Massima
Quella della pubblicità immobiliare è vicenda legata a doppio filo al c.d. “consenso traslativo”, di origine francese; ed è vicenda snodantesi lungo un percorso che vede la “base personale” pragmaticamente prevalere sulla “base reale”, di ascendenza austro-germanica, pur parzialmente a tutt’oggi operativa sul territorio italiano, attraverso i libri fondiari, nelle “nuove” Province Autonome di Trento e Bolzano.
Non mancano problemi legati al fatto che chi acquista in virtù del consenso potrebbe soccombere rispetto a chi, pur acquistando in un momento successivo dal medesimo dante causa, trascrive per primo (doppia alienazione immobiliare); oltre che – notano taluni – alla stessa non ancora definitiva “pubblicizzazione” della trascrizione, tale da produrre importanti (ulteriori) ricadute in termini di incertezza del traffico giuridico.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1798
Il 01 novembre (11 brumaio, anno VII) viene varata la legge che per la prima volta disciplina, in Francia, la trascrizione, rifacendosi alla tradizione del nantissement, di origine feudale e diffuso soprattutto nelle Regioni settentrionali della Francia stessa.
Questa prima figura di trascrizione ha lo scopo di consentire all’acquirente che abbia trascritto il proprio titolo di acquisto la purgazione delle (pregresse) ipoteche e di risolvere il conflitto tra più aventi causa da un medesimo autore (il trascrivente può “opporre” a terzi il proprio acquisto), presentando tuttavia una connotazione esclusivamente privatistica. Non sussiste difatti alcun obbligo di trascrivere gli atti in capo ai privati, né è richiesto alcun titolo autentico ai fini dell’attuazione della pertinente pubblicità, che viene operata giusta integrale ricopiatura dell’atto da trascrivere nei pubblici registri.
Non viene effettuato, del resto, alcun controllo di legalità alla base della trascrizione, il conservatore svolgendo un compito meramente passivo, senza spiegare alcuna verifica di validità ed efficacia degli atti da trascrivere.
La trascrizione non ha poi alcuna efficacia sanante degli eventuali vizi del titolo trascritto, né è per conseguenza capace di ingenerare alcun legittimo affidamento nei terzi potenziali acquirenti, sui quali grava l’onere di individuare la serie dei titoli di provenienza del bene che intendono acquistare almeno per un trentennio addietro se non oltre, oltre che di verificare la validità in concreto di tali titoli.
Un onere molto gravoso, attese le lacune del sistema di trascrizione ideato dal Legislatore della Francia rivoluzionaria che – pur impostato su base personale – non richiede la (basilare) continuità delle formalità trascrittive; ciò anche in considerazione della circostanza onde non sono soggetti a trascrizione numerosi acquisti, tra i quali quelli a causa di morte e le divisioni.
1804
Viene varato il Code Napoléon, imperniato sul principio del consenso traslativo e della tutela incondizionata del “sacro” diritto di proprietà.
Secondo la linea prevalsa nel corso dei relativi lavori preparatori, la trascrizione non può privare del diritto di proprietà il primo acquirente (ma secondo trascrivente), a vantaggio del secondo che ha trascritto per primo, ciò traducendosi in un intollerabile attentato a quei canoni inderogabili, di matrice giusnaturalistica, orientati alla difesa “ad oltranza” della ridetta proprietà, secondo una linea conforme a quella medesima ratio scripta rappresentata dal diritto romano (che, tuttavia, era riuscito nell’intento di ben pubblicizzare, giusta valorizzazione della “possessio”, le alienazioni dominicali).
Proprio in considerazione di ciò, viene esclusa dal Code Civil l’efficacia di pubblicità dichiarativa della transcription hypothécaire, che ha la sola funzione di mezzo idoneo a consentire la purgazione delle ipoteche; con ricadute – nondimeno – assai significative: i trasferimenti occulti (perché non pubblicizzati) della proprietà finiscono infatti col pregiudicare gravemente la sicurezza delle contrattazioni e del credito ipotecario.
1855
Il 23 marzo viene varata in Francia una legge “speciale” che, dopo mezzo secolo e lunghi dibattiti seguiti all’entrata in vigore del Code Civil, ripristina il valore di pubblicità dichiarativa della trascrizione, limitatamente al conflitto tra più aventi causa da un medesimo autore.
Si tratta appunto di una legge “speciale”, a cagione del fatto che, come ha osservato la dottrina, il legislatore non osa «levare una mano sacrilega» sul codice civile e sul valore sacro della proprietà in esso inscritto, i cui principi restano inalterati (seppure, sul punto, “corretti” dalla menzionata legge “speciale”).
Campeggia dunque un contesto culturale nella cui economia la trascrizione non può che essere considerata come un istituto eccezionale, applicabile soltanto alle ipotesi tassativamente previste dalla legge; uno strumento che presenta peraltro perduranti lacune ed imperfezioni, tali da impedire di renderlo davvero funzionale ed idoneo a garantire la sicurezza dei traffici immobiliari.
1865
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, che introduce la trascrizione nel Libro III, dedicato ai modi di acquisto “e trasmissione” della proprietà e dei diritti sulle cose, agli articoli 1932-1947, sulla scia del Code Civil.
Viene prevista, tra le altre cose, la necessaria autenticità del titolo da trascriversi, oltre alla pubblicità di talune domande giudiziali, segnatamente quelle di risoluzione e rescissione, con efficacia dichiarativa.
La trascrizione introdotta nel codice italiano presenta tuttavia – sulla scia di quella francese – numerose lacune, affiorando non trascrivibili gli acquisti mortis causa, le divisioni, e molte domande giudiziali e sentenze; inoltre, non viene richiesta la continuità delle trascrizioni, né è previsto alcun obbligo di trascrivere a carico delle parti o del notaio, né verun obbligo di controllo di legalità da parte del conservatore dei registri immobiliari: stando infatti all’art.2069, i conservatori non possono “in verun caso”, e neppure sotto pretesto di irregolarità nelle note, ricusare o tardare di ricevere la consegna dei titoli presentati e di fare le trascrizioni, iscrizioni od annotazioni richieste.
In sostanza, il sistema della trascrizione affiora con una dimensione (oltre che lacunosa) spiccatamente privatistica, tutto imperniato sul principio di auto-responsabilità del richiedente la trascrizione medesima, e con un ruolo del “pubblico”, per converso, decisamente marginale.
1871
Il 25 luglio viene varata la legge tavolare austriaca, Grundbuchgesetz (GBG), che codifica taluni principi in tema di c.d. “intavolazione”, istituto caratterizzato da principi di completezza (Vollständigkeit) e di esattezza (Richtigkeit).
I beni immobili vengono “intavolati” nei libri fondiari, la cui origine storica è da individuare nelle Landtafeln di Boemia e Moravia, con immediata garanzia di completezza, onde non esiste immobile sul territorio austriaco che non sia, per l’appunto, ivi inserito.
L’esattezza delle risultanze dei libri fondiari risulta invece garantita, nei rapporti con i terzi acquirenti di buona fede, non già in via immediata, ma solo dopo il decorso di un determinato lasso di tempo, e precisamente decorsi 3 anni dalla intavolazione.
L’originario titolare del diritto ha difatti a propria disposizione la possibilità di iscrivere nei libri fondiari un’opposizione (Widerspruch), o eseguirvi un’annotazione di litigiosità (Streitanmerkung), con il risultato di eliminare o sospendere la pubblica fede in parte qua del libro fondiario medesimo.
1900
Entra in vigore il 01 gennaio il BGB, codice civile tedesco, che – in particolare al § 892 – raccoglie esperienze di sviluppo della pubblicità immobiliare in ambito europeo profondamente diverse da quelle fatte proprie dal sistema francese prima, e italiano poi; tali esperienze si pongono in sostanziale continuità con l’antico istituto germanico della Gewere che sulla base dell’apparenza esteriore del diritto (basata sul possesso, reale o ideale, del bene: fedele dunque in ciò alla tradizione romanistica) appresta un’efficiente tutela a favore di chi di tale apparenza possa concretamente giovarsi e, massime, dei relativi aventi causa.
Ciò consente l’invalere progressivo, negli Stati tedeschi ed austriaci, della disciplina dell’iscrizione “costitutiva” dei diritti reali sui beni immobili nei libri fondiari (Grundbücher), impostati su base reale e non personale.
Tale iscrizione viene fatta precedere da un incisivo controllo di legalità da parte dell’autorità giudiziaria, di fronte alla quale si perfeziona anche l’atto traslativo della proprietà (Auflassung).
Proprio in base al principio di legalità (Legalitätsprinzip) si giustifica l’attribuzione all’iscrizione nei ridetti libri fondiari (Eintragung) di una pregnante efficacia: oltre ad avere valenza costitutiva – e non già meramente dichiarativa – ai fini dell’acquisto del pertinente diritto, tale iscrizione risulta infatti munita di pubblica fede (öffentliche Glaube).
Nei confronti dei terzi subacquirenti di buona fede, le risultanze dei libri fondiari valgono dunque come esatte e complete, con il risultato che il terzo può senz’altro riporre affidamento sulle suddette risultanze, facendo salvo il proprio acquisto anche se a non domino.
1929
Il 28 marzo viene varato il R.D. n.499 che recepisce – a seguito dell’annessione del Trentino Alto Adige all’Italia – la disciplina tavolare austriaca, limitatamente tuttavia ai territori di tali “c.d. “Nuove Province”.
1940
Il 28 ottobre viene varato il R.D. n.1443, recante nuovo codice di procedura civile, secondo il cui art.111 in tema di successione a titolo particolare nel diritto controverso, onde se nel corso del processo si trasferisce, per l’appunto, il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie (comma 1), mentre se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte (legato), il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto (comma 2).
In ogni caso, il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può esserne estromesso (comma 3); la sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i relativi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione, la quale ultima (assieme alla buona fede, se – come visto – si tratta di beni mobili) può dunque incidere su questo regime processuale e sulle conseguenti ricadute sostanziali.
Rilevante anche, ratione materiae, l’art.96 onde, se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, con sentenza (comma 1); il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o “trascritta” domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente che ha agito senza la normale prudenza, con liquidazione dei danni fatta a norma del comma precedente (comma 2).
Ancora, significativo l’art.126 onde il processo verbale deve contenere l’indicazione delle persone intervenute e delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali gli atti che documenta sono compiuti; deve inoltre contenere la descrizione delle attività svolte e delle rilevazioni fatte, nonché le dichiarazioni ricevute (comma 1); esso è sottoscritto dal cancelliere e, se vi sono altri intervenuti, il cancelliere medesimo, quando la legge non dispone altrimenti, dà loro lettura del processo verbale in parola (comma 2).
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), che disciplina la trascrizione nell’incipit del Libro VI, dedicato – non a caso – alla tutela dei diritti, agli articoli 2643 – 2696, secondo una precisa tassonomia.
Più nel dettaglio, gli articoli 2643-2672 (Capo I) sono dedicati alla trascrizione degli atti relativi a beni immobili; i successivi articoli 2673 – 2682 (Capo II) alla pubblicità dei registri immobiliari e alla responsabilità dei conservatori; infine, gli articoli 2683-2696 (Capo III, ripartito in 2 Sezioni), alla trascrizione degli atti relativi a taluni beni mobili e segnatamente navi, aeromobili ed autoveicoli, da un lato, ed “altri beni mobili” dall’altro.
Su un piano generale, la dottrina italiana più illuminata, prima del varo del nuovo codice, si accorge tanto delle imperfezioni del modello franco-italiano di pubblicità immobiliare (basato sulle “persone”) quanto, all’opposto, degli innegabili vantaggi e dell’efficienza del modello austro-tedesco di trascrizione “tavolare” (basato sui “beni”): il tentativo di introdurre su tutto il territorio nazionale i libri fondiari, operativi nelle Nuove Province annesse dopo la prima guerra mondiale, si scontra tuttavia con l’imperfezione del catasto e le difficoltà, soprattutto economiche, di una pertinente riforma (che dovrebbe imperniarsi sul varo di registri fondiari impostati sul base reale).
Si ripiega allora sul mantenimento del sistema “personale” di trascrizione, pur con ambizioni di pertinente miglioramento e perfezionamento disciplinare, seppur necessariamente compatibile con la natura che connota siffatto sistema; ciò in primo luogo giusta attribuzione alla trascrizione medesima di una qualche “pubblica fede”.
Proprio su questi binari si muove il progetto di riforma della trascrizione presentato nel 1910 da Vittorio Scialoja, con importanti novità dirette ad accrescere la completezza dei registri immobiliari: vi si prevede la trascrizione di diverse nuove fattispecie di acquisto, il principio di continuità delle trascrizioni, l’obbligo di trascrizione a carico del notaio.
Viene anche prevista una qualche pubblica fede con riguardo alle risultanze dei registri laddove, in particolare all’art. 14, nn. 6 e seguenti del progetto, si prevede che, decorsi dieci anni dalla trascrizione senza che sia stata trascritta una domanda giudiziale di nullità dell’atto trascritto, o sia intervenuta una qualche contestazione dell’acquisto a causa di morte trascritto, l’eventuale vizio (del titolo) non possa essere più essere fatto valere nei confronti del terzo subacquirente di buona fede.
Quest’ultima novità compendia un effetto assimilabile a quello previsto dalla legislazione tavolare austriaca, con l’importante differenza – a parte la assai più consistente durata di 10 anni, piuttosto che di 3, per il pertinente termine decadenziale, necessario a consolidare il subacquisto del terzo – che questa limitata “pubblica fede” copre unicamente la validità o l’efficacia dell’atto trascritto, non già la titolarità o l’esistenza del diritto: riflesso inevitabile della profonda diversità che solca i due prototipi pubblicitari, l’uno (quella franco-italiano) avente ad oggetto solamente gli “atti”, l’altro (quello austro-tedesco) invece, piuttosto i “diritti” iscritti.
Il codice recepisce, nella sostanza, il progetto Scialoja, per vari aspetti finendo col migliorarlo; tra le modifiche apportate, il progetto della Commissione reale introduce la trascrizione della domanda giudiziale diretta a far valere l’invalidità, oltre che dell’atto trascritto, della stessa trascrizione: una disciplina che viene alfine trasfusa – con l’aggiunta di ulteriori modifiche (tra cui la riduzione del termine di decadenza da 10 a 5 anni) – nell’art. 2652, nn. 6, 7 e 9, del codice civile del 1942, in materia di c.d. “pubblicità sanante”, la cui derivazione storica risale alla regolamentazione austriaca sull’annotazione di litigiosità (e sulla corrispondente pubblica fede dei libri fondiari).
In tema di controlli di legalità che devono precedere la trascrizione, il nuovo art.2674 c.c. si presenta come un’evoluzione rispetto alla corrispondente previsione del codice del 1865: esso non annovera più, tra le ipotesi in cui non è consentito di rifiutare la trascrizione, quella dei «vizi delle note», così implicitamente ed a contrario affermando che il conservatore deve verificare il contenuto delle medesime note, e la loro corrispondenza al titolo.
Importanti, in seno all’art.2652 c.c. e nell’ottica della tutela dei terzi sub-acquirenti, le ridette fattispecie di c.d. “pubblicità sanante”, di cui agli articoli 6 e 7, onde vanno trascritte:
– numero 6: le domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l’annullamento di atti soggetti a trascrizione e le domande dirette a impugnare la validità della trascrizione; in questi casi, se la domanda è trascritta dopo 5 anni dalla data della trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda; se però la domanda è diretta a far pronunziare l’annullamento per una causa diversa dall’incapacità legale, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, anche se questa è stata trascritta prima che siano decorsi 5 anni dalla data della trascrizione dell’atto impugnato, purché in questo caso i terzi abbiano acquistato a titolo oneroso (si rinvia in proposito al CRONO PERCORSO sulla c.d. annullabilità del negozio);
– numero 7: le domande con le quali si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte; qui, salvo quanto è disposto dal secondo e dal terzo comma dell’articolo 534, se la trascrizione della domanda è eseguita dopo 5 anni dalla data della trascrizione dell’acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno a qualunque titolo acquistato diritti da chi appare erede o legatario.
Fuori poi dalla sedes materiae, stando all’art.1159 c.c., colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un immobile, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie l’usucapione in proprio favore col decorso di 10 anni dalla data della trascrizione (comma 1), secondo una disposizione che si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile (comma 2): si tratta di un eccezionale caso di trascrizione “costitutiva”, e non già meramente “dichiarativa”.
Sempre al di fuori del catalogo delle disposizioni codicistiche esplicitamente dedicate alla trascrizione, in caso di beni immobili indivisi e di successiva loro divisione rileva l’art.1113; in presenza di ipoteche, tale norma va poi coordinata con il disposto dell’art. 2825.
In tema di successioni, è invece significativo l’art.534 in tema di acquisti dall’erede apparente, mentre va trascritta la cessione di beni ai creditori ex art.1977 laddove la massa ceduta comprenda beni immobili.
Infine, di significativa importanza l’art.2915 alla cui stregua (comma 1) non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento, quando hanno per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri (e, negli altri casi, se non hanno data certa anteriore al pignoramento); non hanno del pari effetto (comma 2) in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti e le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione, se sono trascritti successivamente al pignoramento ridetto.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, secondo il cui art.41, se da un lato l’iniziativa economica privata è libera (comma 1), dall’altro essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (comma 2), venendo demandato alla legge di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (comma 3).
Una riserva di legge quest’ultima, espressione del principio di legalità, che è alla base della stessa tassatività delle ipotesi nelle quali gli atti interprivati vanno assoggettati a trascrizione, con gli effetti dalla medesima legge previsti al fine di risolvere conflitti tra acquirenti da un medesimo autore.
1982
L’8 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.76 onde il comportamento di chi, avendo acquistato per secondo, scientemente trascrive per primo il proprio acquisto per mantenerlo salvo, costituisce un fatto illecito extracontrattuale nei confronti del primo acquirente, secondo trascrivente.
* * *
Il 9 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.759 che si inserisce nel solco pretorio onde, in caso di doppia alienazione immobiliare, l’acquirente pregiudicato (primo acquirente, secondo trascrivente) può, per conservare la garanzia relativa al proprio credito, esercitare l’azione revocatoria della seconda alienazione.
Poiché la seconda alienazione è anteriore al credito da tutelare (che nasce solo con la trascrizione), non è sufficiente tuttavia per il Collegio la mera consapevolezza della precedente vendita da parte del secondo acquirente (primo trascrivente), ma è piuttosto necessaria la partecipazione di quest’ultimo alla dolosa preordinazione dell’alienante, ex art.2901, comma 1, n.2 c.c.
1983
Il 23 novembre esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.6994 alla cui stregua, dopo l’emanazione della legge 31 ottobre 1955 n. 1064, per le formalità di trascrizione presso la conservatoria è richiesta l’indicazione della data e del luogo di nascita delle parti, la cui omissione, per altro, non inficia, di per sé, la trascrizione.
1985
Il 27 febbraio viene varata la importante legge n.52, il cui art.7 inserisce nel codice civile il nuovo art.2674 bis attraverso il quale viene ulteriormente accresciuta l’area dei controlli da effettuarsi da parte del conservatore, che oggi includono la stessa «trascrivibilità» degli atti, da intendersi, secondo l’opinione preferibile in dottrina, non solo come formale appartenenza al catalogo delle fattispecie soggette a trascrizione).
Al di fuori dei casi di cui al precedente articolo 2674 (in tema di divieto di rifiutare gli atti del proprio ufficio), qualora emergano gravi e fondati dubbi sulla trascrivibilità di un atto o sulla iscrivibilità di una ipoteca, il conservatore, su istanza della parte richiedente, esegue la formalità con riserva (comma 1); la parte a favore della quale è stata eseguita la formalità con riserva deve proporre reclamo all’autorità giudiziaria (comma 2), reclamo che è dunque configurato come obbligatorio, sollecitando il controllo del giudice competente.
Dal punto di vista procedurale, vengono inseriti nelle disposizioni di attuazione al codice civile gli articoli 113 bis e 113 ter.
Alla stregua del primo (art.113 bis), il conservatore, nel caso in cui non riceva i titoli e le note ai sensi dell’art.2674 del codice, indica sulle note i motivi del rifiuto e restituisce uno degli originali alla parte del richiedente; in questi casi, come in quelli di ritardo nel rilascio di certificati e di copia, la parte interessata può avvalersi del procedimento stabilito dall’art.745 c.p.c.; il PM è poi tenuto a comunicare al Ministero di Grazia e Giustizia e al Ministero delle finanze la decisione adottata.
Alla stregua del secondo (art.113 ter), il reclamo previsto nell’art.2674 bis c.c. in caso di trascrizione con riserva si propone con ricorso, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla esecuzione delle pertinenti formalità, davanti al Tribunale nella cui circoscrizione è stabilita la conservatoria, entro lo stesso termine dovendo notificarsi il ricorso ridetto al conservatore a pena di improcedibilità (comma 1); il Tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, sentiti il PM, il conservatore e le parti interessate (comma 2), con provvedimento reclamabile in Corte d’Appello giusta ricorso notificato, sempre a pena di improcedibilità, anche al conservatore (comma 3).
A margine della formalità eseguita con riserva, il conservatore deve annotare la proposizione del reclamo, il decreto immediatamente esecutivo del Tribunale e il decreto definitivo (comma 3); quando il reclamo non è proposto o è rigettato definitivamente, la formalità perde poi ogni effetto (comma 4).
1990
Il 18 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8403, che si inserisce nel solco pretorio maggioritario onde va assunta di natura “contrattuale” la responsabilità del venditore in mala fede nelle fattispecie di doppia alienazione immobiliare.
