CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA – sentenza 7 maggio 2021 n. 160
In tema di danno erariale, con particolare riferimento a fatti di corruzione in occasione del public procurement, la quadripartizione, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, del genus giuscontabile in danno da tangente, da disservizio, da interruzione del rapporto sinallagmatico, nonchè del danno all’immagine, ha valore descrittivo e ciò in ossequio ai principi civilistici in tema di illecito.
Il danno da tangente è ravvisabile nel maggior costo che l’accordo corruttivo determina sull’economia del contratto pubblico e, precisamente, nei maggiori oneri -sia in termini di esborsi che di maggiori lavori/opere- posti a carico del committente pubblico, diseconomie queste che vengono traslate, in forza dell’accordo corruttivo, ad ingiusto profitto dell’agente contabile infedele. La prova di tale voce di danno può essere offerta anche per presunzioni sulla scorta dell’accertamento della penale responsabilità per fatti di corruzione.
Il danno da disservizio consiste nell’interruzione, o nel ritardo, della p.a. danneggiata nella cura in concreto dell’interesse pubblico affidatole dalla norma di conferimento del potere, causalmente derivante dalla condotta corruttiva, che si concretizza negli accertamenti e nelle indagini interne alla medesima amministrazione volti ad accertare e reprimere, anche disciplinarmente, i fatti corruttivi. Tale voce di danno deve essere oggetto di rigorosa prova da parte della Procura contabile non potendo essere meramente desunta dal mero esercizio dei poteri ispettivi e sanzionatori competenti alla p.a. in qualità di datrice di lavoro.
Il danno da interruzione del rapporto sinallagmatico (di impiego/servizio) attiene all’indebita retribuzione percepita dall’agente contabile corrotto nel lasso temporale dal medesimo dedicato all attività corruttiva ed è quantificato in via equitativa.
Il danno all’immagine della p.a., pacificamente ricorrente in caso di accordo corruttivo, è quantificato secondo criteri equitativi laddove i fatti risalgano a tempi anteriori rispetto all’introduzione -ad opera dell’art 1 comma 62 legge 6 novembre 2012 , n. 190, dell’art comma 1 sexies all’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20- della quantificazione presuntiva del danno all’immagine nel doppio del profitto penalmente rilevante accertato con sentenza irrevocabile.
Ed infatti, le norme sostanziali di natura sanzionatoria, ancorché extrapenali, soggiacciono, tendenzialmente, al principio di irretroattività in peius.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente statuita la contumacia di Antonicelli Giovanni, ritualmente evocato e non costituitosi.
Sempre in via preliminare va chiarito che, rigettata legittimamente la richiesta della difesa del Gabetta di rito abbreviato, il presente giudizio è da ritenere incardinato su tutti gli attuali convenuti.
2. La complessa questione al vaglio della Sezione concerne quattro tipologie di danno (da tangente, da disservizio, da interruzione del nesso sinallagmatico e all’immagine) contestate dalla Procura e nascenti da rapporti corruttivi intrattenuti tra i convenuti e la società di servizi ambientali «Sangalli Giancarlo & C S.r.L.» i cui titolari, Giancarlo e i figli Daniela, Patrizia e Giorgio, sono stati autori, nella prospettazione accusatoria, di pagamenti di tangenti a politici locali e funzionari pubblici affinché manipolassero le procedure di gara per servizi di pulizia nel 2009 (aggiudicati con appalto di oltre 127 milioni di euro) nel Comune di Monza. La contestazione fa riferimento e lambisce anche un ulteriore appalto per servizi cimiteriali, non oggetto però di specifica contestazione attorea.
