Corte di Cassazione, Sez. I Penale, sentenza 09 marzo 2023 n. 10019
QUESTIONE RIMESSA
Viene rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se, in conseguenza del riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati, per effetto della diminuente ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. – nel testo vigente sino all’aprile 2019 – con la pena di anni trenta di reclusione in sostituzione dell’ergastolo, la pena complessiva debba essere determinata nell’ergastolo ovvero in anni trenta di reclusione”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite.
- Il Tribunale di Catanzaro, a giustificazione del calcolo sopra riportato, richiama il principio stabilito da Sez. 1, n. 37168 del 19/07/2019, Ben Salam, Rv. 276838 – 01, in base al quale il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base e, infine, il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rito abbreviato.
Il principio era già stato affermato da Sez. 1, n. 20007 del 05/05/2010, Serafino, Rv. 247616 – 01, in cui si osservava: “La riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato costituisce, com’è noto, una diminuente di natura processuale, la quale si risolve, quindi, in un’operazione puramente aritmetica che consegue alla scelta del rito operata dall’imputato, sì che essa, logicamente e temporalmente, dev’essere eseguita dopo la determinazione della pena, effettuata secondo i criteri e nel rispetto delle norme sostanziali (cfr. Sez. 5, n. 18368 del 9/12/2003, Rv. 229229; Sez. U, n. 45583 del 25/10/07, Volpe, Rv. 237692; Sez. 1, n. 26758 del 29/5/2009).
Questo significa, nel caso di specie, che per l’applicazione della disciplina alla continuazione tra due sentenze rese all’esito di giudizio abbreviato nelle quali le sanzioni decise risultano ridotte ai sensi di legge in relazione alla scelta del rito, il giudice dell’esecuzione chiamato ad applicare la disciplina di favore dovrà, in primo luogo, individuare la pena base indicata nella sentenza che ha giudicato il reato più grave prima che la stessa venisse decurtata a mente dell’art. 442 c.p.p., comma 2, per poi ad essa sommare la pena determinata a titolo di continuazione e quindi conteggiare la diminuzione sull’intero in tal guisa ottenuto.
Nel caso di specie, errando pertanto, il giudice di prime cure ha invece assunto la pena base già ridotta per la scelta del rito abbreviato, ad essa aggiungendo, senza alcuna ulteriore determinazione, l’aumento di pena per la continuazione”.
- Il principio in questione era già stato applicato da questa Corte anche per un condannato in posizione analoga a quella dell’odierno ricorrente.
Con la sentenza Sez. 1, n. 31041/18 del 20/4/2018, non mass., è stato rigettato il ricorso proposto da C.C. avverso l’ordinanza della Corte di assise di appello di Catanzaro che, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva riconosciuto la continuazione tra i delitti di omicidio volontario giudicati con due diverse sentenze di condanna e aveva rideterminato la pena complessiva nell’ergastolo. La Corte territoriale aveva individuato come pena base l’ergastolo, in quanto pena determinata in una delle due sentenze di condanna prima della diminuzione per il rito abbreviato ad anni trenta di reclusione, l’aveva aumentata all’ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi sei per la continuazione con gli altri due delitti di omicidio volontario e con i reati in materia di armi e aveva, infine, ridotto la pena all’ergastolo senza isolamento diurno in forza del rito abbreviato.
Con il ricorso avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, C.C. aveva censurato che la pena base posta a base del calcolo fosse stata individuata in quella applicata prima della riduzione per il rito abbreviato, mentre avrebbe dovuto tenersi conto di quella più grave inflitta in concreto, pari ad anni trenta di reclusione; di conseguenza, non poteva trovare applicazione l’art. 72 c.p., richiamato nell’ordinanza impugnata; il ricorrente escludeva anche l’applicabilità dell’art. 73 c.p., comma 2, sostenendo che la norma riguarda solo il cumulo materiale delle pene e non il cumulo giuridico.
La Corte richiamava, in primo luogo, il testo dell’art. 187 disp. att. c.p.p. in tema di determinazione del reato più grave ai fini dell’applicazione della continuazione nella fase dell’esecuzione, osservando che la sua applicazione prescinde dagli effetti più o meno favorevoli per il condannato; ricordava, poi, il principio affermato da Sez. 1, Serafino; affermava che la Corte territoriale aveva puntualmente rispettato tali criteri, sottolineando che C.C. aveva chiesto ed ottenuto di essere giudicato con il rito abbreviato nella vigenza dell’art. 442 c.p.p., come modificato dal D.L. n. 341 del 2000, cosicchè, nei suoi confronti, non si poneva la problematica che aveva dato origine al “caso Scoppola”.