Tale venditore incorre infatti, per la Corte, nell’inadempimento all’obbligo di trasferire al compratore il diritto divisato e all’obbligo di astenersi da ogni comportamento che valga a privare di efficacia tale trasferimento.
Diversa, e dunque aquiliana, la natura della responsabilità da ascriversi – per il Collegio – al secondo acquirente primo trascrivente, il cui fondamento riposa su una dolosa preordinazione volta a frodare il primo acquirente secondo trascrivente, ovvero sulla consapevolezza di una precedente vendita non trascritta e sulla previsione di una propria (prevalente) trascrizione anteriore, con palmare compartecipazione all’inadempimento dell’alienante giusta apporto datogli al fine di privare di effetti il primo acquisto.
1994
Il 21 ottobre esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.8650, alla cui stregua – nel conflitto tra acquirente a titolo derivativo e acquirente per usucapione di un medesimo bene – va data la prevalenza a quest’ultimo nei confronti dell’acquirente per atto tra vivi (quand’anche preventivamente trascritto) successivo all’avvenuta usucapione.
Ciò, precisa il Collegio, indipendentemente dal tempo (anche, dunque, successivo) di trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione medesima, trascrizione che ha efficacia meramente dichiarativa rispetto a quella, costitutiva, del connesso e pertinente acquisto a titolo originario.
1995
*Il 13 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.383, che ribadisce come aquiliana la natura della responsabilità da ascriversi – per il Collegio – al secondo acquirente primo trascrivente, il cui fondamento riposa su una dolosa preordinazione volta a frodare il primo acquirente secondo trascrivente, ovvero sulla consapevolezza di una precedente vendita non trascritta e sulla previsione di una propria (prevalente) trascrizione anteriore, con palmare compartecipazione all’inadempimento dell’alienante giusta apporto datogli al fine di privare di effetti il primo acquisto.
* * *
Il 6 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.111 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 162, ultimo comma, 2647 e 2915 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, dal Tribunale di Genova.
La questione che viene sottoposta al proprio scandaglio – principia la Corte – è se il combinato disposto degli artt. 162, ultimo comma, 2647 e 2915 del codice civile, nella parte in cui non prevedono che, per i fondi patrimoniali costituiti sui beni immobili a mezzo di convenzione matrimoniale, l’opponibilità ai terzi sia determinata dalla trascrizione dell’atto sui registri immobiliari anziché dalla annotazione a margine dell’atto di matrimonio, sia in contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione in quanto indebolisce, attraverso un sistema incerto ed oneroso, la difesa dei diritti della famiglia che i coniugi intendano realizzare attraverso la costituzione di tale fondo patrimoniale.
La sollevata questione è per il Collegio ammissibile, ma infondata.
Sotto il primo profilo deve anzitutto escludersi che la motivazione dell’ordinanza di rimessione sia ondivaga. Invero, chiosa il Collegio, se non può negarsi che in essa si accenna alle diverse interpretazioni date al problema in esame dalla ampia letteratura giuridica e dalla giurisprudenza, va altrettanto riconosciuto che il giudice a quo individua senza perplessità – specie nel dispositivo – la norma da applicare in quella risultante dalla interpretazione della Corte di cassazione e della prevalente dottrina.
Nè può dirsi che, sotto l’apparente questione di incostituzionalità, il giudice rimettente chieda sostanzialmente alla Corte di scegliere la più convincente fra le possibili tesi finora emerse, svolgendo in tal modo un compito interpretativo che esula dalle relative funzioni.
Va in proposito richiamato per il Collegio il principio più volte affermato dalla medesima Corte (sentenza n. 58 del 1995, 463 del 1994, 103 del 1993, 436 del 1992, 274 del 1991 ed altre), secondo cui, per aversi questione di costituzionalità e non di mera interpretazione, è sufficiente che il giudice a quo riconduca alla disposizione contestata una interpretazione non implausibile della quale ritenga di dover fare applicazione e sulla quale egli nutra dubbi non arbitrari o pretestuosi di conformità a determinate norme costituzionali, senza chiedere alla Corte semplicemente di avallare altre ipotesi interpretative.
Nella specie, dal nucleo essenziale dell’ordinanza si evince per il Collegio che la norma, individuata come sopra detto, viene sottoposta a due precisi dubbi di legittimità costituzionale, ancorché dall’eventuale accoglimento della questione possa risultare una diversa disciplina del sistema di pubblicità del fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili.
Questi rilievi conducono a superare anche il terzo profilo di inammissibilità della questione: quello relativo al dovuto rispetto della discrezionalità delle scelte legislative. Può, inoltre, osservarsi in proposito per il Collegio che, pur se numerosi giuristi definiscono il sistema di pubblicità voluto dalla riforma del 1975 in questa materia un “inestricabile imbroglio“, “macchinoso e poco funzionale“, sì da esigere una “urgente revisione“, l’auspicio di un intervento legislativo per rendere più semplice e sicuro detto sistema non può esonerare la Corte dal valutare se quello esistente – sia pure oggetto di forti critiche da parte della dottrina – presenti aspetti di incostituzionalità, o se invece la soluzione additiva proposta nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione sia l’unica costituzionalmente accettabile.
Passando, quindi, all’esame del merito, è opportuno per la Corte sintetizzare le enunciazioni del giudice a quo nei tre punti in cui si articola essenzialmente la denunziata violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione:
- a) il tribunale ravvisa in primis un’insanabile contraddizione fra l’ultimo comma dell’art. 162 del codice civile, che rende inopponibili ai terzi le convenzioni matrimoniali non annotate a margine dell’atto di matrimonio, e gli artt. 2647 e 2915 dello stesso codice che continuano, invece, a richiedere la trascrizione degli atti aventi ad oggetto beni immobili e che importano vincoli di indisponibilità degli stessi. Questo contrasto determinerebbe tali incertezze ed incoerenze da tradursi nella irragionevolezza della legge e non in un mero difetto di coordinamento;
- b) la duplicità delle forme di pubblicità per i fondi patrimoniali con immobili, anche se una di esse resta degradata a pubblicità-notizia, sembra al giudice a quo ingiustificatamente troppo onerosa, indebolendo in modo irrazionale la difesa dei diritti della famiglia;
- c) sarebbe, invece, conforme ai principi costituzionali il sistema secondo cui la norma sulla necessità dell’annotazione delle convenzioni matrimoniali nei registri dello stato civile facesse eccezione per i fondi costituiti con beni immobili, riservando per essi il regime della normale trascrizione previsto dagli artt. 2647 e 2915 del codice civile.
In ordine a tali doglianze va riconosciuto per il Collegio che la certezza del diritto costituisce senza dubbio un valore fondamentale dell’ordinamento da realizzare nella massima misura possibile e che, in materia di pubblicità, la certezza è ovviamente lo scopo stesso del sistema.
Pur tuttavia – chiosa il Collegio – non ogni difetto o confusione legislativa si risolve in irrazionalità tale da determinare un vizio di incostituzionalità, tanto più che gli eventuali difetti riscontrabili in numerose formulazioni normative sono suscettibili di soluzioni che restano affidate agli interpreti.
Sullo specifico problema che forma oggetto del presente giudizio, prosegue il Collegio, la Corte di cassazione – nell’affermare che la costituzione del fondo patrimoniale avente per oggetto beni immobili deve essere, non solo annotata nei registri dello stato civile ai sensi dell’art. 162 del codice civile, ma anche trascritta ai sensi dell’art. 2647 dello stesso codice – ha fatto notare che, essendo stato abrogato il quarto comma della originaria formulazione dell’art. 2647 (che ricollegava alla trascrizione del patrimonio familiare l’effetto di opponibilità ai terzi), tale forma di pubblicità è stata degradata al rango di pubblicità-notizia, anche perchè la coesistenza di due forme di pubblicità aventi la medesima funzione sarebbe inutile e contraddittoria.
La stessa sentenza ha poi qualificato come “difetto di coordinamento” il fatto che il legislatore del 1975 si sia dimenticato di riformulare l’art. 2915, secondo cui “non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante (ipotesi diversa da quella in esame, in cui i creditori avevano solo ipotecato gli immobili) gli atti che importano vincoli di indisponibilità se non sono stati trascritti“.
Tale residua disposizione appare comunque spiegabile sulla base dei normali criteri interpretativi, tra i quali quello del rapporto fra norma generale e norma speciale.
Può inoltre osservarsi – come la Corte rammenta di aver già rilevato in tema di pubblicità nell’ambito del regime patrimoniale della famiglia (sentenza n. 311 del 1988) – che il dover estendere le ricerche sia presso i registri immobiliari sia presso i registri dello stato civile (questi ultimi “meno facilmente accessibili e anche meno affidabili“) costituisce un “onere che, pur fastidioso, non può dirsi eccessivamente gravoso al punto da offendere il principio dell’art. 24 della Costituzione“.
La stessa conclusione può valere anche riguardo all’art. 3 della Costituzione ed ancor più all’art. 29, posto che tale norma, tutelando essenzialmente gli aspetti etico-sociali della famiglia, non appare per la Corte utilmente invocata. Senza contare che, mediante i moderni strumenti di ricerca che la scienza continuamente perfeziona, le difficoltà e gli oneri lamentati si riducono sempre di più.
In ogni caso, la complessità del sistema pubblicitario in materia di regime patrimoniale della famiglia, e in particolare una duplice forma di pubblicità (cumulativa, ma a fini e ad effetti diversi) per la costituzione del fondo patrimoniale, trova giustificazioni razionali per il generale rigore necessario alle deroghe al regime legale, e per l’esigenza di contemperare due interessi contrapposti: da una parte presidiare, fino alla maggiore età dell’ultimo figlio, questo patrimonio di destinazione per i bisogni familiari dall’aggredibilità da parte dei creditori, e dall’altra evitare che del predetto istituto si faccia un uso distorto al fine di sottrarre ai creditori le garanzie loro spettanti sui beni, atteso che l’azione revocatoria non è sempre possibile o efficace.
Da quanto precede, deve escludersi per il Collegio che la predetta soluzione del sistema pubblicitario indicata dalla Corte di cassazione sia in contrasto con i principi costituzionali, e che quella proposta dal giudice rimettente vada considerata come l’unica conforme a Costituzione; tanto più che essa si risolve in sostanza nel ripristino del vecchio regime di pubblicità che il legislatore del 1975 – in coerenza con le linee della riforma – ha inteso superare facendo dell’annotazione nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio il perno del sistema di pubblicità, fondamentale per far conoscere ai terzi quali siano il regime e le convenzioni patrimoniali di ciascuna famiglia.
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Il 3 giugno esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.6269, onde nel caso di trasferimento in blocco di immobili, le finalità previste dalla trascrizione sono realizzate anche quando nella relativa nota siano inseriti elementi di individuazione – riferiti al pertinente complesso immobiliare – che consentano comunque di accertare che il trasferimento riguarda i singoli beni da cui tale complesso è costituito, particolarmente quando il complesso immobiliare in parola sia costituito dall’intero piano di un edificio, cioè da un bene di per sé suscettibile di autonoma individuazione in natura.
Ne consegue per il Collegio che il terzo non può eccepire la nullità della trascrizione con riferimento ad uno degli appartamenti dai quali è costituito un piano di un edificio, assumendo la mancata precisazione degli elementi in base ai quali tale appartamento sarebbe autonomamente individuabile rispetto agli altri appartamenti dello stesso piano, unitamente ai quali è stato trasferito, quando nella nota di trascrizione sono comunque inseriti elementi che consentano di stabilire che oggetto del trasferimento è stato appunto il piano nella relativa, pertinente interezza.
1996
Il 01 febbraio esce la sentenza del Tribunale di Pistoia che si colloca nel solco della giurisprudenza di merito (minoritaria) che si esprime in senso favorevole all’ammissibilità dei trasferimenti immobiliari ad effetti reali in sede di separazione consensuale e di divorzio (c.d. crisi coniugale).
Si affermato infatti da parte del Collegio che la clausola di un accordo traslativo della proprietà di un bene immobile, in quanto inserita nel verbale d’udienza, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c..
Il verbale di separazione consensuale, contenente clausole relative al trasferimento di immobili tra i coniugi, costituisce invero un vero e proprio contratto atipico, con cui le parti intendono attuare un regolamento dei loro rapporti in occasione della separazione, ed è un atto pubblico costituente valido titolo per la trascrizione.
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Il 12 marzo esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.2033 alla cui stregua l’art. 2657 c.c. deve assumersi indicare tassativamente le forme – sentenza, atto pubblico, scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente – che un atto deve necessariamente avere per costituire titolo per la trascrizione.
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Il 31 dicembre viene varata la legge n.669, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997, il cui art.3 introduce la possibilità di trascrivere il contratto preliminare.
In particolare, con il comma 1 dell’art.3 ridetto si introduce nel codice civile il nuovo art.2645 bis, rubricato “trascrizione di contratti preliminari” onde i preliminari dei contratti di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art.2643, anche se sottoposti a condizione o aventi ad oggetto fabbricati da costruire o in corso di costruzione, possono essere trascritti se redatti nelle forme di cui all’art.2657 (comma 1); dalla disposizione affiora dunque la mera facoltatività della trascrizione del contratto preliminare.
Stando al successivo comma 2, la trascrizione del contratto definitivo, stipulato in esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1 ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.
Ancora, gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro 1 anno dalla data convenuta tra le parti per l’esecuzione del preliminare stesso, e comunque non oltre 3 anni dalla trascrizione predetta, non venga trascritto il contratto definitivo o altro atto che, anche a diverso titolo, ne costituisca adempimento o la domanda giudiziale di cui all’art.2652, comma 1, n.2 (comma 3).
I contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni di fabbricati da costruire o in corso di costruzione devono poi indicare, ai soli effetti di questo articolo, la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo fabbricato, espressa in millesimi e calcolata sulla base della superficie utile prevista da apposito elaborato redatto da tecnico abilitato, asseverato con giuramento e allegato al contratto (comma 4).
La trascrizione ed ogni altra formalità ipotecaria vengono eseguite (comma 5) con riferimento all’immobile e per la quota determinata secondo le modalità di cui al comma 4; non appena la costruzione viene ad esistenza, le formalità esibite producono effetto rispetto alle porzioni materiali corrispondenti alle quote di proprietà predeterminate, nonché alle relative parti comuni; l’eventuale differenza di superficie, contenuta nei limiti di 1/20 rispetto a quella di riferimento nell’elaborato peritale di cui al comma 4, non produce effetti.
Ai fini delle disposizioni di cui al comma 5, si intende esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e completata dalla copertura (comma 6).
Il comma 2 dell’art.3 della novella sostituisce poi a fini di coordinamento, nell’art.2659 c.c., il numero 4, nel nuovo senso avvinto alla natura e alla situazione dei beni a cui si riferisce il titolo, con le indicazioni richieste dall’art.2826, nonché alla quota espressa in millesimi di cui all’art.2645 bis, comma 4, nel caso di trascrizioni di contratti preliminari.
Ancora, viene introdotto nell’art.2668 c.c. un comma 4 alla cui stregua si deve cancellare la trascrizione dei contratti preliminari quando la cancellazione è debitamente consentita dalle parti interessate ovvero è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato.
1997
Il 30 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.925, alla cui stregua – in tema di contratto preliminare e di pertinente trascrizione – il promissario acquirente può opporre al terzo i diritti nascenti dal preliminare trascritto solo alla scadenza del termine fissato per il contratto definitivo, poiché fino alla scadenza di detto termine il promittente alienante può adempiere all’obbligo dedotto nel preliminare.
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Il 28 febbraio viene varata la legge n.30 che converte, con modificazioni, il decreto legge 669.96 in tema, tra l’altro, di trascrizione dei contratti preliminari.
Importante il nuovo comma 1 dell’art.2645 bis c.c. onde i contratti preliminari “devono” essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata autenticata con sottoscrizione autentica o accertata giudizialmente: in sostanza, alla mera facoltatività della trascrizione del contratto preliminare viene sostituita una piena obbligatorietà della ridetta trascrizione, nel caso in cui la forma sia quella indicata dal legislatore.
Stando al successivo comma 2, la trascrizione del contratto definitivo, o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1 ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.
Ancora, in forza del nuovo comma 3 gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro 1 anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro 3 anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’art.2652, comma 1, n.2, c.c.
I contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione devono poi indicare, per essere trascritti, la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente, relativa all’intero costruendo edificio, espressa in millesimi (comma 4).
Nel caso previsto dal comma 4 la trascrizione va eseguita con riferimento al bene immobile per la quota determinata secondo le modalità di cui al comma stesso; non appena l’edificio viene ad esistenza, gli effetti della trascrizione si producono rispetto alle porzioni materiali corrispondenti alle quote di proprietà predeterminate nonché alle relative parti comuni; l’eventuale differenza di superficie o di quota contenuta nei limiti di 1/20 rispetto a quelle indicate nel contratto preliminare non produce effetti (comma 5);
Ai fini delle disposizioni di cui al comma 5, si intende esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e sia stata completata la copertura (comma 6).
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Il 16 aprile esce la sentenza del Tribunale di Napoli che si colloca nel solco di una giurisprudenza orientata a negare – nell’ambito della crisi coniugale – la possibilità di intese immediatamente traslative (soprattutto di immobili) all’interno del verbale di separazione consensuale o di divorzio congiunto.
Sulla scorta della distinzione operata dalla dottrina e della giurisprudenza di legittimità tra contenuto necessario e contenuto eventuale degli accordi di separazione, si assume come questi ultimi non possano ricomprendere negoziazioni prive dei requisiti formali e sostanziali necessari per la loro validità, come gli atti traslativi definitivi, ciò rientrando in un dovere funzionale volto al rispetto dei principi generali dell’ordinamento, segnatamente in materia di trascrizione di tali atti e di certezza e regolarità dei trasferimenti immobiliari.
Le parti, in tale prospettiva, ben potrebbero integrare le clausole costituenti il contenuto necessario delle pattuizioni di separazione e di divorzio, ma dovrebbero ricorrere “alla tecnica obbligatoria“, e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto.
Tale soluzione, si afferma, sarebbe ora confermata dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis, con il quale la legge avrebbe demandato al notaio, e non ad altri operatori, il compito della individuazione e della verifica catastale, nella fase di stesura degli atti traslativi, in tal modo mostrando di voler concentrare, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale sugli atti di trasferimento immobiliare, a tutela degli interessi ad essi sottesi.
Nè il giudice potrebbe, nemmeno in sede di volontaria giurisdizione, svolgere alcun potere certificativo e attributivo della pubblica fede alle dichiarazioni negoziali delle parti. Per il che, il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi non costituisce né atto pubblico, né scrittura privata autenticata, bensì una semplice scrittura privata, la cui efficacia nei confronti del terzi è sottoposta alla necessaria ripetizione del contratto nella forma dell’atto pubblico notarile, ai fini della trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c.
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Il 15 maggio esce l’importante sentenza della sezione I della Cassazione n.4306 onde – in tema di crisi coniugale – sono da ritenersi pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento.
Il suddetto accordo di separazione, precisa la Corte, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.
Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc“, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale.
Per il Collegio, più in generale, la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato nei relativi aspetti formali dall’art. 711 c.p.c., il quale ne prevede la documentazione nel verbale di udienza – redatto da un ausiliario del giudice ai sensi dell’art. 126 c.p.c. – e ne subordina l’efficacia all’omologazione, attribuita alla competenza del tribunale.
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Il 23 agosto esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.7940 che rammenta come avverso la trascrizione con riserva da parte del conservatore dei registri immobiliari il richiedente possa proporre reclamo ai sensi e con le formalità di cui all’art. 113 ter disp. att.
Il decreto del Tribunale che definisce il giudizio è immediatamente esecutivo ed è soggetto a reclamo presso la Corte d’appello.
Tale procedimento, precisa il Collegio, è assimilabile a quello cautelare, ed è caratterizzato da un contraddittorio non pieno, il cui oggetto è limitato all’accertamento della gravità e fondatezza dei dubbi che hanno indotto il conservatore alla riserva, mentre la definitiva pronuncia sulla sussistenza del diritto e sull’effettuazione della pubblicità è rimessa ad un eventuale giudizio di merito.
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Il 14 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11250 onde il negozio con il quale il costruttore di uno stabile, nell’alienare la costruzione, riservi a sé il diritto di proprietà del lastrico di copertura e il relativo ius inaedificandi, essendo finalizzato ad incidere sul regime dominicale della res e, in particolare, su diritti considerati dall’ordinamento inerenti al bene immobile oggetto della convenzione negoziale (e, pertanto, in assenza di contrario titolo, appartenenti al proprietario — o ai proprietari — dell’immobile medesimo), va assunto soggetto a trascrizione, ai sensi del disposto dell’art. 2645 c.c..
Il difetto di trascrizione, chiosa la Corte, a mente del combinato disposto degli artt. 2644 e 2645 c.c., rende detto negozio inopponibile ai terzi e, in particolare, ai successori del primo acquirente dell’edificio, qualora, di tale riserva di proprietà, non venga fatta menzione nei successivi negozi traslativi stipulati in loro favore.
1998
Il 5 maggio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.4523 onde, ai sensi e per gli effetti dell’art. 113 bis disp. att, in caso di rifiuto di trascrizione, il conservatore, laddove richiesto, deve indicare sulle note i relativi motivi e restituire uno degli originali al richiedente.
Quest’ultimo – precisa il Collegio – può ricorrere contro il rifiuto ai sensi della medesima norma, avvalendosi del procedimento di cui all’att. 745 c.p.c.; il procedimento si conclude con un decreto del Presidente del Tribunale, da assumersi non soggetto al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di un provvedimento conclusivo di un procedimento che non comporta esplicazione di un’attività giurisdizionale in sede contenziosa, in quanto non ha ad oggetto la risoluzione di un conflitto d’interessi, ma il regolamento secondo legge dell’interesse pubblico alla pubblicità immobiliare.
