenute per la conclusione del contratto ovvero la perdita di ulteriori occasioni contrattuali ugualmente o maggiormente vantaggiose.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 10235, assai importante sul tema delle lettere di patronage (o di gradimento), alla cui stregua la funzione tipica delle dichiarazioni in esse contenute non consiste propriamente nel “<em>garantire</em>” l'adempimento altrui, nel senso in cui tale termine viene assunto nella disciplina della fideiussione e delle altre garanzie personali specificamente previste dal legislatore; mentre infatti in queste ultime il garante assume l'obbligo di eseguire la medesima prestazione dovuta dal debitore principale, la funzione propria della lettera di patronage va piuttosto ravvisata nel tentativo di rafforzare nel creditore il convincimento che il debitore patrocinato farà fronte ai propri impegni, onde non si è al cospetto, per la Corte, di una forma di garanzia tipica, quanto piuttosto di una garanzia impropria. Tale peculiare natura – precisa tuttavia la Corte - non vale ad escluderne qualsiasi valore giuridico, palesandosi esse sovente collegate ad operazioni di notevole rilievo economico, non essendo pertanto ragionevole supporre che con il relativo rilascio le parti abbiano inteso dar vita ad impegni considerevoli solo da un punto di vista sociale. Per la Corte, quando la lettera di patronage ha contenuto meramente informativo, si è al cospetto di una lettera “<em>debole</em>”, laddove una eventuale responsabilità del <em>patronnant</em> può essere affermata solo alla stregua dei principi sanciti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. in tema di responsabilità precontrattuale, il patrocinante venendo ad inserirsi nello svolgimento di trattative avviate tra altri soggetti, proprio al fine di agevolarne la positiva conclusione e di rafforzare il convincimento del creditore, e così creando ragionevoli aspettative sul buon esito dell'operazione. Per la Corte, tale situazione è sufficiente a giustificare l'applicazione di quelle regole di diligenza, di correttezza e di buona fede dettate proprio al fine di evitare che gli interessi di quanti partecipano alle trattative possano essere pregiudicati da comportamenti altrui scorretti, e quindi in violazione dell’art. 1337 c.c., che impone alle parti l’osservanza della buona fede nelle trattative e nello svolgimento del contratto. Diversa è invece la rilevanza giuridica attribuibile alle lettere di patronage c.d. “<em>forti</em>”, in ordine alle quali può piuttosto assumersi per la Corte configurabile una ipotesi di autentica responsabilità negoziale a carico del <em>patronnant</em>: in questo diverso modello di lettere di gradimento c.d. “<em>forti</em>”, il patrocinante non si limita invero ad esternare la propria (rassicurante) posizione di influenza, assumendo piuttosto veri e propri impegni, quale ad esempio quello di salvaguardia della solvibilità della società controllata, o di futuro mantenimento della propria partecipazione nella medesima, dovendosene ritrarre la genesi di una vera e propria obbligazione di fonte negoziale avente ad oggetto un<em> facere</em>; il <em>patronnant</em> si obbliga a tenere una certa condotta, in modo che la controllata sia sempre in condizioni economiche tali da consentirgli di adempiere agli obblighi assunti con il soggetto (normalmente, una banca) che abbia concesso il finanziamento alla società garantita proprio sulla base di tale lettera di conforto. Dal punto di vista della natura giuridica, non si configura nondimeno – per la Corte - una promessa del fatto del terzo, quanto piuttosto un’obbligazione assunta in proprio dal <em>patronnant</em>, costituente impegno giuridico vincolante di natura contrattuale e con finalità di garanzia. Più in particolare, la lettera di patronage “<em>forte</em>” viene ricondotta nello schema negoziale delineato dall’art. 1333 c.c., una norma apparentemente riferibile ai soli contratti, e dunque non a negozi unilaterali, ma il cui schema può assumersi estendibile anche ad ogni promessa gratuita, con obbligazioni a carico del solo proponente come accade nella lettera di patronage, in quanto nella particolare ipotesi contemplata dall’articolo in esame, il rapporto può costituirsi senza bisogno di accettazione e quindi anche per effetto di un atto unilaterale. Per la Corte, lo schema delineato dall'art. 1333 c.c. si adatta perfettamente alle lettere di patronage, ed in particolare a quelle che abbiano carattere impegnativo per il <em>patronnant</em>, non potendosi per tale via dubitare della relativa efficacia vincolante, posto che tali dichiarazioni si palesano pur sempre intese a rafforzare la protezione dei diritti del creditore e, quindi, a realizzare interessi certamente “<em>meritevoli di tutela</em>” secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322 comma 2 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce la sentenza della Cassazione n. 2057 onde, per affermare la responsabilità precontrattuale per recesso ingiustificato dalle trattative, occorre che queste siano considerate affidanti, per cui è necessario che nel corso di esse le parti abbiano preso in considerazione almeno gli elementi essenziali del contratto. Non occorre, pertanto, che l’interruzione delle trattative debba riguardare un ben preciso negozio, che le parti abbiano preventivamente individuato in uno schema definito in tutti i suoi elementi costitutivi, essendo sufficiente che le trattative siano riferibili ad elementi idonei e sufficienti ad indicare la causa (tipica o atipica) di una convenzione, della quale detti elementi dovrebbero entrare a far parte.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.4673, alla cui stregua – secondo un costante orientamento pretorio - pur essendo la PA, in linea astratta e di principio, assoggettata alle regole di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c. in tema di responsabilità precontrattuale, la relativa concreta applicazione può tuttavia assumersi solo laddove essa proceda a selezionare il contraente giusta trattativa privata, essendo in tal caso tenuta ad ottemperare alle regole della correttezza come qualsivoglia altro operatore. Comportarsi secondo la buona fede oggettiva presuppone infatti una relazione specifica tra i protagonisti delle intavolate trattative, circostanza non predicabile al cospetto di un procedimento di selezione del contraente privato diverso appunto dalla “<em>trattativa privata</em>”, laddove i privati coinvolti sono titolari solo di interessi legittimi correlati alla procedura di evidenza pubblica ed al corretto esercizio del pertinente potere di selezione dell’interlocutore privato. Altra ipotesi in cui rileva la responsabilità precontrattuale della PA, questa volta anche al cospetto di procedure di evidenza pubblica, è quella in cui il comportamento deviante della PA rispetto al canone della correttezza e buona fede venga posto in essere quando già si sia personalizzato il rapporto tra PA e interlocutore privato, come nel caso in cui – in difetto di plausibili ragioni di pubblico interesse – la PA medesima ometta di stipulare il contratto con la ditta alfine risultata aggiudicataria. Si tratta di un orientamento pretorio, consolidato, che distingue le due fasi, rispettivamente, anteriore all’aggiudicazione (si tratta ancora di selezionare il contraente privato avvalendosi di poteri pubblicistici, non si configurano “<em>parti</em>” in senso tecnico né tampoco obblighi reciproci di correttezza tra le stesse, non potendosi neppure strutturalmente isolare una trattativa tra i soggetti coinvolti nella vicenda) e successiva all’aggiudicazione laddove invece, essendo stato ormai individuato un soggetto specifico quale interlocutore contrattuale della parte pubblica, il mancato perfezionamento del contratto o la mancata acquisizione di efficacia, ove imputabili alla PA, fanno scattare l’art.1337 cc. Si tratta di una presa di posizione che viene tuttavia criticata da quella parte della dottrina che osserva come in realtà il procedimento (pubblicistico) di gara faccia parte integrante delle trattative che conducono PA e privato alla stipula del contratto, in quando è una sottofase nell’ambito della progressiva formazione del consenso tra le parti. Da questo punto di vista, l’evidenza pubblica va letta sia in ottica pubblicistica, come serie di atti preordinati all’aggiudicazione e poi al contratto; sia in ottica privatistica, quale strumento attraverso il quale la PA giunge alla formazione della propria volontà da far confluire nel mutuo consenso delle parti contrattuali; il bando o invito alla gara, tale in senso pubblicistico, è secondo questa opzione ermeneutica un privatistico invito ad offrire; l’offerta del privato aspirante interlocutore si configura come proposta contrattuale, e l’aggiudicazione, tale in senso pubblicistico, vale anche come accettazione della proposta del privato (o, secondo altra tesi che si affermerà, come atto che rende irrevocabile la proposta privata), e questo è il motivo per il quale il privato – che pure resta titolare dell’interesse legittimo al cospetto della gara, e della connessa tutela demolitoria – non può assumersi nel medesimo tempo privato degli strumenti di tutela privatistici, corrispondenti alla “<em>veste</em>” privata dell’evidenza pubblica, potendo in particolare attivare gli articoli 1337 e 1338 c.c., con conseguente invocazione della responsabilità risarcitoria precontrattuale della PA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 13131, che ribadisce ancora una volta come il contratto valido assorba la responsabilità precontrattuale, trasformandola eventualmente in responsabilità contrattuale. Le regole della buona fede presidiano, tra l’altro, la fase delle trattative, e tuttavia sussiste in capo alle parti la libertà (negoziale) di dare al contratto il contenuto che vogliono, sicché una volta concluso il contratto potrà predicarsene solo una eventuale nullità e/o annullabilità, laddove configurabile.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio viene varato il decreto legislativo n. 58, c.d. testo unico della finanza e degli intermediari finanziari, il cui art.21 pone a carico dell’intermediario finanziario specifici obblighi informativi anche e soprattutto nella fase precedente alla stipula del contratto (oltre che successivamente a tale stipula), a cagione della asimmetria informativa che caratterizza questo genere di contratti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6337 che – applicando in sede di diritto civile il principio <em>ingnorantia legis non excusat</em> di cui all’art.5 del codice penale – afferma non potersi configurare responsabilità precontrattuale ex art.1338 c.c. laddove sia stata omessa informazione in ordine ad una causa di invalidità del contratto prevista dalla legge e, come tale, presunta conosciuta da entrambe le parti. Si tratta di un orientamento che sollecita le critiche della dottrina con particolare riguardo alle ipotesi di contratti stipulati in regime di asimmetria informativa, come nel caso del contratto che avvince il professionista da un lato e il consumatore dall’altro.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 ottobre esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n. 10249 che, in tema di c.d. vizi incompleti del contratto (che non incidono sulla relativa validità, quanto piuttosto sulla relativa equità), abbraccia la tesi estensiva intesa a configurare la operatività di una responsabilità precontrattuale anche in presenza della stipula di un contratto valido ed efficace, allorché nella fase delle trattative una delle parti sia stata scorretta violando il principio del <em>neminem laedere</em>. In queste ipotesi il contratto è valido, ma è stato concluso a condizioni inique per la scorrettezza di una delle parti, onde la responsabilità precontrattuale fatta valere a contratto valido ed efficace concluso serve a ricondurlo ad equità alla stregua di un principio di tipo solidaristico che impone di salvaguardare l’interesse della controparte nei limiti del non apprezzabile sacrificio del proprio. Nel caso di specie si tratta di una fattispecie particolare: un contratto “<em>imposto</em>” al monopolista legale, ma stipulato con ritardo, in cui viene ritenuto operativo l’art.1337 c.c.; non mancano in proposito le critiche della dottrina poiché in questo caso si tratta di vero e proprio inadempimento (art. 1218 c.c.) ad un obbligo imposto <em>ex lege</em> dall’art.2597 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n. 2956 che, in tema di c.d. vizi incompleti del contratto (che non incidono sulla relativa validità, quanto piuttosto sulla relativa equità), ribadisce la tesi estensiva intesa a configurare la operatività di una responsabilità precontrattuale anche in presenza della stipula di un contratto valido ed efficace, allorché nella fase delle trattative una delle parti sia stata scorretta violando il principio del <em>neminem laedere</em>. In queste ipotesi il contratto è valido, ma è stato concluso a condizioni inique per la scorrettezza di una delle parti, onde la responsabilità precontrattuale fatta valere a contratto valido ed efficace concluso serve a ricondurlo ad equità alla stregua di un principio di tipo solidaristico che impone di salvaguardare l’interesse della controparte nei limiti del non apprezzabile sacrificio del proprio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 1632 che si inserisce nel solco della consolidata giurisprudenza onde in caso di responsabilità precontrattuale va risarcito il solo interesse negativo, vale a dire le spese inutilmente sostenute per la partecipazione alle trattative (e per l’eventuale stipula del contratto), nonché la perdita delle occasioni alternative di contrattazione laddove le trattative non abbiano condotto ad un contratto (ovvero abbiano condotto ad un contratto inutile). Le trattative sono state infruttuose e va ricostruita la posizione giuridico-economica <em>ex ante</em> rivestita da chi è stato in esse coinvolto invano.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-334/00, <em>Fonderie Officine Meccaniche Tacconi SpA</em>, onde in un contesto come quello della causa principale, caratterizzata dalla mancanza di impegni liberamente assunti da una parte nei confronti di un'altra in sede di trattative dirette alla formazione di un contratto e dall'eventuale violazione di norme giuridiche, in particolare di quella che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede nell'ambito di tali trattative, l'azione con cui si fa valere la responsabilità precontrattuale del convenuto rientra nella materia dei delitti o quasi delitti, ai sensi dell'art. 5, punto 3, della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982, relativa all'adesione della Repubblica ellenica, e dalla Convenzione 26 maggio 1989, relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese. In sostanza, per la Corte la responsabilità precontrattuale è fondamentalmente di natura extracontrattuale, e non già contrattuale, in quanto un contratto ancora non si registra nel caso di specie.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n. 10160 che riconduce la responsabilità precontrattuale alla responsabilità aquiliana, facendo perno sulla insussistenza di un contratto e sul generalizzato obbligo di rispettare il principio del <em>neminem laedere</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio esce la sentenza della Cassazione n. 14539 che si inserisce nel solco della consolidata giurisprudenza onde in caso di responsabilità precontrattuale va risarcito il solo interesse negativo, vale a dire le spese inutilmente sostenute per la partecipazione alle trattative (e per l’eventuale stipula del contratto), nonché la perdita delle occasioni alternative di contrattazione laddove le trattative non abbiano condotto ad un contratto (ovvero abbiano condotto ad un contratto inutile). Le trattative sono state infruttuose e va ricostruita la posizione giuridico-economica <em>ex ante</em> rivestita da chi è stato in esse coinvolto invano.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15040, che abbraccia la tesi fatta propria dalle SSUU in ordine alla natura aquiliana della responsabilità precontrattuale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 settembre esce la sentenza della Sezione I della Cassazione n. 19024 che, in tema di c.d. vizi incompleti del contratto (che non incidono sulla relativa validità, quanto piuttosto sulla relativa equità), abbraccia la tesi estensiva intesa a configurare la operatività di una responsabilità precontrattuale anche in presenza della stipula di un contratto valido ed efficace, allorché nella fase delle trattative una delle parti sia stata scorretta violando il principio del <em>neminem laedere</em>. In queste ipotesi il contratto è valido, ma è stato concluso a condizioni inique per la scorrettezza di una delle parti, onde la responsabilità precontrattuale fatta valere a contratto valido ed efficace concluso serve a ricondurlo ad equità alla stregua di un principio di tipo solidaristico che impone di salvaguardare l’interesse della controparte nei limiti del non apprezzabile sacrificio del proprio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 16937 che ribadisce ancora una volta il principio pretorio dell’assorbimento della responsabilità precontrattuale nella vicenda conclusiva del contratto: una volta stipulato un contratto valido, il rimedio esperibile in caso di scorrettezze nelle trattative non può essere quello connesso alla responsabilità precontrattuale, ma deve avere natura contrattuale, con particolare riferimento ai vizi della volontà per errore, dolo o violenza e alla conseguente annullabilità del contratto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 febbraio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 3683 che rimette alle Sezioni Unite il contrasto di giurisprudenza in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri informativi degli intermediari finanziari: all’orientamento onde la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l'illiceità del comportamento tenuto nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali esso sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a tale ipotesi, si contrappone infatti quello per cui in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un'espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce proprio l'art. 1418, comma primo, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e segnatamente disciplinare quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione esplicita di nullità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 ottobre viene varato il decreto legislativo n.221, il cui articolo 9, comma 1, inserisce nel codice del consumo (decreto legislativo 206.05) un articolo 67 <em>septies decies</em>: di questa norma è particolarmente rilevante il comma 4, laddove parla di contratto nullo nel caso in cui il fornitore ostacola l'esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non rimborsa le somme da questi eventualmente pagate (nullità sopravvenuta eso-negoziale), ovvero viola gli obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione delle relative caratteristiche; in questa ultima fattispecie, la violazione degli obblighi di informativa precontrattuale ridonda dunque in nullità del contratto. Qui regole di validità del contratto e regole di comportamento delle parti sembrano mescolarsi, dal momento che la violazione di una regola di comportamento delle parti ridonda in nullità del contratto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 26724 che, in tema di c.d. vizi incompleti del contratto (che non incidono sulla relativa validità, quanto piuttosto sulla relativa equità), fa propria la tesi estensiva intesa a configurare la operatività di una responsabilità precontrattuale anche in presenza della stipula di un contratto valido ed efficace, allorché nella fase delle trattative una delle parti sia stata scorretta violando il principio del <em>neminem laedere</em>. In queste ipotesi il contratto è valido, ma è stato concluso a condizioni inique per la scorrettezza di una delle parti, onde la responsabilità precontrattuale fatta valere a contratto valido ed efficace concluso serve a ricondurlo ad equità alla stregua di un principio di tipo solidaristico che impone di salvaguardare l’interesse della controparte nei limiti del non apprezzabile sacrificio del proprio. Non è possibile in simili casi predicare la natura di norma imperativa dell’art.1337 c.c., per giungere alla declaratoria di nullità del contratto ex art.1418, comma 1, c.c.: la violazione delle norme imperative, per ridondare in nullità del contratto, deve infatti per le SSUU incidere sulla struttura o sul contenuto del contratto, mentre le scorrettezze informative del contraente (o anche quelle commesse in fase esecutiva) restano fondamentalmente esterne a tale struttura (causale e contenutistica). Quello che si censura è la scorrettezza comportamentale di una parte verso l’altra, e dunque la violazione di regole di comportamento, di norme comportamentali, che sono distinte dalle regole di validità del contratto: la violazione delle norme di comportamento, se anteriore alla stipula del contratto, può ridondare in responsabilità precontrattuale con obbligo di risarcimento del danno, mentre se successive ed afferenti alla fase esecutiva, possono rilevare come causa di risoluzione del contratto per inadempimento. Per lo specifico caso delle regole di comportamento violate in fase di trattative, quello che si può ottenere dalla controparte è solo la condanna al risarcimento del danno ex art.1337 c.c., che le SSUU assumono azionabile anche laddove il contratto sia stato concluso e sia valido ed efficace: va riconosciuto alla controparte lesa dal comportamento scorretto dell’interlocutore sleale il c.d. interesse differenziale, ripristinandone la situazione economica rispetto a come essa si sarebbe atteggiata senza il comportamento violativo dell’obbligo di buona fede (in termini di maggior vantaggio, minor aggravio economico o altri danni direttamente collegati al comportamento scorretto subito).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 24795 secondo la quale la regola posta dall’art.1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, ma ha valore di clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative, e quindi di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 10634 che si occupa di un contratto concluso e perfezionato, eppure generatore di responsabilità precontrattuale: il contratto è quello di acquisto di azioni di una società emittente, la quale abbia varato un prospetto di offerta pubblica di sottoscrizione di tali azioni fuorviante in ordine alla situazione patrimoniale di detta società. Per la Corte la società emittente risponde ex art.1337 c.c. per essere ad essa imputabili proprio le errate informazioni che hanno indotto i sottoscrittori ad acquistare azioni il cui valore è inferiore rispetto a quello supponibile sulla base della lettura del fuorviante prospetto. Il titolo di responsabilità (precontrattuale) è la colpa (quando non il dolo), ma è concesso alla società emittente provare che la non veridicità del prospetto non sia stata idonea ad influenzare l’investitore (che avrebbe dunque acquistato in ogni caso i titoli anche in presenza di un prospetto corretto e non fuorviante).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.27648 che abbraccia la tesi “<em>contrattualista</em>” della responsabilità precontrattuale, valorizzando il fenomeno del contatto sociale, gli obblighi di protezione reciproci che avvincono le parti (che facciano luogo tra loro a trattative) e la stessa affidabilità raggiunta dalle trattative medesime specie allorché esse giungano ad uno stadio avanzato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 21255, caso Fininvest – Cir, che opera talune importanti affermazioni in tema di responsabilità precontrattuale e c.d. vizi incompleti del contratto. La pronuncia, limitandosi a quanto di pertinenza, muove dal c.d. "<em>nuovo</em>" diritto dei contratti, uno dei cui sviluppi più recenti per la Corte è l'ormai pacificamente (benché non univocamente), ammessa proponibilità di un'azione di risarcimento del danno per violazione della regola di buona fede nella fase delle trattative pur in presenza di un contratto valido, e, comunque, in assenza di una domanda di impugnativa del medesimo, perché della stessa non ricorrono (più) i presupposti. A carico della parte che abbia callidamente e scorrettamente insidiato l'autonoma determinazione negoziale dell'altra deve, difatti ritenersi configurabile in via generale una responsabilità risarcitoria anche quando il comportamento contrario a buona fede non sia tale da integrare il paradigma normativo di uno dei vizi del consenso così come disciplinati dal codice civile. Tali principi hanno trovato recente ed autorevole riscontro, rammenta la Corte, nella elaborazione giurisprudenziale della Corte medesima, la quale, nel relativo massimo consesso (Cass. SSUU 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725), ha ravvisato nell'istituto della responsabilità precontrattuale proprio il rimedio in grado di governare anche le situazioni del contratto valido, ma pregiudizievole per la parte che abbia subito l'altrui comportamento contrario a buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto. L'affermazione dell'esperibilità di un'azione risarcitoria in presenza della violazione della regola di buona fede nelle trattative che dia luogo ad un assetto contrattuale più svantaggioso per la parte che abbia subito le conseguenze della condotta contraria a buona fede è stata ancora riaffermata <em>funditus</em> con la sentenza dell'8 ottobre 2008, n. 24795, pur a fronte di pronunce (non condivisibilmente) discordanti, che sono (acriticamente) tornate a sostenere la tesi classica della non esperibilità del rimedio della responsabilità precontrattuale in presenza di un contratto validamente concluso (la Corte rammenta le sentenze n. 16937.06 e n. 2479.07). Se questi principi hanno trovato applicazione con riferimento a fattispecie nelle quali veniva in considerazione soltanto la mancata segnalazione di un motivo erroneo idoneo ad influenzare la formazione del consenso della controparte, non può a più forte ragione negarsi loro ingresso in una vicenda - pur se in parte diversa, pur se certamente più "<em>grave</em>" sotto il profilo effettuale, pur se caratterizzata da elementi ulteriori rispetto alla mera violazione della buona fede nelle trattative, onde l'inevitabile ricorso alla tutela ex art 2043 c.c., come meglio chiarisce poi la Corte in sede di esame del nono motivo di ricorso - nella quale la contrarietà della condotta della parte oggi ricorrente alla clausola generale della buona fede (evocata nella sua speculare dimensione endocontrattuale, sul piano strutturale e funzionale, dagli artt. 1175, 1227 1358, 1366, 1375, 1460 c.c.) è consistita in un ben più grave inquinamento del momento pre-contrattuale. Non ignora la Corte che la teoria predicativa della risarcibilità aquiliana tutte le volte che un vizio negoziale non assurga a rango di rilievo tale da consentirne l'invalidazione (la teoria dei c.d. "<em>vizi incompleti</em>", che consente un'azione imperniata sulla contrarietà a buona fede della condotta della controparte contrattuale pure in presenza di un contratto valido) sia stata oggetto di serrate critiche dottrinali. Sotto un primo profilo, rammenta la Corte, si è difatti affermato che la debolezza della teoria si coglie già alla luce del rilievo che il concetto richiederebbe l'indicazione di un criterio di selezione cui affidare la decisione in ordine alla rilevanza o meno, sia pure ai soli fini risarcitori, della alterazione della libertà negoziale che sia stata posta in essere - mentre, una volta abbandonato l'aggancio ai requisiti di rilevanza dei vizi del consenso, così come normativamente disciplinati, diverrebbe difficile se non impossibile individuare un "<em>grado</em>" o intensità dell'alterazione della libertà del volere, superato il quale (possa e) debba scattare, in presenza di tutti gli altri presupposti, il rimedio risarcitorio. Sarebbe, allora, significativo che l'unico limite che la dottrina dei vizi incompleti pone sia quello della entità del pregiudizio, così da escludere o contenere la pretesa risarcitoria nei casi in cui il danno conseguito all'altrui scorrettezza precontrattuale sia irrisorio o comunque di esigua entità, alla luce del valore economico complessivo dello scambio; ma si tratterebbe di un limite, per un verso, arbitrario, posto che l'entità del danno potrebbe semmai incidere sul quantum dell'obbligazione risarcitoria, ma non sull'affermazione, o meno, della sussistenza della responsabilità e, per altro verso, tale da introdurre un meccanismo di controllo generale circa il contenuto delle convenzioni private, difficilmente giustificabile. In questo modo, si finirebbe per generalizzare, a partire dalla disposizione dell'art. 1337 c.c., la possibilità di un controllo del contenuto contrattuale in funzione di scrutinio in ordine all'eventuale squilibrio che lo caratterizzi, ciò che, al contrario, l'ordinamento prevedrebbe solo in casi oggetto di specifiche previsioni normative - onde la conclusione secondo la quale un uso poco controllato della clausola generale di buona fede (dimentico della necessità che i risultati della "<em>concretizzazione</em>" di una clausola generale, per essere ragionevoli, devono - prima di tutto - essere coerenti con il sistema del diritto positivo) rischierebbe di risolversi in una fuga in avanti dell'interprete, dagli esiti "<em>sistematicamente</em>" discutibili. Sotto altro profilo, rammenta ancora la Corte, si è sottolineata l'erroneità, alla luce delle stesse indicazioni desumibili dalla Relazione al codice, già del presupposto generale da cui muove l'estensione dello specifico dispositivo risarcitorio dell'art. 1440 a tutte le altre ipotesi di "vizi incompleti", presupposto secondo il quale il legislatore avrebbe ricordato la distinzione tra vizio determinante e vizio incidente solo quando ha trattato del dolo, omettendo, invece, di disciplinarla negli altri casi, e spettando così all'interprete colmare tutti gli spazi lasciati vuoti dalla regola di validità. Ciò che fuoriesce dai mezzi di impugnazione, difatti, non sarebbe necessariamente un vuoto normativo che "<em>deve</em>" essere colmato attraverso un rimedio aquiliano concepito come "<em>cerotto universale</em>" di qualsiasi insoddisfazione equitativa, poiché, al contrario, le condizioni normative delle diverse ipotesi di invalidità sono rivolte a definire intenzionali ambiti di immunità la cui evidente funzione giuridica è quella di dar rilevanza ad esigenze sistematiche di carattere diverso rispetto a (ed opposto a) quelle che prendono corpo nelle discipline dei mezzi di impugnazione (diverse ed opposte esigenze che vengono solitamente riassunte nella necessità di assicurare stabilità ed efficienza al sistema dei contratti). Dal punto di vista delle disposizioni normative che concernono l'errore, la violenza e l'approfittamento dell'altrui stato di bisogno, sembrano ricavarsi indicazioni addirittura contrarie ad una tale espansione del dispositivo risarcitorio alle ipotesi in cui questi vizi presentino carattere incompleto o solo incidente, tanto più alla luce del rilievo che l'affermazione della rilevanza, ai fini risarcitori, di un errore incompleto sarebbe in grado di entrare in collisione con l'affermazione del principio di irrilevanza dell'errore dei motivi. Tali osservazioni critiche, chiosa tuttavia la Corte, se colgono con non poca efficacia alcuni aspetti sicuramente critici della teoria dei vizi incompleti, non inducono comunque a negare - in consonanza con quanto di recente affermato da altra, autorevole dottrina - l'esistenza di un residuo spazio che offra asilo ad una domanda risarcitoria per violazione dell'obbligo di buona fede anche nelle ipotesi in cui la parte, vittima dell'altrui condotta sleale, non possa esperire le impugnative contrattuali accordatele dalla disciplina generale dei contratti ovvero da quella peculiare al singolo tipo contrattuale (così come accade appunto, in materia di transazione). Di uno spazio residuo che, a più forte ragione, consenta la proposizione di una domanda risarcitoria ex art. 2043 volta che la fattispecie concreta si caratterizzi per un <em>quid pluris</em> e per un <em>quid alii</em> rispetto ad una "<em>semplice</em>" violazione della norma di cui all'art. 1337 c.c.. Come è stato efficacemente osservato, tale forma di responsabilità è espressiva della dimensione funzionale del rapporto, e non può integrare, a guisa di norma di chiusura, il sistema delle invalidità negoziali che ne investe invece la logica strutturale. Le regole di comportamento sono disciplina non di fattispecie ma di rapporto, non attengono al fatto rilevante per i terzi e l'ordinamento, ma alla vicenda obbligatoria che intercorre(rà) tra le parti. Il rapporto obbligatorio precede e segue l'integrazione della vicenda negoziale - intesa nella relativa duplice dimensione di fatto storico e di fattispecie programmatica - ed è intergrato nella sua più intima essenza da doveri di comportamento che trovano la loro fonte tanto nel sistema della responsabilità contrattuale quanto in quello della responsabilità precontrattuale, quanto ancora, se del caso, in quella extracontrattuale: queste ultime, pur in presenza di un contratto valido, non sono necessariamente destinata a "<em>compensare</em>" eventuali lacune di sistema delle regole di validità, ma appaiono piuttosto funzionali a governare secondo buona fede i differenti aspetti della complessa vicenda interpersonale dipanatasi tra le parti, così operando nella (diversa e più ampia) logica del rapporto e della (complessità della) fattispecie. Di qui, la legittima predicabilità di un rimedio risarcitorio per responsabilità che ricada nella relazione antecedente la conclusione dell'affare. Un rimedio che non si pone, di per sé, in contrasto con le pur necessarie esigenze di certezze e di stabilità dei rapporti giuridici. La preoccupazione sottesa all'affermazione di un autonomo spazio della buona fede come fonte di un rimedio risarcitorio a fronte di condotte sleali nella fase delle trattative - che possa inopinatamente indurre ad una sorta di controllo generalizzato o di revisione a posteriori, da parte del giudice, dei termini dello scambio – appare alla Corte, per altro verso, quanto meno recessiva (oltreché improntata ad una romantica visione del contratto ormai appartenente a passate "<em>età dell'oro</em>") rispetto a casi nei quali la violazione della buona fede non consista, semplicemente, nel non avere messo a disposizione della controparte informazioni sulla convenienza dell'affare che quest'ultima avrebbe in ipotesi potuto procurarsi altrimenti, bensì nell'avere (come nella specie) intollerabilmente alterato i presupposti della trattativa precontrattuale attraverso la commissione di un illecito penale di ineffabile gravità (ciò che costituisce il <em>quid pluris</em> destinato a schiudere le porte alla risarcibilità ex art. 2043 c.c.). E appare oltretutto contraddetta da quanto affermato, proprio in tema di controllo del contenuto negoziale dalle stesse SSUU della Corte in tema di clausola penale manifestamente eccessiva, come tale ritenuta rilevabile <em>ex officio</em> da parte del giudice pur in assenza di un'eccezione di parte (Cass. ss. uu. 18128/2005). Non si intende, in tal guisa, trasformare tale controllo, e la correlata risarcibilità autonoma, in una sorta di giusnaturalistico riconoscimento della legittimità di un danno di carattere punitivo (la cui sussistenza troverebbe, in astratto, fonte e ragione nel fatto che l'esigenza di assicurare il valore della stabilità e dell'efficienza delle contrattazioni sarebbe evidentemente recessiva in presenza di condotte di eccezionale gravità dal punto di vista della contrarietà a norme penali e, dunque, qualificate soggettivamente da un dolo di intollerabile e irredimibile intensità). Di tale tipologia di danni e della relativa configurabilità a tutt'oggi la giurisprudenza della Corte continua a dubitare, nonostante l'affacciarsi di qualche timida ipotesi normativa in tal senso. La legittimità e l'autonomia dell'azione aquiliana resta, viceversa, tutta iscritta nella tradizionale orbita riparatoria/compensativa della responsabilità civile, nella quale l'intensità del dolo e la gravità della colpa non sono (ancora) destinati a giocare un ruolo decisivo ai fini della pronuncia risarcitoria. E trae ulteriore conforto dalla recente emanazione del codice della giustizia amministrativa che, all'art. 30, pur esprimendo un principio "<em>di settore</em>", circoscritto al solo ambito della giurisdizione esclusiva e "<em>agli altri casi previsti dalla norma</em>" (emanata, come è noto, a seguito di forti e gravissimi contrasti insorti tra i massimi organi di giurisdizione del nostro Paese prima dell'elaborazione del codice da parte di una commissione congiunta), ha espressamente posto una <em>regula iuris</em> di indiscutibile rilevanza, quella, cioè, della astratta ammissibilità dell'indipendenza del rimedio risarcitorio rispetto a quello demolitorio (e ciò è a dirsi a prescindere dalla – a detta della Corte - fuorviante interpretazione che una recente sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto di dare proprio dell'art. 30 C.g.a., evocando del tutto impropriamente il disposto dell'art. 1227c.c., onde realizzare l'effetto di una abrogazione implicita del disposto legislativo, come un'autorevole dottrina non ha mancato di osservare). L'affermazione di un ambito di esplicazione della regola di buona fede nella fase delle trattative appare ancora coerente con la nuova lettura dell'istituto della responsabilità "<em>non contrattuale</em>" che emerge dalla giurisprudenza più recente della Corte, in particolare laddove si è posto l'accento sulla natura sua propria di tecnica di governo di quella particolare fase di contatto sociale tra le parti che è appunto quella delle trattative, così qualificandola, dapprima, come un'ipotesi di responsabilità affine a quella contrattuale e comunque distinta da quella