Avendo il ricorrente denunciato anche l’illegalità della pena inflitta con una delle due sentenze di condanna – la pena finale di anni trenta di reclusione era stata determinata previo riconoscimento della continuazione tra i due omicidi in quella sede giudicati; secondo il ricorrente la pena finale avrebbe dovuto essere quantificata in anni venti di reclusione – la Corte, rigettando il relativo motivo di ricorso, richiamava il principio per cui in sede di esecuzione, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati che hanno tutti formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito opera necessariamente prima del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 c.p., in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni 30 (Cass., sez. 1, n. 42316 dell’11/11/2010, Cutaia, Rv. 249027).
La denuncia della illegalità di quella pena, del resto, era stata valutata e respinta da Sez. 1, n. 50987/18 del 4/10/2018. C.C. aveva nuovamente riproposto incidente di esecuzione avente il medesimo oggetto, che la Corte di assise di appello di Catanzaro aveva considerato una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, quindi inammissibile ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2.
Nel ricorso per cassazione avverso tale provvedimento erano state richiamate le pronunce delle Sezioni Unite, Volpe e Nocerino e la sentenza Sez. 1, Morelli, di cui si dirà nel prosieguo. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile, sulla considerazione che i temi sollevati dal ricorrente erano già stati valutati dalla precedente pronuncia n. 31041/18, essendosi, quindi, formato il “giudicato esecutivo”, nè ritenendosi che la pronuncia delle Sezioni Unite, Nocerino costituisse un novum idonea a superare la conseguente preclusione.
La sentenza ribadiva che la pena inflitta non poteva essere ritenuta illegale, in quanto non incompatibile con la unificazione in sede esecutiva di tre delitti di omicidio: si ricordava che l’art. 81 c.p., comma 3, prevede che, nei casi di concorso formale o di continuazione, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti, tra i quali rientra anche l’art. 73 c.p., comma 2, che prevede che quando concorrono più delitti per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo (Sez. 1, n. 6120/21 dell’11/12/2020).
- In contrasto con l’orientamento fin qui esposto, Sez. 1, n. 13756 del 21/02/2020, Morelli, Rv. 278977 – 01 ha affermato il principio per cui, in sede esecutiva, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati, per effetto della diminuente ex art. 442 c.p.p., comma 2, terzo periodo, – nel testo vigente sino all’aprile 2019 – con la pena di anni trenta di reclusione in sostituzione dell’ergastolo, la diminuente per il rito può essere calcolata sulla pena complessiva solo se la specie di pena resta immutata rispetto a quella applicata in sede di cognizione, mentre tale sistema di calcolo non è applicabile se comporta la sostituzione della reclusione con l’ergastolo, trovando applicazione in tal caso la regola generale sul limite dell’aumento della pena principale di cui all’art. 78 c.p. e non quella speciale di cui all’art. 73 c.p., comma 2.
Anche in quel procedimento, il giudice dell’esecuzione, in attuazione del principio affermato da Sez. 1, Serafino, aveva adottato come pena base per il calcolo l’ergastolo, ridotto ad anni trenta di reclusione in forza del rito abbreviato, l’aveva aumentata alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di un anno per la continuazione con il delitto di omicidio e quelli in materia di armi giudicati con la diversa sentenza; aveva, infine, sostituito detta pena con l’ergastolo senza isolamento diurno in forza del rito abbreviato.
Secondo la sentenza di legittimità, una pena temporanea quale è la reclusione, applicata a reati separatamente giudicati, non può essere sostituita dalla diversa pena dell’ergastolo, in sede di esecuzione, per effetto del riconoscimento della continuazione tra gli stessi reati. Secondo la Corte, dal combinato disposto degli artt. 81 c.p., commi 1 e 2, art. 187 disp. att. c.p.p. e art. 671 c.p.p., comma 2, emerge un sistema che assume, come criterio di calcolo della pena del reato continuato, il cumulo giuridico, ossia un moltiplicatore mobile (fino al triplo) di un moltiplicando fisso (pena più grave), per un prodotto (pena finale) omogeneo ai fattori impiegati, al contrario del cumulo materiale, che può comportare anche il superamento del triplo dell’addendo più elevato confluente nel calcolo; tale differenza è coerente con la finalità dell’istituto della continuazione tendente ad un trattamento sanzionatorio temperato per chi abbia commesso più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
Di conseguenza, la continuazione non può comportare una mutazione peggiorativa della base sanzionatoria ovvero la trasformazione della pena temporanea della reclusione nella diversa pena dell’ergastolo: ciò anche nel caso in cui alla pena per il delitto più grave nella misura massima di trenta anni di reclusione si sia pervenuti, a seguito di giudizio abbreviato, partendo dalla pena dell’ergastolo senza isolamento diurno.