La pronuncia è importante perché testimonia la progressiva “pubblicizzazione” del sistema di trascrizione, che non opera già solo nell’interesse del privato che trascrive, ma anche nell’interesse pubblico alla certezza del traffico giuridico coinvolgente beni immobili e mobili registrati.
1999
Il 20 marzo esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.2600, onde la trascrizione della divisione opera ai solo fini della continuità delle trascrizioni, senza produrre gli effetti previsti – in termini di opponibilità ai terzi – dall’art.2644 c.c.
2000
Il 25 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.821 alla cui stregua la trascrizione dell’atto di divisione, data la pertinente natura (dichiarativa e retroattiva al momento in cui la comunione nacque, non già costitutiva), viene prevista esclusivamente ai fini dell’osservanza dell’onere di continuità delle trascrizioni previsto dall’att. 2650 c.c. e ha dunque la sola funzione di rendere conoscibile l’avvenuta divisione, senza aver alcun rilievo ai fini dell’opponibilità ai terzi.
* * *
*Il 2 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.1131 che si inserisce nel solco pretorio onde, in caso di doppia alienazione immobiliare, l’acquirente pregiudicato (primo acquirente, secondo trascrivente) può, per conservare la garanzia relativa al proprio credito, esercitare l’azione revocatoria della seconda alienazione.
Poiché la seconda alienazione (previamente trascritta) è anteriore al credito da tutelare (che nasce solo con la seconda trascrizione in capo al primo acquirente), non è sufficiente tuttavia per il Collegio la mera consapevolezza della precedente vendita da parte del secondo acquirente (primo trascrivente), ma è piuttosto necessaria la partecipazione di quest’ultimo alla dolosa preordinazione dell’alienante, ex art.2901, comma 1, n.2 c.c.
2001
*Il 4 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4947 alla cui stregua – sulla scorta della distinzione tra c.d. trascrizione “illegittima” (la domanda non era neppure astrattamente trascrivibile, perché non rientrante in una delle ipotesi tassative previste dagli articoli 2652 e 2653 c.c.) e trascrizione “ingiusta” (la domanda era astrattamente trascrivibile, ma la pretesa si è fondata su un diritto accertato poi come insussistente) – afferma come la prima sia disciplinata – a livello di responsabilità del trascrivente – dall’art.96, comma 1, c.p.c., mentre la seconda debba piuttosto essere ricondotta all’art.96, comma 2, c.p.c..
2004
Il 26 maggio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.10133, che muove dalla considerazione onde la preventiva trascrizione nei pubblici registri degli atti che trasferiscono la proprietà dei beni mobili registrati determina la prevalenza dell’acquirente sugli altri acquirenti dal medesimo dante causa che trascrivano successivamente.
La trascrizione mobiliare dunque, per il Collegio, ha natura di pubblicità dichiarativa e non costitutiva, la mancata trascrizione non inficiando né la validità né l’efficacia della pertinente compravendita, che si perfeziona con il semplice consenso, ed essendo tuttavia fondamentale a fini di opponibilità del trascritto acquisto ai terzi.
* * *
*Il 11 agosto esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.15569, che muove dalla considerazione onde la preventiva trascrizione nei pubblici registri degli atti che trasferiscono la proprietà dei beni mobili registrati determina la prevalenza dell’acquirente sugli altri acquirenti dal medesimo dante causa che trascrivano successivamente.
La trascrizione mobiliare dunque, per il Collegio, ha natura di pubblicità dichiarativa e non costitutiva, la mancata trascrizione non inficiando né la validità né l’efficacia della pertinente compravendita, che si perfeziona con il semplice consenso, ed essendo tuttavia fondamentale a fini di opponibilità del trascritto acquisto ai terzi.
2005
Il 03 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.2161, alla cui stregua nel conflitto tra acquirente a titolo derivativo e acquirente per usucapione di un medesimo bene, va data la prevalenza a quest’ultimo (acquirente per usucapione, e dunque a titolo originario) nei confronti dell’acquirente per atto tra vivi successivo all’avvenuta usucapione, indipendentemente dal tempo di trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione medesima, che ha efficacia meramente dichiarativa.
* * *
Sempre il 3 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.2162, che ribadisce come la trascrizione non produca alcun effetto sanante sul titolo cui accede, laddove quest’ultimo risulti viziato.
* * *
Il 29 giugno esce la sentenza della Corte d’Appello di Napoli onde la trascrizione dell’acquisto di eredità e dell’acquisto di legato è prevista ai fini della continuità delle trascrizioni ed opera come condizione di efficacia delle successive trascrizioni o iscrizioni eseguite a carico dell’erede e relative a beni ereditari.
2007
Il 5 aprile esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.8610, che si occupa della pubblicità nei registri immobiliari prevista dall’art.2647 c.c., laddove si prevede la trascrizione di quegli atti (coinvolgenti beni immobili) che impediscono il sorgere della comunione legale, vi derogano o la fanno cessare, come nel classico caso del fondo patrimoniale.
Si parla in proposito di una sorta di pubblicità “negativa“, con la sola funzione di far conoscere l’insussistenza della normale situazione di comunione legale che, invece, sorge per legge e produce i propri effetti senza che sia necessario alcun adempimento pubblicitario.
Per il Collegio, quanto alla natura di tale pubblicità, deve dunque parlarsi di pubblicità notizia, inidonea ad assicurare l’opponibilità ai terzi che viene invece interamente demandata all’annotazione del pertinente atto a margine dell’atto di matrimonio.
* * *
Il 3 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.25248 alla cui stregua – sulla scorta della distinzione tra c.d. trascrizione “illegittima” (la domanda non era neppure astrattamente trascrivibile, perché non rientrante in una delle ipotesi tassative previste dagli articoli 2652 e 2653 c.c.) e trascrizione “ingiusta” (la domanda era astrattamente trascrivibile, ma la pretesa si è fondata su un diritto accertato poi come insussistente) – si afferma come la prima sia disciplinata, quanto a responsabilità risarcitoria del trascrivente, dall’art.2043 c.c., mentre la seconda debba piuttosto essere ricondotta all’art.96, comma 2, c.p.c..
2009
Il 12 gennaio esce l’ordinanza della sezione II della Cassazione n.440 che si pone nel solco pretorio onde il verbale dell’udienza di comparizione (dei coniugi, nei giudizi di separazione e divorzio) redatto dal cancelliere ai sensi dell’art. 126 c.p.c., è un atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza.
* * *
Il 18 giugno viene varata la legge n.69, di riforma del processo civile, il cui art.62, comma 1, introduce nel codice civile un nuovo art.2668 bis in tema di durata dell’efficacia della trascrizione di domande giudiziali, alla cui stregua la trascrizione della domanda giudiziale conserva il proprio effetto per 20 anni dalla relativa data e tale effetto cessa se la trascrizione non è rinnovata prima che scada detto termine (comma 1).
Per ottenere la rinnovazione, si presenta al conservatore una nota in doppio originale, conforme a quella della precedente trascrizione, in cui si dichiara che si intende rinnovare la trascrizione originaria (comma 2); in luogo del titolo si può presentare la nota precedente (comma 3), ed il conservatore è tenuto ad osservare le disposizioni dell’articolo 2664 (comma 4).
Infine, se al tempo della rinnovazione della trascrizione di domanda giudiziale gli immobili a cui si riferisce il titolo risultano dai registri delle trascrizioni passati agli eredi o aventi causa di colui contro il quale venne eseguita la formalità (in sostanza, del convenuto), la rinnovazione deve essere fatta anche nei confronti degli eredi o aventi causa e la nota deve contenere le indicazioni stabilite dall’articolo 2659, se queste risultano dai registri medesimi (comma 5).
2010
Il 23 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Tribunale di Milano che muove dalla considerazione onde il legislatore del codice civile, all’art.2658 c.c., non impone che la domanda giudiziale da trascriversi sia necessariamente contenuta in un atto di citazione, limitandosi piuttosto a prescrivere che l’atto del quale si chiede la trascrizione sia già stato portato a conoscenza della controparte mediante la notifica.
L’art. 2658 c.c. ridetto non preclude dunque per il Tribunale la possibilità di trascrivere domande giudiziali contenute in un ricorso, come accade, ad esempio, qualora sia stato prescelto il rito sommario di cognizione.
Va tuttavia ribadita la necessità che il ricorso sia stato preventivamente notificato alla controparte e dunque munito della relazione di notificazione, come richiesto dall’art 2658 c.c. mentovato.
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Il 31 maggio viene varato il decreto legge n.78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica, il cui art.19, comma 14, introduce nella legge 52.85 un nuovo comma 1-bis all’art.29, onde gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale; la predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.
La norma – in tema di identificazione dei c.d. intestatari catastali – sembra in qualche modo prevedere che le operazioni su diritti reali concernenti fabbricati esistenti (trasferimento, costituzione, scioglimento di comunione) siano appannaggio esclusivo dei notai, e non anche di altri pubblici ufficiali, ivi compreso il cancelliere in sede di verbale di udienza.
* * *
Il 30 luglio viene varata la legge n.122 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.78.
2011
Il 23 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.6597, che premette come nel caso di specie la Corte di Appello di Genova abbia dovuto risolvere la seguente questione: se, proposta domanda, trascritta, per far accertare che all’attore spetta un diritto di prelazione e negato dipoi dal giudice che l’attore abbia un tale diritto, la parte convenuta possa in un diverso giudizio a propria volta proporre una domanda di risarcimento del danno, per il fatto che di quella precedente domanda il primo attore ne abbia chiesto ed ottenuto la trascrizione, sebbene in rapporto al tipo di diritto vantato la trascrizione non fosse ammessa.
La questione, rammenta il Collegio, è stata sollevata nel secondo giudizio dal primo attore, il quale ha sostenuto che, nella situazione descritta, la domanda di risarcimento del danno va dichiarata inammissibile, perché il potere di conoscerne spetta al giudice della domanda originaria e non può costituire quindi oggetto di un diverso giudizio; ciò, segnatamente, in applicazione dell’art. 96 c.p.c..
È necessario premettere in proposito per la Corte che l’art. 96 c.p.c. regola la responsabilità conseguente all’aver agito o resistito in giudizio, restando soccombente; esso per un verso completa la responsabilità che deriva dalla soccombenza, per altro verso disciplina il fatto costitutivo di tale responsabilità in modo speciale rispetto a quella generale da fatto illecito, perché qui può venire in rilievo non il fatto in sé di avere difeso il proprio diritto in giudizio, ma la violazione di un connesso reciproco dovere di lealtà delle parti, nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.
Da questo specifico tratto della disciplina sostanziale della responsabilità processuale aggravata deriva poi il tratto ulteriore, attinente però alla disciplina processuale, per cui giudice della violazione del dovere di lealtà debba essere quello che è stato investito dalla originaria domanda.
Risponde alla stessa esigenza di concentrazione che presidia la relativa competenza sulle spese processuali, chiosa ancora la Corte, il fatto che, avendo conosciuto del fondo della domanda, quel giudice conosca delle conseguenze che la parte risultata vincitrice gli espone d’aver subito, a causa del comportamento sleale dell’altra rimasta invece soccombente. Slealtà che quel giudice è nella miglior condizione per poter valutare rispetto ad altro.
L’art. 96 c.p.c. – precisano nondimeno a questo punto le SSUU – regola in modo espresso due situazioni.
La prima consiste in questo: è accertato dal giudice cui è stata proposta la domanda di merito che il diritto vantato sussisteva o no e la parte, nel giudizio in cui la domanda è stata proposta, può chiedere che sia valutato se averla proposta od avervi resistito ha concretizzato un comportamento caratterizzato da dolo o colpa grave.
La condanna per responsabilità processuale è pronunziata, con liquidazione anche di ufficio, sul presupposto e come effetto della decisione sul diritto vantato, ed in conseguenza della qualificazione dolosa o colposa della condotta processuale del soccombente.
La seconda consiste in questo: che il vanto del diritto è attuato non attraverso la relativa sola affermazione, bensì aggredendo la sfera patrimoniale dell’altra parte, sul piano esecutivo o cautelare, o con la trascrizione della domanda od iscrizione di ipoteca.
Qui, accertato che il diritto vantato non sussisteva – accertamento provocato dall’una o dall’altra parte -, a fondare la responsabilità processuale basterà l’aver agito senza la normale prudenza, e questo in ragione delle specifiche modalità invasive dell’atto di esercizio del diritto.
In ambedue i casi descritti dall’art. 96 – prosegue il Collegio – il fatto materiale costitutivo della responsabilità, cioè la esistenza o inesistenza del diritto vantato ed il modo in cui è stato esercitato, costituiscono l’oggetto della domanda principale.
Ci si soffermi ora – invita la Corte – sul caso che il diritto sia stato vantato in giudizio in base ad una domanda trascrivibile e che il convenuto di tale domanda abbia chiesto il rigetto: questa parte, al fine di vedere pronunciata la condanna dell’altra per responsabilità processuale aggravata, non avrà da sollecitare alcun ulteriore accertamento in diritto, ma, in vista di un eventuale accoglimento della propria istanza nei soli limiti del comma 2, dovrà provare che la domanda trascrivibile di fatto lo sia stata.
Lo stesso non è vero nel caso in cui sia stato vantato in giudizio un diritto in base a domanda non trascrivibile. In questo caso, precisano le SSUU, da un lato il diritto per cui è stata proposta e trascritta la domanda può essere accertato esistente, e tuttavia dal fatto della trascrizione può essere derivato un pregiudizio che rileva come danno risarcibile; dall’altro chi lo ha subito, per ottenere il risarcimento, deve richiedere al giudice un accertamento, in diritto, su un fatto diverso dal vanto in giudizio venuto dall’attore e precisamente sulla questione dell’essere dalla norma sostanziale prevista come non trascrivibile la domanda che l’attore ha proposto.
Né si può dire che il caso – cioè il fatto che la domanda sia stata trascritta senza poterlo essere – ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 96, comma 1. La soluzione si espone infatti per le SSUU ad una duplice obiezione.
La prima è che il fatto della trascrizione non consentita dovrebbe essere valutato non in rapporto al canone della colpa o della omissione di una prudenza normale, ma a quelli del dolo o della colpa grave.
La seconda è che, chi abbia fatto legittimo affidamento sul fatto che la domanda, perché non trascrivibile, non sia stata trascritta, si vedrebbe preclusa la domanda per danni per non aver introdotto la relativa istanza nel giudizio promosso dall’attore per vedere accertato il diritto da lui vantato.
La mancanza di una espressa indicazione formale contenuta nella norma e l’assenza del presupposto necessario per radicare la competenza del giudicante ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (presupposto consistente nella preclusione all’emissione di un giudizio di merito in ordine al comportamento tenuto con la trascrizione della domanda giudiziale) costituiscono dunque elementi sufficienti per indurre a ritenere che si possa far valere autonomamente dall’interessato il pregiudizio asseritamente subito, ai sensi dell’art. 2043 c.c..
Detta conclusione risulta confortata per il Collegio pure per altro verso, vale a dire in ragione della totale inefficacia che avrebbe la trascrizione di una domanda giudiziale non compresa fra quelle elencate negli artt. 2652 e 2653 c.c..
Ed invero, riprende la Corte, giova in proposito rilevare che la funzione della trascrizione va individuata nell’avvertita esigenza di notiziare i terzi dell’esistenza di contestazioni in ordine alla titolarità di diritti reali (e di altri specificamente indicati dal sistema) e di consentire l’effetto retroattivo della sentenza, in modo tale, cioè, da evitare il pregiudizio che le parti potrebbero subire per effetto del decorso del tempo necessario per la definizione del giudizio, e comunque per il ritardo nella decisione.
Orbene, se va condivisa l’astratta qualificazione della trascrizione della domanda giudiziale come atto processuale (laddove normativamente prevista) in quanto posto in essere in funzione di un processo, qualche riserva può fondatamente essere sollevata nel caso in esame, atteso che l’assenza di una previsione normativa legittimante la trascrizione della domanda esclude che alla stessa possa essere riconosciuta alcuna valenza processuale, non potendo ad essa essere attribuito, neppure in via astratta ed ipotetica, alcun effetto sostanziale.
Se i due rilievi sopra evidenziati (non ravvisabilità nella fattispecie della ratio fondante i poteri del giudice e irrilevanza processuale della trascrizione), come detto, depongono per la correttezza della decisione adottata dalla Corte di appello nel caso di specie, detta conclusione risulta per la Corte pure confortata sotto altri aspetti.
In proposito occorre infatti evidenziare che, come già precedentemente anticipato, il giudizio di danni ex 96 c.p.c. non viene formulato con modalità identiche e sovrapponibili a quelle che caratterizzano il giudizio ex art. 2043, da quest’ultimo diversificandosi sia per quanto concerne l’instaurazione, che per quanto riguarda il parametro di definizione.
Sul primo punto l’art. 96, comma 1, stabilisce invero che il giudice pronuncia la condanna su istanza di parte (rispetto alla quale non è fissato alcun termine per la relativa presentazione) e può procedere alla liquidazione del danno anche di ufficio, proponendo così una regolamentazione del tutto diversa rispetto alla disciplina dettata in via ordinaria per le domande giudiziali (con riferimento, in particolare, alla scansione dei tempi di trattazione del processo e alla necessità di dare dimostrazione della consistenza del pregiudizio asseritamente subito).
Sul secondo aspetto va ricordato che la condanna risarcitoria ex art. 96 presuppone, oltre alla soccombenza della parte, un’azione o una resistenza in giudizio connotata da mala fede o colpa grave. Nella specie, dunque, è stato stabilito un parametro più rigoroso e riduttivo rispetto all’ordinario, per quel che concerne il grado di colpa ordinariamente richiesto per la condanna al risarcimento del danno (ai fini della responsabilità ex art. 2043 è sufficiente la colpa lieve), con la conseguenza che, ove ritenuta preclusa l’azione ex art. 2043 c.c. per il connotato di specialità attribuito all’art. 96 c.p.c., il danneggiato sarebbe privato del diritto di azione con riferimento a comportamenti lesivi, altrimenti punibili, posti in essere nel processo con la semplice colpa lieve.
L’assenza di una specifica previsione del legislatore in ordine alla comprensione dell’ipotesi di trascrizione di domanda illegittima fra quelle indicate nell’art. 96, comma 1, induce dunque a ritenere che, in mancanza di indicazioni normative, debba comunque essere privilegiata una interpretazione che sia in sintonia con il dettato costituzionale (nella specie il riconoscimento e la tutela del diritto di agire in giudizio).
Non sembra infine inutile alla Corte un’ultima considerazione relativa ai possibili effetti pregiudizievoli riconducibili ad un’interpretazione che privilegiasse l’assorbente carattere di specialità dell’art. 96 c.p.c. rispetto all’art. 2043 c.c..
Il citato art. 96 impone, come detto, che l’istanza risarcitoria venga proposta davanti al giudice del processo in cui si sono manifestati il dolo o la colpa grave di una delle parti.
Orbene nel caso di trascrizione ingiusta (vale a dire avente, ad oggetto atti compresi nell’elencazione di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c.), correttamente possono essere addebitate alla parte che la subisce le conseguenze derivanti dall’omesso controllo effettuato al riguardo (consistenti nell’impossibilità di richiedere il risarcimento al di fuori della disciplina dell’art. 96), essendo (o dovendo essere) conosciuta la potenziale trascrivibilità dell’atto, poiché inserito nell’elenco normativamente previsto.
Diversamente deve invece dirsi per quanto concerne la trascrizione illegittima (cioè di atti non compresi nel detto elenco), poiché la mancata previsione normativa sul punto esclude la configurabilità di un obbligo di verifica a carico della parte che subisce la trascrizione, alla quale non possono dunque essere addebitate le gravi conseguenza derivanti dall’inosservanza di obblighi cui non era tenuta, quali quelli – della preclusione all’esercizio dell’azione risarcitoria nella sede propria.
Il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, riprende a questo punto il Collegio tirando le fila – che devono essere esaminati congiuntamente perché fra loro connessi – prospettano sostanzialmente la medesima censura, sia pur sotto profili non coincidenti, consistente nella pretesa erroneità della decisione, laddove era stata affermata la non trascrivibilità della domanda avente ad oggetto l’accertamento di un patto di prelazione ed era stato comunque configurato un pregiudizio per effetto dell’avvenuta trascrizione della domanda in una ipotesi non contemplata dal codice civile.
La detta censura, precisano le SSUU, è infondata.
Ed infatti l’assunto secondo il quale la domanda in questione sarebbe stata suscettibile di trascrizione è basato su una pretesa assimilazione del patto di prelazione al contratto preliminare che, ove sussistenti le condizioni normativamente previste (stipulazione del contratto con atto pubblico ovvero con scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente, oggetto del contratto limitato agli immobili di cui all’art. 2643 c.c., nn. 1, 2, 3, 4, vale a dire contratti ad effetti reali traslativi o costitutivi) sarebbe trascrivibile (art. 2645 bis c.c.).