extracontrattuale (Cass. 21 novembre 2011, n. 24438, con riferimento ad un caso in cui era stata prospettata una domanda risarcitoria relativa all'affidamento incolpevole dell'appaltatore nella fase anteriore alla stipula del contratto, in quella dell'accordo conseguente e nell'inizio di esecuzione dell'appalto che poteva presumere valido e della cui invalidità doveva essere consapevole il Consorzio che aveva indetto la gara illegittima, scegliendo erroneamente l'attore per stipulare il contratto), per poi ricostruirla in guisa di contatto sociale qualificato dallo stesso legislatore, con la previsione specifica di un obbligo di buona fede, caratterizzato da tutti gli elementi dell'art. 1173 c.c. (Cass. 20 dicembre 2011, n. 27648). Ricondotto senz'altro l'operare della regola della buona fede nella fase delle trattative alla logica del rapporto ricostruito come un'ipotesi peculiare di momento relazionale avente ad oggetto la reciproca pretesa a che quella fase non sia inquinata da comportamenti sleali, la Corte conclude il passaggio motivazionale nel senso onde l'affermazione della responsabilità risarcitoria della parte che abbia disatteso quella pretesa si configura come un ineludibile corollario di quella premessa, volta che si risolverebbe in una grave contraddizione sistematica la negazione, in via generale, della possibilità di ricollegare conseguenze risarcitorie alla violazione dell'obbligo di buona fede in casi nei quali una perdita di utilità sia effettivamente ricollegabile a comportamenti che quella regola abbiano infranto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1376 onde, in tema di intermediazione finanziaria, la pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) previsti dagli articoli 21, comma 1, lett. a) e b), D.Lgs. n. 58 del 1998, 28, comma 2, e 29 reg. Consob n. 11522 del 1998 (applicabile <em>ratione temporis</em>) e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie, convergono verso un fine unitario, consistente nel segnalare all’investitore, in relazione alla accertata propensione al rischio che lo connota, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (c.d. <em>suitability rule</em>); tale segnalazione deve contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del soggetto emittente, non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “<em>Paese emergente</em>”; 3) il <em>rating</em> nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni cc.dd. <em>grey market</em>); 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente <em>default</em> dell’emittente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2535 alla cui stregua, in tema di gestione di patrimonio mobiliare, è configurabile la responsabilità dell’intermediario finanziario che abbia dato corso a un ordine, ancorché vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso. Trattasi di pronuncia che fa riflettere la dottrina sul contenuto degli obblighi di condotta che la normativa di settore pone a carico degli intermediari finanziari, con specifico riguardo agli obblighi d’informazione, e sulle conseguenze della relativa trasgressione alla luce delle categorie civilistiche, con particolare riferimento a quella ormai consolidata giurisprudenza che assume come il venire meno dell’intermediario finanziario all’obbligo di informare il risparmiatore in ordine alle caratteristiche delle operazioni che egli desidera effettuare determini non già la nullità del contratto che a tal fine viene concluso, atteggiandosi piuttosto unicamente a fonte di responsabilità contrattuale/precontrattuale per l’intermediario; la giurisprudenza pertinente si sforza di precisare i presupposti del sorgere di tale responsabilità specie quando essa sia riconducibile all’avere effettuato, per conto del cliente, investimenti inadeguati poiché troppo rischiosi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.2327, che si occupa della responsabilità precontrattuale della PA, con particolare riguardo alla violazione da parte della stessa degli obblighi informativi che su di essa gravano, tenendo tuttavia anche conto della eventuale colpa del privato: la questione è infatti quella dell’affidamento incolpevole (o colpevole) di un contraente nella validità ed efficacia del rapporto assicurativo con la Pubblica Amministrazione (nel caso di specie, l’Inps). La Corte muove dall’art.1338 c.c. che impone ad una parte l’obbligo specifico di informare l’altra delle cause di invalidità o di inefficacia del contratto che si va a stipulare, potendo tuttavia la parte obbligata provare che l’altra parte ha confidato in tale validità o efficacia in colpa (non senza colpa), stante la relativa posizione sociale e professionale e le specifiche circostanze di fatto presenti. Per la Corte la ratio dell’art.1338 c.c. è quella di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra parti che non sono in condizioni di parità, come avviene (o può avvenire) proprio nei rapporti con l’Amministrazione, dovendosi tuttavia indagare in ordine alla reale scusabilità dell’affidamento dell’altro contraente alla luce della conoscibilità delle circostanza di fatto cui si ricollega la pertinente invalidità. Entrando nel caso di specie, per la Corte, in applicazione dell'istituto della responsabilità precontrattuale per carenza di informazione da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti della controparte, deve reputarsi che, in ragione del carattere generale delle norme in tema di individuazione dei caratteri della subordinazione, note alla generalità dei consociati, e, altresì, della peculiare posizione di socio di maggioranza rivestita dall'interessato nella struttura sociale (s.r.l.) in relazione alla quale vanta il rapporto di subordinazione (in realtà insussistente), il ricorrente non possa addossare alla controparte il danno che è conseguenza del proprio comportamento (nel caso di specie, l’INPS aveva disconosciuto <em>ex post</em> la natura subordinata del rapporto di lavoro con la s.r.l. in capo a chi ne era stato per l’appunto socio di maggioranza e amministratore unico). Ciò alla luce del principio generale desumibile dall'art. 1227, comma 1, c.c. in forza del quale non può sorgere un obbligo risarcitorio nei confronti di un soggetto che versi in colpa, perché a conoscenza della causa che ha determinato l'invalidità o l'inefficacia del rapporto. La Corte rammenta in proposito il principio affermato da Cass. I, n. 9636 del 2015, onde l'art. 1338 c.c. pone a carico di una delle parti l'obbligo specifico di informare l'altra parte dell'esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto, salva la facoltà della parte obbligata di dimostrare che l'altra parte aveva confidato nella suddetta validità o efficacia "<em>non senza sua colpa</em>", in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della relativa posizione sociale o professionale. La principale funzione dell’art. 1338 c.c., prosegue la Corte, è infatti quella di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra le parti che non sono su un piano di parità, come avviene nei rapporti con la Pubblica Amministrazione: da ciò la necessità di indagare sulla scusabilità dell’affidamento del contraente alla luce della conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità. La Corte conclude pertanto con il principio di diritto onde in sede di accertamento riguardo all’affidamento incolpevole di un contraente nella validità ed efficacia del rapporto assicurativo con la Pubblica Amministrazione - al fine di escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima, a norma dell’art. 1338 c.c. - il giudice di merito deve verificare in concreto se l’invalidità o inefficacia del rapporto assicurativo fosse conoscibile dal privato, tenuto conto della univocità dell'interpretazione della norma e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l'invalidità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5762 alla cui stregua – stando ad un orientamento ormai pacifico – la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nella fase si svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, previsto dagli articoli 1337 e 1338, è rilevante non già solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative medesime e di mancata conclusione del contratto, ovvero ancora di conclusione di contratto invalido o inefficace, ma anche in ipotesi di contratto validamente concluso allorché – all’esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito – sia imputabile ad una delle parti l’omissione nel corso delle trattative di informazioni rilevanti che avrebbero indotto l’altra, con giudizio di tipo probabilistico, ad una diversa conformazione del contratto stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7545 che riepiloga i 4 requisiti che la giurisprudenza richiede per integrarsi responsabilità precontrattuale in relazione alle trattative: devono in primo luogo essere in corso le ridette trattative; tali trattative debbono essere giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca la responsabilità dell’altra, il ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto; le trattative vengono interrotte senza giustificato motivo; infine – pur al cospetto di una ordinaria diligenza predicabile in capo alla parte che invoca la responsabilità dell’altra – non sussistono fatti idonei ad escluderne il ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10156 alla cui stregua, ove l’invalidità negoziale sia scaturigine di una norma imperativa o proibitiva di legge, ovvero di altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, e dunque tali da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini, ovvero comunque tali da poter essere conosciute giusta comportamento improntato a normale diligenza, non è configurabile colpa a carico dell’altro contraente che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme ridette.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.14188 che assume maturi i tempi per discostarsi dall’orientamento classico facente perno sulla natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, che non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, e - tuttavia - singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie, che non alla prima. Prese le mosse da un doveroso <em>excursus</em> storico/giuridico, la Corte rappresenta che nel ‘900 si è definitivamente consolidata la tesi di una forma di responsabilità che si colloca "<em>ai confini tra contratto e torto</em>", in quanto radicata in un "<em>contatto sociale</em>" tra le parti che, in quanto capace di dare adito ad un reciproco affidamento dei contraenti, è "<em>qualificato</em>" dall’obbligo di "<em>buona fede</em>" e dai correlati "<em>obblighi di informazione e di protezione</em>”. In tali circostanze, prosegue la Corte, il rapporto obbligatorio si connota non da obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale. Da queste considerazioni, che la Corte evidenzia essere state ormai ampiamente acquisite dalla giurisprudenza, discende che l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi "<em>culpa in contrahendo</em>" solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti. La conclusione è che la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra nel corso delle trattative, in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) precedenti quelli che deriveranno dal contratto, se ed allorquando verrà concluso, e non del generico dovere del <em>neminem laedere</em>, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale, con ogni conseguenza quanto al termine prescrizionale e all’onere della prova.</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 agosto esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3755 alla cui stregua – scandagliando una gara finalizzata alla stipula di contratto di mutuo - la controversia instaurata da una stazione appaltante contro un soggetto privato per il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale derivante dalla mancata stipula, in difetto di idonea giustificazione, del contratto da parte del privato aggiudicatario rientra nella giurisdizione esclusiva del GA ai sensi dell’art.133, comma 1, lettera e) del codice del processo amministrativo. Per il Consiglio costituisce poi principio generale dell’ordinamento quello per cui, allorquando l’aggiudicatario non stipula, in assenza di idonea giustificazione, il contratto che si è aggiudicato, è da assumersi danno risarcibile quello conseguente ai maggiori esborsi di denaro conseguenti alla aggiudicazione disposta in base allo “<em>scorrimento</em>” della graduatoria di gara. Il Collegio soggiunge poi che in sede di giurisdizione amministrativa esclusiva, la PA o un soggetto ad essa equiparato possono agire a tutela di un proprio diritto soggettivo ai sensi dell’art.2932 c.c. (esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre) atteso come gli articoli 103 e 113 della Costituzione, ancorché formulati con riferimento alla tutela riconosciuta al privato nelle diverse giurisdizioni, non limitano detta tutela esclusivamente al privato, né dispongono che la giustizia amministrativa non possa essere attivata dalla PA piuttosto che dal privato medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 aprile 2017 esce la sentenza della sezione II. bis del Tar Lazio, n. 4885 che – collocandosi in un <em>trend</em> pretorio ormai consolidato – afferma essere legittimo, in quanto fondato su motivi adeguati, il provvedimento con il quale la P.A. appaltante revochi in autotutela l’aggiudicazione di una gara di appalto, e tutti gli atti della gara stessa, motivandolo con riferimento a sopravvenute ragioni di interesse pubblico, fondamentalmente consistenti nella indisponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento del corrispettivo, oltre ad altre difficoltà (nel caso di specie, relative alla scadenza dell’autorizzazione paesaggistica relativa all’opera e alla necessità di previa rimozione dei rifiuti rilevati nel luogo di esecuzione delle opere); ciò in quanto il venir meno delle risorse finanziarie costituisce ragione valida e sufficiente per non dare corso alla stipulazione del contratto di appalto, nonostante l’aggiudicazione definitiva già intervenuta; peraltro, soggiunge il Tar, prima del perfezionamento del contratto, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile, in applicazione dell’art. 21 <em>quinquies</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/1015">L. n. 241/1990</a>. Nel corpo della medesima pronuncia il Tar soggiunge che in tema di gare pubbliche, la responsabilità precontrattuale, <em>ex</em> art. 1337 c.c., in capo alla P.A. ricorre nel caso in cui, prima della stipula del contratto, l’Amministrazione, violando il principio di correttezza e buona fede, lede il legittimo affidamento maturato dalla controparte alla conclusione del contratto, in ragione dell’aggiudicazione definitiva; una lesione che si configura proprio nell’ipotesi di revoca legittima dell’aggiudicazione della gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie, laddove la P.A. abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza in quanto - pur accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione - non ha immediatamente ritirato i propri provvedimenti, prolungando inutilmente lo svolgimento della gara e così inducendo i concorrenti a confidare nelle <em>chances</em> di conseguire l’appalto. In tali ipotesi peraltro (responsabilità precontrattuale), il danno risarcibile è commisurato non all’interesse positivo, ovvero alle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall’esecuzione del contratto, ma al c.d. interesse negativo, da intendersi come interesse a non essere coinvolto in trattative inutili o, comunque, a non investire inutilmente tempo e risorse economiche partecipando a trattative destinate a rivelarsi inutili a causa del comportamento scorretto della controparte, onde non possono essere risarcite le voci di danno che fanno riferimento all’interesse positivo, attenendo esse alle utilità e ai vantaggi che sarebbero derivati dall’esecuzione del contratto. Adeguandosi a costante giurisprudenza, anche per il Tar l’interesse negativo include, poi, sia il danno emergente, per le spese sostenute ai fini della partecipazione alla gara e in previsione della stipulazione del contratto, sia il lucro cessante dovuto alla perdita di ulteriori occasioni contrattuali sfumate a causa dell’impegno derivante dall’aggiudicazione non sfociata poi nella stipulazione o, comunque, in ragione dell’affidamento nella positiva conclusione del procedimento di gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza delle SSUU n.13454 che premettono come sia gli artt. 6 e 7 della <a href="http://www.lexitalia.it/n/2073">L. 21 luglio 2000, n. 205</a>, che l’art. 133 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">cod. proc. amm.