Tali condotte sono dalla Procura ascritte all’assessore all’ambiente, rifiuti, gest.cimiteriale e patrimonio Giovanni Antonicelli, alla Dirigente del Settore Ambiente, qualità e riqualificazione urbana e servizi cimiteriali Gabriella Di Giuseppe, al Presidente e ad un componente della commissione Ambiente dell’epoca, rispettivamente Antonio Gabetta e Daniele Massimo Petrucci, ad un membro della commissione giudicatrice della gara, Claudio Brambilla, mentre non risulta evocato in giudizio il consulente nominato per predisporre il capitolato tecnico Stefano Mambretti.
3. Va preliminarmente respinta l’eccezione di prescrizione formulata dalle varie difese, ed ancorata a dies a quo diversificati a seconda delle specifiche tesi, in quanto, a fronte di fatti tangentizi posti in essere nel 2009 e come tali occultati, la conoscenza degli stessi da parte del Comune di Monza o della Procura erariale, quand’anche risalisse (ma la Sezione non lo condivide per la genericità e lacunosità dei dati desumibili da tali iniziali “notizie”) a notizie giornalistiche o a misure cautelari penali nei confronti dei convenuti (eventi del 2012-2013), è stata seguita da un basilare atto, ovvero costituzione di parte civile-la messa in mora 17-19.6.2014 (v. doc.44, pagg.29-31, Procura) notificato agli attuali convenuti dal Comune di Monza (sulla idoneità di tale atto ad interrompere la prescrizione anche in questa sede contabile cfr. C.conti sez. Lombardia, 16 settembre 2019, n. 231; C. conti, sez. app. Sicilia, 8 febbraio 2015, n. 8; id., sez. Friuli – Venezia – Giulia, 22 febbraio 2015, n. 5; id., sez. I app., 2 marzo 2015, n. 200; id, sez. II app., 15 luglio 2015, n. 392; id., sez. Lombardia, 21 aprile 2016, n. 79; id., sez.II app., 4 luglio 2012 n.393; id., sez.Lazio, 17 maggio 2011, n. 776,; id., sez. Puglia, 7 ottobre 2010, n. 626; id., sez.III app., 10 maggio 2010, n. 335/A; id., sez. I, 6 maggio 2009 n.295; id., sez.Lazio, 3 marzo 2008 n. 392; id., sez. Lombardia, 13 maggio 2008 n. 284; id., sez. I, 20 giugno 2007 n. 171; id., sez. II, 15 maggio 2007 n. 161; id., sez. I, 16 aprile 2007 n. 94; id., sez. riun., 25 novembre 2004 n. 8) e dal parziale riconoscimento di debito da parte dei convenuti Gabetta e Di Giuseppe, i quali, a fronte di pretesa risarcitoria solidale qui azionata, hanno effettuato risarcimenti, seppur ridotti a fronte del cospicuo danno patito dall’Amministrazione, sulla scorta di quanto attestato dal Comune di Monza nella relazione amministrativa prot. n. 9058/2020 del 13.01.2020 in atti: come è noto, il pagamento parziale del debito, in quanto atto di adempimento, costituisce anche tacito riconoscimento del diritto altrui, incompatibile con la volontà di avvalersi successivamente della prescrizione, atteso che la natura di atto non negoziale del pagamento comporta i due effetti, non scomponibili, di riduzione del “quantum” debitorio e di indiretto o tacito riconoscimento, restando indifferente qualsivoglia intento volitivo del soggetto agente (ex pluribus C. conti, sez. Piemonte, 25 settembre 2014, n. 116; C. conti, sez. Piemonte, n. 161 del 2011; C. conti, sez. I app., n. 96/2017 Cass., III sez., n. 4315 del 1977 e n. 5982 del 2007; Cass., III sez., n. 19253 del 2004). Ovviamente tale ulteriore atto opera per i soli due autori del pagamento e non per i restanti condebitori ex art.1309 c.c.
A fronte di tali atti e di un invito a dedurre del dicembre 2018, la pretesa attorea è da ritenere non prescritta.