Detta prospettazione è tuttavia priva di pregio perché, nell’assenza di una esplicita previsione normativa relativa alla trascrivibilità del patto di prelazione, non ricorrono le condizioni per operare un accostamento sostanziale fra le due diverse ipotesi prese in considerazione, e ciò in quanto:
- a) nel caso del contratto preliminare è individuabile un’obbligazione già esistente, rispetto alla quale ha senso assicurare un effetto prenotativo, effetto che non è viceversa collegabile al patto di prelazione, atteso che in tale ultimo caso non vi è alcun accordo preventivo, e quindi alcun obbligo, per un futuro trasferimento (C. 02/14645, C. 99/3571, C. 82/6005, C. 82/3009);
- b) la fattispecie in esame non rientra comunque fra quelle indicate nell’art. 2645 bis c.c. poiché nella specie non è configurabile alcun contratto ad effetti reali traslativo o costitutivo;
- c) l’art. 2645 bis non sarebbe in ogni modo applicabile, atteso che risulta che l’accordo è stato concluso con una semplice scrittura privata.
Quanto infine all’ulteriore profilo relativo all’insussistenza di un pregiudizio in danno della parte vulnerata dalla trascrizione, è sufficiente in proposito rilevare che l’illiceità originaria della trascrizione medesima giustifica appieno la condanna generica della controparte al risarcimento del danno (C. 10/13127, C. 07/25248).
È infondato – prosegue la Corte – anche il quarto motivo, con il quale si è denunciata una carenza di interesse al giudizio della controparte, atteso che il tribunale aveva respinto la domanda da lei proposta “con conseguente automatica cancellazione della trascrizione della domanda introduttiva del giudizio“.
È invero certo che la cancellazione della trascrizione dell’atto di citazione non era stata disposta con la sentenza di primo grado poi impugnata e, attesa la potenzialità pregiudizievole di una trascrizione illegittimamente eseguita, ne risulta incontestabilmente un interesse della parte alla rimozione di un atto ritenuto lesivo.
Né rileva in senso contrario il richiamo della ricorrente alla necessità del passaggio in giudicato della sentenza emessa nel processo originato dalla domanda trascritta ovvero alla possibilità del ricorso alla procedura per correzione di errori materiali.
Sul primo punto infatti, chiosa la Corte, occorre precisare che nel caso in esame non ricorre un’ipotesi di trascrizione da cancellare perché conseguente a domanda non accolta (per la quale sarebbe correttamente applicabile il principio evocato) ma, più semplicemente, un’ipotesi di trascrizione illegittima perché non prevista dalla legge, del tutto autonoma, dunque, rispetto alla pronuncia di merito in relazione alla quale era stata effettuata la trascrizione.
Sul secondo, va rilevato che l’eventuale possibilità (per vero dubbia) del ricorso alla procedura per correzione di errore materiale non esclude l’interesse della parte alla cancellazione della trascrizione, legittimamente perseguito in via giudiziaria con gli strumenti offerti dall’ordinamento.
Quanto infine alle altre due argomentazioni prospettate nel caso di specie dalla ricorrente, per le SSUU, da una parte, non risulta precedentemente rappresentata la questione relativa alla conoscenza dell’avvenuta trascrizione della domanda e, dall’altra, che il potenziale conflitto di giudicati (fra l’altro rimovibile con la revocazione) non escluderebbe comunque l’astratta proponibilità della domanda. In ogni modo, è appena il caso di considerare che le dette circostanze sarebbero certamente inidonee ad incidere sulla pretesa carenza di interesse della parte contro la quale la trascrizione è stata eseguita.
Resta infine – conclude il Collegio – l’ultimo motivo relativo alla contestata condanna al pagamento delle spese processuali, incentrato sull’affermata omessa valutazione del comportamento delle parti al fine dell’individuazione del responsabile della lite e dell’accertamento della loro buona o mala fede, doglianza che va disattesa poiché la Corte di Appello ha correttamente motivato la statuizione sul punto, espressamente richiamando il principio della soccombenza in applicazione del disposto di cui all’art. 91 c.p.c..
2012
Il 31 maggio esce la sentenza del Tribunale di Avellino alla cui stregua l’art. 2645 c.c. va assunto come norma elastica, che consente come tale di superare la logica di rigida tassatività delle ipotesi di trascrizione propria dell’abrogato codice del 1865, per accedere ad un sistema più moderno, volto ad estendere la pubblicità legale a tutte le vicende riguardanti diritti immobiliari, opponibili ai terzi.
2013
Il 5 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5397 onde la trascrizione della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 2652, n. 2, c.c., ha la funzione di prenotare, nei confronti dei terzi, gli effetti della pronuncia che verrà successivamente emessa, realizzando una tutela anticipata del diritto che colui che trascrive andrà ad acquistare.
Ne consegue per il Collegio che, nel caso della trascrizione della domanda di giudizio arbitrale, finalizzata all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di acquisto di nuda proprietà di un immobile, chi trascrive non è tenuto a dare conto, nella relativa nota, anche dell’esistenza e della durata dell’usufrutto residuo gravante sull’immobile stesso, trattandosi di diritto di cui è titolare un soggetto diverso da quello che trascrive la domanda giudiziale.
2014
Il 5 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5102 alla cui stregua la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica di contratto preliminare produce gli effetti prenotativi previsti dall’art. 2652, n. 2, cod. civ. solo in caso di trascrizione della successiva sentenza di accoglimento e non anche quando il processo sia stato definito con verbale di conciliazione.
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Il 9 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.12959 alla cui stregua in tema di donazione modale, la trascrizione della domanda di risoluzione per inadempimento dell’onere non pregiudica il diritto acquistato dal terzo con atto trascritto anteriormente, a prescindere dalla sua buona fede, requisito non contemplato dall’art. 2652, n. 1, cod. civ.
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Il 24 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24960 onde la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. dell’obbligazione di alienare un immobile ha efficacia “prenotativa” ai sensi dell’art. 2652, n. 2, cod. civ., sicché, in tal caso, sono inopponibili al promissario acquirente le alienazioni a terzi effettuate dal promittente venditore in epoca successiva, e rende possibile il trasferimento del bene in favore dell’attore.
2016
Il 14 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 23127 onde nell’ipotesi di conflitto fra acquisto “a domino” ed acquisto “a non domino” del medesimo bene, non opera l’istituto della trascrizione.
Quest’ultima, precisa il Collegio, è una forma di pubblicità legale intesa soltanto a risolvere il conflitto fra soggetti che abbiano acquistato lo stesso diritto, con distinti atti, dal medesimo proprietario, priva di efficacia sanante dei vizi di cui sia affetto l’atto negoziale, ed inidonea ad attribuirgli la validità di cui esso sia naturalmente privo.
La Corte esclude dunque l’opponibilità, nei confronti dell’acquirente “a domino“, sebbene in virtù di titolo non trascritto, della trascrizione di un verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto il trasferimento da parte di chi, al momento della relativa sottoscrizione, non ne era più il titolare, dei medesimi diritti dominicali alienati dal titolare effettivo (alienazione quest’ultima avvenuta, dunque, “a non domino”).
2017
Il 24 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1797 onde affinché, in un contratto per persona da nominare, l’electus possa godere degli effetti prenotativi del preliminare – anche quanto alle ipoteche iscritte contro il promittente alienante tra la trascrizione del preliminare suddetto e del contratto definitivo – è necessario, ma sufficiente, che la dichiarazione di nomina sia trascritta entro il termine stabilito nel preliminare, e comunque, entro quello ex art. 2645-bis, comma 3, c.c., non occorrendo, altresì, che la riserva di nomina risulti dalla nota di trascrizione del preliminare.
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Il 27 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2043 onde il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, né di soggettività, per quanto limitata od ai soli fini della trascrizione, ma un mero insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee, che rimane l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto.
Non osta a tale conclusione – precisa il Collegio – la nota di trascrizione del negozio di dotazione del trust, che non sarebbe comunque idonea a fondare una valida continuità di trascrizioni con un soggetto inesistente.
2018
Il 30 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.21385 onde qualora un immobile incluso in un fondo patrimoniale sia stato alienato a terzi e su di esso sia stata iscritta ipoteca in data anteriore alla trascrizione della compravendita, gli effetti dell’atto dispositivo non sono opponibili al creditore, se per lui pregiudizievoli.
Ciò non esclude tuttavia per la Corte che il creditore possa comunque avvalersi di quegli effetti qualora siano per lui favorevoli, come emerge dal coordinamento del principio consensualistico con quello dell’efficacia meramente dichiarativa della trascrizione.
Nella specie, in cui un creditore ha iscritto ipoteca su un immobile costituito in fondo patrimoniale da coniugi suoi debitori e da questi ultimi alienato con atto trascritto successivamente all’iscrizione ipotecaria, per la Corte il creditore può giovarsi di tale alienazione per dedurre la sopravvenuta inefficacia dei vincoli derivanti dalla pregressa appartenenza dell’immobile ad un fondo patrimoniale, non potendo al contempo opporsi allo stesso creditore l’alienazione, perché trascritta successivamente alla iscrizione dell’ipoteca a proprio favore.
2019
Il 25 ottobre esce l’ordinanza della sezione II della Cassazione n.27409 che, sulla scia delle statuizioni contenute già nella pronuncia n. 4306/1997, afferma – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – come gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondano, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria.
Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi per la Corte dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale.
Va allora ribadito per la Corte che il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisce, a seguito dell’omologa ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c.
2020
Il 21 gennaio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.1202, che adduce una ulteriore, chiara indicazione in senso favorevole all’ammissibilità degli accordi traslativi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto.
La Corte si pronuncia in materia di “negoziazione assistita” affermando che ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 6, convertito dalla L. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui del medesimo D.L. n. 132, art. 5, comma 3.
Ne consegue che, per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione, contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3, succitato.
La pronuncia costituisce dunque non soltanto una conferma dell’ammissibilità di siffatti accordi nella sistemazione dei rapporti economici nella c.d. crisi coniugale, ma anche della non esclusività della funzione certificatoria in capo al notaio, essendo a quest’ultimo equiparabile qualunque pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
2021
Il 29 luglio esce la importante sentenza delle SSUU n.21761 in tema di contratti della crisi coniugale, ammissibilità dell’accordo ricognitivo o attuativo di un trasferimento immobiliare e pertinente trascrizione.
Per il Collegio, vanno assunte valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento.
Il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume per il Collegio forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c..
Principia il Collegio come la questione relativa alla possibilità per le parti di introdurre – negli accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto, ferme talune differenze tra i due atti – clausole diverse da quelle facenti parte del contenuto necessario di tali accordi, abbia ricevuto da parte della dottrina risposte diverse ed articolate.
Una parte degli autori si è attestata su posizioni di maggiore chiusura, affermando che gli accordi tra i coniugi in sede di divorzio congiunto o di separazione consensuale non potrebbero avere un contenuto diverso da quello necessario, che si riferisce nel dettato delle norme che disciplinano le due diverse fattispecie all’affidamento dei figli minori ed al loro mantenimento, all’esercizio della responsabilità genitoriale, all’assegnazione della casa coniugale, all’eventuale mantenimento del coniuge, e comunque alla disciplina di tutte quelle situazioni che avrebbero potuto costituire oggetto della statuizione del giudice.
Tale opzione interpretativa – rammenta ancora la Corte – si fonda, per il divorzio, sul tenore letterale della disposizione di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 16, che fa riferimento – quale contenuto della domanda congiunta – alla compiuta indicazione delle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici“, nonché, per la separazione, sul disposto dell’art. 158 c.c., artt. 710 e 711 c.p.c., nei quali si fa riferimento all'”accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli“, ed ai “provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione“, che possono essere modificati in ogni tempo su istanza delle parti.
Secondo i sostenitori di questa tesi, pertanto, non vi sarebbe spazio per i trasferimenti immobiliari nè in sede di separazione consensuale, nè in sede di divorzio. Solo il notaio potrebbe, invero, ricevere i negozi giuridici traslativi di diritti reali, quand’anche l’esigenza della loro stipulazione sia originata dalla crisi coniugale; sicché – seppure riportati nel verbale del giudizio – tali accordi traslativi non potrebbero comunque essere trascritti.
Altri autori – pur ritenendo in astratto valido l’accordo immediatamente traslativo di beni immobili in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto – ritengono comunque preferibile adottare la “procedura bifasica” (assunzione dell’obbligo di trasferire in sede giudiziale e redazione dell’atto notarile in esecuzione dell’obbligo assunto) in ragione dell’elevato rischio di errori invalidanti, connesso agli adempimenti e alle verifiche richiesti per gli atti immediatamente traslativi (indicazioni urbanistiche, attestazioni di prestazione energetica e certificazione catastale).
Altra dottrina, riprendono le SSUU, – in un’ottica di maggiore apertura, dettata dalla necessità di tenere conto del contesto peculiare nel quale si sviluppano siffatti accordi traslativi, dettati dall’esigenza di porre fine quanto prima, e senza il rischio di successivi ripensamenti pregiudizievoli per la stabilità, già precaria, della situazione familiare – si spinge fino a valutare unitariamente e complessivamente tutte le condizioni della separazione (o del divorzio), ed arriva ad attribuire ad esse una comune connotazione di tipicità, cui fa conseguire una disciplina unitaria.
In particolare, secondo tale tesi, occorrerebbe tenere conto del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la protratta convivenza genera, operando una ricostruzione che, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, faccia perno, invece, sull’individuazione di un vero e proprio contratto di definizione della crisi coniugale o, più esattamente, dei pertinenti aspetti patrimoniali.
Tale contratto dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale.
E si tratterebbe di accordi tipici, in quanto ancorati alle previsioni – valorizzate in un significato diametralmente opposto a quello propugnato dal primo orientamento – dell’art. 711 c.p.c. e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, laddove si riferiscono, rispettivamente, alle “condizioni della separazione consensuale” e alle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici” delle parti.
A tali contratti è attribuito il nome di “contratti della crisi coniugale” o di “contratti post-matrimoniali“.
La giurisprudenza di legittimità – rammenta a questo punto il Collegio – ha più volte affrontato la problematica dei trasferimenti di diritti reali immobiliari in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto in decisioni emesse, peraltro, con riferimento a contesti fattuali spesso differenti l’uno dall’altro, e non sempre affrontando tutti i complessi profili implicati dalle due fattispecie.
Sicché è intuibile l’esigenza – avvertita dall’ordinanza di rimessione – di fare piena chiarezza sull’intera questione, attraverso una decisione che – muovendo dalla vicenda inerente un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario – fornisca, altresì, le coordinate interpretative per la risoluzione delle problematiche, del tutto simili, anche se non identiche, implicate dal contiguo – e non agevolmente disgiungibile sul piano dogmatico – istituto della separazione consensuale dei coniugi.
E ciò tenuto conto anche del fatto che talune affermazioni di principio sono state emesse proprio con riferimento a casi di separazione incardinati quando ancora la legge sul divorzio non era entrata in vigore, e sono state – dipoi – traslate a fattispecie di divorzio successive.
Nelle prime decisioni in materia, rammenta il Collegio, sebbene il problema non sia stato consapevolmente e funditus affrontato, avendo tali pronunce ad oggetto la costituzione a favore del coniuge, in sede di separazione, di un diritto reale di abitazione, o il trasferimento di beni, ma con riferimento specifico alla necessità di integrazione del contributo al mantenimento del medesimo (Cass., 12/06/1963, n. 1594; Cass., 27/10/1972, n. 3299), o al riconoscimento della proprietà esclusiva di alcuni beni al coniuge, ma in funzione divisoria (Cass., 11/11/1992, n. 12110), non si è mancato, tuttavia, di rilevare la validità della clausola, con la quale i coniugi, nel verbale di separazione consensuale, riconoscano la proprietà esclusiva di singoli beni mobili ed immobili in favore dell’uno o dell’altra.
Fondamentale è, per contro, una successiva pronuncia, nella quale la Corte rammenta di avere affermato che sono da ritenersi pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento.
Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.
Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc“, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale.
La pronuncia contiene poi l’affermazione di rilievo – ai fini della risoluzione della questione oggetto di esame della Corte – secondo cui la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato nei relativi aspetti formali dall’art. 711 c.p.c., il quale ne prevede la documentazione nel verbale di udienza – redatto da un ausiliario del giudice ai sensi dell’art. 126 c.p.c. – e ne subordina l’efficacia all’omologazione, attribuita alla competenza del tribunale (Cass., 15/05/1997, n. 4306).
In senso contrario, precisa tuttavia il Collegio, si era in precedenza espressa una pronuncia – rimasta, peraltro, isolata – secondo la quale, qualora i coniugi abbiano convenuto, nell’accordo di separazione, una donazione, l’omologazione non vale a rivestire l’atto negoziale della forma dell’atto pubblico, richiesto dall’art. 782 c.c., che gli artt. 2699 e 2700 c.c., impongono sia “redatto” e “formato” dal pubblico ufficiale (Cass., 08/03/1995, n. 2700).
La decisione non chiarisce, tuttavia, l’aspetto fondamentale della questione, concernente la ragione per la quale il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi, sebbene redatto dal cancelliere – che è, a propria volta, un pubblico ufficiale – con le modalità di cui all’art. 126 c.p.c., non rivesta la natura di un atto pubblico.
Le statuizioni contenute nella pronuncia n. 4306/1997 hanno trovato peraltro conferma – prosegue il Collegio – in tutta la giurisprudenza successiva, essendosi affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria.
Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass., 25/10/2019, n. 27409).
In tale decisione, la Corte ha ribadito che il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisse a seguito dell’omologa, ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass., 15/04/2019, n. 10443).
Ma già in precedenza, nello stesso senso della pronuncia succitata e sempre con riferimento all’esperimento dell’azione revocatoria, la Corte aveva più volte conformemente statuito sui presupposti per l’utile esperimento di tale azione contro il trasferimento immobiliare concordato in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, in tal modo riconoscendone quanto meno implicitamente – la validità (in tal senso, cfr. Cass., 23/03/2004, n. 5741; Cass., 26/07/2005, n. 15603; Cass., 14/03/2006, n. 5473; Cass., 12/04/2006, n. 8516, con riferimento alla revocatoria fallimentare, Cass., 13/05/2008, n. 11914; Cass., 10/04/2013, n. 8678; Cass., 05/07/2018, n. 17612).
Altre decisioni di legittimità hanno recepito la distinzione tra “contenuto essenziale” e “contenuto eventuale“, elaborata dalla dottrina succitata, avendo statuito che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo “occasione” nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata.
Ne consegue che questi ultimi accordi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c., o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c. (Cass., 19/08/2015, n. 16909; Cass., 30/08/2019, n. 21839, che ha ammesso l’azione di simulazione nei confronti di un patto, contenuto nelle condizioni di separazione consensuale omologate, che prevedeva trasferimenti immobiliari tra le parti).
Ma al di là della precisazione, concernente il diverso contenuto degli accordi della crisi coniugale, va rilevato per il Collegio come venga anche da tali decisioni sostanzialmente ribadita l’ammissibilità dei patti di trasferimento di diritti reali in sede di separazione consensuale e di accordo congiunto di divorzio.
Di particolare interesse ai fini della risoluzione della questione ad esse sottoposta, ed a prescindere dalla peculiarità della pertinente vicenda, si palesa altresì per le SSUU una recente pronuncia nella quale si è ritenuto che la previsione di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497 – che attribuisce alle persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali e che abbiano acquistato immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la facoltà di optare per la liquidazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5 e quindi sulla base della rendita catastale – operi anche nel caso in cui il trasferimento (nella specie, cessione di quote di una casa di civile abitazione) avvenga in via transattiva davanti all’autorità giudiziaria.
Ed invero – si afferma – il verbale di conciliazione giudiziale presenta tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita, essendo il giudice, al pari di un notaio, un pubblico ufficiale ed assumendo detto verbale il valore di vero e proprio atto pubblico (Cass., 30/10/2020, n. 24087). In tale decisione la Corte perviene, pertanto, all’equiparazione, sotto i profili del contenuto e della forma, delle cessioni di immobili abitativi perfezionate con atto notarile e dei trasferimenti effettuati in sede di conciliazione giudiziale, proprio sulla scorta della giurisprudenza succitata in materia di trasferimenti concordati in sede di separazione consensuale e divorzio congiunto.
Ulteriori implicite conferme in tal senso provengono, peraltro, anche da una serie di decisioni in materia fiscale, concernenti l’applicazione del disposto della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 19, che, nel testo risultante dalle pronunce di illegittimità costituzionale nn. 176 del 1992 e 154 del 1999, stabilisce l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” per tutti i provvedimenti giudiziali resi nelle cause di divorzio o di separazione dei coniugi.
Si è, invero, affermato – precisa ancora il Collegio – che le agevolazioni di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19, operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare, sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge.
Tale agevolazione si estende ad ogni tipo di “tassazione“, indipendentemente dalla natura di imposta o di tassa in senso proprio del tributo concretamente in discussione (Cass., 22/05/2002, n. 7493; Cass., 28/10/2003, n. 16171; Cass. 03/02/2016, n. 2111). E l’esenzione è stata riconosciuta anche agli atti stipulati a seguito dell’assunzione del solo obbligo di trasferimento in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, in favore di alcuno dei coniugi o dei figli, senza che sia posto in essere dalle parti un accordo traslativo definitivo (Cass., 28/06/2013, n. 16348; Cass., 30/05/2005, n. 11458).
Del tutto incontroversa nella giurisprudenza, riprende a questo punto la Corte, è peraltro l’ammissibilità – sul piano generale, anche a prescindere dalla materia fiscale – della sola assunzione dell’obbligo di trasferire la proprietà di un bene, o altro diritto reale, con gli accordi di separazione o di divorzio.
Sotto tale profilo, può anzi affermarsi che qualsiasi clausola che sia in grado di soddisfare gli interessi delle parti a regolare consensualmente – in quel particolare e delicato contesto costituito dalla crisi coniugale – gli aspetti economici della vicenda in atto, sia essa di mero accertamento della proprietà di un bene immobile, ovvero di cessione definitiva del bene stesso, o ancora di assunzione dell’obbligo di trasferirlo, è stata ritenuta egualmente ammissibile e valida dalla giurisprudenza di legittimità.