Premessa di queste considerazioni è il richiamo all’art. 187 disp. att. c.p.p. che, nell’indicare la violazione più grave fa riferimento “a quella per cui è stata inflitta la pena più grave, anche in caso di giudizio abbreviato”, dove il participio “inflitta” rimanda alla pena da espiare in concreto e, quindi, alla pena al netto della riduzione per il rito.
Se, quindi, la pena base per il delitto più grave deve essere individuata in anni trenta di reclusione, pena concretamente inflitta in forza della diminuzione per il rito abbreviato, l’applicazione dell’art. 81 c.p. è influenzata dal limite imposto dal comma 3, secondo cui, in caso di riconoscimento della continuazione, la pena complessiva non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti; poichè, tra di essi vi è anche l’art. 78 c.p., comma 1 1, n. 1), che fissa in trenta anni il limite massimo agli aumenti di pene temporanee, questa è la pena derivante dall’aumento per la continuazione.
Non trova, invece, applicazione l’art. 73 c.p., comma 2, in base al quale, quando concorrono più delitti per i quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo; l’applicazione di tale norma anche in sede esecutiva, per il rinvio operato dall’art. 80 c.p. allo stesso art. 73, suppone il concorso di pene inflitte alla stessa persona con più sentenze, laddove queste abbiano sanzionato più delitti con pene non inferiori a ventiquattro anni per ciascun reato: al contrario, il reato continuato comporta una unificazione di plurime violazioni proprio a fini sanzionatori e, quindi, l’applicazione di una pena unica.
In definitiva, al reato continuato disciplinato dall’art. 81 c.p. deve essere applicata la regola generale dell’art. 78 c.p., comma 1, n. 1, sui limiti degli aumenti della pena principale, ove il triplo della pena più grave superi il tetto massimo invalicabile di trenta anni di reclusione, e non la norma derogatoria di cui all’art. 73, comma 2 dello stesso codice che presuppone, come detto, una pluralità di delitti sanzionabili con pene non inferiori a ventiquattro anni di reclusione in sede cognitiva ovvero una pluralità di pene separatamente inflitte per più delitti ciascuno dei quali sanzionato con una pena non inferiore a ventiquattro anni in sede esecutiva, a norma dell’art. 80 c.p..
- Come si comprende dall’esposizione fin qui fatta, i due orientamenti divergono, in primo luogo, sull’applicazione dell’art. 187 disp. att. c.p.p.. Tale norma dispone, per l’applicazione del reato continuato da parte del giudice dell’esecuzione, che “si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per taluni reati si è proceduto con giudizio abbreviato”.
Tale norma è stata costantemente interpretata nel senso che, ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, il giudice deve tenere conto della sanzione più severa concretamente inflitta, anche se la stessa era stata determinata previa riduzione di un terzo nel caso di condanna pronunciata con rito abbreviato (Sez. 1, n. 48204 del 10/12/2008, Abello, Rv. 242660 – 01); in applicazione di tale regola – che deroga a quella prevista per il giudice della cognizione – il giudice dell’esecuzione è vincolato, nell’individuazione della violazione di maggiore gravità, a fare riferimento a quella punita con la pena più grave inflitta in concreto dal giudice della cognizione, la cui specie o misura non possono essere in nessun caso modificate, in senso peggiorativo o migliorativo (Sez. 1, n. 38331 del 05/06/2014, Fall, Rv. 260903 – 01).
Si deve ricordare che Sez. U, Volpe (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe, Rv. 237692 – 01) aveva affermato, sia pure incidentalmente, che la pena “concretamente inflitta”, in caso di condanna pronunciata in esito a giudizio abbreviato, è la sanzione già ridotta di un terzo, traendone la conseguenza che il criterio moderatore dell’art. 78 c.p., in sede esecutiva, segue necessariamente la già disposta riduzione della pena in forza del giudizio abbreviato. Il principio affermato da Sez. 1, Serafino e ribadito da Sez. 1, Ben Salam, quindi, sembra giustificare una deroga all’interpretazione dell’art. 187 disp. att. c.p.p. per il caso in cui tutti i reati ritenuti riuniti per continuazione in executivis siano stati giudicati con il rito abbreviato: infatti, la pena posta a base del calcolo di quella complessiva non è individuata in quella concretamente inflitta dal giudice della cognizione, ma in quella astrattamente applicabile prima di operare la riduzione per il rito alternativo.