Osserva incidentalmente sul punto da Sezione che la declaratoria di inammissibilità della costituzione di parte civile depositata in data 19 giugno 2014 statuita a pag.31 della sentenza penale del Tribunale di Monza 26.1.2015 n. 71/15 a cui le difesa fanno ripetuto richiamo a rivendicati fini prescrizionali, non assume rilevanza, essendo stato comunque materialmente posto in essere, e comunicato ai convenuti tramite le rispettive difese con tale costituzione, un atto chiaramente interruttivo, sul piano sostanziale, della prescrizione civilistica e giuscontabile, quand’anche ritenuto inammissibile ai distinti fini processuali penali per motivazioni afferenti il rito penale. In altre parole, con tale atto tutti, gli attuali convenuti sono stati formalmente resi edotti a giugno 2014, in forma scritta, della chiara volontà del creditore-danneggiato Comune di Monza di recuperare il credito risarcitorio patito per la vicenda tangentizia di cui è causa. E a dicembre 2018 la volontà recuperatoria del danno, parimenti interruttiva della prescrizione quinquennale, è stata confermata dalla Procura contabile con invito a dedurre.
4. Venendo al merito, può ritenersi comprovato il dato fattuale, penalmente rilevante, di una intervenuta erogazione di tangenti da parte della impresa Sangalli Giancarlo & C srl per ottenere, nel 2009, il rilevante appalto dei servizi di pulizia del Comune di Monza, pari ad oltre 127 milioni di euro, oltre a quelli cimiteriali (non oggetto di specifiche contestazioni attoree). Depongono per tale approdo probatorio diverse risultanze processuali:
4.1. in primo luogo, la sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. del Tribunale di Monza del 26.1.2015 n. 71/15 (divenuta irrevocabile il 5.4.2015) per corruzione in relazione ai fatti posti in essere dal 2007 al 2012 dagli attuali convenuti menzionati nei capi di imputazione indicati alle pagg. 5-22 della citazione attorea, da intendersi qui trascritta, evidenzia un collaudato “sistema corruttivo” ed una capillare rete di contatti e di appoggi che, nel corso degli anni, avevano consentito alla “Impresa Sangalli Giancarlo & c. S.r.l.”, attraverso l’aggiudicazione di gare di rilevante e strategica importanza, di entrare nel ristretto numero di aziende leaders a livello nazionale nel settore dell’igiene urbana in generale.
I fatti storici ascritti ai convenuti sono da considerare giuridicamente certi nella loro fattualità, nella loro valenza penale e nella imputabilità agli evocati, stante il giudicato intervenuto in sede penale. Difatti, come statuito dalla Corte di cassazione (ex pluribus Cass., 3643/2019; Cass., 20562/2018; Cass., Sez. tributaria, 30.9.2005, n.19251; Cass. civ. Sez. lavoro, 5.5.2005, n. 9358; Cass. civ. Sez. V, 8.9.2008, n. 22548) “La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, laddove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il Giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, può essere utilizzato come prova…..” (in terminis C.conti, Sez. Lombardia, 12.7.2017 n.112; id., n. 24 del 2012; id., n. 63 del 2015). In altre parole, per costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. fra le tante, C.conti, sez.Liguria, 10.12.2019 n.204; id., sez.Lombardia, 17.11.2017 n.161; id., Sez. I, 14 gennaio 2008 n. 24; 16 settembre 2008 n. 404; 7 gennaio 2004 n. 3; id., Sez. giur. Lazio, 10 marzo 1999 n. 157; id., Sez. giur. Friuli V.G., 19 gennaio 1998 n. 6; id., Sez. giur. Lombardia, 25 novembre 2008 n. 835, 29 dicembre 2008 n. 986 e 17 febbraio 2011 n. 109) la sentenza di patteggiamento assume specifico ed univoco valore probatorio in ordine ai fatti contestati all’imputato, vincibile soltanto attraverso la presentazione di inequivocabili prove contrarie, peraltro assenti nella fattispecie. Come ben rimarca Toscana, sez. reg. giurisd., 25.6.2018 n. 167, il patteggiamento della pena ex art. 444 c.p.p. assume un valore probatorio qualificato, superabile solo attraverso specifiche prove contrarie, di talché il Giudice contabile, pur potendo valutare i fatti in modo difforme da quanto contenuto nella sentenza, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il Giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione.
Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato poi conferma, in specie dopo la parziale modifica dell’articolo 445 c.p.p. ad opera della Legge 97/2001 (a seguito della quale la condanna derivante da patteggiamento ha effetto di giudicato nei procedimenti disciplinari richiamati dall’articolo 653, comma 1 bis, del c.p.p.), anche nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (ex multis, Cass. civ. Sez. Trib., 30 settembre 1995 n. 19251; Cass. civ., Sez. Lavoro, 5 maggio 2005 n. 9538; Cass. civ., Sez. V, 8 settembre 2008 n. 22548). Da ultimo il giudice di legittimità ha chiarito che “secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (v. tra le altre, Cass. n. 2168 del 2013, Cass. n. 4060 del 2011, nonchè Cass. n. 9458 del 2010 e, tra le più risalenti, Cass. n. 9358 del 2005 e Cass. 18635 del 2006). Detto riconoscimento di responsabilità, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile (Cass. n. 9358 del 2005 e n. 18635 del 2006 cit.). …. Va quindi ribadito che, in sede civile può legittimamente attribuirsi piena efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento, atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità e accetta una determinata condanna, chiedendone o consentendone l’applicazione, il che sta univocamente a significare che il medesimo ha ritenuto di non contestare il fatto e la propria responsabilità, dovendo invece il giudice civile – nel caso in cui non intenda attribuire tale efficacia alla sentenza di patteggiamento – spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione” (Cass., sez. lav., 18 dicembre 2017, n. 30328).
Tutti i convenuti non hanno dato prova alcuna della non commissione dei fatti ascritti loro in sede penale, limitandosi ad una generica e tautologica affermazione di aver optato per il rito ex art.444 c.p.p. per convenienza strategica, che in questa sede non rappresenta prova contraria dei fatti acclarati in sede penale.
Ed anche a voler ritenere (Cass., sez. III, 11/03/2020 n. 7014) che la sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione (ed in quello amministrativo-contabile) non abbia efficacia di vincolo, non abbia efficacia di giudicato, e non inverta l’onere della prova (in quanto la sentenza penale di patteggiamento per il giudice civile e per quello contabile non è un atto, ma un fatto e, come qualsiasi altro fatto del mondo reale, può costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi), concorrono nella specie ulteriori univoci riscontri infraprecisati che rendono plausibile, e dunque provata, l’ipotesi accusatoria;
4.2. in secondo luogo, la sentenza di patteggiamento predetta e le pregresse indagini della Procura penale e le intervenute misure cautelari si fondano su intercettazioni telefoniche (v. trascrizioni inequivoche in ord.cautelare Trib Monza 4.12.2013 in doc.2 pagg.54-74, fasc.Procura), ambientali, veicolari, su rilievi fotografici e di videoripresa, su “posizionamenti GPS” e su correlati “servizi di O.C.P.”, oltre che su dichiarazioni confessorie dei sigg.Sangalli Giancarlo e Giorgio; non è certo possibile, come ingenuamente preteso da talune difese dei convenuti, avere una prova “bancaria” (bonifico o versamento di assegni o contanti sul proprio conto o di stretti congiunti) del versamento di denaro, notoriamente “in nero”, da parte del percettore di una tangente;