In tal senso, si è statuito, infatti, che è di per sé valida la clausola dell’accordo di separazione che contenga l'”impegno” di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, trattandosi di pattuizione che dà vita ad un “contratto atipico”, distinto dalle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c. e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322 c.c. (Cass. 17/06/2004, n. 11342).
Nella medesima prospettiva si pone l’affermazione secondo cui l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole ben può essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta.
Si è precisato, pertanto, che la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice, chiamato a pronunciarsi nel giudizio di divorzio, dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella pertinente concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento (Cass., 02/02/2005, n. 2088).
L’obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti) può essere, per vero, legittimamente adempiuto dai genitori – nella crisi coniugale – mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio, attribuisca direttamente – o impegni il promittente ad attribuire – la proprietà di beni mobili o immobili ai figli, senza che tale accordo (formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli artt. 155, 158, 711 c.c. e della L. n. 898 del 1970, artt. 4 e 6 e sostanzialmente costituente applicazione della “regula iuris” di cui all’art. 1322 c.c., attesa la indiscutibile meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti) integri gli estremi della liberalità donativa, ma assolvendo esso, di converso, ad una funzione solutorio-compensativa dell’obbligo di mantenimento.
L’accordo in parola, comporta l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori abbiano loro attribuito, o si siano impegnati ad attribuire; di talché, in questa seconda ipotesi, il correlativo obbligo, è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (Cass., 21/02/2006, n. 3747; Cass., 23/09/2013, n. 21736, secondo cui tale pattuizione non è affetta da nullità, non essendo in contrasto con norme imperative, né con diritti indisponibili).
È indifferente, in definitiva, nella giurisprudenza della Corte, la modalità con la quale il regolamento di interessi avvenga, purché esso sia idoneo a garantire un soddisfacente assetto dei rapporti tra le parti – per un futuro nel quale la convivenza coniugale si avvia verso un esito di separazione o di scioglimento – in tempi ragionevoli che consentano di chiudere la crisi al più presto, quanto meno sul piano economico.
Ed in tale prospettiva – anticipa il Collegio – lo strumento più adeguato si palesa proprio il trasferimento immobiliare definitivo, escluso invece – nel caso di specie – dalla sentenza impugnata.
Una ulteriore chiara indicazione in senso favorevole all’ammissibilità degli accordi traslativi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto proviene, infine, da una pronuncia in materia di “negoziazione assistita“, secondo la quale, ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 6, convertito dalla L. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui del medesimo D.L. n. 132, art. 5, comma 3.
Ne consegue che, per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione, contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3, succitato (Cass., 21/01/2020, n. 1202).
La pronuncia – precisa il Collegio – costituisce non soltanto una conferma dell’ammissibilità di siffatti accordi nella sistemazione dei rapporti economici nella crisi coniugale, ma anche della non esclusività della funzione certificatoria in capo al notaio, essendo a quest’ultimo equiparabile qualunque pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
In senso contrario rispetto alle coordinate interpretative tracciate dalla giurisprudenza di legittimità, si è – per contro espressa la maggior parte delle pronunce rese dai giudici di merito, prevalentemente orientati a negale le possibilità di intese immediatamente traslative all’interno del verbale di separazione consensuale o di divorzio congiunto.
Riprendendo la distinzione – come si è visto, operata dalla dottrina e della giurisprudenza di legittimità – tra contenuto necessario e contenuto eventuale degli accordi di separazione, la maggior parte delle decisioni ha ritenuto invero, rammenta il Collegio, che quest’ultimo non possa ricomprendere negoziazioni prive dei requisiti formali e sostanziali necessari per la loro validità, come gli atti traslativi definitivi, ciò rientrando in un dovere funzionale volto al rispetto dei principi generali dell’ordinamento, segnatamente in materia di trascrizione di tali atti e di certezza e regolarità dei trasferimenti immobiliari.
Le parti, in tale prospettiva, ben potrebbero integrare le clausole costituenti il contenuto necessario delle pattuizioni di separazione e di divorzio, ma dovrebbero ricorrere “alla tecnica obbligatoria“, e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto.
Tale soluzione, si afferma, sarebbe ora confermata dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis, con il quale la legge avrebbe demandato al notaio, e non ad altri operatori, il compito della individuazione e della verifica catastale, nella fase di stesura degli atti traslativi, in tal modo mostrando di voler concentrare, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale sugli atti di trasferimento immobiliare, a tutela degli interessi ad essi sottesi.
Nè il giudice potrebbe, nemmeno in sede di volontaria giurisdizione, svolgere alcun potere certificativo e attributivo della pubblica fede alle dichiarazioni negoziali delle parti (ex plurimis, Trib. Milano, 06/12/2009, in Fam. dir., 2011, 937; Trib. Milano, 21/05/2013, in Fam. Dir., 2014, 600 e ss.; Trib. Firenze, 29/09/1989, in Riv. not., 1992, 595; Trib. Firenze, 07/02/1992, in Dir. fam e pers., 1992, 731).
Per il che, il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi non costituirebbe nè atto pubblico, nè scrittura privata autenticata, bensì una semplice scrittura privata, la cui efficacia nei confronti del terzi è sottoposta alla necessaria ripetizione del contratto nella forma dell’atto pubblico notarile, ai fini della trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c. (Trib. Napoli, 16/04/1997, in Fam. Dir., 1997, 420). In tale orientamento si iscrivono altresì le decisioni – emesse nel caso di specie – dal Tribunale di Pesaro n. 933/2016 e dalla Corte d’appello di Ancona n. 583/2017.
Sebbene la giurisprudenza di merito, e le prassi ed i protocolli – uno di essi menzionato dai ricorrenti del caso di specie, relativo al Tribunale di Pesaro – si siano espressi in massima parte in senso contrario all’ammissibilità dei trasferimenti immobiliari ad effetti reali in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto, non mancano, tuttavia, diverse decisioni di segno contrario, conformi alla giurisprudenza di legittimità succitata.
Si è affermato infatti in tal senso, precisa il Collegio, che la clausola di un accordo traslativo della proprietà di un bene immobile, in quanto inserita nel verbale d’udienza, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c..
Il verbale di separazione consensuale, contenente clausole relative al trasferimento di immobili tra i coniugi, costituisce invero un vero e proprio contratto atipico, con cui le parti intendono attuare un regolamento dei loro rapporti in occasione della separazione, ed è un atto pubblico costituente valido titolo per la trascrizione (Trib. Salerno, 04/07/2006, in Fam e dir., 2007, 63; Trib. Pistoia, 01/02/1996, in Riv. not., 1997, 1421; App. Genova, 27/05/1997, in Dir. fam. e pers., 1998, 572; App. Milano, 12/01/2010, in Fam. dir., 2011, 589).
Tale essendo il quadro dottrinale e giurisprudenziale di riferimento, ritengono a questo punto le Sezioni Unite che l’orientamento secondo il quale in sede di divorzio congiunto e di separazione consensuale siano ammissibili accordi tra le parti, che non si limitino all’assunzione di un mero obbligo preliminare, ma attuino in via diretta ed immediata il trasferimento della proprietà di beni o di altro diritto reale sugli stessi, meriti di essere condiviso e confermato, con le precisazioni che si passa ad esporre.
La vicenda in ordine alla quale è stata operata la rimessione alle Sezioni Unite, rammenta il Collegio con riguardo allo specifico caso di specie, attiene ad un caso in cui le parti, con un accordo del 6 luglio 2016, avevano chiesto consensualmente al Tribunale di Pesaro la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario da essi celebrato, prevedendo, tra le altre condizioni dell’accordo, il trasferimento definitivo a favore dei figli della coppia, maggiorenni economicamente non autosufficienti, della quota del 50% della nuda proprietà spettante al padre sull’immobile adibito a casa coniugale, nonché il trasferimento, da parte del marito alla moglie, dell’usufrutto sulla propria quota dell’immobile.
La fattispecie concreta concerne, pertanto, non la separazione consensuale tra i coniugi, bensì il divorzio congiuntamente richiesto dai medesimi, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16.
E tuttavia, precisa il Collegio, come dianzi detto, i due istituti – pur presentando innegabili diversità sul piano della disciplina – si presentano strettamente connessi l’uno all’altro sul piano dogmatico.
Ed invero, ad accomunare le due fattispecie è certamente la connotazione presente in entrambe – dell’essere finalizzate ad ottenere, mediante il consenso dei coniugi, piuttosto che con la pronuncia costitutiva del giudice, le divisate modificazioni dello status coniugale, con le conseguenti ricadute sull’affidamento ed il mantenimento della prole, ove esistente, e sui profili economici concernenti i rapporti tra i coniugi stessi.
E tuttavia, chiosa ancora la Corte, è innegabile la sussistenza di diverse differenza tra i due istituti sul piano della rispettiva disciplina giuridica.
Una prima differenza tra il giudizio di separazione consensuale e quello di divorzio su domanda congiunta è ravvisabile, invero, nel fatto che, in quest’ultima fattispecie, il procedimento non termina con l’omologazione da parte del Tribunale, bensì con una sentenza emessa all’esito dell’audizione dei coniugi, e con la quale il collegio giudicante è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti di legge – in particolare se la comunione tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita – ed a verificare “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli“.
La mancata corrispondenza a tale interesse comporterà l’apertura della procedura contenziosa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, comma 8 (art. 4, comma 16).
Ed è questa una seconda differenza di regime giuridico con la separazione consensuale, nella quale – qualora l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento ed al mantenimento dei figli sia contrario agli interessi di questi ultimi, il Tribunale – nel caso in cui le modifiche proposte non siano state idoneamente eseguite – “può rifiutare allo stato l’omologazione” (art. 158 c.c., comma 2).
La dottrina che si è occupata del procedimento di divorzio congiunto è pervenuta a conclusioni non del tutto univoche, anche se tra gli autori più recenti, rammenta la Corte, è dato registrare una maggiore uniformità di vedute.
Secondo una prima opinione, il procedimento disciplinato dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, condotto in Camera di consiglio e senza istruttoria, assume connotazioni particolari, ma è pur sempre un procedimento contenzioso e la decisione ha la forma e la sostanza della sentenza. Il tribunale non si limita ad omologare il consenso dei coniugi, perché la presentazione della domanda congiunta costituisce il presupposto per la trattazione della causa secondo un rito “abbreviato“, ma devono pur sempre essere accertate le condizioni per pronunciare il divorzio, proprio come avviene nei giudizi contenziosi. Nella medesima prospettiva, si è pertanto sostenuto che la sentenza che conclude siffatto procedimento presenta una duplice natura, ossia di accertamento costitutivo, quanto all’esame dei presupposti di legge ed alla pronuncia di divorzio, e dichiarativa dell’efficacia delle condizioni volute dalle parti.
Altra dottrina, senza peraltro porsi il problema della valenza del verbale di comparizione dei coniugi che riporti le condizioni concordate dai coniugi stessi, ritiene che il ricorso a firma congiunta sia un qualcosa in meno dell’accordo in sede di separazione consensuale, poiché non avrebbe alcun contenuto negoziale e si risolverebbe semplicemente in una domanda comune rivolta al Tribunale, nell’aspirazione ad ottenere un certo provvedimento, avente un contenuto concordemente divisato dalle parti.
Su posizione diametralmente opposta sembra, tuttavia, ormai collocarsi la dottrina di gran lunga prevalente, secondo la quale l’accordo posto a base di tale procedimento avrebbe chiara natura negoziale, rilevando il parallelismo e la connotazione causale identici all’accordo concluso tra coniugi in sede di separazione consensuale, dalla quale si distingue solo per il preliminare accertamento dei requisiti di legge per dichiarare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Secondo tale tesi, a prescindere dalla forma del provvedimento finale, il divorzio su domanda congiunta non costituisce un giudizio contenzioso, ma un procedimento di giurisdizione volontaria, nel quale gli accordi delle parti non possono essere sindacati dal giudice, se non per quanto riguarda le statuizioni riguardanti i figli minori, ferma restando la decisione sulla sussistenza dei presupposti per la pronuncia di divorzio.
Al di fuori di tale profilo, l’attività del Tribunale è ritenuta sostanzialmente vincolata, tant’è che gli effetti patrimoniali del divorzio vengono ricondotti all’accordo delle parti, riportati nel verbale di comparizione davanti al collegio, anziché alla determinazione del giudice, che è assimilata a una mera omologa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili dell’ordinamento vigente. Ciò che rileva – si ribadisce è che, in caso di divorzio su domanda congiunta, la fonte della regolamentazione dei rapporti tra gli ex coniugi divorziati va ravvisata nell’accordo delle parti e non nella sentenza.
La giurisprudenza della Corte, rammenta il Collegio, ha recepito in parte ciascuna delle diverse elaborazioni della dottrina, muovendo da un dato inequivocabile di diritto positivo, costituito dal disposto della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, secondo cui il Tribunale decide con sentenza verificando esclusivamente “la sussistenza dei presupposti di legge” e valutando “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli“.
In tal senso – accomunando le due fattispecie, che al di là della diversità di disciplina presentano l’evidenziato tratto comune della consensualità – si è affermato che, in caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale, ma sull’accordo tra i coniugi.
Essa realizza pertanto – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli – un controllo solo esterno su tale accordo, attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse superiore e trascendente della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi ben possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori (Cass., 20/08/2014, n. 18066; Cass., 13/02/2018, n. 10463).
Nel medesimo ordine di idee si pone, rammenta il Collegio, la successiva pronuncia, con la quale la Corte – affrontando un caso di revoca unilaterale del consenso da parte di uno dei coniugi – ha stabilito che il Tribunale deve comunque provvedere all’accertamento dei presupposti per la pronuncia richiesta, per poi procedere, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone esclusivamente la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori.
Infatti, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell’ambito del quale l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale della L. n. 898 del 1970, ex art. 3, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici.
Il che consente al tribunale di intervenire su tali accordi soltanto nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l’adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose (Cass., 24/07/2018, n. 19540).
È del tutto evidente pertanto, chiosa ancora il Collegio, che – ferma la natura costituiva della sentenza che definisce il procedimento di divorzio a domanda congiunta, con la peculiarità che siffatta pronuncia è emessa sull’accordo delle parti, sia pure avente natura ricognitiva dei presupposti per la pronuncia sullo status, che il Tribunale ha comunque il dovere di verificare – la sentenza in parola viene a rivestire un valore meramente dichiarativo, o di presa d’atto, invece, quanto alle condizioni “inerenti alla prole ed ai rapporti economici“, che la domanda congiunta di divorzio deve “compiutamente” indicare.
Fermo il limite invalicabile costituito dalla necessaria mancanza di un contrasto tra gli accordi patrimoniali e norme inderogabili, e dal fatto che gli accordi non collidano con l’interesse dei figli, in special modo se minori.
La pacifica – secondo tutta la giurisprudenza di legittimità succitata – natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta pertanto che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizione stipulate dalle parti, e riprodotte nel verbale di separazione.
Come del resto – sul piano generale – il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2).
È del tutto evidente, pertanto, riprende la Corte, che l’impostazione seguita – nel caso di specie – dalla Corte d’appello si è tradotta, in concreto, in un limite ingiustificato all’esplicazione dell’autonomia privata, che potrebbe dispiegarsi – ad avviso della Corte territoriale esclusivamente in direzione di un accordo obbligatorio, avente il valore sostanziale di un preliminare, e non di un atto traslativo definitivo. L’operazione ermeneutica che ne è derivata si è concretata, pertanto, in una sorta di peculiare – quanto inammissibile – “conversione” dell’atto di autonomia, che da trasferimento definitivo è stato trasformato d’ufficio, dal giudice, in un mero obbligo di trasferimento immobiliare.
Ed invero, il giudice di secondo grado ha confermato, sul punto, l’impostazione operata dal primo giudice, secondo cui le condizioni stabilite dalle parti vanno precisate nel senso che “i trasferimenti immobiliari indicati nelle condizioni siano da intendersi come impegni preliminari di vendita e di acquisto“.
Per converso, in una lettura costituzionalmente orientata che tenga conto del fondamento costituzionale dell’autonomia privata, ravvisabile negli artt. 2, 3, 41 (Corte Cost., sent. n. 60 del 1968) e 42 Cost. – è evidente che una restrizione dell’autonomia, per di più in presenza di una situazione di crisi coniugale che impone, anche sul piano solidaristico, una soluzione il più celere possibile quanto meno delle questioni economiche che possono tradursi in ulteriori motivi di contrasto tra i coniugi, la soluzione propugnata dalla Corte territoriale non può ritenersi condivisibile.
Basti, per vero, por mente all’evenienza, di certo tutt’altro che improbabile, che – in caso di inadempimento, per qualsiasi ragione, dell’obbligato alla promessa di trasferimento della proprietà di beni, in sede di accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto – la controparte di siffatti accordi non potrà che intraprendere dovendo escludersi anche una risoluzione del patto per inadempimento, non trattandosi di un contratto sinallagmatico, bensì dell’adempimento di un dovere di mantenimento previsto dalla legge (Cass., 17/06/2004, n. 11342) – di un lungo ed incerto giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo, ai sensi dell’art. 2932 c.c.. Con evidente levitazione dei costi, che verrebbero ad incidere su di una situazione già fortemente compromessa sul piano economico.
D’altro canto, prosegue il Collegio, tale soluzione contrasta con la rilevata assenza – sul piano generale, e fatte salve le verifiche che il Tribunale è tenuto ad operare nelle singole fattispecie concrete – di profili di illiceità o di meritevolezza di siffatti accordi.
Né la diversa opzione interpretativa può efficacemente fondarsi, a giudizio delle Sezioni Unite, sulla disposizione della L. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 29, comma 1-bis, introdotto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, a norma del quale “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari“.
È di chiara evidenza, infatti, che il tenore letterale della norma fonda la previsione di nullità sulla mancanza nell’atto dell'”identificazione catastale“, nonché del “riferimento alle planimetrie depositate in catasto” e della “ dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale“. Si tratta dunque, com’è del tutto evidente, di una nullità testuale (art. 1418 c.c.) di carattere oggettivo che, a prescindere dalla esattezza e veridicità degli allegati e della dichiarazione, determina la nullità dell’atto per la relativa, sola mancanza (per un’ipotesi non dissimile, Cass. Sez. U., 22/03/2019, n. 8230).
Tale nullità non è ancorabile pertanto, prosegue la Corte, al soggetto che compie tale accertamento – neppure individuato nella prima parte dell’art. 29 succitato – ben potendo la nullità stessa verificarsi qualunque sia il soggetto che roga l’atto, sia esso un notaio o anche le parti private nella scrittura privata autenticata.
Il che risulta confermato dal fatto che l’unica previsione che si riferisce al notaio, contenuta nell’ultima parte della norma (individuazione degli intestatari catastali e verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari), non è sanzionata dalla nullità dell’atto.
Ne discende l’accordo traslativo adottato in sede di divorzio ma – mutatis mutandis – il principio, per le ragioni suesposte, è applicabile anche alla separazione consensuale, nella quale l’atto traslativo è riconducibile alla parte negoziale eventuale dell’accordo, ai sensi degli artt. 150 e 158 c.c., ma l’atto, non essendo espressamente previsto e disciplinato dalla legge, ha natura atipica deve contenere tutte le indicazioni richieste, a pena di nullità, dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis.
Sotto tale profilo, è evidente che il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi redatto dal cancelliere ai sensi dell’art. 126 c.p.c., che – per intanto – realizza l’esigenza della forma scritta dei trasferimenti immobiliari, richiesta dall’art. 1350 c.c., è – come dianzi detto – un atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in relativapresenza (oltre alle decisioni succitate, cfr. Cass., 12/01/2009, n. 440; Cass. 11/12/2014, n. 26105).
È stato già chiarito infatti, prosegue la Corte, che la dominante giurisprudenza di legittimità e una parte della dottrina ammettono la possibilità di attribuzioni patrimoniali tra coniugi in sede di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, ritenendo che le relative pattuizioni, quando operino il trasferimento in favore di uno di essi o di terzi di beni immobili, in quanto inserite nel verbale di udienza, redatto da un ausiliario del giudice e diretto a far fede di ciò che in esso è attestato, devono ritenersi, stipulate nella forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2699 c.c. e quindi trascrivibili, ai sensi dell’art. 2657 c.c..
Secondo tale opinione, al cancelliere (esattamente come al giudice) compete la qualifica di pubblico ufficiale e lo svolgimento delle formalità relative all’udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica funzione (cfr. art. 357 c.p.); sicché gli atti redatti o formati con il relativo concorso, nell’ambito delle funzioni al medesimo attribuite, e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell’art. 2699 c.c..
Gli incombenti relativi alla verifica della coincidenza dell’intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari – previsti dall’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29 – ben possono di conseguenza, per la Corte, essere eseguiti dall’ausiliario del giudice, sulla base della documentazione che le parti saranno tenute a produrre, se del caso mediante un protocollo che ciascun ufficio giudiziario – come accade già in diversi Tribunali potrà predisporre d’intesa con il locale Consiglio dell’ordine degli avvocati.
L’opzione interpretativa che le Sezioni Unite privilegiano è, d’altra parte, in linea con le affermazioni della più recente giurisprudenza della Corte, siccome emesse con specifico riferimento alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis.
Si è – per vero – anzitutto affermato, al riguardo, che la dichiarazione richiesta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 19, comma 14, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali.
L’omissione – ma limitatamente a tale dichiarazione – determina, pertanto, la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comma 1 (Cass., 11/04/2014, n. 8611; Cass., 21/07/2016, n. 15073; Cass., 03/06/2016, n. 11507; Cass., 29/08/2019, n. 21828).