</a> abbiano attribuito esclusivamente al giudice amministrativo il contenzioso sulla procedura di affidamento dell’appalto, restando devolute al GO le sole vertenze afferenti al contratto e alla sua esecuzione, dato che esse ineriscono a diritti e obblighi scaturenti dal contratto stesso. Rientra dunque nella giurisdizione esclusiva del G.A. una controversia relativa all’aggiudicazione di una gara di appalto laddove non si sia mai giunti alla stipulazione del contratto, a nulla rilevando che dopo l’aggiudicazione – e su esclusivo impulso della P.A. appaltante – si sia aperta una fase interlocutoria volta ad anticipare alcune prestazioni afferenti all’oggetto dell’instaurando rapporto d’appalto, in realtà mai più instaurato per effetto della deliberazione di annullamento in autotutela della già dichiarata aggiudicazione per carenza di copertura finanziaria. Pertanto, in tale ipotesi, difettando il contratto d’appalto, perché mai stipulato, si è rimasti nella fase di quel procedimento ad evidenza pubblica connotato da una mera aggiudicazione seguita da annullamento in autotutela. Precisa poi la Corte come l’azione di risarcimento del danno per responsabilità connessa ad una procedura di affidamento di appalto di opere pubbliche e derivante da attività amministrativa non conforme a buona fede appartiene alla giurisdizione del plesso TAR – Consiglio di Stato, avendo pur essa per oggetto atti o provvedimenti della procedura concorsuale obbligatoria, relativi all’individuazione del contraente a seguito dell’aggiudicazione, e comunque inerenti alla fase antecedente alla stipulazione del contratto di appalto, dovendosi assumere comprese nella giurisdizione amministrativa anche le liti concernenti il risarcimento del danno da responsabilità della P.A. per il mancato rispetto delle norme di correttezza, regole la cui violazione si concretizza quando siano venuti meno gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi che hanno ingenerato un affidamento di buona fede, massime in ipotesi eventuale di esecuzione anticipata senza poi alcun seguito contrattuale; si configura infatti la responsabilità del soggetto pubblico quando l’Amministrazione, dopo avere indetto una gara di appalto e pronunciato l’aggiudicazione, ne disponga la revoca per carenza delle risorse finanziarie occorrenti,tale responsabilità dovendosi imputare alla mancanza di vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che l’amministrazione ha assunto quando la procedura di evidenza pubblica è stata avviata, adottando atti sulla cui legittimità aveva confidato il soggetto aggiudicatario, in special modo se abbia proceduto ad esecuzione anticipata su sollecitazione della parte pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 giugno esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.14884 alla cui stregua, <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=3%3d2YOR6%26F%3dIY%26o%3dUMU2U%267%3dQ2YKU9%26O%3dzJuJ_0qTt_K1_sukp_30_0qTt_J6xQE.4jL1JuIw7jOAJjT11.jN_0qTt_J6o9EI_sukp_30IQ_sukp_30RZAdRX5ZOW_sukp_30j9tI4K1C7Df_8wB_o9yE1C7_4j_C6JfL55eCsPjI65_gC61oT11sCs_FfL_1Db8wCqC55oN7_4fF41_c563b_5yBj_It2mCy8j_C66pL51uCD9.iN5B_sukp_40CJn_M7Ks7w_HRwh_Sehwg_o9EIm9BJfL_0qTt_JVvN5_Cf81Kn_LisQ_1b5sWv5n51B_sukp_3ZCJn_7sCq517o_LisQ_Wvdfk%26v%3d%269t%3dVKRAc">in tema di intermediazione finanziaria, anche quando la diffusione di strumenti finanziari avvenga mediante la prestazione individuale di «<em>servizi di investimento</em>», cioè mediante negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, la tutela del cliente è comunque affidata all'adempimento, da parte dell'intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Campania n.3396 onde non si configura la responsabilità precontrattuale a carico della P.A. appaltante che – nonostante l’aggiudicazione – si è sostanzialmente rifiutata di stipulare il contratto di appalto a cagione del venir meno del finanziamento dell’opera pubblica per l’intervenuta scadenza del termine di ammissibilità, nel caso in cui il bando di gara contenga una espressa ed inequivoca clausola secondo la quale l’Amministrazione aggiudicatrice si riserva la facoltà di non dar luogo alla procedura di gara e/o all’aggiudicazione definitiva e/o alla stipula del contratto d’appalto per ragioni di pubblico interesse, debitamente motivate, senza che gli offerenti abbiano nulla a pretendere in merito, quale a titolo esemplificativo e non esaustivo la perdita e/o revoca del finanziamento; in tal caso, infatti, non si rinvengono per il Tar tutti gli elementi costituivi richiesti perché possa configurarsi un fattispecie di illecito sia di natura contrattuale che extracontrattuale imputabile alla Amministrazione Comunale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.16419 alla cui stregua rientra nella giurisdizione del G.O. l’azione di risarcimento dei danni proposta dalla stazione appaltante nei confronti delle società appaltatrici, per responsabilità precontrattuale e contrattuale da condotte asseritamente fraudolente realizzatesi nella fase di affidamento dei lavori che hanno comportato un grave ritardo nell’affidamento definitivo e nell’esecuzione dei lavori stessi. In tal caso si tratta infatti, per il Collegio, di domanda risarcitoria afferente non alla fase pubblicistica della gara, ma a quella prodromica nella quale si lamenta la violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, con conseguente rilevanza del criterio di riparto di giurisdizione fondato sulla natura e sulla consistenza della situazione soggettiva dedotta in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.25111 che afferma <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=3%3dMbIRQ%26I%3dCY%260%3dXKVOc%261%3dQMbEUT%26R%3dtJFM_4qow_E1_Dxep_NC_4qow_D6IT9.45OuJFLq75R5J5Wu1.5Q_4qow_D60B9I_Dxep_NCJ_Hmzb_R2gLZVgJVPgK_Hmzb_R2sm_FDB89w_01DAPo50Wm_41Ix_1yN79DBzJ1_Aq9_HFz3AIu_IGF_n50F_173B6JA_Au_F1OyKF8_qB5Aq_Bw_OqIBLzIw9uB5Qm_41I_zEF8uE_DLs10Qq.8FJx_Hmzb_S2R6C_EL7HyB_4qow_E4ZBS_D1T5B1Q65D_Ocsl_YHKFJ_y5zF1w8m7C_Dxep_OAqCwFx_Hmzb_RRR6C_y8yFwFsD_Dxep_OAP5c%26A%3d%26uI%3dNeLRU">la responsabilità professionale del notaio, laddove questi abbia omesso di informare le parti dei vincoli pertinenziali che rendevano i beni oggetto dell’atto di permuta non commerciabili (quantunque non sempre il deficit informativo risultante dall’atto si traduca nella lesione del diritto di autodeterminazione negoziale del contraente).</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5901, secondo la quale va ascritta al paradigma della responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c., la responsabilità di un Ente locale appaltante per non aver condotto secondo il principio di buona fede la fase di scelta del contraente per la esecuzione di un’opera pubblica, mal gestendo tempi ed organizzazione della gara, così da porsi colpevolmente nella posizione di perdere i finanziamenti pubblici indispensabili per l’attuazione dei lavori da appaltare ed essere perciò costretta a revocare gli atti di gara; per il Collegio, anche in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie può sussistere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza, inducendo le imprese concorrenti o aggiudicatarie a confidare nell’esito positivo del procedimento di gara.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre esce la sentenza della II sezione della Corte d’Appello di Bari n.2199 che precisa come <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=0%3dKUFYO%26B%3d0f%268%3dRDYTV%26x%3dXKUBbR%26K%3dqQDF_1xmp_B8_Bqbw_L6_1xmp_ACGM6.A3HrQDEnD3K2Q3Pr8.3J_1xmp_AC856P_Bqbw_L60X_Bqbw_L6IgTZIeRSGe_Bqbw_L6X9vBrD29_rKzE1JuJrS3_4nI6_9wQyHvBx9jO3E_nA_yG4F69kO3E_lL8J18DJ4865.qQ7B_1xmp_BCEJv_P9K10y_HZzj_Smkyg_wBGIuBDJnO_Bqbw_LV4Q7_CnA3Kv_OksY_Zx5v83B_1xmp_AcEJv_0uCy837w_OksY_Zxdnn%26x%3d%26928u1j%3dZOWId">l’inadempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi nei confronti del risparmiatore può giustificare tanto la risoluzione del contratto quadro, quanto quella dei singoli ordini d’investimento; ciò nella misura in cui, per la relativa importanza, si riveli idoneo a determinare un’alterazione dell’equilibrio contrattuale.</a></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.680 che definisce la la responsabilità precontrattuale quale forma di soggezione alle conseguenze sancite dall’art. 1337 c.c. (oltre che del successivo art. 1338) per condotte contrarie ai canoni di buona fede e correttezza (quest’ultima prevista dall’art. 1175 c.c.) nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, che è da ritenere applicabile anche all’attività contrattuale dell’amministrazione svolta secondo i modelli autoritativi dell’evidenza pubblica e che prescinde dall’accertamento di un’illegittimità provvedimentale e anche dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante. Il Collegio precisa come a differenza della responsabilità da mancata aggiudicazione, la <em>culpa in contrahendo</em> dell’amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica di affidamento di contratti costituisce fattispecie nella quale l’elemento soggettivo assume una propria specifica rilevanza, in correlazione con l’ulteriore elemento strutturale del contrapposto affidamento incolpevole del privato in ordine alla positiva conclusione delle trattative prenegoziali, i presupposti della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione consistendo nell’affidamento ingenerato dal comportamento della stazione appaltante su tale esito positivo e nell’assenza di una giusta causa per l’inattesa interruzione delle trattative. Sussiste in particolare la responsabilità precontrattuale della P.A. nel caso in cui essa abbia indetto una procedura di finanza di progetto mal valutando l’opera da realizzare e così ingenerando un legittimo affidamento circa la conclusione del procedimento, producendo un danno al concorrente stante l’inattesa ed improvvisa interruzione dell’intera sequenza prenegoziale, danno che deve ritenersi del tutto ascrivibile alla categoria della responsabilità precontrattuale, a prescindere dalla specifica procedura di cui si tratta (appunto un <em>project financing</em>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.6973, in tema di intermediazione finanziaria, obblighi informativi e riparto dell'onere della prova; la Corte richiama il recente arresto (Cass.10713 del 2017) reso in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella scandagliata sia in ordine alla tipologia di contratto, sia in ordine ai prodotti finanziari, laddove viene del tutto condivisibilmente affermato che le istruzioni vincolanti non possono ravvisarsi quando si modifica radicalmente la linea di gestione per l'intero portafoglio, ma esclusivamente quando si rimanga all'interno delle caratteristiche della gestione così come individuate nell'apposito contratto. Le istruzioni in oggetto devono pertanto essere conformi al programma negoziale preesistente, dando luogo altrimenti, se la linea di gestione nuova sovverte la preesistente, ad un contratto sostitutivo che soggiace alle norme inderogabili sull'ambito ed il contenuto degli obblighi informativi a carico dell'intermediario. Nella specie è la stessa sentenza impugnata ad indicare che la linea di gestione è nuova, ed "<em>in deroga</em>" alla preesistente tanto da escludere i limiti agli investimenti in precedenza previsti, da ritenere nulli, oltre a riguardare la totalità del patrimonio gestito dal portafoglio. Una così radicale divergenza dall'assetto negoziale preesistente deve essere assistita dagli obblighi informativi precontrattuali ed endonegoziali previsti dal d.lgs n. 58 del 1998 e dal Regolamento Consob n. 11522 del 1998 <em>ratione temporis</em> applicabile. La Corte assume errata e del tutto contrastante con il proprio orientamento l'affermazione secondo la quale non sussistono nella specie tali obblighi anche in considerazione del profilo di rischio, peraltro solo genericamente affermato in sentenza, del cliente, senza tenere in alcuna considerazione l'indice derivante dalla natura e dalle caratteristiche in concreto del programma di gestione preesistente, costituente un indicatore effettivo e significativo del grado di rischiosità accettata dall'investitore. Del pari errata alla luce degli artt.28, 30, 37, 38 del reg. Consob n. 11522 del 1998 è per la Corte l'affermazione secondo la quale gli obblighi informativi riguardano solo i contratti di negoziazione e non anche le gestioni di portafogli. In fase precontrattuale, l'art. 28 impone gli obblighi d'informazione specifica sia all'una che all'altra categoria. In fase contrattuale l'art. 37 potenzia il contenuto informativo del contratto e gli obblighi a carico dell'intermediario così come riconosciuto dalla Corte con orientamento consolidato, essendosi al riguardo affermato che nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, gli obblighi di comportamento a carico dell'intermediario prevedono anche l'indicazione per ciascuna linea di gestione patrimoniale della preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna gestione (Cass. 8089 del 2016) anche con riferimento ad un parametro oggettivo (cd. benchmark) (Cass.24 del 2017). In ordine poi al riparto dell'onere della prova tra intermediario ed investitore in ordine all'adempimento degli obblighi cogenti endocontrattuali, così come elencati nell'art. 21, esso si applica per la Corte anche alla contestazione relativa al conflitto d'interessi, in quanto espressamente contenuto tra gli obblighi indicati alla lettera c) dell'art. 21: risulta dunque idonea a far scattare l'obbligo di prova contraria a carico dell'intermediario un'allegazione specifica fondata sia sull'indicatore direttamente desumibile dalla denominazione dell'investimento sia da altri elementi indiziari, riconosciuti in sentenza ma ritenuti insufficienti. L'art. 23, sesto comma, del T.U.F. oltre a cristallizzare sotto il profilo dell'onus probandi, l'asimmetria contrattuale esistente tra intermediario ed investitore, costituisce un'applicazione del principio di prossimità della prova che permea il regime probatorio dei rapporti giuridici caratterizzati dall'alto contenuto scientifico o tecnico di una delle prestazioni costituenti il sinallagma negoziale, onde non spetta all'investitore la prova rigorosa dell'intreccio economico patrimoniale e della sequenza sulla base della quale solo all'esito di un rigoroso esame di atti quali scritture contabili e atti negoziali riservati è possibile effettivamente ricostruire la relazione che avvince l'intermediario con il prodotto finanziario oggetto della gestione patrimoniale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza n. 10112 della sez. I della Cassazione Civile, che si pronuncia sugli obblighi di informazione post-contrattuale a carico degli intermediari finanziari. In materia di investimenti finanziari, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 58 del 1998, sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, sicché tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso. Nella prestazione dei servizi di investimento, solo nel caso di consulenza e gestione portafogli, per il carattere altamente fiduciario della relazione intercorrente con il cliente e per la discrezionalità di cui l’intermediario gode, quest’ultimo ha l’obbligo di tenere informato l’investitore anche successivamente al compimento della singola operazione. Non sussiste invece tale obbligazione nelle altre tipologie di servizi, nei quali l’obbligo di informazione esaurisce la sua portata precettiva con il realizzarsi dell’investimento. La questione della configurabilità di obblighi di informazione post-contrattuale a carico degli intermediari allora si intreccia con quella della definizione dei confini tra il servizio di consulenza e gli altri servizi a carattere esecutivo, questione che potrà essere riesaminata alla luce della prassi applicativa della direttiva Mifid II.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Piemonte n.482 onde la circostanza che la revoca di una gara, per quanto legittima, sia dipesa da un grave vizio progettuale imputabile alla stazione appaltante, rende fondata la domanda risarcitoria proposta da parte dell’aggiudicataria provvisoria nei limiti della cosiddetta responsabilità precontrattuale <em>per culpa in contrahendo</em> di cui all’art. 1337 c.c., e dunque nei limiti del c.d. “<em>interesse negativo</em>” della ridetta aggiudicataria provvisoria a non investire inutilmente tempo e risorse economiche per partecipare ad una gara d’appalto viziata <em>ab origine</em> da carenze progettuali imputabili alla stessa stazione appaltante, con conseguente risarcibilità dei soli danni consistenti nelle spese di partecipazione alla gara e nel mancato conseguimento di altre favorevoli occasioni contrattuali. A tale voce di danno va aggiunta, per il Collegio, quella relativa alla perdita di altre favorevoli occasioni contrattuali, quanto meno in relazione al periodo intercorrente tra la data dell’aggiudicazione provvisoria e quella della revoca della procedura di gara, periodo nel quale è verosimile che la società ricorrente, confidando nella imminente aggiudicazione della gara, abbia omesso di prendere parte ad altre procedure di gara, con conseguente perdita delle relative <em>chance</em> di aggiudicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 maggio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.5, che riafferma come anche nello svolgimento dell’attività di tipo autoritativo, la PA è tenuta a rispettare - oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo) - anche e ad un tempo le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto che incide non già sull’interesse legittimo, quanto piuttosto sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, e dunque in sostanza sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza. Precisa poi il Collegio come nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il divisato procedimento; la responsabilità precontrattuale della P.A. può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri per l’appunto di correttezza e buona fede. L’Adunanza precisa poi che affinché nasca la responsabilità dell’Amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), occorrendo all’uopo ulteriori presupposti, ovvero: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel relativo complesso e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile alla PA, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione penale n.24027 alla cui stregua <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=A%3dFURZJ%26B%3dLg%263%3dRRgLZ%260%3dYFUNcM%26K%3d3R9F_Cyhp_N9_7qnx_G6_Cyhp_MDBMH.BxH4R9EzExKDRxP49.xJ_Cyhp_MD35HQ_7qnx_G6Lc_7qnx_G6UhOZUfNTSZ_7qnx_G6VS9E_FQpJz_A4D_E9r84KtJCM_219M25DQ4_B_vArKD9_t_JCSu6v_A4DEPpJESpBz.F9C7_Pfsk_auKEK_8EFPr5_Cyhp_NBS5b_LtMDJtJEC7_Hl1e_RQS9C_8Cs9FK_7qnx_H4zKp97_Pfsk_ZKKEK_r18Np92L_7qnx_H4YCV%264%3d%264Q9p1v%3dHYUYN">il consapevole sottacere - in sede di trattative - la manomissione del tachimetro dell’auto usata posta in vendita con un chilometraggio notevolmente inferiore rispetto a quello effettivo così ottenendo un prezzo di gran lunga superiore al dovuto configura truffa contrattuale.</a> La Corte rammenta come in fattispecie analoga a quella scandagliata essa ha stabilito la differenza tra la truffa contrattuale ed il reato di frode in commercio, precisando che la truffa si concretizza quando l'inganno perpetrato nei confronti della parte offesa è stato determinante per la conclusione del contratto, mentre la frode in commercio si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 giugno esce la sentenza della Corte di Cassazione Civile, sez. I, n. 15770, che si pronuncia confermando la responsabilità dell’intermediario finanziario, a titolo di responsabilità pre-contrattuale, nel caso delle operazioni di c.d. grey market. In presenza di una operazione finanziaria compiuta nel c.d. grey market, l’intermediario, per essere assolto dalla responsabilità addebitatagli dal risparmiatore, deve fornire la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento degli obblighi informativi a suo carico. Pertanto, nel caso di specie la sentenza impugnata viene in parte cassata, perché, come sostiene la Corte di legittimità, non ha, sottoposto ad alcuna concreta valutazione (ritenendole, del tutto erroneamente, sostanzialmente irrilevanti) - in tal modo disattendendo i principi giurisprudenziali in precedenza richiamati - le circostanze, evidenziate dagli odierni ricorrenti incidentali già in sede di merito, relative al fatto che i titoli in questione furono negoziati prima che fossero immessi sul mercato, nel periodo del cd. grey market, con la conseguenza che la stessa Banca (e, a maggior ragione, i clienti retail) non disponeva di informazioni adeguate sulle caratteristiche di quel titolo, privo, tra l’altro, in quel momento, di rating ufficiale. Ciò avrebbe dovuto indurre la Banca ad agire con la massima prudenza, segnalando che si trattava di titoli particolarmente rischiosi o comunque non sicuri, tanto più che, in prima battuta, erano destinati ai soli investitori istituzionali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 settembre 2018 esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.22437 sulle c.d. clausole claims made nel contratto di assicurazione. La Corte di legittimità afferma (punto 18 della motivazione in diritto) che sul piano della fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, gli obblighi informativi sul relativo contenuto devono essere assolti dall'impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell'altro contraente, nell'ottica di far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze. E tanto si imponeva (Cass., 24 aprile 2015, n. 8412) ben prima della posizione delle regole specificamente dettate dalle disposizioni del codice delle assicurazioni private di cui al d.lgs. n. 209 del 2005 (tra le altre, artt. 120, 166, 183-187), essendo già scolpita nel sistema più generale la necessità che, nella fase precontrattuale, il contatto tra le parti, in quanto qualificato dall'affidamento reciproco e dallo scopo perseguito, sia improntato, alla stregua del formante normativo di cui agli artt. 1175, 1375 c.c. e 2 Cost., al rispetto degli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (Cass., 12 luglio 2016, n. 14188), che, nella specie (e, segnatamente, quelli informativi), devono tendere alla trasparenza ottimale dei contenuti negoziali predisposti, così da consentire alla controparte di rappresentarsi al meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali. La violazione di tali obblighi nella fase precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) potrà assumere rilievo anche in ipotesi di contratto validamente concluso, allorquando si accerti che la parte onerata abbia omesso, nella fase delle trattative, informazioni rilevanti che avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso (Cass., 23 marzo 2016, n. 5762). Tanto a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 c.