4.3. in terzo luogo, vi è stato un parziale riconoscimento di debito da parte dei convenuti Gabetta e Di Giuseppe, i quali hanno effettuato risarcimenti, seppur ridotti a fronte del cospicuo danno patito dall’Amministrazione, sulla scorta di quanto attestato dagli stessi (v. memoria Di Benedetto) e confermato dal Comune di Monza nella relazione amministrativa prot. n. 9058/2020 del 13.01.2020 in atti, segno evidente di una conferma delle proprie responsabilità connesse ad erogazioni tangentizie;
4.4. in quarto luogo, per sua stessa ammissione in comparsa, il convenuto Brambilla, membro esterno della Commissione di gara e non dipendente dell’Amministrazione comunale, ha apprezzabilmente affermato in udienza 5.5.2021, tramite il patrono avv.prof. Ferrari, la percezione tangentizia per “problemi familiari”, ed ha risarcito in sede civile/penale al Comune di Monza la somma di euro 150.000,00, pari alla metà della contestata erogazione corruttiva, segno inequivoco di leale riconoscimento dei fatti
4.5. in quinto luogo, il Comune di Monza, come si rileva nella stessa relazione di cui sopra, ha stipulato in data 20 gennaio 2015 un accordo transattivo con l’Impresa Sangalli, che ha determinato l’impegno da parte dell’impresa stessa al versamento di una somma complessivamente pari ad oltre 6 milioni di euro, ovvero pari proprio ai maggiori costi indebitamente posti a carico dell’ente, segno evidente di anomalie procedurali e lievitazioni di costi per conseguire verosimili provviste tangentizie che confermano il fatto corruttivo contestato;
4.6. in sesto luogo, in data 27 marzo 2014 il difensore del Sig.Gabetta nel procedimento penale, avv.Fabrizio Gobbi, ha trasmesso al Comune di Monza, Settore Legale – Ufficio Avvocatura, tre assegni circolari pari a complessivi € 15.000,00 “a titolo di risarcimento di ogni danno per i fatti allo stesso contestati nel citato procedimento”, per i quali il Comune dava quietanza, segno tangibile di ammissione di responsabilità nella grave vicenda in esame; inoltre, in sede penale, per ammissione dello stesso convenuto in comparsa, si rinviene una intercettazione ambientale del Signor Giancarlo Sangalli inequivoca sul coinvolgimento del Gabetta (“…centomila li abbiamo dati a Gabetta…” rinvenibile nell’ordinanza GIP Tribunale di Monza in data 4/12/2013, in doc.n.2, fasc.Procura, pag.65) e del Petrucci Daniele, familiarmente definito “Lele” in tali intercettazioni; infine, sempre il Gabetta, ha in questa sede formulato richiesta di rito abbreviato offrendo 180.000 euro, indice sintomatico, unito ai restanti, di una scelta derivante da una poco solida linea difensiva atta a confutare, in un rituale giudizio di merito pieno, le evidenti risultanze penali;
4.7. in settimo luogo, per ammissione della stessa difesa del Petrucci, vi è in atti penali una dichiarazione confessoria di Antonicelli Giovanni, il quale ha riferito di aver preso dei soldi dal Sangalli e di averli poi dati, tra gli altri, al Petrucci;
4.8. infine, anche gli accertamenti amministrativi dell’ANAC confluiti nella nota del 23 giugno 2016 in atti confermano le plurianomalie procedurali della gara.
Alla luce di tali univoci e concordanti esiti istruttori penali fattuali, insuscettibili di diversa valutazione in sede giuscontabile per la loro solare evidenza, ritiene il Collegio adeguatamente provata l’erogazione di una rilevante tangente da parte della Sangalli Giancarlo & C S.r.L ai convenuti per agevolare l’aggiudicazione dell’appalto di pulizia del Comune di Monza nel 2009 seguito poi da quello cimiteriale.
5. Venendo alle ricadute in questa sede di tale incontestabile accertamento di erogazione tangentizia, vanno analizzate le quattro ipotizzate voci di danno erariale reclamate dalla Procura ed ascritte ai convenuti.