Quanto all’ambito di applicazione delle prescrizioni riguardanti le informazioni e le dichiarazioni catastali, previste a pena di nullità, la tesi minoritaria secondo la quale il perimetro applicativo della norma sarebbe circoscritto allo schema dell’atto negoziale notarile (sia esso l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata), con esclusione, oltre che delle scritture private semplici, anche degli atti pubblici amministrativi o giudiziari, che producano gli stessi effetti giuridici indicati dalla norma, è smentito per il Collegio dall’orientamento assolutamente maggioritario della dottrina.
La maggioranza degli interpreti considera, per vero, necessaria una interpretazione estensiva e adeguatrice della disposizione in esame, che la rende applicabile agli atti di categoria diversa che trasferiscano o costituiscano diritti reali (o sciolgano la comunione dei relativi diritti). Si ritiene, in sostanza, che, pur essendo la norma rivolta anzitutto agli atti formati o autenticati dal notaio, essa sia, comunque, applicabile a tutti gli atti amministrativi che producono i medesimi effetti, quali i decreti di trasferimento per espropriazione, ed anche agli atti giudiziari, come le sentenze costitutive ex art. 2932 c.c..
Se non si aderisse alla tesi estensiva – non si manca di rilevare, altresì, da autorevole dottrina – si porrebbe il più generale problema della configurabilità dei trasferimenti immobiliari nei verbali di conciliazione ex art. 185 c.p.c., aventi certamente natura negoziale, ancorché redatti con l’intervento del giudice a definizione di una controversia pendente (in tal senso, cfr. Cass., 26/02/2014, n. 4564; Cass., 28/06/2007, n. 14911).
Alla tesi dominante ha, peraltro, aderito – rammenta ancora il Collegio – la giurisprudenza più recente della Corte, secondo la quale il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 c.c., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle menzioni catastali di cui della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce un “error in iudicando” censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza.
Gli effetti di tale errore, pertanto, si esauriscono all’interno del processo e non producono alcuna conseguenza sul piano della idoneità della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari (Cass., 25/06/2020, n. 12654).
In una successiva pronuncia, la Corte rammenta di avere affrontato poi anche la questione relativa alla portata dell’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis.
La decisione – per vero ribadisce che nel giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare relativo ad un fabbricato già esistente, la conformità catastale oggettiva di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce una condizione dell’azione e deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice, che non può accogliere la domanda ove la presenza delle menzioni catastali difetti al momento della decisione.
Si afferma, peraltro, che il giudice non è, viceversa, tenuto a verificare la ricorrenza della c.d. conformità catastale soggettiva, consistente nella coincidenza del promittente venditore con l’intestatario catastale del bene, in quanto essa non costituisce una condizione dell’azione e la pertinente mancanza non impedisce l’emissione di una sentenza costitutiva di trasferimento del fabbricato ex art. 2932 c.c. (Cass., 29/09/2020, n. 20526).
Deve ritenersi, pertanto, che la disposizione succitata non sia applicabile esclusivamente agli atti compiuti con il ministero del notaio, ma si attagli invece a tutti i trasferimenti immobiliari che, oltre che in forma giudiziale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., ben possono essere effettuati anche in un verbale di conciliazione giudiziale o in un verbale di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta.
D’altro canto, si osserva da parte di attenta dottrina, della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, ultimo periodo, il legislatore ha certamente detto meno di quanto volesse, usando il riferimento al notaio come indicativo dell’accertamento che deve essere compiuto in ogni caso di redazione dell’atto da parte del un pubblico ufficiale.
Se, invero, avesse voluto imporre l’intervento del solo notaio, il legislatore avrebbe dovuto chiarire che introduceva una norma in deroga all’art. 1350 c.c., sia pure limitatamente alle unità immobiliari urbane, mentre nulla ha disposto sul punto, dovendo pertanto ritenersi ancora pienamente lecite, e valide, semplici scritture private, che riportino trasferimenti o costituzioni di diritti reali, o scioglimento delle relative comunioni. Secondo i sostenitori di tale tesi, un’opinione contraria renderebbe, d’altro canto, la norma intrinsecamente incoerente, visto che, da una parte, legittima la possibilità di realizzare atti dispositivi anche con scritture private e, dall’altra, impone la redazione di tali atti da parte del notaio.
A ciò viene aggiunta la considerazione che la violazione della disposizione sulla conformità soggettiva – come dianzi detto – non è assistita, come per la violazione di quelle conformità oggettiva, dalla sanzione della nullità, sicché, se non vi è nullità, e nessuna altra conseguenza è prevista, diviene difficile sostenere che, in forza di tale norma, solo il notaio possa compiere gli atti in esame.
Dando, conclusivamente, risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite affermano i seguenti principi di diritto:
- sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento;
- il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis;
- non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari.
* * *
Il 2 dicembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.37969 che rammenta come la questione sottoposta al pertinente scandaglio si risolva nell’individuare chi sia il soggetto obbligato al pagamento delle imposte ipotecarie e di bollo connesse alle annotazioni effettuate ai sensi dell’art. 113 ter, comma quarto, disp. att.c.c. a margine della trascrizione ‘con riserva’.
Per l’esame della questione è opportuno per la Corte preliminarmente illustrare il quadro normativo di riferimento.
- a) Ai sensi dell’art. 2674 bis. c.c., quando il conservatore dei registri immobiliari rileva che emergono gravi e fondati motivi sulla trascrivibilità di un atto o sulla iscrivibilità di una ipoteca, esegue la formalità con riserva su istanza della parte richiedente. La trascrizione con riserva assicura alla parte un effetto di prenotazione rispetto al numero d’ordine. La parte a favore della quale è stata eseguita la formalità con riserva deve proporre reclamo all’Autorità giudiziaria.
b)L’art. 1 del d.lgs. n. 347 del 1990 dispone che “le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione eseguite nei pubblici registri immobiliari sono soggette alla imposta ipotecaria“. L’art. 11, comma 1, del d.lgs. cit. stabilisce che “sono obbligati al pagamento dell’imposta ipotecaria e catastale coloro che richiedono le formalità di cui all’art. 1…” e al comma 2, precisa che sono solidalmente tenuti al pagamento delle imposte, di cui al comma 1, tutti coloro nel cui interesse è stata richiesta la formalità.
- c) L’art. 113 ter disp.att. c.c. dispone che “il reclamo previsto dall’art.2674 bis c.c. si propone con ricorso, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla esecuzione della finialità, davanti al Tribunale nella cui circoscrizione è stabilita la conservatoria; entro lo stesso termine il ricorso deve essere notificato al conservatore, a pena di improcedibilità“. Contro il provvedimento del Tribunale è consentito reclamo alla Corte di appello, con ricorso notificato, a pena di improcedibilità, anche al conservatore. A margine della formalità eseguita con riserva il conservatore annota la proposizione del reclamo, il decreto immediatamente esecutivo del Tribunale e il decreto definitivo. Quando il reclamo non è proposto o è rigettato definitivamente, la formalità perde ogni effetto.
- d) La trascrizione di domande giudiziali è ammessa nei soli casi in cui le stesse siano riconducibili nel novero di quelle tipizzate di cui agli artt.2652, 2653 e 2690 c.c., atteso che il sistema della pubblicità immobiliare riferita alle domande giudiziali, a differenza di quanto stabilito per gli atti negoziali (art. 2645 c.c.), è ispirato al principio della tassatività. A fronte di un grave e fondato dubbio sulla trascrivibilità di un atto (o sulla trascrivibilità di una ipoteca), il conservatore, su istanza di parte richiedente, esegue la formalità con riserva.
Costituisce affermazione condivisa – riprende a questo punto la Corte – quella per cui la trascrizione è istituto di ordine pubblico finalizzato al soddisfacimento dell’interesse generale alla sicurezza dei traffici giuridici. Gli interessi privati dei soggetti interessati alla trascrizione, e l’interesse generale della collettività sopra indicato, coesistono con altri interessi pubblici, come l’aggiornamento della banca dati catastale, l’utilizzo per finalità tributarie ecc.
La qualificazione delle norme sulla trascrizione come norme di ordine pubblico, e quindi come norme inderogabili, è fatta propria – rammenta il Collegio – dalla dottrina dominante.
Tuttavia emerge all’evidenza l’interesse privato dei soggetti interessati alla trascrizione che viene tutelato mediante la possibilità di presentare al conservatore, che rifiuti la trascrizione in presenza di gravi dubbi, di proporre istanza di trascrizione con riserva, con onere di promuovere reclamo avverso la riserva entro i successivi 30 giorni, pena la perdita di efficacia della trascrizione.
Il reclamo, pertanto, diventa lo strumento necessario per mantenere gli effetti della formalità della trascrizione con riserva e l’annotazione del reclamo a margine della trascrizione con riserva si rende necessaria per la realizzazione del sistema pubblicitario. L’annotazione del reclamo avviene, ai sensi dell’art. 11, comma 2, cit., sempre al fine di realizzare l’interesse privato di colui che propone al conservatore istanza di trascrizione con riserva, atteso che in questo modo si consente allo stesso di beneficiare, nonostante il rifiuto del conservatore, in via provvisoria, della pubblicità immobiliare della domanda giudiziale e, quindi, delle tutele che dalla stessa conseguono ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c.
- e) Da siffatti rilievi consegue – conclude la Corte – l’accoglimento del motivo di ricorso spiccato nel caso di specie dal Fisco, non assumendo rilievo la circostanza prospettata dai contribuenti, secondo cui la ratifica da parte dell’autorità giudiziaria della trascrizione con riserva, in ragione della infondatezza dei dubbi prospettati dal conservatore, farebbe ricadere sull’Ufficio l’obbligo fiscale previsto dalla legge ai fini della relativa annotazione, atteso che chiaramente l’art. 11, comma 1, del d.lgs. 347 del 1990 dispone che obbligato al pagamento dell’imposta ipotecaria è il soggetto che richiede l’annotazione, sicché la stessa viene eseguita su richiesta del contribuente ed al fine di ottenere le garanzie e le tutele assicurate dalla pubblicità immobiliare.
Questioni intriganti
Come si inquadra in via generale l’istituto della trascrizione?
- si tratta della figura più importante di pubblicità c.d. “dichiarativa”, che dunque “dichiara” qualcosa a determinati fini;
- essa, dato un atto a rilevanza giuridica, condiziona l’opponibilità di tale atto – laddove appunto trascritto – nei confronti dei terzi;
- in difetto di trascrizione e, dunque, di “dichiarazione” pubblicitaria onde l’atto è stato compiuto dall’autore (o tra le pertinenti parti, laddove bilaterale o plurilaterale), i terzi sono pertanto autorizzati ad assumere l’atto ridetto come non compiuto;
- proprio per questo la trascrizione ha la funzione, per essa tipica, di dirimere conflitti tra più aventi causa dallo stesso autore o dante causa: è sufficiente infatti consultare i registri immobiliari per verificare se chi vuol vendere qualcosa ne è ancora il proprietario (o comunque, il titolare di un diritto reale sulla cosa stessa) o se, in presenza di un atto per l’appunto “trascritto contro”, non lo sia più;
- le norme sulla trascrizione hanno allora natura inderogabile – risultando come tali sottratte all’autonomia dei privati – e costituiscono norme di ordine pubblico, la conoscenza in ordine alla titolarità del diritti trascritti rispondendo ad interessi riferibili all’intera collettività, e dunque indisponibili;
- importante in primo luogo l’art.2643 c.c., laddove elenca importanti atti che vanno all’uopo trascritti, proprio al fine di scongiurare che il dante causa possa in un secondo momento rivolgersi a terzi cedendo o costituendo diritti incompatibili con quello di che trattasi, siccome appena ceduto o costituito; si tratta più precisamente: e.1) degli atti che trasferiscono la proprietà; e.2) degli atti che costituiscono o trasferiscono (o modificano) il diritto reale di usufrutto, di superficie, di enfiteusi, di servitù, di uso, di abitazione;e.3) degli atti che pongono in comunione il diritto di proprietà, di usufrutto, di superficie e di enfiteusi;
- importante anche l’art.2645 bis c.c. laddove impone– ai fini di opponibilità ai terzi ridetti e con lo scopo di creare, giusta pubblicità, “effetti anticipati” – la trascrizione per tutti i contratti preliminari (come tali, ad effetti obbligatori e non reali) afferenti agli atti di cui supra, lettera f);
- vanno poi trascritti tutta una serie di ulteriori atti a carattere volontario o forzoso, ovvero a carattere giurisdizionale, per come elencati sempre all’art.2643 c.c.;
- perno della trascrizione, dal punto di vista degli effetti, è l’art.2644 c.c. alla cui stregua il soggetto che per primo trascrive un atto (per l’appunto, da trascriversi) prevale su chiunque abbia trascritto in un tempo successivo un altro atto – ancorché intervenuto temporalmente prima – dal quale derivi un diritto incompatibile con la prima trascrizione operata; in altri termini, una volta trascritto un atto, ogni atto anche anteriore, se trascritto successivamente, non produce effetti nei confronti del c.d. “primo trascrivente”, laddove si configurino incompatibilità tra i diritti coinvolti dagli atti ridetti, posti in essere in successione tra loro; detto ancora meglio, acquistare un diritto non può dirsi “certo” sulla base di un atto trascrivibile, ma solo sulla base della prima trascrizione di quell’atto, che consente di poterlo opporre a chi sia stato protagonista, quand’anche anteriormente, un atto incompatibile “derivante” dal medesimo dante causa, ma non lo abbia poi trascritto (per primo);
- la prima trascrizione prevale sulla seconda quand’anche il primo trascrivente sia in mala fede e, dunque, sappia che in realtà vi è un atto precedente, non trascritto, che ha ad oggetto diritti incompatibili con quelli oggetto dell’atto da lui trascritto per primo; il principio applicato, prior in tempore potior in iure, non esclude tuttavia – in prima approssimazione – il diritto al risarcimento del danno in capo a chi “subisca” la mala fede del proprio dante causa e/o del terzo (secondo acquirente ma) primo trascrivente, in presenza dei presupposti di responsabilità aquiliana (art.2043 c.c.) o da inadempimento (art.1218 c.c.);
- importante avere presente come gli effetti dell’atto soggetto a trascrizione si producono tra le parti in virtù dell’atto stesso ed a prescindere dalla relativa trascrizione; quest’ultima, che funge da “pubblicità”, produce dunque – di norma – effetti non già “costitutivi”, ma meramente “dichiarativi”, rendendo l’atto trascritto opponibile ai terzi; efficacia “costitutiva” ha invece un atto simile ma diverso, da operarsi sempre su speciali registri pubblici, ovvero l’iscrizione: in difetto di iscrizione, una data situazione giuridica come, ad esempio, il diritto di ipoteca, neppure può dirsi configurabile, difettandone appunto un elemento costitutivo;
- eccezionale è allora la fattispecie dell’usucapione abbreviata, ex art. 1159 c.c., laddove la trascrizione spiega invece dei veri e propri effetti costitutivi nella pertinente fattispecie a formazione progressiva (assieme all’acquisto di buona fede a non domino di un immobile o di un diritto reale di godimento su un immobile, al titolo idoneo e al decorso di 10 anni dalla ridetta trascrizione “costitutiva”);
- l’operatività dichiarativa e pubblicitaria della trascrizione è limitata alla risoluzione dei conflitti tra acquirenti dal comune autore per solo atto “tra vivi” e “a titolo derivativo”; essa non opera dunque: m.1) in ambito successorio, dove esistono norme specifiche che regolano i conflitti con riguardo ad atti mortis causa ovvero misti, inter vivos e mortis causa; m.2) laddove il conflitto coinvolga un atto di acquisto a titolo originario, fattispecie che fa scattare le regole sull’usucapione: onde, laddove il dante causa non sia in realtà più proprietario della res alienata perché quest’ultima è stata (già) acquistata da un terzo per usucapione (e, dunque, a titolo originario), l’acquirente dall’alienante va assunto come acquirente (ormai) a non domino, potendo tuttavia egli stesso iniziare ad usucapire, in presenza di tutti i necessari (ed ulteriori) presupposti, ivi compresa la trascrizione del proprio atto di acquisto che, ai sensi dell’art.1159 c.c., può produrre l’effetto (“costitutivo”) di abbreviargli il periodo necessario a trascrivere;
- va rammentato poi che nel caso in cui il titolo da trascrivere sia viziato, la trascrizione non produce (di per sé) alcun effetto sanante; anche quando si parla in via generale di c.d. “pubblicità sanante” – sono le fattispecie di cui all’art.2652, numeri 6 e 7, c.c. – la trascrizione non sana, da sola, il negozio pertinente, ma completa piuttosto una fattispecie “complessa” assieme ad altri elementi del pari imprescindibili, garantendo in ogni caso l’acquisto a chi ne beneficia;
- sul crinale dei controlli affidati al conservatore in sede di trascrizione, essi sono in primo luogo governati dal principio del giusto procedimento scolpito, in apicibus, all’art.97 Cost. e disciplinato dalla legge 241.90;
- al controllo del conservatore si affianca poi – normalmente (ma non esclusivamente) – quello del notaio rogante o autenticante, che garantisce in primis che l’atto da trascriversi sia valido, alla stregua dell’art.28 della legge notarile (applicabile ormai anche alle scritture private autenticate dopo la novella di cui alla legge 246.05); sempre il notaio rogante garantisce poi che l’atto sia efficace, dovendo a propria cura essere trascritti gli atti che vi siano “soggetti” (art.2671 c.c.), e dunque quelli soli che producano gli effetti previsti dalla legge, e segnatamente dal codice civile, agli articoli 2643 e 2645 c.c.; sempre il notaio, nella relativa veste di pubblico ufficiale obbligato ai sensi e per gli effetti dell’art.2671 c.c., deve anche garantire che la compilazione della nota di trascrizione abbia luogo da un lato in modo conforme al pertinente titolo, e dall’altro in guisa da osservare tutte le disposizioni di legge che di tale nota disciplinano il contenuto (art.2659 e 2660 c.c.);
- i cenni testé fatti consentono di affermare, con la dottrina più attenta, che in materia di trascrizione è stato ormai superato il c.d. principio di autoresponsabilità del richiedente la trascrizione medesima: quest’ultima non si presenta più, dunque, con una dimensione esclusivamente privatistica, come era in origine nella codificazione napoleonica e nel codice del 1865; anche se non con le medesime modalità e con la medesima efficacia del sistema basato sui libri fondiari, il moderno sistema di trascrizione su base personale può ormai dirsi basato sul principio di legalità, producendo ad un tempo effetti di “pubblica fede”, come si evince dal fatto che sulla trascrizione i terzi possono oggi riporre legittimo affidamento, massime una volta decorso il termine di 5 anni previsto dall’art.2652, numeri 6 e seguenti, del codice civile (in tema di c.d. “pubblicità sanante”);
- va segnalato tuttavia come sia ancora diffusa l’affermazione – pur di recente contestata dalla dottrina più autorevole – alla cui stregua, in ambito processuale, il difetto di trascrizione non potrebbe rilevarsi d’ufficio; una tesi che si basa ancora su una visione meramente “privatistica” e “dominicale” dell’istituto, la quale consentirebbe di prescindere dall’attuazione della pubblicità facendo prevalere – in difetto di tempestiva eccezione di controparte nel giudizio – l’acquisto non pubblicato (magari il primo operato in ordine di tempo, ma trascritto per secondo) rispetto appunto a quello trascritto (magari per primo, pur essendo intervenuto temporalmente dopo il primo, invece non trascritto); si lamenta, in questo prisma ermeneutico, come la circolazione giuridica possa così subire incertezze tali da renderla inaffidabile, sottraendo ad un tempo alla trascrizione quel rilievo “pubblicistico” che dovrebbe piuttosto ridondare nel pertinente rilievo d’ufficio a fini di acquisto e a favor di chi abbia trascritto per primo (pur magari acquistando per secondo) senza costringerlo ad attivarsi onde, per l’appunto, sollevare tempestivamente la pertinente eccezione.
In cosa consiste il fenomeno della c.d. continuità delle trascrizioni?