A dire il vero, la sentenza Sez. 1, n. 31041/18 del 20/4/2018, già richiamata, sembra negare che vi sia stata una derogatoria applicazione dell’art. 187 disp. att. c.p.p.; del resto, anche Sez. 1, Morelli – come si evince dalla massima sopra riportata – non intende sconfessare in toto il principio sancito da Sez. 1, Serafino, sia pure affermando la necessità di una eccezione nel caso contemplato.
Entrambe le posizioni non sembrano convincenti. Soprattutto, la motivazione addotta da Sez. 1, Serafino per giustificare il principio affermato – “la riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato costituisce, com’è noto, una diminuente di natura processuale, la quale si risolve, quindi, in un’operazione puramente aritmetica che consegue alla scelta del rito operata dall’imputato, sì che essa, logicamente e temporalmente, dev’essere eseguita dopo la determinazione della pena, effettuata secondo i criteri e nel rispetto delle norme sostanziali” – necessita di essere valutata: da una parte, sembra ignorare del tutto la previsione dell’art. 187 disp. att. c.p.p., dall’altra pare riferirsi all’applicazione della riduzione per il giudizio abbreviato in sede di cognizione, ignorando le considerazioni delle Sez. U, Volpe, per il giudizio di esecuzione.
- Una volta risolta la questione dell’applicazione dell’art. 187 cit., si presentano due alternative. Se si ritiene che l’art. 187 disp. att. c.p.p., nel caso di riconoscimento della continuazione in executivis tra i delitti di omicidio volontario, punito con trenta anni di reclusione in sostituzione della pena dell’ergastolo, e altri delitti giudicati con rito abbreviato – imponga di individuare come pena base per il calcolo della pena complessiva l’ergastolo, deve trovare applicazione l’art. 72 c.p. che regola, appunto, il concorso di reati che importano l’ergastolo e di altri reati, puniti con l’ergastolo o con pene detentive temporanee.
Se le pene inflitte con la diversa sentenza sono pene detentive temporanee superiori a cinque anni, in forza dell’art. 72 c.p., comma 2, verrà applicato l’ergastolo con isolamento diurno che, in forza del rito abbreviato, verrà “ridotto” all’ergastolo senza isolamento diurno. Se le pene temporanee inflitte con la diversa sentenza sono inferiori a cinque anni, invece, non avranno nessun effetto e, quindi, la pena dell’ergastolo, in forza del rito abbreviato, verrà convertita in anni trenta di reclusione.
- Ovviamente, del tutto differente è il caso in cui il soggetto, con una delle sentenze, sia stato effettivamente condannato all’ergastolo pur essendo stato giudicato con il rito abbreviato: in questo caso, il giudice dell’esecuzione, sempre in applicazione dell’art. 72 c.p., comma 2, applicherà l’isolamento diurno per la continuazione con pene detentive superiori ad anni cinque (Sez. 1, n. 11934 del 18/01/2019, Rossi, Rv. 275014 – 01).
Anche il precedente richiamato nell’ordinanza impugnata, costituito da Sez. 1, n. 31433 del 4 luglio 2006, Zagari, Rv. 234796, prendeva in considerazione un caso in cui la continuazione, già riconosciuta in sede di cognizione per un gruppo di reati aveva determinato, in quella sede, all’esito di giudizio abbreviato, l’applicazione della pena dell’ergastolo per più fatti di omicidio aggravato in sostituzione dell’ergastolo con isolamento diurno, dovendo assumersi pertanto come pena base dell’ulteriore continuazione riconosciuta in sede esecutiva proprio la pena dell’ergastolo e non quella temporanea della reclusione.
- Seguendo, invece, la tesi opposta, sostenuta da Sez. 1, Morelli, non convince la prospettazione secondo cui, in caso di continuazione tra reati tutti giudicati con il rito abbreviato, il computo che adotti come pena base quella concretamente inflitta, e non quella astrattamente applicabile prima della riduzione per il rito abbreviato, costituirebbe un’eccezione alla regola generale affermata da Sez. 1, Serafino e da quelle successive.