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell'ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.). Sicché, il rimedio risarcitorio al quale potrà aspirare il contraente pregiudicato (nell'ottica, che va ribadita, della separazione tra regole di condotta, che attengono alla dinamica del rapporto, e regole di validità o di struttura, come delineata da Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e ripresa anche dalla citata sentenza n. 9140 del 2016) dovrà essere in grado di far conseguire ad esso un effettivo ristoro del danno patito, commisurabile all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre esce la sentenza n. 2267 del Tar Lombardia – Milano, Sez. II, che si pronuncia in un caso in cui nell’ambito di un giudizio amministrativo relativo all’impugnazione dell’aggiudicazione di una gara di appalto, l’Amministrazione aveva avanzato domanda riconvenzionale, per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti dell’aggiudicatario, nell’ipotesi in cui l’aggiudicazione fosse dichiarata nulla. Il Tribunale amministrativo si pronuncia nel senso che, essendo la domanda riconvenzionale della p.a. verso il “falso aggiudicatario” una domanda risarcitoria a titolo precontrattuale, la domanda risarcitoria proposta in via riconvenzionale dall’Amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, posto che quest’ultima fa valere la responsabilità precontrattuale del privato per i danni da essa sofferti in conseguenza del coinvolgimento in trattative rivelatesi inutili – avendo partecipato ad una gara senza verificare, alla stregua di elementi che dovevano già essere conosciuti o conoscibili, la propria possibilità di impegnarsi contrattualmente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce l’ordinanza della Cassazione Civile, sez. I, n. 29353, che si pronuncia sulla responsabilità della banca per omesso infruttuoso investimento (caso dei titoli argentini). La corte ribadisce il principio per cui <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=3%3d0W8RD%26D%3d2Y%26w%3dUAX0b%26p%3dQ0W4UG%26M%3diJ3H_sqbr_41_1sTp_A8_sqbr_366Ox.4rJjJ3Gf7rMtJrRj1.rL_sqbr_36w7xI_1sTp_A82T_1sTp_A8AZIbAY0X4W_1sTp_A8C1w5b_HnKqEwKb2rDf_4nDm_9w8sK3LvE2G_jD57tJrEfD3G_pCnKt9_pDj_Ek4m9p0j_9w8pHv3u95A.iJvD_sqbr_464Ln_IxMs3n_JRsY_Uedni_o56Km53LfH_1sTp_AXvJv_Ef4rMn_HZuQ_Sm7n1rD_sqbr_3V4Ln_3jEq1r9o_HZ1j3buQ_Smffg%26m%3d%26At%3dTAT7Q">in tema di investimenti bancari, «l’inosservanza dei doveri informativi genera una presunzione di riconducibilità all’intermediario» rispetto ai successivi esiti dell’operazione finanziaria intrapresa, inadempienza che costituisce un fattore di disorientamento dell’investitore scorrettamente informato delle scelte di investimento.</a> Pertanto, nel caso specifico, la corte respingendo il ricorso proposto dall’istituto intermediario, conferma la sentenza di secondo grado, che aveva condannato la Banca Popolare di Bergamo a pagare al privato un determinata somma, in relazione ad un investimento in titoli argentini effettuato nel 2001 ed andato male, a titolo di risarcimento del danno da inadempimento degli obblighi informativi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 gennaio esce la sentenza della sez. V del Consiglio di Stato n. 697, 1. È possibile configurare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale a carico della stazione appaltante nel caso in cui quest’ultima, dopo aver indetto una gara ed essersi in seguito avveduta di motivi ostativi, abbia proseguito nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione. Il danno, in tal caso, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento ovvero revoca), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall’amministrazione nella gestione della complessiva serie amministrativa. Mentre i danni da mancata aggiudicazione sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative. Anche se per le ipotesi di responsabilità precontrattuale è da ritenere ammissibile anche il ristoro della perdita di <em>chance</em>, tale possibilità è limitata alle sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell’amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della <em>chance</em> intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all’esecuzione del contratto non stipulato; invero, laddove si ammettesse tale forma di ristoro della <em>chance</em> di guadagno, ne risulterebbe travolto il generale principio secondo cui, nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale, non è ammesso il ristoro delle occasioni di guadagno connesse all’esecuzione del contratto mai stipulato (i.e.: il c.d. ‘interesse positivo’). L’onere di provare le occasioni di guadagno alternative cui l’operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell’amministrazione grava sul ricorrente, in base al consolidato orientamento secondo cui la perdita di <em>chance</em> si configura come danno attuale e risarcibile, sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni. Ne consegue che alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. diretta a fronteggiare l’impossibilità di provare non l’esistenza del danno risarcibile, bensì del suo esatto ammontare. In altri termini, la perdita di <em>chance</em> di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene .</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio 2019 esce la sentenza n. 3335 della Sez. I, Cassazione Civile, che si pronuncia in tema di obblighi informativi degli intermediari finanziari. La Suprema Corte sancisce il principio di diritto secondo cui in tema di intermediazione finanziaria, con riferimento all’obbligo di informazione gravante sull’intermediario, l’esperienza dell’investitore e le sue dichiarate ed accertate scelte d’investimento incidono sulla selettività delle informazioni da fornire nel senso che verosimilmente esse devono riguardare caratteristiche specifiche e non generalmente conoscibili del prodotto: più è elevata la rischiosità dell’investimento tanto più puntuale deve essere l’adempimento dell’obbligo informativo in relazione a tale specifico profilo. E ciò al fine di verificare se la scelta dell’investimento sia stata dettata dalla conoscenza effettiva delle variabili che ne conformano la rischiosità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 aprile esce la sentenza del Tribunale di Vicenza che si pronuncia in un caso di recesso da trattative finalizzate alla vendita immobiliare. Il Tribunale accoglie la domanda di accertamento della responsabilità dei convenuti ex art. 1337 e 1175 cod. civ. sulla base dei seguenti rilievi. L’art. 1337 cod. civ. è una norma elastica, una clausola generale che prescrive un obbligo di comportamento: l'obbligo di trattare correttamente. La buona fede è intesa qui in senso oggettivo, come sinonimo di correttezza e regola di condotta, da valutarsi in una duplice accezione: da un lato negativa, come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dell'interesse altrui; dall’altro lato positiva, come dovere di collaborazione finalizzato alla promozione o soddisfazione delle reciproche aspettative. Essa sicuramente impone alle parti di non recedere ingiustificatamente dalle trattative. Si deve segnalare che la rottura di una trattativa non è di per sé illecita, essendo manifestazione della libertà contrattuale; essa, secondo l’opinione consolidata di dottrina e giurisprudenza, costituisce illecita violazione di un dovere precontrattuale di buona fede a due condizioni: deve avvenire dopo che si sia consolidato il giustificato affidamento di controparte nella conclusione del contratto; deve essere ingiustificata, ossia priva di giusta causa (cfr., ex multis, Cass. 1786/2015; Cass. 1051/2012; Cass. 11438/2004; Cass. 8723/2004). Ebbene, la responsabilità precontrattuale in passato veniva tradizionalmente ricondotta, dalla dottrina e giurisprudenza, nell’alveo della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. Più di recente, tuttavia, la Corte di legittimità, con un orientamento condivisibile, a cui questo Giudice intende aderire, ha inquadrato la predetta responsabilità come “di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell'art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. Si ritiene, infatti, che la responsabilità precontrattuale non scaturisca dalla mera inosservanza del dovere in capo a "chiunque" del neminem laedere (2043 cod. civ.), ma dalla violazione di specifichi obblighi (buona fede, protezione, informazione) che la legge (in specie, l’art. 1337 cod. civ.) pone in capo alle "parti" che stanno svolgendo delle trattative: tale responsabilità, dunque, è di natura contrattuale. La qualificazione della responsabilità in questione come di stampo contrattuale ha importanti ricadute in punto di onere della prova: il danneggiato può infatti limitarsi a provare la fonte da cui scaturisce il proprio diritto e allegare l’inadempimento di controparte, spettando al danneggiante la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dall’impossibilità dell’adempimento per fatto a sé non imputabile. (Chi agisce in giudizio a titolo di responsabilità precontrattuale deve, dunque, allegare, e all’occorrenza provare, il danno e l’avvenuta lesione della propria buona fede, in una prospettiva di bilanciamento dei diritti delle parti coinvolte nella vicenda precontrattuale. Spetta invece al convenuto la prova della sussistenza di una giusta causa che lo abbia indotto ad interrompere le trattative. Nel caso di specie risulta pacifico che siano esistite trattative tra le parti.. Occorre, pertanto, valutare se i convenuti abbiano fornito la prova della sussistenza di una giusta causa che li abbia indotti a interrompere le trattative. La giusta causa di recesso dalle trattative consiste, secondo il concorde orientamento di dottrina e giurisprudenza, in una circostanza esterna alla sfera del recedente, sopraggiunta nel corso delle trattative o già presente prima ma ignorata dallo stesso senza colpa, idonea ad incidere sulla valutazione circa la convenienza del contratto. Nel caso concreto, i convenuti non hanno provato che il ritardo rispetto ai programmi inziali nello svolgimento delle suddette operazioni da parte della società di progettazione sia dipeso da ragioni estranee alla sfera degli stessi. Dal momento che i convenuti non hanno fornito la prova della sussistenza di una causa giustificativa dell’interruzione delle trattative, deve ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cod. civ. in capo agli stessi, i quali pertanto sono chiamati a rispondere dei danni arrecati a parte attrice.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 aprile esce la sentenza n. 2614 della Sez. III del Consiglio di Stato, che si pronuncia sulla responsabilità precontrattuale della P.A. Il Supremo Consesso respingendo il gravame proposto, afferma che non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale della P.A. <em>ex</em> art. 1337 c.c., avanzata da una ditta che ha infruttuosamente partecipato ad gara di appalto, successivamente annullata in autotutela dalla stazione appaltante, ove la medesima ditta, nonostante che avesse tempestiva e piena conoscenza del vizio (nella specie, tale vizio consisteva nella possibilità di aprire le buste contenenti il progetto tecnico prima che la Commissione giudicatrice avesse specificato i criteri valutativi delle proposte), che inficiava la procedura di evidenza pubblica e che ha condotto all’annullamento in autotutela della gara stessa, non abbia mai contestato tale presunta illegittimità, ma, anzi, con due missive, abbia sollecitato la Commissione di gara a concludere le procedure valutative nel modo più rapido, entro i tempi stabiliti dal bando, senza fare menzione del vizio, se non dopo l’annullamento in autotutela della procedura concorrenziale; in tal caso, infatti, non è tutelabile in questa sede alcun legittimo affidamento in capo alla ditta istante che, ben conscia del vizio che affliggeva la procedura di gara, non ne ha mai fatto constare all’amministrazione procedente l’illegittimità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 maggio esce l’ordinanza n. 12051, della Sez. I della Cassazione Civile che si pronuncia sempre in tema di responsabilità precontrattuale dell’intermediario finanziario. Secondo la Corte, in tema di intermediazione finanziaria, la valutazione di adeguatezza dell’operazione al profilo di rischio del cliente e la sua buona conoscenza del mercato non escludono la gravità dell’inadempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi prevista dalla normativa di settore (nel caso specifico, la Cassazione cassa pertanto la sentenza impugnata, che in sede di appello aveva escluso la responsabilità della banca in caso di sottoscrizione di bond argentini, operazione poi rivelatasi rischiosa e in perdita). Ricorda la Corte che l'art. 23, comma 6, TUF, a questo riguardo, prevede che «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta». Questo ha portato a codificare il principio che «in tema d'intermediazione finanziaria, il riparto dell'onere probatorio nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall'investitore - in cui deve accertarsi se l'intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria - impone innanzitutto all'investitore stesso di allegare l'inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell'intermediario, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l'inadempimento, anche sulla base di presunzioni, mentre l'intermediario deve provare l'avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito "con la specifica diligenza richiesta"» (Cass., Sez. I, 19/01/2016, n. 810).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 15873 onde l'interruzione delle trattative è idonea a giustificare l'affermazione della responsabilità precontrattuale quando risulti ingiustificata, ossia tale da violare senza un apprezzabile motivo il ragionevole affidamento sulla loro positiva conclusione ingenerato da una condotta contraria a correttezza e buona fede, dovendo peraltro escludersi che ricorra un siffatto affidamento allorché la parte sia stata informata circa le condizioni cui è subordinato l'altrui interesse a concludere l'affare. Deve pertanto ritenersi che, in ambito di responsabilità precontrattuale, la prova testimoniale volta a dimostrare il contenuto delle informazioni fornite alla controparte risulti certamente rilevante al fine di apprezzare la misura e la ragionevolezza dell'altrui affidamento e che, ove le parti siano addivenute ad una "puntuazione" dell'eventuale contratto, tale prova, afferendo a circostanze esterne al contenuto del documento, non sia volta a dimostrare patti aggiunti o contrari ad esso (nei termini di cui all'art. 2722 c.c.), bensì a fornire elementi circostanziali atti a connotare il contesto "precontrattuale" in cui la puntuazione è avvenuta, per consentire di valutare se ed in quale misura l'affidamento sulla conclusione dell'affare fosse ragionevole e se l'interruzione delle trattative sia stata o meno ingiustificata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 18748 che si pone in continuità con l’orientamento secondo cui la responsabilità precontrattuale non è limitata al caso di rottura ingiustificata delle trattative, ma, consistendo l'articolo 1337 cod. civ. in una clausola generale può risultare da ogni comportamento sleale o contrario a correttezza che abbia significativamente inciso sulle trattative, e che può rilevare anche se il contratto si è poi in realtà concluso.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta dunque di una clausola generale, che va riempita di contenuto concreto dal giudice, il quale deve intanto individuare i comportamenti che le parti sono tenute a osservare per rispettare il precetto della norma. In secondo luogo, deve stabilire se il comportamento che si addebita ad una parte abbia leso l'interesse alla stipula dell'altra, facendo così venire meno le trattative in modo imputabile.</p> <p style="text-align: justify;">In questo accertamento, l'idoneità (ad integrare violazione del dovere di correttezza) della condotta imputata alla parte va valutata in riferimento all'interesse dell'altra, e dunque considerata alla luce del comportamento tenuto dalla controparte a fronte di quello imputato come causa della mancata stipula.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 luglio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 5296 che richiama la giurisprudenza comunitaria in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni secondo cui non è necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all’impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 5597 onde la procedura di gara si conclude solo con l’aggiudicazione definitiva e, pur restando ancora salva la facoltà per la stazione appaltante di manifestare il proprio ripensamento - in questo caso ai sensi dell’art. 11, comma 9, d.lgs. n. 163 del 2006 secondo le forme proprie dell’autotutela decisoria – per contro, prima di questo momento l’amministrazione resta libera di intervenire sugli atti di gara con manifestazioni di volontà di segno opposto a quello precedentemente manifestato senza dovere sottostare a dette forme.</p> <p style="text-align: justify;">In altri termini – in ragione della natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell'aggiudicazione provvisoria, e della non tutelabilità processuale di quest'ultima ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990 - rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara.</p> <p style="text-align: justify;">In siffatte evenienze molti precedenti del Consiglio di Stato hanno tra l’altro evidenziato che, nelle gare pubbliche, la decisione della Pubblica amministrazione di procedere alla revoca dell'aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell'aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l'aggiudicatario provvisorio vanta solo un'aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l'assenza di una posizione di affidamento in capo all'aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l'onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell'aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell'interesse pubblico giustificativo dell'atto di ritiro. E’ poi evidente che, rimanendo immutata la consistenza della posizione soggettiva con la quale interferisce l’esercizio del potere di ritiro della P.A., alle medesime conclusioni deve giungersi nel caso in cui il potere di revoca abbia ad oggetto l’intera procedura di gara.</p> <p style="text-align: justify;">Come è noto, motivazioni di carattere finanziario, ed in particolare sopravvenute difficoltà economiche, possono indubbiamente costituire valide ragioni di revoca degli atti di una gara e ciò vieppiù a dirsi rispetto a manifestazioni di <em>ius poenitendi</em> che non impattano su una situazione di affidamento qualificato, quale quello espresso dall’aggiudicazione definitiva, qui non in rilievo.</p> <p style="text-align: justify;">E, poi, di tutta evidenza come non possa fare argine al legittimo esercizio del potere di revoca, che involge esclusivamente l’apprezzamento dei profili di permanenza delle condizioni di fatto e di diritto che reggevano l’atto pubblico e le esigenze di interesse pubblico che lo stesso era chiamato a soddisfare, l’antidoverosità del contegno serbato dalla stazione appaltante nel corso della vicenda amministrativa, rilevante semmai a fini risarcitori sotto il diverso paradigma della responsabilità cd. precontrattuale. E’ infatti evidente che sia ben possibile far derivare conseguenze risarcitorie in danno dell’amministrazione dalla (legittima) adozione di un provvedimento di revoca, così come è possibile che la revoca di un atto amministrativo possa risultare legittima e giustificata anche se sia stata la stessa amministrazione a dare luogo ai presupposti legali della revoca.</p> <p style="text-align: justify;">La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell'aggiudicazione provvisoria, spiega la non tutelabilità processuale di quest'ultima ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990: la sua revoca (ovvero, la sua mancata conferma) non è infatti qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, tale cioè da richiedere un raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario, dal momento che l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 agosto esce la sentenza della I sezione del Tar Sicilia – Catania, n. 2019 che, nel campo degli appalti pubblici, chiarisce che qualora alla deliberazione di aggiudicazione non sia seguita la stipula della convenzione tra le parti (nella specie per revoca del finanziamento concesso), la controversia introdotta dall’aggiudicatario per ottenere l’accertamento del preteso inadempimento della P.A. ed il risarcimento del danno appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, avendo pur sempre ad oggetto atti o provvedimenti della procedura concorsuale obbligatoria, nonché relativi all’individuazione del contraente a seguito dell’aggiudicazione, mentre la giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene operativa solo nella successiva fase contrattuale afferente l’esecuzione del rapporto, che si apre con la stipula ovvero con l’inizio della esecuzione del contratto, quale alternativa allo stipula dello stesso.</p> <p style="text-align: justify;">In astratto può sussistere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione anche nel caso in cui quest’ultima abbia bandito una gara e proceduto all’aggiudicazione e successivamente abbia deciso di non concludere il contratto a causa di una sopravvenuta carenza di risorse finanziarie. Prosegue il Tar che è possibile configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto della P.A. nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento. La responsabilità precontrattuale P.A. può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. Affinché nasca la responsabilità dell’Amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’Amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce la sentenza della II sezione del Consiglio di Stato n. 7246 che dà continuità all’orientamento secondo cui la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici” quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, “essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto <em>in re ipsa</em> quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia il Collegio ritiene che possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione di una delibera giuntale del 2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera.</p> <p style="text-align: justify;">La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo, sostanzia, ad avviso del Collegio, un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura ivi indicata, tala da indurla a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale.</p> <p style="text-align: justify;">La sussistenza nella specie della colpa dell’Amministrazione nell’aver ingenerato il suindicato affidamento (che, lo si ribadisce, attiene non al carattere doveroso della successiva riduzione del contributo ed alla relativa motivazione, ma alla condotta complessiva serbata dalla Regione) discende con evidenza dai rilievi che si sono fin qui svolti: perché, se non è scusabile l’obliterazione dell’art. 6 del Reg. CE n. 1685/00 da parte della Società originaria ricorrente, a maggior ragione non può esserlo l’atteggiamento dell’Amministrazione procedente che tale norma avrebbe dovuto correttamente applicare <em>ab initio.</em></p> <p style="text-align: justify;">Definita in tali termini la responsabilità della parte appellante principale, il <em>quantum</em> del danno risarcibile, sotto il profilo del danno emergente, va determinato in relazione alle spese sostenute dalla Società proprio (e solo) in relazione alla suddetta fase procedimentale.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 gennaio esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 416 che ribadisce il costante orientamento secondo cui la controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento danni proposta da colui che deduca la lesione dell'affidamento ingenerato dal comportamento della P.A. rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, la tutela risarcitoria potendo essere invocata davanti al giudice amministrativo soltanto quando il danno sia conseguenza immediata e diretta dell'illegittimità dell'atto impugnato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce la sentenza della III sezione del TAR Campania n. 939 onde la natura giuridica della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 codice civile - pur dibattuta tra chi ritiene trattarsi di illecito aquiliano (2043 c.c.) e chi la riporta a quello contrattuale (1218 c.c.) e da ultimo ricondotta dalla Suprema Corte ad ipotesi di responsabilità cd. da contatto sociale qualificato - è posta a tutela dell'interesse negativo a non essere coinvolti in trattative inutili, a differenza di quanto accade nella responsabilità contrattuale (1218 c.c.) che sanziona la lesione dell'interesse positivo ad ottenere la prestazione dovuta.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo consolidati principi giurisprudenziali sussiste una responsabilità precontrattuale in capo alla P.A. che, omettendo di stipulare un contratto con un soggetto già individuato come affidatario, attraverso il completamento della procedura di evidenza pubblica giunto sino a proclamare l’impresa aggiudicataria, disponga poi la revoca (sia pur legittima) , avendo ingenerato nella controparte il legittimo affidamento relativo alla futura conclusione del contratto .</p> <p style="text-align: justify;">In tal caso si configura in capo alla P.A. una responsabilità precontrattuale per la lesione dell'altrui libertà negoziale, realizzata attraverso un comportamento doloso o colposo, ovvero mediante l'inosservanza del precetto di comportamento secondo buona fede. La responsabilità deriva dalla condotta amministrativa, se non nella fase delle trattative, comunque in una fase precedente alla conclusione del contratto, che si ricollega a un comportamento scorretto tenuto da una parte negoziale, ai danni dell'altra.</p> <p style="text-align: justify;">Con riferimento alla pubblica amministrazione, sono ormai superate le posizioni che nutrivano dubbi sull’astratta configurabilità di una sua culpa in contraendo nell’esercizio dell’attività contrattuale , rilevandosi che i pubblici poteri sono tenuti non solo al rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, buona amministrazione e buon andamento (art. 97 Cost.) nell’espletamento della propria azione, ma anche all’osservanza della clausola di buona fede nei rapporti instaurati con il privato, al fine di tutelarne il legittimo affidamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il principio di buona fede è posto a presidio non solo dell’aspettativa della conclusione del contratto ma prima ancora, della correttezza e lealtà delle trattative poiché costituisce la misura dei poteri legittimamente esercitabili dalle parti, sia che operi come principio “atipico”, sia che risulti specificato da obblighi di protezione, non solo nei rapporti tra individui ma anche con organizzazioni complesse, quali la pubblica amministrazione, che rispettano procedure predeterminate. Ne consegue la configurabilità di una responsabilità di tipo pre-contrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”, da osservarsi durante l’intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica: le regole ‘di validità’ e ‘di condotta’ operano in quest’ottica su piani distinti, non essendo necessaria la violazione delle regole di validità per aversi responsabilità precontrattuale, mentre l’inosservanza delle regole di condotta può non determinare l’invalidità delle procedure di affidamento.</p> <p style="text-align: justify;">L’applicabilità dei principi e delle regole privatistiche sulla responsabilità precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) al rapporto tra pubblica amministrazione e privato si colloca nel processo di progressiva erosione dell’area di privilegio della p.a. e di attrazione di quest’ultima alla disciplina di diritto comune, nei limiti della compatibilità: in assenza di disciplina speciale ed in coerenza con l’istanza di uguaglianza, la soluzione viene ricerca nel diritto comune, con gli adattamenti necessari per rispettare la peculiarità dell’agire contrattuale della p.a..</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta quindi di una responsabilità non da provvedimento ma da comportamento, in quanto l’art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali. In proposito la Suprema Corte ha rilevato che la stessa va inquadrata nella responsabilità di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell'art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli art. 1175 e 1375 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Viene poi fatta applicazione dei principi enunciati dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ( pronuncia n. 4/2018) , ed in particolare della considerazione in base alla quale gli obblighi di comportamento richiamati si impongono in qualunque momento della procedura : “La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede.”</p> <p style="text-align: justify;">Invero, la valenza costituzionale del dovere di correttezza impone di ritenerlo operante in un più vasto ambito di casi, in cui, pur eventualmente mancando una «trattativa» in senso tecnico giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione “relazionale” qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative; anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.</p> <p style="text-align: justify;">In materia vige il principio della reciproca autonomia e differenziazione tra illegittimità dell’atto amministrativo e illiceità del comportamento dell’amministrazione. Tale principio è stato cristallizzato dall’Adunanza Plenaria del 5 settembre 2005, n. 6, che ha rilevato come la violazione delle norme di correttezza ex art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune assume significato e rilevanza solo dopo che gli atti della fase pubblicistica attributivi degli effetti vantaggiosi siano venuti meno, e tali effetti si siano trasformati in affidamenti rimasti senza seguito. La revoca dell’aggiudicazione vale a porre al riparo l’interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l’amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti. Tuttavia resta il fatto, definito nella citata pronuncia dalla Plenaria, “incancellabile” degli affidamenti suscitati dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi (affidamenti perdurati fino a quando alla parte non è stata comunicata la revoca degli atti stessi).</p> <p style="text-align: justify;">Un comportamento che, nella fattispecie in esame come in quella valutata dalla Adunanza plenaria, appare violativo degli obblighi di legge, ove si consideri che gli affidamenti radicati nell’impresa si sono lasciati perdurare al di là del tempo strettamente indispensabile, non offrendosi rapide notizie sulla criticità della procedura di non ammissione a finanziamento.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto il profilo concreto della pretesa risarcitoria va rilevato che si tratta di risarcimento da lesione di interesse negativo per la responsabilità da comportamento illecito.</p> <p style="text-align: justify;">Mette conto evidenziare inoltre, ai fini della perimetrazione in particolare degli oneri probatori della parte e del quantum di danno risarcibile, che nella presente fattispecie si verte in ipotesi di responsabilità precontrattuale cd pura.</p> <p style="text-align: justify;">Si distingue invero, in ambito di responsabilità precontrattuale della P.A, due ipotesi.</p> <p style="text-align: justify;">La prima è quella relativa alla “responsabilità precontrattuale c.d. “spuria”, che si configura in caso di illegittimità degli atti amministrativi di una procedura ad evidenza pubblica; in tal caso, la fonte del danno cagionato al privato non risiede nella violazione della regola della buona fede precontrattuale, ma nella violazione di specifiche regole pubblicistiche. La p.a. sarà responsabile in base ad un provvedimento illegittimo, da cui scaturisce un illecito aquiliano, ex art. 2043 in quanto il provvedimento sarà concepito come un fatto illecito causativo di un danno ingiusto.</p> <p style="text-align: justify;">La seconda ipotesi è quella della cd. “responsabilità precontrattuale pura”, ovvero riconducibile al modello civilistico di cui all’art. 1337 c.c.., qualora l’Amministrazione, con un proprio comportamento contrario a buona fede, lede il legittimo affidamento riposto dal privato nella conclusione del contratto, incidendo negativamente sul suo diritto all’autodeterminazione in ambito negoziale e, quindi, violando una posizione di diritto soggettivo; in tal caso la pubblica amministrazione risponderà secondo il regime della responsabilità da inadempimento.</p> <p style="text-align: justify;">La configurabilità di tale fattispecie ricorre tipicamente laddove l’amministrazione incida con atto di autotutela su di una gara già culminata nell’atto di aggiudicazione e il privato aggiudicatario avanzi una richiesta risarcitoria che fa leva sulla scorrettezza della stazione appaltante; di conseguenza il risarcimento può riguardare il solo “interesse negativo” , rappresentato dalle spese sostenute per partecipare alla procedura e mancati profitti da occasioni perdute a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara.</p> <p style="text-align: justify;">Tale è la situazione venutasi a creare nel caso di specie, per atto di ritiro legittimo sul piano amministrativo, in cui la responsabilità da contatto sociale qualificato è stata integrata dalla mancanza della idonea diligenza della stazione appaltante, successiva alla conclusione della procedura di evidenza pubblica, non avendo custodito il verbale di verifica e validazione del progetto dei lavori, e non essendo stata in grado di riprodurne validamente il contenuto, sì da giungere a subire il diniego di ammissione a finanziamento per effetto di tale carenza formale-sostanziale. A ciò deve aggiungersi la mancanza di adeguata tempestività nel comunicare alla impresa la sussistenza delle criticità della procedura di ammissione a finanziamento.</p> <p style="text-align: justify;">Viene infine rilevato, in termini di giurisdizione, che, in tema di responsabilità precontrattuale pura come quella in esame, la <em>causa petendi</em> è un diritto soggettivo, ma vertendosi in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con la conseguenza che anche le questioni relative alla responsabilità precontrattuale pura sono attratte nella giurisdizione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">Ai fini della sussistenza degli elementi integranti la fattispecie di responsabilità, il privato oltre alla propria buona fede soggettiva (ovvero l’ affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), deve dimostrare: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Per il profilo dell’elemento soggettivo, mette conto evidenziare che prima della sentenza con cui la Suprema Corte nel 2016 ha qualificato la responsabilità precontrattuale come contrattuale da contatto sociale qualificato, non vi era alcuna differenza tra la responsabilità precontrattuale pura (di cui agli artt. artt. 1337 e 1338 c.c.) e spuria della p.a. (ex art. 2043 c.c.), atteso che entrambe venivano ricondotte alla responsabilità extracontrattuale, rispondendo secondo il relativo regime, anche se con una sostanziale differenza costituita dal fatto che per quest’ultima si applicava il modello della responsabilità soggettiva presunta per effetto della illegittimità del provvedimento amministrativo, mentre per la prima occorreva la prova della colpa dell’amministrazione. A seguito della pronuncia delle SS.UU., la responsabilità precontrattuale spuria resta una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. da provvedimento illegittimo, mentre la responsabilità precontrattuale pura diventa una responsabilità da contatto sociale qualificato e, dunque, una responsabilità da inadempimento di un obbligo di protezione e di informazione, sussumibile nel regime di cui all’art. 1218 c.c..: pertanto il privato è sollevato dall’onere della prova dell’elemento soggettivo in base al regime proprio della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Per effetto della revoca della aggiudicazione, sia pur legittima, si verte in ipotesi di responsabilità precontrattuale e quindi proprio di lesione dell’interesse del concorrente a non essere coinvolto in trattative inutili. La precipua voce di danno ristorabile in applicazione dell’art 1337 c,c, è quella relativa alle spese sopportate per le trattative.