- occorre muovere dalla circostanza onde – nel sistema ordinamentale italiano – la trascrizione è organizzata non già su base “reale”, ma “personale”;
- in altri termini i pubblici registri – pur essendo ubicati dove sono i beni – “seguono” non già i “beni” medesimi, quanto piuttosto le “persone”, sicché se consulto i registri del luogo Z a nome di A, una “persona” appunto, posso scoprire che essa, ad esempio, ha acquisito il bene X, ubicato nel luogo Z, da B e poi lo ha rivenduto a C; se mi documento su B, scopro che egli ha venduto a suo tempo il bene X (sempre ubicato in quel luogo Z) ad A, e così via;
- diverso è invece il sistema “tavolare”, che opera su base reale (piuttosto che personale) e nel cui contesto nei registri si trovano prima di tutto gli immobili e, in secondo piano, le persone, dacché – una volta identificata la “tavola” di riferimento del bene all’interno del registro – vi si trovano tutti gli atti che riguardano la circolazione dei diritti relativi a quel bene e, ovviamente, le persone coinvolte in tale circolazione; si tratta del sistema tuttora vigente in Trentino Alto-Adige come retaggio dell’ordinamento austriaco, basato appunto sul sistema tavolare, laddove peraltro l’”intavolazione” ha effetti costitutivi (e non già meramente dichiarativi) dell’acquisto, onde non si “acquista” dal dante causa se non con l’intavolazione ridetta;
- nel sistema “personale”, adottato dall’Italia, nel caso in cui occorra stabilire chi prevalga tra più acquirenti in conflitto tra loro – laddove questi non abbiano acquistato entrambi dallo stesso autore – è necessario poter sempre risalire (a ritroso) la catena degli acquisti che coinvolgono ciascuno dei ridetti acquirenti per 20 anni, fino ad arrivare ad identificare il comune autore e così capire chi – quale “anello” della catena continua discendente da tale comune autore – abbia trascritto per primo o, al più, abbia usucapito per primo il bene di che trattasi; non sono peraltro all’uopo sufficienti i 10 anni previsti per l’usucapione abbreviata ex art.1159 c.c., e ciò per l’ovvia considerazione onde la buona fede, come suol dirsi, “sfugge” alla pertinente indagine;
- proprio per questo, ed al fine di scongiurare la “crisi” del sistema, occorre evitare anche che un solo acquisto non venga trascritto, circostanza che sarebbe capace, all’evidenza, di interrompere la catena degli acquisti “pubblicizzati”;
- di qui il principio della c.d. “continuità delle trascrizioni”, scolpito all’art.2650 c.c., che consente all’acquirente (C) – ed ad ogni altro interessato – di trascrivere, oltre ovviamente al proprio atto di acquisto da (B), anche l’atto di acquisto del proprio dante causa (B) dal relativo autore (A), laddove non ancora intervenuto a pertinente cura (di B, acquirente di A); una volta infatti trascritto l’atto anteriore di acquisto (da A a B), la trascrizione degli acquisti successivi (ad esempio, quello di C da B) produce effetto secondo il rispettivo ordine, assecondando il c.d. “effetto di prenotazione”;
- laddove peraltro il conflitto tra più acquirenti riguardi “direttamente” l’acquisto di entrambi da un medesimo autore, scatta la regola di cui all’art.2644 c.c., onde prevale la prima trascrizione sulla seconda (c.d. “priorità delle trascrizioni”); in altri termini, laddove il dante causa originario (A) abbia trasferito il medesimo diritto – sul medesimo bene – a due soggetti diversi (B e C), così dando origine a due diverse (ed incompatibili) catene di trasferimenti, prevale chi dei due abbia trascritto per primo (ad esempio, C su B), ancorché abbia acquistato per secondo (ha acquistato prima B e poi C), con prevalenza garantita anche per tutti i relativi successori.
Quali problemi pone la c.d. doppia alienazione immobiliare?
- ai sensi dell’art.2644 c.c., se A aliena lo stesso bene immobile a B e a C, prevale dei due colui che ha trascritto per primo, in disparte chi abbia “acquistato” per primo da A (stesso dante causa);
- qualora dunque C abbia acquistato per secondo da A, ma trascriva per primo, egli prevale su B, ancorché quest’ultimo abbia acquistato per primo da A;
- affiora da ciò la netta frizione tra sistema della trascrizione e principio del consenso traslativo: in realtà, A che ha già alienato un immobile X a B in virtù del semplice consenso non può poi alienare il medesimo immobile X a C, poiché non è più titolare del pertinente diritto di proprietà, sulla scorta del noto brocardo onde nessuno può trasferire una “ragione giuridica” maggiore di quella della quale dispone (nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet);
- per spiegare come il secondo acquirente primo trascrivente C possa acquistare dal comune dante causa A, nonostante questi abbia già alienato a B, si fronteggiano due diverse tesi: d.1) dottrina minoritaria: C acquista a titolo originario da A, sulla base di una fattispecie complessa costituita dall’atto (di A) a non domino e della (prima) trascrizione di tale atto; d.2) dottrina maggioritaria: C, quando acquista da A, lo fa – collocandosi in una prospettiva ex ante – a non domino perché A ha già alienato a B, e tuttavia, trascrivendo per primo (rispetto a B), fa avverare l’evento di una condizione risolutiva ex lege che opera retroattivamente sugli effetti reali prodotti dal primo atto traslativo, quello da A a B, non tempestivamente trascritto (a cura di B), onde il primo acquisto di B – per fictio iuris, collegata al meccanismo della condizione risolutiva, a carattere retroattivo – è come se non avesse mai prodotto l’effetto di trasferirgli il bene immobile (o comunque il diritto immobiliare) oggetto di alienazione, con l’ulteriore, finale precipitato onde – guardando la fattispecie da una prospettiva ex post – il secondo acquirente ma primo trascrivente C risulta il primo ed unico acquirente, a domino e a titolo derivativo, da A;
- altra questione che pone la doppia alienazione immobiliare concerne la responsabilità civile dell’alienante (A) e del secondo acquirente primo trascrivente (C) nei confronti del primo acquirente secondo trascrivente (B), laddove i primi siano in mala fede, con conseguente obbligo di risarcire il danno;
- muovendo dalla responsabilità civile dell’alienante in mala fede (A) nei confronti del primo acquirente secondo trascrivente (B) danneggiato, questi può chiedere al primo il risarcimento dei danni non già tanto facendo valere la garanzia per evizione – che presuppone una causa anteriore all’alienazione, e non già successiva alla medesima (come accade nel caso di specie, in cui C acquista successivamente a B, pur trascrivendo per primo) – quanto piuttosto agendo a titolo di responsabilità contrattuale, stante l’inadempimento perpetrato dal venditore (A) all’obbligo che su di esso incombe di trasferire (a B) il diritto divisato, in una con l’obbligo di astenersi da qualsivoglia comportamento idoneo a privare di efficacia il pertinente trasferimento;
- venendo alla responsabilità del secondo acquirente e primo trascrivente (C), qualora questi scientemente trascriva per primo il proprio acquisto pur sapendo si essere, appunto, secondo acquirente, al fine di far salvo tale proprio secondo acquisto giusta preventiva trascrizione, esso viene assunto responsabile nei confronti del primo acquirente secondo trascrivente (B) di un fatto illecito aquiliano ex art.2043 c.c.; ciò a cagione di una dolosa preordinazione orientata – d’accordo con il comune autore A – alla frode del primo acquirente secondo trascrivente ridetto (B), o comunque nella consapevolezza di una precedente vendita da parte dell’alienante comune ridetto (A) unita alla previsione di una propria trascrizione anteriore, con conseguente compartecipazione “ab externo” all’inadempimento dell’alienante (c.d. lesione aquiliana del credito), giusta apporto consapevolmente dato al fine di privare di effetti il primo acquisto (di B); in questo caso, l’elemento psicologico del dolo tende ad essere identificato proprio con la mala fede del secondo acquirente primo trascrivente (C);
- dal punto di vista del primo acquirente secondo trascrivente (B), la giurisprudenza ne ammette anche – a determinate condizioni – una forma di tutela “reale”, legittimandolo all’azione revocatoria della seconda alienazione di A, idonea come tale a privare di effetti la seconda alienazione ridetta, siccome poi trascritta per prima da C; non viene tuttavia considerata sufficiente la mera consapevolezza in capo a C (secondo acquirente, primo trascrivente) della precedente vendita a B (primo acquirente, secondo trascrivente), essendo piuttosto necessaria la relativa partecipatio fraudis, e dunque la partecipazione da parte di C alla dolosa preordinazione dell’alienante A, ex art.2901, comma 1, n.2 c.c.; ciò in quanto si ritiene che il credito di B (primo acquirente, secondo trascrivente) nei confronti di A (comune alienante) sorga solo con la trascrizione, e poiché la trascrizione di B è successiva a quella di C (secondo acquirente, ma primo trascrivente), occorre appunto la partecipe, dolosa preordinazione del terzo acquirente a titolo oneroso (nel caso di specie, appunto C) giusta atto (pregiudizievole da revocarsi) anteriore al sorgere del credito per il quale la revocatoria appresta tutela.
Cosa occorre rammentare in particolare – sul crinale sostanzial-processuale – della trascrizione delle domande giudiziali e delle sentenze?
- ai sensi degli articoli 2652 e 2653 c.c., talune domande giudiziali devono essere trascritte;
- si tratta di domande giudiziali relative a diritti soggetti a trascrizione ex art.2643 c.c.;
- l’elenco delle domande giudiziali trascrivibili è tassativo;
- la trascrizione delle domande giudiziali resta efficace per 20 anni, salvo rinnovazione ex art.2668 bis c.c.;
- la trascrizione di una domanda giudiziale assolve ad una funzione di prenotazione degli effetti della sentenza che sarà pronunciata sulla domanda oggetto appunto di trascrizione; si configura in tal modo una deroga al canone “resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis” (una volta estinto il diritto dell’alienante, si estingue anche quello del relativo avente causa);
- per fare un esempio ispirato dalla più illuminata dottrina, si può partire dall’art. 2652, n.1, c.c.: qualora A venda a B un bene rateizzando il pagamento del prezzo, B (acquirente) potrebbe alla lunga rivelarsi inadempiente al pagamento del prezzo ridetto, non versando talune rate e così sollecitando l’azione di risoluzione del contratto da parte dell’alienante A; tuttavia, B, acquirente ed ormai proprietario del bene, potrebbe medio tempore aver venduto a propria volta il bene medesimo a C; in simili evenienze, il conflitto tra l’alienante A (che agisce in risoluzione) ed il terzo acquirente C (che ha acquistato da B, poi rivelatosi inadempiente verso A) viene risolto proprio dalla trascrizione, onde prevale chi tra C ed A abbia per primo trascritto, rispettivamente, il proprio atto di acquisto ovvero la domanda di risoluzione dell’originario contratto (tra A e B);
- stessa regola vale nel caso in cui chi spicca domanda lo faccia: g.1) per inadempimento ad un modus testamentario o donativo; g.2) per la rescissione di un contratto; g.3) per la revocazione di una donazione, g.4) nel caso si tratti dei relativi creditori, per la revoca della rinunzia all’eredità da parte del chiamato;
- un regime particolare riguarda l’interfacciarsi della trascrizione delle domande giudiziali con l’azione di simulazione e con l’azione revocatoria, onde: h.1) in caso di azione di simulazione, il subacquirente fa salvo il proprio acquisto solo se – oltre ad aver trascritto per primo – ha acquistato in buona fede, tanto a titolo oneroso che gratuito (art.2652, n.4 c.c.; si rinvia sul punto all’apposito CRONOPERCOSO); h.2) in caso di azione revocatoria, il subacquirente fa salvo il proprio acquisto solo se – oltre ad avere trascritto per primo – ha acquistato in buona fede e a titolo oneroso, ma non anche a titolo gratuito (art.2652, n.5 c.c.; si rinvia sul punto all’apposito CRONOPERCOSO);
- dal punto di vista più pratico, l’art.2658 c.c. prescrive al richiedente di presentare al conservatore dei registri immobiliari una copia autentica del titolo contenente la domanda giudiziale in una con la relata di notifica alla controparte; poiché si discorre genericamente di “titolo” contenente la domanda giudiziale, la giurisprudenza tende ad assumere non esclusiva la forma dell’atto di citazione, potendo essere bastevole anche un ricorso, purché già notificato alla controparte e, dunque, ad essa noto;
- infine, ai sensi dell’art.2651 c.c. vanno trascritte le sentenze dalle quali risulti che uno dei diritti di cui agli articoli 1, 2 e 4 c.c.: j.1) si sia estinto per prescrizione; j.2) sia stato acquistato per usucapione; j.3) sia stato acquistato in altro modo non soggetto a trascrizione. Si tratta di una fattispecie di pubblicità notizia, con lo scopo di dare appunto notizia della intervenuta modifica di un diritto reale non già per volontà delle parti, ma piuttosto a cagione di un fatto giuridicamente rilevante; stante l’effetto dichiarativo della sentenza trascritta, chi ha acquisito per usucapione (e dunque a titolo originario) prevale, secondo la giurisprudenza, rispetto a chi abbia successivamente acquisito a titolo derivativo lo stesso bene, ancorché quest’ultimo abbia trascritto il proprio titolo di acquisto anteriormente alla trascrizione della sentenza che accerta, per l’appunto, l’usucapione.
Cosa occorre rammentare delle due figure, rispettivamente, di trascrizione illegittima e di trascrizione ingiusta di una domanda giudiziale?
- si tratta di due fattispecie che generano responsabilità civile in chi le perpetra, obbligando al risarcimento del danno da responsabilità aquiliana potenzialmente “extracodicistica”;
- occorre muovere dalla circostanza onde, in taluni casi specifici, nel nostro sistema la trascrizione spiega una funzione meramente “prenotativa”; ciò accade nelle ipotesi: b.1) di trascrizione del contratto preliminare (art.2645 bis c.c.); qui gli effetti della trascrizione del contratto definitivo retrocedono al tempo della trascrizione del preliminare; b.2) di trascrizione, appunto delle domande giudiziali (articoli 2652 e 2653 c.c.); qui gli effetti della trascrizione delle sentenze retrocedono al tempo della trascrizione delle pertinenti domande;
- ora, dagli articoli 2652 e 2653 c.c. affiora, in primo luogo, una elencazione tassativa delle domande giudiziali che possono essere – già in astratto – oggetto o meno di trascrizione; si pone allora il problema di capire come ristorare il danno eventualmente discendente a terzi dalla trascrizione (in mala fede o per errata interpretazione della normativa ridetta) di una domanda neppure astrattamente trascrivibile; sono le fattispecie di c.d. trascrizione “illegittima”;
- inoltre, ai sensi dell’art.111, comma 4, c.p.c., la sentenza pronunciata contro l’alienante (nel caso di successione a titolo particolare tra vivi del diritto controverso) o contro il successore universale (in caso di successione a titolo particolare mortis causa del diritto controverso: in sostanza, in caso di legato) spiega sempre i propri effetti anche contro il successore a titolo particolare nel diritto controverso ed è impugnabile anche da lui, salve tuttavia le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione in caso di immobili; la trascrizione della domanda giudiziale – qui ammissibile in astratto – finisce dunque col creare sul bene oggetto di disposizione una sorta di vincolo di indisponibilità a favore del trascrivente, che si “scioglie” solo all’esito del processo, con la sentenza che – in concreto – definisce il pertinente giudizio; anche in questo caso, si pone il problema di capire come ristorare il danno eventualmente discendente a terzi dalla trascrizione di una domanda che si riveli alfine, ed in sentenza, infondata; sono le fattispecie di c.d. trascrizione (ex post) “ingiusta”;
- sul tema, si sono giustapposte almeno 3 tesi dottrinali: e.1) una parte della dottrina ha proposto di applicare ad entrambe le fattispecie – tanto di trascrizione illegittima che di trascrizione ingiusta – l’art.96 c.p.c., il cui comma 2 deve assumersi aver eliso ex lege l’operatività del più generale art.2043 c.c., allorché il danno non sia un danno “qualunque”, ma derivi piuttosto dalla condotta processuale di una delle parti, in violazione del dovere di lealtà e buona fede processuale; in sostanza, secondo questa prospettiva l’illecito ex art.96 c.p.c. va assunto come illecito “speciale” rispetto a quello “generale” ex art.2043 c.c.; tale “specialità” concerne lo stesso criterio soggettivo di imputazione della responsabilità, che coinvolge – al comma 1 dell’art.96 c.p.c. – solo dolo e colpa grave, mentre al comma 2 del medesimo art.96 c.p.c. lascia sufficiente la sola colpa lieve; concerne, altresì, l’onere della prova gravante sul danneggiato, che non è chiamato a provare l’ingiustizia del danno subito, assunto dall’art.96 c.p.c. “in re ipsa”, e dunque implicito nella condotta processuale “sleale” siccome in concreto tenuta dal danneggiante; l’accertamento del danno e della connessa responsabilità viene peraltro rimesso – nel prisma del c.d. simultaneus processus – al medesimo giudice del “processo” nel cui contesto si è consumata la condotta sleale del danneggiante, attraverso quello che viene plasticamente definito “incidente in differita”; e.2) altra opzione ermeneutica fa invece notare come l’art.96, comma 2, c.p.c. si riferisca alla peculiare fattispecie in cui il giudice accerti l’inesistenza del diritto fatto valere da una delle parti, configurando dunque una ipotesi di responsabilità (civile) il cui fulcro va rinvenuto nell’esercizio “giudiziale” di una pretesa fondata su un diritto insussistente, potendo dunque applicarsi alla sola trascrizione “ingiusta” (la domanda era astrattamente trascrivibile, ma il diritto che la fondava si è palesato insussistente), ma non anche alla trascrizione “illegittima” (la domanda non era neppure astrattamente trascrivibile) al cospetto della quale dovrebbe piuttosto scattare l’operatività “generale” dell’art.2043 c.c., con il connesso principio di neminem laedere e le norme sulla responsabilità aquiliana; ciò reca seco, nelle fattispecie di trascrizione “illegittima”, la necessità di provare da parte del danneggiato colpa e/o dolo del danneggiante, senza che rilevi veruna graduazione (lieve/grave) dell’elemento psicologico pertinente; e di provare altresì l’“ingiustizia” del danno subito per responsabilità del danneggiante; il tutto, peraltro, in via autonoma dinanzi ad un giudice diverso da quello del “processo” nella cui economia il fatto illecito si è concretizzato, dovendosi escludere il simultaneus processus con operatività delle ordinarie regole di competenza giurisdizionale; e.3) un terza tesi assume applicabile alla trascrizione illegittima l’art.96, comma 1, c.p.c. (con insufficienza dunque della c.d. colpa lieve, essendo necessari dolo o colpa grave in capo al danneggiante), ed alla trascrizione ingiusta (o “infondata”) l’art.96, comma 2, c.p.c. (con sufficienza della mera colpa lieve in capo al danneggiante);
- nel 2011 le SSUU hanno autorevolmente fatto chiarezza sul punto, muovendo dal rapporto di specialità che intercorre tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 96 c.p.c., l’azione di risarcimento del danno subito in conseguenza della trascrizione di una domanda giudiziale trovando per la Corte il proprio titolo giuridico nell’art. 2043 c.c. nell’ipotesi di domanda non trascrivibile, in quanto non ricompresa in nessuno dei casi ex artt. 2652 e 2653 c.c., dovendosi ravvisare nella formalità eseguita contra legem un vero e proprio fatto illecito; l’azione risarcitoria ridetta trovando, invece, fondamento nell’art. 96 c.p.c., comma 2, che disciplina la responsabilità processuale aggravata, nell’ipotesi di domanda che, pur essendo astrattamente suscettibile di trascrizione, non poteva in concreto esserlo, non sussistendo il diritto che con quella domanda si intendeva far valere; le SSUU traggono poi dal ridetto postulato tutti i corollari che ne costituiscono il precipitato, tanto con riguardo all’onere probatorio che con riferimento al giudice competente a conoscere della controversia, dacché: f.1) nel caso di trascrizione illegittima, stante l’operatività dell’art. 2043 c.c, il danneggiato deve provare l’ingiustizia del danno subito e può (deve) a tal fine promuovere un autonomo giudizio di risarcimento del danno (va escluso dunque il c.d. simultaneus processus); f.2) nel caso di trascrizione infondata e, dunque, nel caso di trascrizione legittima in astratto, ma “ingiusta” in concreto, il soggetto danneggiato può giovarsi di un onere probatorio “attenuato”, l’ingiustizia del danno “processualmente” subito scaturendo direttamente dalla violazione dell’art. 96 c.p.c.; competente a conoscere della controversia inerente il pertinente risarcimento del danno è poi qui lo stesso giudice innanzi al quale si è svolto già il processo da cui la pretesa risarcitoria scaturisce (c.d. simultaneus processus).
Quali sono le singole figure di trascrizione da rammentare e quale disciplina le caratterizza?