Di tale eccezione non vi è traccia nel codice di rito, cosicchè appare preferibile individuare l’esatta interpretazione dell’art. 187 disp. att. c.p.p. e darne applicazione a tutti i casi che si presentano, ivi compreso quello che interessa.
Anche la giustificazione dell’impossibilità di sostituire la pena detentiva temporanea con quella dell’ergastolo nel caso venga riconosciuta la continuazione tra reati tutti puniti con pene detentive temporanee deve trovare un fondamento più solido di quelli indicati: In effetti, il richiamo al criterio moderatore dell’art. 78 c.p., comma 1, n. 1, presuppone come già risolta la questione nel senso sostenuto e, quindi, non fornisce una reale giustificazione alla tesi sostenuta: è ovvio che, se si ritiene che la pena detentiva temporanea non possa mai essere sostituita con quella dell’ergastolo in caso di riconoscimento della continuazione tra reati puniti con pene detentive temporanee, il giudice dell’esecuzione non potrà che applicare il criterio moderatore dell’art. 78 c.p., comma 1, n. 1, e, quindi, dovrà determinare la pena complessiva in anni trenta di reclusione.
Ma, appunto, l’art. 80 c.p., che rende applicabile le norme precedenti anche nel caso di plurime sentenze emesse nei confronti della stessa persona, richiama anche l’art. 73 c.p., la cui applicabilità deve essere valutata.
Si deve ricordare che la giurisprudenza ha chiarito che il comma 2 dell’art. 73 si pone in termini di specialità rispetto a quanto dettato dal successivo art. 78 c.p. in materia di limiti all’aumento di pena, poichè, se in sede cognitiva esclude l’irrogazione della reclusione determinando l’applicazione diretta dell’ergastolo in luogo di più pene di ventiquattro anni di reclusione per più delitti, in sede di esecuzione realizza una vera e propria sostituzione delle pene originariamente inflitte con quella, di specie diversa, dell’ergastolo operando sempre, tuttavia, nell’ambito del concorso di pene temporanee non inferiori al suddetto limite per ciascun reato (Sez. 1, n. 38052 del 17/07/2017, Alfiero; Sez. 1, n. 5784 del 21/10/2015, dep. 2016, Ficara; Sez. 1, n. 6560 del 18/01/2011, Cono).
In forza di quella norma, quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo.
- Nel caso in esame, non può affatto essere escluso che, a fronte della pena base di anni trenta di reclusione per un delitto giudicato con una delle sentenze di condanna, l’aumento per la continuazione calcolato per gli altri reati – soprattutto se a loro volta puniti con la pena detentiva massima in forza del rito abbreviato possa superare i ventiquattro anni di reclusione.
Tale ipotesi renderebbe astrattamente applicabile la previsione in commento e, quindi, permetterebbe di determinare la pena complessiva nell’ergastolo, anche se tutti i reati fossero stati giudicati con il rito abbreviato. Ciò avverrebbe senza alcuna violazione del limite posto dall’art. 81, comma 3, c.p. perchè la pena complessiva non sarebbe superiore a quella che sarebbe stata determinata mancanza di riconoscimento della continuazione.
La soluzione sta, quindi, nell’interpretazione dell’art. 81 c.p., comma 1: se, appunto, la norma permetta che l’aumento fino al triplo della pena inflitta per la violazione più grave comprenda anche, nel caso contemplato dall’art. 73 c.p., comma 2, la sostituzione della pena detentiva temporanea con l’ergastolo.
Il tema della applicazione dell’art. 73 c.p., comma 2, nel caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con sentenze diverse, tutte rese all’esito del giudizio abbreviato, che hanno irrogato pene detentive temporanee, riguarda un ambito più ampio rispetto alla fattispecie oggetto dell’odierno ricorso: non tocca, infatti, soltanto l’ipotesi dell’applicazione in cognizione della pena di anni trenta di reclusione per il delitto più grave, essendo sufficiente che la pena non sia inferiore a ventiquattro anni, requisito richiesto anche per il diverso delitto che viene riconosciuto legato dalla continuazione dal giudice dell’esecuzione.
- In definitiva, il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite con riferimento al quesito (e alle sottese questioni interpretative sopra esposte) se, in conseguenza del riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati, per effetto della diminuente ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. – nel testo vigente sino all’aprile 2019 – con la pena di anni trenta di reclusione in sostituzione dell’ergastolo, la pena complessiva debba essere determinata nell’ergastolo ovvero in anni trenta di reclusione.