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto poi alla richiesta del risarcimento del lucro cessante, sotto specie di mancato conseguimento dell'utile di impresa, e di danno curricolare, il Collegio ricorda che la natura della responsabilità precontrattuale esclude in radice la possibilità di reintegrare tale voce di danno, essendo la responsabilità limitata al mero interesse contrattuale negativo. In proposito è assolutamente pacifico in giurisprudenza che a titolo di responsabilità precontrattuale non va riconosciuto il mancato utile derivante dall'esecuzione del contratto: se il danno è causato dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede (art. 1337 c.c.) - ipotesi che si configura generalmente come nella specie nella fase successiva all'aggiudicazione - il danno da risarcire è riferito all'interesse negativo. Inoltre, è ammesso il ristoro della perdita di chance, ma per le sole occasioni di guadagno alternative cui l'operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell'Amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all'esecuzione del contratto non stipulato.</p> <p style="text-align: justify;">Anche in tema di danni da responsabilità precontrattuale va fatta invero applicazione, con i dovuti adattamenti, dei principi enunciati dalla Adunanza plenaria nella pronuncia n, 2/2017, a mente della quale il danneggiato deve " offrire la prova dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c."..</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che, per il ristoro delle occasioni di guadagno mancate in attesa del contratto non concluso, la richiedente deve fornire rigorosamente la prova di tali occasioni mancate, non potendo genericamente ricorrere ad una deduzione vaga ed indimostrata.</p> <p style="text-align: justify;">In proposito va rilevato che si esclude in linea generale la risarcibilità in via precontrattuale del danno curriculare, ossia quello consistente nella impossibilità di far valere in future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell'appalto non eseguito, trattandosi di un interesse contrattuale positivo derivante dalla mancata esecuzione dell'appalto e non dalla inutilità della trattativa. Va dato atto dell'orientamento di una parte della giurisprudenza, che lo riconosce nell'ipotesi in cui non si tratti di rottura di trattative generiche, ma laddove si era già addivenuti alla sicura individuazione del contraente, con la aggiudicazione definitiva , in presenza di un contenuto contrattuale già compiutamente definito, per il tramite del bando di gara e dell'offerta della aggiudicataria (CdS sez. V 2.5.2017 n. 1979). Il Collegio non condivide tuttavia tale opzione interpretativa, atteso che il danno curricolare ,pur in presenza di una individuazione del contraente mediante la procedura di evidenza pubblica, rappresenta un interesse derivante dalla mancata esecuzione dell'appalto, costituendo una specificazione del danno per perdita di chance derivante dalla mancata esecuzione del contratto non concluso, ovvero una forma di lucro cessante, e non può comportare eccezione alla regola generale della ristorabilità del solo interesse negativo ex art. 1337 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Conclusivamente, nel caso di responsabilità precontrattuale, i danni - se si esclude la perdita di occasioni di guadagno alternative- devono essere limitati al solo interesse negativo, ravvisabile, per le procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara, nelle spese di pianificazione, programmazione e progettazione e in tutte le altre spese inutilmente sostenute prima e dopo l'aggiudicazione, in ragione dell'affidamento nella conclusione del contratto, ivi comprese le spese di ammortamento di attrezzature e macchinari acquistati o locati per la realizzazione delle opere appaltate (cfr.: Cons. Stato V, 28.1.2019, n. 697).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 7905 alla cui stregua, dalla funzione sistematica assegnata all'obbligo informativo gravante sull'intermediario, preordinato al riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell'intermediario. Tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell'investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l'investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 luglio esce la sentenza della III sezione ter del TAR Lazio n. 7980 secondo la quale, rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. una controversia relativa alla domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale della P.A. ex art. 1337 c.c., ove, a fondamento dell’istanza risarcitoria, sia stata posta l’asserita scorrettezza dell’amministrazione nella conduzione delle trattative finalizzate alla stipulazione di un contratto, alla quale non si sia mai addivenuti proprio in ragione di una condotta asseritamente non conforme ai principi declinati dall’art. 1337 c.c.; in tal caso, infatti, la domanda di risarcimento ha ad oggetto non già un “danno da provvedimento illegittimo”, bensì da lesione dell’affidamento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce anche la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4514 che stabilisce che, ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, le sopravvenute difficoltà finanziarie possono legittimamente fondare provvedimenti di ritiro in autotutela di procedure di gara, benché queste siano giunte all’aggiudicazione definitiva e fino a che il contratto non sia stato stipulato. Il Consiglio di Stato ribadisce inoltre che, nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento. Da ciò discende che la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 ottobre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 23129 che, in tema di negoziazione di prodotti finanziari, ribadisce il principio secondo il quale l'inadempimento di non scarsa importanza agli obblighi informativi imposti dalla legge e dai regolamenti Consob a carico dell'intermediario determina nell'investitore il diritto a richiedere la risoluzione non solo del cd. contratto quadro ma anche dei singoli ordini di investimento, trovando applicazione anche nell'ipotesi in cui l'ordine sia anteriore alla stipulazione del contratto quadro ove l'investimento eseguito sia in linea con il programma negoziale contenuto nel contratto quadro, essendo il nesso che avvince l'uno e l'altro di natura funzionale e non cronologico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della II sezione del Consiglio di Stato n. 7237 alla cui stregua, la Pubblica Amministrazione, in tutte le fasi del procedimento, comprese le trattative negoziali, ha l’obbligo di adottare una condotta negoziale improntata al rispetto dei principi di buona fede e correttezza, di cui all’art. 1337 c.c., evitando di generare nella controparte privata un erroneo affidamento nella conclusione del contratto o di tradire l’affidamento che questa abbia già legittimamente maturato. La buona fede e la correttezza, infatti, si specificano in una serie di regole di condotta, tra le quali l’obbligo di valutare diligentemente le concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell’eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 dicembre esce la sentenza della I sezione del TRGA n. 220 secondo la quale, nel caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria di una procedura a evidenza pubblica è possibile configurare una responsabilità precontrattuale della P.A.; tuttavia, per tale responsabilità deve sussistere un affidamento incolpevole del concorrente, che risulti leso da una condotta dell’amministrazione oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e buona fede, ed occorre che la violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2021</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 368 che, dando seguito a un orientamento ormai consolidato, ribadisce che nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, sussiste la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione che, pur non avendo adottato provvedimenti illegittimi, abbia tenuto un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, se è pur vero che in materia di <em>project financing</em> l'Amministrazione – una volta individuato il promotore e ritenuto di pubblico interesse il progetto dallo stesso presentato – non è comunque tenuta a dare corso alla procedura di gara, essendo libera di scegliere se, per la tutela dell'interesse pubblico, sia più opportuno affidare il progetto per la sua esecuzione ovvero rinviare la sua realizzazione ovvero non procedere affatto, è anche vero, tuttavia, che ciò vale solo fino a quando l’Amministrazione non si risolva, sulla base del progetto assentito, ad attivare la procedura di gara e a concluderla con l’aggiudicazione. L’aggiudicazione, invero, trasforma, di suo, l’aspettativa di mero fatto, fino a quel punto vantata dal promotore, in aspettativa giuridicamente tutelata<em> </em>alla consequenziale stipula del contratto aggiudicato, il cui rifiuto – quand’anche, in concreto, giustificato dal (postumo e tardivo, ma pur sempre legittimo) accertamento della carenza delle condizioni iniziali della messa a gara – concreta ragione di responsabilità per violazione del canone di correttezza e di lealtà. Infine, il Consiglio di Stato nella sentenza in parola afferma che, nel caso di responsabilità precontrattuale, i danni vanno parametrati al c.d. interesse negativo, ravvisabile, nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi (danno emergente) e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (lucro cessante).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.615 che, in materia di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, stabilisce che spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell’imprenditore, fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede. La responsabilità della P.A. per il danno prodotto all’imprenditore quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il datore di lavoro abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione. Il Collegio osserva, inoltre, al riguardo che gli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, imposti dall’art. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c. (buona fede) hanno ormai assunto una funzione ed un ambito applicativo più ampi rispetto a quella concepiti dal codice civile del 1942, e non possono essere più considerati strumentali solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile, ma anche alla tutela del diritto, di derivazione costituzionale (art. 41 Cost., comma 1), di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 1 febbraio esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 2157 che statuisce che l’azione per danno erariale proposta nei confronti di una banca d’affari sulla base di un <em>petitum</em> sostanziale concernente l’inadempimento di obblighi contrattuali o ipotesi di responsabilità precontrattuale (violazione da parte della Banca degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario e, più in generale, degli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto ex artt. 1175 e 1375 c.c.) riconducibili al duplice ruolo di controparte in operazioni in strumenti finanziari derivati e di specialista del debito pubblico da essa svolto nel rapporto con il Ministero del Tesoro (oggi MEF), esula dalla giurisdizione contabile qualora tale rapporto non si connoti, in concreto, come relazione di servizio comportante l’assunzione, da parte della stessa, di potestà pubblicistiche ed il suo inserimento, anche temporaneo, nell’organizzazione interna del Ministero quale agente di questo in ordine alle scelte di negoziazione in strumenti finanziari derivati e di gestione del debito pubblico sovrano. Nella pronuncia in parola, inoltre, viene affermato che, ferma restando l’insindacabilità giurisdizionale delle scelte di gestione del debito pubblico da parte degli organi governativi a ciò preposti mediante ricorso a contratti in strumenti finanziari derivati, rientra invece nella giurisdizione contabile, in quanto attinente al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità o convenienza dell’agire amministrativo, l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale petitum sostanziale, la mala gestio alla quale i dirigenti del Ministero del Tesoro (oggi MEF) avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operative e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strumenti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste la c.d. responsabilità precontrattuale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>riguarda <strong>vicende e fatti anteriori alla stipula</strong> del contratto, ancorché <strong>talvolta affioranti dopo</strong> detta stipula;</li> <li>tutela l’<strong>affidamento</strong> e la <strong>buona fede</strong> dei contraenti;</li> <li>risponde alla <strong>lesione dell’altrui libertà negoziale</strong>: nel momento in cui si forma la volontà negoziale, occorre che il soggetto <strong>conosca e sia posto nelle condizioni di valutare compiutamente</strong> se e quanto il futuro contratto <strong>gli conviene</strong>, ovvero è <strong>capace di soddisfarne l’interesse</strong> perseguito;</li> <li>è tradizionalmente responsabilità “<strong><em>da non contratto</em></strong>”, dal momento che il contratto divisato <strong>o non viene stipulato</strong> o <strong>viene stipulato invalido</strong>; ma si profila ormai anche una responsabilità “<strong><em>da contratto iniquo</em></strong>” (valido ed efficace);</li> <li>viene tradizionalmente in rilievo l’interesse ad un <strong>comportamento corretto</strong> nella fase di <strong>produzione del contratto</strong>, e non ancora l’interesse che con il contratto si intende realizzare, che tuttavia può ormai assumere comunque <strong>un ruolo <em>ex post</em></strong>, in presenza di <strong>contratto valido ed efficace</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è la natura giuridica della responsabilità precontrattuale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>non essendo ancora ravvisabile un contratto, non può che trattarsi di <strong>responsabilità aquiliana</strong> (extracontrattuale), compendiando la violazione del generale <strong>principio del <em>neminem laedere</em></strong> cui sono tenuti tutti i soggetti dell’ordinamento, compresi coloro che fanno luogo a <strong>trattative</strong> in vista di un possibile futuro contratto (tesi tradizionale);</li> <li>l’art.1337 c.c. non può essere considerato un <strong>mero doppione dell’art.2043</strong>c.: il fatto che esso sia <strong>collocato</strong> all’interno della <strong>disciplina del contratto</strong> porta a ritenere che si tratti di una <strong>responsabilità di natura (para)contrattuale</strong>, dal momento che il <strong>contatto sociale</strong> che avvince le parti che anelano alla conclusione del contratto, gli <strong>obblighi reciproci di protezione</strong> che vi affiorano e la stessa <strong>affidabilità apparente</strong> delle trattative cooperano nel fa luogo ad un rapporto – specie in <strong>fase avanzata</strong> – assimilabile a quello contrattuale. Il comportamento scorretto di una delle parti può anche implicare la conclusione di un <strong>contratto a condizioni più inique</strong> rispetto a quelle che si sarebbero accettate in assenza di tale contegno contrario a buona fede, ed anche queste ipotesi vengono ricondotte da parte della dottrina a <strong>responsabilità precontrattuale</strong> <strong>para-contrattuale</strong> (tesi più recente);</li> <li>non si tratta <strong>né</strong> di responsabilità contrattuale, <strong>né</strong> di responsabilità aquiliana, ma di un <strong><em>tertium genus</em> di responsabilità</strong> connotata da un regime suo proprio (tesi recessiva).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale nozione di buona fede coinvolge la responsabilità precontrattuale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta della <strong>buona fede oggettiva</strong>, che affonda le relative radici nel <strong>dovere di solidarietà previsto all’art.2 Cost.</strong> e che è presente già nella fase delle trattative contrattuali (art.1337 c.c.), come poi nella fase di <strong>interpretazione</strong> del contratto (art.1366 c.c.), e di <strong>esecuzione</strong> dello stesso (art.1375 c.c.), oltre che di <strong>pendenza della eventuale condizione</strong> che lo correda (art.1358 c.c.);</li> <li>si tratta di un criterio attraverso il quale <strong>si valuta oggettivamente come “<em>corretto</em>” o “<em>scorretto</em>”</strong> un <strong>dato comportamento</strong>, che può essere fatto oggetto come tale di un <strong>obbligo positivo</strong> (comportarsi correttamente) <strong>o negativo</strong> (non comportarsi scorrettamente). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede <strong>non è un obbligo generico</strong>, ma consiste – secondo una valutazione di tipo sociale – nel <strong>salvaguardare la sfera giuridica della controparte</strong> nei limiti di un <strong>non apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio</strong>: faccio tutto quello che non comporta un <strong>apprezzabile sacrificio al mio interesse</strong> per salvaguardare <strong>la sfera giuridica di chi mi sta dinanzi</strong>;</li> <li>l’obbligo di comportarsi correttamente e in buona fede (oggettiva) può <strong>estrinsecarsi in una serie di obblighi tipici</strong>, che tuttavia <strong>non ne esauriscono il possibile catalogo</strong>, essendo esso comunque assistito da una <strong>certa dose di atipicità</strong>, onde la fattispecie concreta può implicare l’insorgenza di <strong>altri obblighi di comportamento corretto diversi</strong> da quelli <strong>specificamente tipizzati</strong> dal legislatore, ancorché tutti finalizzati a scongiurare <strong>danni alla libertà negoziale</strong> dell’interlocutore; rileva in particolare l’obbligo di <strong>non recedere in modo ingiustificato</strong> dalle trattative (che, anche se non direttamente tipizzato, viene pacificamente ricondotto all’art.1337 c.c., con connessa tutela dell’interesse della controparte a non rendersi protagonista di trattative destinate a non sfociare in contratto) e l’<strong>obbligo di informare la controparte</strong> in ordine ai vizi che possono invalidare il contratto in fase di stipula (che è invece <strong>direttamente tipizzato</strong> all’art.1338 c.c. con connessa tutela dell’interesse della controparte a non stipulare contratti invalidi).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si configura l’ipotesi di cui all’art.1337 c.c.?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>presuppone che le <strong>trattative</strong> abbiano assunto <strong>una certa consistenza</strong> sia in termini di <strong>durata</strong> che di relativa <strong>serietà</strong>;</li> <li>la controparte matura così un <strong>affidamento incolpevole progressivo</strong> sull’esito positivo delle trattative e, dunque, sulla stipula del pertinente contratto;</li> <li>la <strong>libertà di non stipulare</strong> resta <strong>fino alla fine</strong>, ma va <strong>modulata</strong> sulla scorta della durata e serietà delle trattative e sul connesso <strong>affidamento</strong> ingenerato nella controparte, al fine di <strong>non creargli un pregiudizio</strong>;</li> <li>se il recesso è <strong>ingiustificato</strong>, sorge responsabilità precontrattuale laddove la controparte nutra <strong>un affidamento incolpevole</strong> (la parte è convinta che il contratto verrà stipulato, e per il <strong>grado di avanzamento</strong> raggiunto dall’interlocuzione tale convinzione è ragionevole) e gli si produca <strong>un danno</strong> collegato non al contratto, ma all’<strong>attività spesa inutilmente per concluderlo</strong>;</li> <li>ipotesi frequenti di responsabilità <strong>ex art.1337 c.c.