- contratto preliminare: l’art.2645 bis c.c., siccome introdotto dal decreto legge 669.96, ha previsto anche il contratto preliminare (si rinvia in proposito all’apposito CRONOPERCORSO) quale atto soggetto a trascrizione; il promittente venditore potrebbe infatti alienare a terzi il bene già promesso in vendita, o potrebbe fallire, e dunque il promissario acquirente va garantito dai pertinenti rischi; il ridetto promissario acquirente può tuttavia opporre al terzo i diritti nascenti dal contratto preliminare sottoscritto con il promittente alienante e debitamente trascritto solo allorché scada il termine fissato per la stipula del contratto definitivo, potendo fino ad allora il promittente adempiere all’obbligo inscritto nel preliminare. L’efficacia della trascrizione del contratto preliminare dura 1 anno dalla data convenuta per la stipula del definitivo e decade in ogni caso decorsi 3 anni da quando è stato stipulato il preliminare stesso: se in questo range temporale (di efficacia) viene trascritto il contratto definitivo, ovvero altro atto avente effetti reali, esso prevale sulle iscrizioni e trascrizioni operate dopo la trascrizione del contratto preliminare; il decorso del termine può tuttavia essere impedito dalla rinnovazione della trascrizione. A fini di idoneità alla trascrizione, il preliminare deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata (ma parte della dottrina ammette anche la trascrizione della domanda diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione del contratto preliminare, con l’effetto di far decorrere retroattivamente gli effetti della trascrizione del preliminare una volta accertata giudizialmente la scrittura di che trattasi, con decorrenza del termine triennale dalla trascrizione della domanda). Dal punto di vista dei contratti definitivi in vista dei quali il preliminare viene stipulato, l’art.2645 bis (e, dunque, l’obbligo di trascrizione) si applica ai soli contratti preliminari orientati a stipulare i contratti definitivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art.2643, con esclusione dunque: a.1) dei preliminari orientati a stipulare contratti definitivi aventi ad oggetto beni mobili registrati; a.2) dei preliminari orientati a stipulare contratti definitivi trascrivibili ma privi di effetti reali (locazione ultranovennale; conferimento in società o associazione del godimento ultranovennale o a tempo indeterminato di un bene; anticresi; transazione su controversie relative ai diritti di cui all’art.2643 c.c. mentovato). Infine, il preliminare unilaterale è assunto trascrivibile, mentre viene normalmente esclusa (dalla dottrina) la trascrivibilità di altri negozi preparatori (per i quali si rinvia ancora una volta all’apposito CRONOPERCORSO), e segnatamente della prelazione e dell’opzione;
- comunione e divisione: l’atto di divisione è l’atto di scioglimento di una comunione, i cui effetti – dichiarativi, e non già costitutivi – retroagiscono al momento in cui la comunione (da dividersi) è stata costituita; essa, ai sensi dell’art.2646 c.c., va trascritta ove coinvolga immobili, ma al solo fine di osservare il (basilare) principio di continuità delle trascrizioni, onde la trascrizione non ha tanto lo scopo di rendere la divisione ridetta opponibile ai terzi (non si producono dunque gli effetti di cui all’art.2644 c.c.), quanto piuttosto, e più in generale, di farla conoscere, così assicurando coerenza al sistema “continuo” della trascrizione; fino a che la divisione non è trascritta, nel caso in cui insorga un conflitto tra due aventi causa (B e C) da un medesimo assegnatario (A), a prevalere è il titolo di data anteriore (per esempio, la cessione di A a B, e non quella successiva di A a C), non già quello trascritto per primo (come nel caso in cui C, secondo acquirente, abbia trascritto prima di B); discorso diverso – proprio per il principio di continuità delle trascrizioni – se la doppia cessione avviene dopo la trascrizione della divisione, perché in quel caso prevale la prima trascrizione, anche se ad operarla sia il secondo acquirente (C) in luogo del primo acquirente (B). Poiché peraltro creditori e aventi causa da un comunista potrebbero non essere d’accordo in ordine alla divisione, essi possono opporsi alla divisione medesima purché, l’atto di opposizione venga trascritto prima della trascrizione della divisione, ove extragiudiziale, o prima della trascrizione della pertinente domanda (effetto prenotativo), laddove si tratti invece di trascrizione giudiziale (art.1113 c.c.); qualora poi sui beni indivisi o sulle quote ideali indivise gravino, prima della divisione, ipoteche, i conflitti tra creditori ipotecari e creditori chirografari che si siano opposti alla divisione viene disciplinato dall’art.2825 c.c. sempre sulla base della anteriorità della iscrizione o trascrizione, rispettivamente, delle ipoteche e degli atti di opposizione;
- atti pertinenti al regime patrimoniale della famiglia o dell’unione civile; le convenzioni matrimoniali di cui all’art.162 c.c. vanno annotate a margine dell’atto di matrimonio (art.44 della legge 151.75), ovvero degli atti dell’unione civile (art.1, comma 13, della legge 76.16, che rinvia all’uopo all’art.162 c.c.); ciò a cagione del fatto che il regime patrimoniale ordinario tra coniugi è la comunione legale, con conseguente necessità di dare adeguata pubblicità a tutte le forme “derogatorie” rispetto alla ridetta disciplina ordinaria, che scatta dunque ex se in difetto di diversa, esplicita scelta operata dai coniugi o dalle parti dell’unione civile; coerentemente con questo sistema, anche in tema di pubblicità nei registri immobiliari viene prevista (art.2647 c.c.) la trascrizione di quei soli atti che sono impeditivi della comunione legale, ovvero che ad essa derogano in qualche modo o che la fanno cessare, assecondando uno schema di c.d. “pubblicità negativa”, con lo scopo di far conoscere ai terzi l’insussistenza dell’ordinario regime di comunione legale che, in difetto di espresse e specifiche prese di posizione, scatta ex lege senza che sia necessaria veruna pubblicità; si ritiene tuttavia in giurisprudenza che per l’opponibilità ai terzi sia sufficiente l’annotazione dei pertinenti atti a margine dell’atto di matrimonio o dell’atto costitutivo di unione civile, l’eventuale trascrizione fungendo solo da concorrente c.d. “pubblicità notizia”, orientamento che ha trovato l’autorevole avallo della Corte costituzionale nel 1995. Quanto poi specificamente agli atti che vanno trascritti, ex art.2647 c.c., spiccano: c.1) la costituzione del fondo patrimoniale; c.2) le convenzioni patrimoniali che escludano beni immobili dalla comunione legale; c.3) gli atti o i provvedimenti di scioglimento della comunione; c.4) gli atti di acquisto di beni personali ex art.179, lettere c), d) ed f); non vengono invece menzionate le convenzioni che costituiscono il regime di “comunione convenzionale”, con conseguente lacuna nel regime di pubblicità per quei beni che, pur non essendo annoverati nel catalogo espresso cui all’art.177 c.c., i coniugi o le parti dell’unione civile decidono invece di far cadere in comunione, sospingendo soprattutto la dottrina nel senso di predicare, per queste fattispecie, l’applicazione analogica dell’art.2647 c.c.. Per quanto infine riguarda specificamente il fondo patrimoniale, la pertinente trascrizione avviene sempre contro i coniugi (o le parti dell’unione civile); è sufficiente un’unica trascrizione se i beni che i coniugi costituiscono in fondo patrimoniale sono già comuni tra loro, ovvero quando il bene appartenga ad un coniuge che lo costituisca in fondo patrimoniale, ma riservandosene la proprietà; occorre invece una doppia trascrizione, ex art.2647 e art.2643, n.3, c.c., laddove il bene sia originariamente in proprietà di un solo coniuge e venga costituito in fondo patrimoniale con perdita della proprietà esclusiva sul bene stesso; del pari, occorre una doppia trascrizione laddove la costituzione del fondo patrimoniale sia operata da un terzo, dovendo in questo caso procedersi sia ex art.2647 c.c., sia ex art.2643, n.1, c.c. (o ex art.2648 c.c. laddove il titolo sia un testamento);
- atti c.d. della “crisi coniugale”: le Sezioni Unite 2021 abbracciano l’orientamento secondo il quale in sede di divorzio congiunto e di separazione consensuale vanno assunti ammissibili accordi tra le parti – “atipici”, ma con sottesi interessi (specie della prole) meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico – che non si limitino all’assunzione di un mero obbligo preliminare, ma attuino in via diretta ed immediata il trasferimento della proprietà di beni anche immobili o di altro diritto reale sugli stessi, giusta trascrivibilità del pertinente verbale di udienza, da intendersi quale atto pubblico e, dunque, quale titolo per l’appunto “trascrivibile”; ciò attraverso una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento, alla luce della tutela che la Carta appresta all’autonomia negoziale dei privati ridetti sulla scorta del combinato disposto degli articoli 2, 3 e 41 Cost.; del resto, il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi redatto dal cancelliere ai sensi dell’art. 126 c.p.c. – che realizza peraltro pienamente l’esigenza della forma scritta dei trasferimenti immobiliari siccome richiesta dall’art. 1350 c.c. – è un atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che quegli attesta essere avvenuti in relativa presenza, assumendo come tale la foggia del titolo trascrivibile; per le SSUU in particolare l’accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume allora forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce – dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace – valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.;
- successioni: ai sensi dell’art.2648 c.c., vanno trascritti tanto l’accettazione di eredità (a titolo universale) che importi acquisto dei diritti enunciati nei numeri 1, 2 e 4 dell’art. 2643 (o la liberazione dai medesimi), quanto l’acquisto del legato (a titolo particolare), a fini di continuità delle trascrizioni e come (sola) condizione di efficacia delle successive trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro l’erede o il legatario, afferenti a beni ereditari; ciò significa che la trascrizione nella materia successoria non spiega, di regola, la consueta efficacia ex art.2644 c.c., onde l’acquirente mortis causa che non abbia trascritto la propria accettazione di eredità conserva comunque il proprio acquisto, senza correre il rischio che un successivo acquirente, trascrivendo per primo, lo spogli dei beni ereditati; l’atto posto in essere dal de cuius è dunque efficace anche in difetto di intervenuta trascrizione, vincolando gli eredi che – in relazione al negozio mortis causa – non possono assumersi “terzi” rispetto a lui, la trascrizione consentendo solo che siano efficaci le successive trascrizioni degli eventuali atti di alienazione posti in essere dagli eredi medesimi (principio di continuità delle trascrizioni); il conflitto tra legatario e terzo che abbia acquistato l’immobile dall’erede va tuttavia risolto a favore di chi abbia trascritto per primo, trattandosi di atti provenienti dal medesimo autore (il de cuius ed il relativo erede, che ne “continua” la personalità); chi ovviamente acquista un immobile dall’erede o dal legatario, deve trascrivere il proprio acquisto (rispettivamente, contro l’erede o contro il legatario), secondo il principio di continuità delle trascrizioni, onde ad esempio, deceduto il de cuius A, l’acquisto da parte di B, erede di A, va trascritto a favore di B, mentre qualora questi alieni poi a C, quest’ultimo dovrà trascrivere a proprio favore e contro B, proprio dante causa; peculiare il regime che si innesca giusta combinato disposto degli articoli 2648 e 534 c.c., in materia di erede apparente e di relativi aventi causa: l’erede vero viene tutelato rispetto alle alienazioni che eventualmente compia un erede apparente attraverso la trascrizione ex art.2648 c.c. e tuttavia, qualora l’erede apparente abbia trascritto il proprio acquisto e i relativi subacquirenti (da lui aventi causa) abbiano anch’essi tempestivamente trascritto, scatta l’operatività dell’art.534 c.c., onde se tali subacquirenti abbiano acquistato dall’erede apparente a titolo oneroso (ma non anche a titolo gratuito), la loro eventuale trascrizione anteriore a quella operata dall’erede “vero” farebbe prevalere loro sull’erede “vero” ridetto;
- cessione di beni ai creditori: qualora il debitore proceda alla cessione di propri beni ai creditori ai sensi dell’art.1977 c.c. e la massa comprenda anche dei beni immobili, la cessione deve essere trascritta, solo così il creditore cessionario potendo opporre la cessione ridetta, operata a proprio favore, a chi abbia successivamente trascritto o iscritto contro il debitore; qualora i creditori anteriori alla cessione spieghino azione esecutiva sui beni oggetto della cessione medesima, tale azione viene fatta salva (nonostante la cessione avvenuta ex post rispetto all’insorgere del loro credito) dall’art.1980, sempre tuttavia che – in presenza di immobili ed in forza di quanto disposto dall’art.2915 c.c. – il pignoramento da loro spiegato sia stato trascritto prima della trascrizione dell’atto di alienazione ai creditori cessionari; laddove la trascrizione del pignoramento sia invece successiva alla trascrizione dell’atto di cessione dei beni compiuto a beneficio dei creditori cessionari, i creditori anteriori alla cessione possono solo spiccare – ove ne ricorrano i presupposti – azione revocatoria sull’atto di cessione.
Quali sono i titoli necessari a trascrivere, e come si svolge il procedimento di trascrizione e la pertinente cancellazione?
- per poter trascrivere un atto, occorre che il “titolo” che lo incorpora sia “trascrivibile”;
- rileva all’uopo l’art.2657 c.c., laddove elenca in guisa tassativa quale forma un atto deve necessariamente assumere per essere, per l’appunto, trascrivibile: sentenza, atto pubblico, scrittura privata con sottoscrizione autenticata, scrittura privata con sottoscrizione accertata in giudizio;
- come osserva la più attenta dottrina, la tassatività dei titoli trascrivibili corrisponde allo scopo del Legislatore di stabilire, avvalendosi all’uopo di un criterio selettivo, quali requisiti debbano avere i titoli idonei a documentare il fatto giuridico trascrivibile, garantendo massime la provenienza dell’atto dalle parti; da questo punto di vista, l’autenticità dell’atto rappresenta solo un mezzo per provare la ridetta provenienza dalle parti, autorizzando una interpretazione estensiva dell’art.2657 c.c. (applicabile, nella sostanza, ogni qual volta la provenienza del titolo dalle relative parti non sia in discussione);
- per quanto riguarda le sentenze, affinché possano trascriversi non è richiesto né che debbano essere dotate di efficacia esecutiva, né tampoco che debbano essere definitive o comunque passate in giudicato, potendo dunque essere trascritta anche una sentenza impugnabile o impugnata; devono invece essere esecutivi, a fini di trascrizione, i lodi arbitrali;
- per quanto invece concerne i provvedimenti amministrativi, essi sono trascrivibili a condizione che siano redatti o ricevuti da un pubblico ufficiale (si rinvia, per l’acquisizione sanante, all’apposito CRONOPERCORSO);
- con riguardo ai contratti, laddove stipulati (non già per atto pubblico ma piuttosto) per scrittura privata semplice, la sottoscrizione delle parti – che ne certifica la provenienza – deve essere, laddove non autenticata, almeno giudizialmente accertata; ciò significa che l’acquirente che voglia opporre il proprio acquisto ai terzi attraverso la trascrizione del proprio atto di acquisto deve preventivamente spiccare azione di accertamento giudiziale dell’autenticità delle sottoscrizioni, trascrivendo la pertinente domanda ai sensi dell’art.2652, n.3, c.c., ottenere la pronuncia favorevole e, infine, trascrivere la scrittura privata ormai divenuta (giusta sottoscrizione delle parti accertata giudizialmente) titolo idoneo a trascrivere ex art.2657 c.c., presentandola al conservatore dei registri immobiliari (in originale o copia autentica) ex art.2658 c.c.;
- una trascrizione che non rispetti l’art.2657 c.c. va considerata invalida, con effetti evidenti, primo tra tutti l’interruzione della continuità delle trascrizioni ad essa avvinte;
- quanto al “procedimento”, la trascrizione va operata presso l’ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni oggetto dell’atto trascrivendo (art.2663 c.c.), recando una istanza in doppio originale indirizzata al conservatore corredata da nota di trascrizione che indichi i dati previsti dall’art.2659 c.c., con allegato l’atto da trascrivere; in sostanza, il bene oggetto dell’atto da trascrivere consente di individuare il conservatore competente, anche se poi la trascrizione viene operata su base personale e dunque contro l’alienante e a favore dell’acquirente;
- nella nota di trascrizione va fatta menzione di eventuali condizioni o termini che corredano l’acquisto nel pertinente atto, ai sensi dell’art.2659, comma 2, c.c.; si discute in ordine alle conseguenze dell’omessa menzione, onde: i.1) secondo una prima tesi, la condizione o il termine sarebbe inopponibile ai terzi (tutela “reale”); i.2) stando ad altra tesi, la condizione o il termine sarebbe opponibile ai terzi, ma genererebbe una responsabilità a titolo di risarcimento danni (tutela “per equivalente”);
- la nota di trascrizione non deve presentare omissioni o inesattezze, che tuttavia in generale non inficiano la validità della trascrizione stessa, salvo che (art.2665 c.c.) non siano tali: j.1) da generare incertezze in ordine alle persone coinvolte nel titolo da trascrivere (atto, domanda, sentenza): si tratta dei soggetti del rapporto giuridico della cui pubblicità si tratta, che non corrispondono necessariamente alle parti (o a tutte le parti) del contratto; va indicato nome e cognome, assecondando esigenze anche pratiche derivanti dal fatto che i registri immobiliari (ubicati in corrispondenza dell’immobile) sono tuttavia organizzati secondo un criterio di ricerca “personale” e presentano una tavola alfabetica con una rubrica dei cognomi; secondo la giurisprudenza l’omissione della data e del luogo di nascita non inficia la validità della trascrizione; j.2) da generare incertezze in ordine ai beni coinvolti nel titolo da trascrivere (atto, domanda, sentenza): stando alla giurisprudenza, laddove vengano trasferiti immobili in blocco, le finalità della trascrizione devono assumersi realizzate anche quando nella relativa nota siano inseriti elementi di individuazione riferiti ad un complesso immobiliare globalmente considerato, che consentano comunque di accertare che il trasferimento investe i singoli beni da cui tale complesso immobiliare è costituito, massime quando è compendiato dall’intero piano di un edificio, quale bene di per sé suscettibile di autonoma individuazione (anche) in natura; j.3) da generare incertezze in ordine al rapporto giuridico cui ci si riferisce nel titolo da trascrivere (atto, domanda, sentenza);
- per quanto concerne i controlli rimessi al conservatore dei registri immobiliari, essi presentano dei limiti ben precisi scolpiti all’art.2674 c.c.; egli può infatti rifiutare le formalità di trascrizione per inidoneità del titolo o per incompletezza della nota, ovvero per difformità della stessa rispetto a quanto disposto dall’art.17 della legge 52.85 e, dunque, dal modello predisposto dalla competente Amministrazione; si tratta di un controllo a carattere meramente formale, a valle del quale il conservatore può: k.1) rifiutare motivatamente la trascrizione (restituendo uno degli originali al richiedente: art.113 bis disp.att. c.c.); k.2) procedere alla trascrizione con riserva, così assicurando al richiedente l’effetto prenotativo, dacché l’eventuale decisione favorevole del giudice retroagirà al momento, per l’appunto, della trascrizione con riserva (garantendo la conservazione del numero d’ordine della trascrizione, il connesso impedimento di pregiudizi irreversibili con riguardo all’ordine delle precedenze nelle trascrizioni e, infine, un effetto di informazione circa la contestazione giudiziaria pertinente, siccome in corso); si discorre di “decisione favorevole” dacché, ottenuta la trascrizione con riserva, la parte interessata richiedente deve – se non vuole veder perdere effetti alla “parentetica” formalità – proporre reclamo al Tribunale ai sensi e con le formalità di cui all’art.113 ter delle disposizioni di attuazione al codice civile, con procedimento (di natura sostanzialmente cautelare) sfociante in un decreto immediatamente esecutivo e reclamabile presso la Corte d’Appello competente;
- importante formalità accessoria alla trascrizione è la cancellazione (art.2668 c.c.), che estingue per l’appunto una formalità (trascrizione) precedente; essa opera come causa estintiva autonoma, idonea ex se a produrre la cancellazione dell’effetto prodotto dall’atto pubblicitario costitutivo sul quale incide, con effetto rispetto ad ogni interessato, indipendentemente dal se sia valido o meno il titolo che fonda la cancellazione stessa; dal punto di vista pratico, si tratta di una registrazione “cancellativa” irreversibile a margine della precedente trascrizione, che non può subire a propria volta annullamenti o cancellazioni, onde – in caso di indebita cancellazione di una precedente trascrizione – si può solo procedere ad una nuova trascrizione; da notare come non tutte le trascrizioni siano “cancellabili”, rivestendo l’elencazione contenuta nell’art.2668 c.c. carattere tassativo; sono dunque cancellabili le trascrizioni aventi ad oggetto: l.1) domande giudiziali; essa va “consentita” dalle parti del giudizio di che trattasi, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, ai sensi dell’art.2657 c.c.; quando manca il consenso delle parti, la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale discende da ordine del giudice contenuto nella pronuncia di rigetto sulla domanda, ovvero nell’ordinanza che estingue il pertinente processo; l.2) pignoramenti; l.3) sequestri giudiziari; l.4) sequestri conservativi; l.5) i contratti preliminari, quando le parti interessate consentano, ovvero la cancellazione sia ordinata ope iudicis (art.2688, comma 4, c.c.); quest’ultima configura l’unica fattispecie “sostanziale” di cancellazione, dacché normalmente trascrizioni di annullamenti contrattuali, di risoluzioni o di avveramento di condizioni risolutive vengono private di effetti (e perdono conseguentemente pubblicità) attraverso altra formalità accessoria, detta “annotazione”.
Cosa occorre rammentare della c.d. trascrizione “mobiliare”?
- taluni beni mobili, in ragione del peculiare valore economico che esprimono o comunque della peculiare natura che li correda, rivestono una certa importanza nel prisma del traffico giuridico;
- ciò impone l’adozione di speciali cautele finalizzate a consentire una più certa ed agevole identificazione del relativo proprietario;
- ciò ha sospinto il legislatore del codice civile a prevedere, per tali beni mobili, una forma di pubblicità sub specie di trascrizione, onde ad essi si applicano le regole della trascrizione immobiliare sia in tema di atti da trascrivere e di relativa efficacia dichiarativa (art.2684 c.c.), sia in tema di principio di continuità delle trascrizioni e di trascrivibilità delle pertinenti domande giudiziali (art.2690 c.c.);
- si tratta tuttavia di una trascrizione organizzata su base “reale”, e non già personale, con registri separati per ciascun bene mobile “registrato” di riferimento;
- stante il peculiare registro afferente, in astratto, allo specifico bene mobile (inteso come categoria: una nave, un aeromobile e così via), la pubblicità si esegue in concreto su un foglio specificamente dedicato al singolo bene mobile registrato, sul quale vengono annotati i mutamenti giuridici successivi che lo riguardano;
- l’art.2696 c.c., con norma di rinvio, indica i registri presso i quali viene effettuata la trascrizione per relationem, rinviando per l’appunto al codice della navigazione per navi, galleggianti ed aeromobili, e al c.d. PRA (Pubblico Registro Automobilistico) per quanto riguarda gli autoveicoli;
- come nel caso più frequente di pubblicità immobiliare, anche per quanto riguarda la trascrizione dei beni mobili – laddove prevista – la funzione è quella di risolvere eventuali conflitti tra più aventi causa da un medesimo alienante, con prevalenza dell’acquirente che abbia trascritto per primo; la mancata trascrizione, peraltro non inficia né la validità né l’efficacia dell’acquisto dal proprio dante causa, perfezionantesi al solito col semplice consenso (traslativo), consentendo solo all’acquirente primo trascrivente di opporre il proprio acquisto ad eventuali trascriventi successivi (quantunque acquirenti anteriori), con natura dichiarativa dunque (e non già costitutiva) anche della trascrizione c.d. “mobiliare”.