</strong> sono <strong>dare l’assenso oralmente</strong> alla stipula del contratto e <strong>poi non stipularlo per iscritto</strong>; indurre l’interlocutore a <strong>sostenere spese</strong> in vista del futuro contratto, poi non concluso; intraprendere le trattative <strong>senza avere sin dall’inizio alcuna intenzione</strong> di concludere il pertinente contratto; condurre avanti le trattative in modo del tutto imprudente, senza alla fine procedere alla stipula.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa compendia l’obbligo di informazione della controparte nella fase delle trattative e quale è la relativa consistenza?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>obbligo originariamente non riconosciuto come tale</strong> dalla dottrina, che ha a lungo assunto le trattative caratterizzate da <strong>informalità</strong> e <strong>non circondate da obblighi</strong> fino alla conclusione effettiva del contratto;</li> <li>oggi, esso compendia <strong>una specificazione dell’obbligo di comportarsi in modo corretto</strong> e <strong>in buona fede</strong> ex art.1337 c.c..;</li> <li>consente alla controparte di <strong>valutare se e quanto il contratto gli convenga</strong>, rispondendo all’<strong>interesse</strong> che essa persegue;</li> <li>è <strong>inadempiuto</strong> se l’informazione <strong>è omessa, è falsa</strong> ovvero <strong>è parziale</strong>,<strong> lacunosa o carente</strong>;</li> <li>presidia <strong>la c.d. equità dello scambio</strong>, più ed oltre che la <strong>proporzionalità</strong> delle <strong>reciproche prestazioni</strong> divisate: le parti sono libere di dare al contratto l’assetto che ritengono più opportuno secondo <strong>soggettive valutazioni di convenienza</strong>, onde la <strong>proporzione</strong> tra le prestazioni può essere valutata in modo diverso da caso a caso; l’equità dello scambio attiene invece alla <strong>piena conformità</strong> tra <strong>quanto programmato</strong> – proprio sulla base di ciò che si conosce in sede di trattative – e quanto <strong>concretamente realizzato</strong> con il contratto che si stipula;</li> <li>è <strong>connesso specificamente</strong> ed <strong>esclusivamente</strong> a <strong>quanto previsto dal codice civile</strong>, sicché occorre <strong>informare la controparte</strong>: f.1) delle circostanze che <strong>possano determinare la invalidità, l’inefficacia o l’inesistenza</strong> del futuro contratto (art.1338 c.c.); f.2) delle circostanze che <strong>possono giustificare un recesso dalle trattative</strong>, come la <strong>sopravvenienza</strong> di circostanze che <strong>possono elidere l’interesse iniziale a stipulare</strong>, ovvero l’<strong>avvio di nuove trattative con terzi</strong>, ovvero ancora <strong>l’insorgere di perplessità</strong> in ordine alla <strong>effettiva convenienza a stipulare</strong> (tesi restrittiva);</li> <li>è connesso, oltre a quanto richiesto dal codice civile, anche ad <strong>altri aspetti importanti</strong> nel procedimento di contrattazione: se non è obbligatorio <strong>rivelare</strong> alla controparte <strong>i motivi soggettivi</strong> che sospingono a contrarre, né <strong>perché si stima conveniente</strong> addivenire al contratto, va invece informata la controparte sulle <strong>caratteristiche specifiche del bene oggetto del contratto</strong>, che potrebbe ad esempio <strong>essere incommerciabile o inedificabile</strong>, ovvero sulla <strong>persona del contraente</strong>; va altresì informata su tutto ciò che possa <strong>incidere sulla soddisfazione degli interessi</strong> che essa <strong>possa attendersi</strong> dal contratto, poiché la <strong>buona fede</strong> (oggettiva) impone di <strong>salvaguardare l’interesse della controparte</strong> nei limiti del <strong>non apprezzabile sacrificio del proprio</strong> (tesi estensiva);</li> <li>è particolarmente consistente nelle ipotesi in cui la <strong>asimmetria informativa</strong> presente tra le parti, ovvero in ogni caso la <strong>peculiare disparità di tipo conoscitivo o economico</strong> che le contraddistingue (tipico il caso dei rapporti consumatore-professionista) impone una <strong>tutela particolarmente pregnante</strong> della <strong>libertà contrattuale</strong> della <strong>parte debole</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si configura l’ipotesi di cui all’art.1338 c.c.?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’interesse delle parti tutelato dalla norma è quello che ha ad oggetto <strong>la stipulazione di un contratto valido</strong>: l’obiettivo indiretto è dunque quello di obbligare le parti ad <strong>informare sulle cause di invalidità</strong> del contratto ad esse note, mentre l’obiettivo diretto è quello invece di <strong>impedire loro di stipulare</strong>;</li> <li>ciascuna delle parti <strong>ha un proprio ambito di controllo</strong> della <strong>sfera di potenziale validità/invalidità</strong> del contratto (nonché di <strong>efficacia/inefficacia</strong> o di <strong>esistenza/inesistenza</strong>, come in modo estensivo afferma parte della dottrina), e l’obbligo concerne proprio, preliminarmente, tale controllo che, laddove sfoci nella <strong>individuazione di una causa di invalidità</strong> del contratto, diventa <strong>obbligo di comunicare</strong> all’interlocutore con il quale si tratta detta causa di invalidità, così <strong>impedendo la conclusione del contratto</strong>: si tratta dunque di un <strong>obbligo di controllare, di informare e di impedire la stipula</strong>; se la stipula ha luogo, essa è la <strong>vera fonte della responsabilità precontrattuale</strong> in capo a chi <strong>non ha controllato</strong> o, controllando, <strong>non ha informato</strong>;</li> <li>necessita anche <strong>una imputazione soggettiva dell’illecito</strong> in capo alla parte cui è riconducibile, dovendo essa trovarsi <strong>in dolo</strong> (ha controllato e conosce il vizio, ma non lo partecipa) ovvero <strong>in colpa</strong> (non ha diligentemente controllato o, pur avendo controllato, non ha scoperto il vizio per negligenza pur potendolo conoscere); dal punto di vista <strong>dell’interlocutore</strong>, rileva invece – in termini di esclusione della responsabilità del soggetto in dolo o colpa – <strong>la sola colpa</strong>, dovendosi <strong>escludere</strong> la responsabilità del danneggiante ogni qual volta il danneggiato <strong>doveva o poteva conoscere</strong> a propria volta la <strong>causa di invalidità viziante</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per vizi incompleti del contratto e quali problematiche accendono?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di vizi che <strong>non implicano invalidità o comunque caducabilità</strong> del contratto, come nel caso delle <strong>lesioni che non superano la soglia della metà</strong> (il contratto <strong>non è rescindibile</strong>), ovvero dell’<strong>errore non essenziale</strong> o del <strong>dolo c.d. incidente</strong> (il contratto <strong>non è annullabile</strong>);</li> <li>il problema è quello di verificare cosa accade se una delle parti <strong>è a conoscenza</strong> di circostanze che implicano i <strong>vizi c.d. incompleti del contratto</strong>, e <strong>non ne informa l’altra</strong>;</li> <li>in questi casi l’eventuali <strong>responsabilità precontrattuale</strong> è collegata alla stipula di un <strong>contratto valido</strong>, ma <strong>affetto da vizio</strong>, seppure “<strong><em>incompleto</em></strong>”;</li> <li>il tutto si evince interpretando sistematicamente l’<strong>1337 c.c.</strong> sulla scorta del <strong>contenuto di altre disposizioni</strong> in cui – fermo il vincolo contrattuale – una parte è chiamata a rispondere nei confronti dell’altra <strong>a titolo aquiliano</strong> (extracontrattuale) per una scorrettezza che riguarda non già <strong>il contratto</strong> ormai concluso, quanto piuttosto (ed appunto) la <strong>fase delle trattative</strong>;</li> <li>tali disposizioni sono in primo luogo <strong>l’art. 1440 sul c.d. dolo incidente</strong>, laddove il contratto <strong>resta valido</strong> – anche perché la parte lesa lo ha voluto, seppure a condizioni diverse e non inique – ma <strong>la parte che è stata scorretta</strong> deve <strong>risarcire all’altra i danni</strong> collegati a questa scorrettezza precontrattuale; rilevano anche l’<strong> 1398 in tema di <em>falsus procurator</em></strong> che ha <strong>ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli</strong>; l’<strong>art.1812</strong> sui <strong>vizi della cosa comodata</strong> che abbiano arrecato danno al comodatario e che, conosciuti, siano stati <strong>sottaciuti</strong> dal comodante; l’<strong>art.1821</strong> sui <strong>vizi della cosa mutuata</strong> che abbiano arrecato <strong>danno al mutuatario</strong> e che, conosciuti, siano stati <strong>sottaciuti dal mutuante</strong> (mutuo gratuito), ovvero anche se sia stati <strong>negligentemente ignorati</strong> (mutuo oneroso).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come rileva l’art.1337 c.c. nel caso in cui non ci sia recesso dalle trattative, e tuttavia si giunga ad un contratto valido ed efficace sulla base della scorrettezza perpetrata da una parte a danno dell’altra?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>poiché <strong>l’art.1337 c.c.</strong> è <strong>norma imperativa</strong>, la relativa violazione ridonda in <strong>nullità del contratto</strong> concluso <strong>ex art.1418, comma 1, c.c.,</strong> che dunque è da intendersi come <strong>contratto nullo</strong>;</li> <li>il contratto cui si giunge è in realtà – a determinate condizioni - un <strong>contratto annullabile</strong> per <strong>vizio del consenso</strong>, in quanto la scorrettezza incide sulla <strong>formazione della volontà</strong> della parte che ne è vittima: in caso di <strong>errore</strong>, esso deve tuttavia essere <strong>essenziale</strong> e <strong>riconoscibile</strong>; in caso di dolo, i raggiri devono essere stati <strong>determinanti del consenso</strong> ex art.1439 c.c.;</li> <li>il contratto cui si giunge è un <strong>contratto soggetto a risoluzione</strong>, laddove gli obblighi informativi siano imposti <strong>tanto prima</strong> della stipula <strong>quanto dopo</strong> la stipula medesima, come nelle ipotesi degli <strong>intermediari finanziari</strong>: qui è <strong>la legge</strong> ad imporre degli obblighi precipui che, ove violati (anche prima della stipula del contratto), consentono a chi ne sia vittima di invocare il rimedio della <strong>risoluzione</strong>;</li> <li>il contratto cui si giunge è un <strong>contratto valido ed efficace</strong> e resta tale, ma la parte scorretta è tenuta a <strong>risarcire il danno</strong> all’altra in forza <strong>dell’art.1337 c.c.</strong> per vera e propria responsabilità precontrattuale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come viene quantificato il danno in caso di responsabilità precontrattuale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>poiché <strong>ad un contratto non si giunge</strong> (recesso dalle trattative), ovvero <strong>si giunge ad un contratto invalido</strong>, <strong>non</strong> si configura <strong>inadempimento</strong> e <strong>non</strong> è risarcibile <strong>alcun interesse “<em>positivo</em>”</strong> (legato cioè alle prestazioni divisate in contratto); viene risarcito il <strong>solo interesse negativo</strong>, sub specie: a.1) di <strong>danno emergente</strong>: le <strong>spese inutilmente sostenute</strong> per le trattative ed in vista di un contratto mai stipulato o stipulato invalido; a.2) il <strong>lucro cessante</strong>, ovvero la <strong>perdita di occasioni di contrattazione alternative</strong> a cagione di trattative inutili e/o di stipulazione del pari inutile (tesi tradizionale);</li> <li>il limite del solo <strong>interesse negativo</strong>, quale oggetto di risarcimento, è <strong>da assumersi artificiosa</strong>, dovendosi risarcire alla parte che ha subito la scorrettezza in fase di trattative <strong>anche l’interesse positivo</strong>. Solo il <strong>dato temporale</strong> distingue la responsabilità precontrattuale (ante contratto) da quella contrattuale (post contratto): tale dato meramente cronologico <strong>non può rifrangersi sulla responsabilità</strong> della parte scorretta, dalla quale può invocarsi ad opera della parte corretta <strong>un contegno positivo</strong>, traducibile nell’<strong>adempimento delle prestazioni divisate</strong> in contratto o, se si è ancora in fase di trattative, dell’<strong>adempimento dell’obbligazione di comportarsi in modo corretto</strong>; la responsabilità “<strong><em>precontrattuale</em></strong>” è infatti <strong>già una responsabilità contrattuale</strong>, con possibilità di invocare <strong>il rimedio di cui all’art.1218 c.c.</strong> in caso di inadempimento della parte scorretta. La bontà di questa diversa impostazione viene fatta poggiare sulla <strong>più recenti acquisizioni</strong> onde anche in caso di contratto validamente concluso le eventuali scorrettezze anteriori alla stipula rilevano ex art.1337 c.c.: qui <strong>il contratto c’è ed è valido</strong>, sicché la parte vittima della scorrettezza, lungi dal poter invocare il risarcimento <strong>del solo interesse negativo</strong>, può chiedere il risarcimento <strong>dell’interesse positivo</strong> <em>sub specie</em> di <strong>interesse “<em>differenziale</em>”</strong> – <strong>minor vantaggio ottenuto</strong> o <strong>maggiori spese sostenute</strong> a cagione della violazione del canone di buona fede, oltre ai <strong>maggiori danni rigorosamente consequenziali</strong> <strong>e diretti</strong> rispetto alla scorrettezza – onde ricostruire la <strong>situazione economica <em>quo ante</em></strong> rispetto alla perpetrata violazione dell’obbligo di buona fede (tesi più recente).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le figure giuridiche contermini alla c.d. responsabilità precontrattuale?</strong></p> <ol> <li style="text-align: justify;">il <strong>contatto socialmente qualificato</strong>: le parti <strong>entrano in contatto</strong> e, anche se non sono più <strong>totalmente estranee</strong> tra loro, <strong>non sono ancora parti contraenti</strong> in senso formale. Il fatto che sul piano formale <strong>non via sia ancora un contratto</strong> non esclude che il <strong>contatto tra loro</strong> instaurato – valutato in modo <strong>adeguato</strong> dal punto di vista <strong>sociale</strong> – possa ingenerare <strong>una obbligazione da fonte atipica ex art.1173 c.c. </strong>(fatto o atto idoneo a crearla secondo l’ordinamento giuridico), dal cui <strong>inadempimento</strong> discende una responsabilità ex art.1218 c.c.;</li> <li style="text-align: justify;">il <strong>rapporto contrattuale di fatto</strong>: esso – nato dalla <strong>dottrina tedesca</strong> degli <strong>anni Quaranta</strong> - discende direttamente da un <strong>contatto qualificato</strong> intercorso tra le parti, le quali <strong>vogliono entrambe uno scambio</strong> e tuttavia non lo formalizzano, realizzando piuttosto <strong>un evento che è l’inizio di tale relazione di scambio</strong>, e che giustifica (quale fonte) le prestazioni che vi si riconnettono. In questi casi si applica <strong>un regime (para)contrattuale</strong>, sia a monte, per quanto riguarda la <strong>capacità delle parti</strong> e gli <strong>eventuali vizi della volontà</strong> (anche se in origine ciò fu escluso), sia – massime - a valle, per quanto concerne la eventuale <strong>responsabilità per gli obblighi</strong> <strong>che ne nascono</strong> i quali, proprio perché <strong>precedono l’illecito</strong>, non possono essere ricondotti al regime dell’art.2043, <strong>quanto piuttosto a quello dell’art.1218 c.c.</strong>, generando <strong>obblighi risarcitori di tipo derivato</strong>. Esclusa allora l’applicabilità della disciplina del <strong>contratto come atto</strong> (e ciò in quanto un atto formalmente non esiste), si applica invece il regime del <strong>contratto come rapporto</strong> e, in particolare, proprio le norme sulla <strong>responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>”</strong> ex art.1218 c.c.</li> <li style="text-align: justify;">attraverso un <strong>contatto socialmente qualificato</strong> si instaura un <strong>rapporto contrattuale di fatto</strong> in cui le <strong>obbligazioni “<em>contratte</em>”</strong> dalle parti nascono da fonte atipica ex art.1173, e debbono essere geneticamente riconducibili ad un <strong>atto</strong> o ad un <strong>fatto idoneo</strong> secondo l’ordinamento giuridico. Casi di atti o fatti (connessi ad un contatto socialmente qualificato, e come tali) idonei secondo l’ordinamento giuridico ad essere fonte di obbligo sono normalmente quelli: c.1) del <strong>bene o servizio di interesse generale</strong> per il quale la legge prevede un <strong>obbligo di contrarre</strong>: in queste fattispecie si parla di <strong>obbligo sociale di prestazione</strong> nascente da una <strong>offerta al pubblico</strong>; in sostanza, una parte <strong>offre volontariamente</strong> (anche perché vi è obbligata dalla legge: imprese monopoliste legali ex art.<strong>2597</strong>c. e, per i pubblici trasporti di linea, l’art.<strong>1679 </strong>e<strong> 1680 </strong>c.c.) una prestazione che viene <strong>accettata</strong> dall’altra in veste di <strong>appartenente ad un genere di soggetti fruitori di quella prestazione</strong>, e ciò fa iniziare <strong>una relazione di scambio</strong> tra i due soggetti divisati, dalla quale nascono degli obblighi; c.2.) dei <strong>rapporti di cortesia</strong> e delle <strong>relazioni precontrattuali</strong> (art.<strong>1337</strong> c.c.) dalle quali scaturisca un <strong>contatto socialmente qualificato</strong>; in queste fattispecie, l’accettazione di una prestazione – per opinione comune ed alla stregua dunque di un <strong>canone di tipicità sociale</strong> – ingenera per l’accettante fruitore <strong>un obbligo di “<em>controprestare</em>”</strong>; c.3) dei rapporti che scaturiscono dal <strong>far parte di una organizzazione di lavoro</strong> (art.<strong>2126</strong> c.c.) o <strong>societaria </strong>(art.<strong>2332 c.c.</strong>), laddove l’eventuale <strong>nullità dell’atto</strong> non incide sulla <strong>capacità del rapporto</strong> di produrre <strong>obbligazioni</strong> tra le parti.</li> </ol>