5.1. Va in primo luogo espunta la voce del danno da disservizio, pari, nella prospettazione accusatoria, ad euro 244.693,61, da ascrivere solidalmente ai convenuti, per i maggiori costi sostenuti e documentati dalla P.A. per lo svolgimento delle indagini amministrative interne derivanti dalle condotte illecite in contestazione, come sarebbe documentato, secondo la Procura, dalla relazione amministrativa del 14/9/2018 prot. 0164961 punto g) all.7 (doc.46 Proc.).
Osserva sul punto il Collegio che, a prescindere sia dal mancato rinvenimento di tale specifico costo nell’allegato menzionato dalla Procura, sia dalla discutibile autonomia dogmatica di tale categoria (di conio giurisprudenziale esclusivamente giuscontabile) di cui occorrerebbe prendere atto soprattutto alla luce degli spunti chiarificatori provenienti dalla Cassazione (Cass., sez.un., 11.11.2008 n. 26972) tesi ad evitare la pletorica moltiplicazione di voci (talvolta labili e non fondate su parametri esplicitati e/o oggettivi) di danno, da ricondurre più rigorosamente alla tradizionale e codicistica distinzione tra patrimoniali (art. 2043 cc) e non patrimoniali (art.2059 cc), va in questa sede ribadito quanto segue. Anche a volerla ammettere come categoria descrittiva, ma non certo ontologica, secondo la miglior dottrina e giurisprudenza, nella specie non sembra al giudicante che “lo svolgimento delle indagini amministrative interne derivanti dalle condotte illecite in contestazione” (v. citazione Procura) sia un costo ulteriore, e dunque un danno da disservizio, per il Comune di Monza, ma un costo ordinario dovuto a verifiche interne che sono comuni e fisiologiche a fronte delle molteplici patologie comportamentali interne ad un ente pubblico e che vanno ordinariamente acclarate dal datore attraverso propri dipendenti, già pagati con l’ordinaria retribuzione, nella loro attività (anche) di preposti a verifiche, ispezioni, azioni disciplinari, contatti con le magistrature etc.
In altre parole, se di danno da disservizio vuol parlarsi, va dimostrato, come suo onere, dalla Procura che tale attività di verifica interna ha avuto ricadute in punto di danni da ritardo (alla stessa PA o a terzi utenti) per altre attività più rilevanti o urgenti che sono state posposte, rallentate o addirittura non espletate a causa delle verifiche interne su fatti di “malaffare” posti in essere da altri dipendenti. Il tempo dedicato al mero “controllare” e “sanzionare” l’attività di colleghi autori di illeciti in connessione con compiti d’ufficio non è dunque un costo patologico, ma fisiologico e come tale non ascrivibile a danno erariale (da disservizio). Se poi tale doverosa e fisiologica attività di controllo avesse prodotto rallentamenti, inerzie o omissione nell’agere della PA forieri di danno, la Procura deve darne prova sia sull’an che sul quantum, altrimenti la pretesa diviene mera petizione di principio e come tale va respinta.
E a quest’ultima conclusione giunge il Collegio nel caso di specie, privo di riscontri probatori in ordine alla sopra delineata più corretta definizione di danno da disservizio.
Il c.d. depotenziamento dell’attività amministrativa e dei suoi risultati cui fa riferimento, sovente acritico, la giurisprudenza di questa Corte sul “fluido” danno da disservizio (tra le tante C.conti, Sez. I n. 253/2014; id. Sez.I 25.9.2012 n.523; id. Sez. Lazio n. 214/2012; Sez. II n. 443/2011; id. Sez. Piemonte n. 52/2011; id. Sez. I n. 103/2010; id. Sez. Basilicata n. 83/2006; id. Sez. Veneto n. 866/2005 e 63/2015; id. Sez. Umbria n. 346/2005; id. Sez. Emilia Romagna n. 2269/2004; id.Sez. Friuli, 17/2015; id Sez.Puglia n.621/2012), va dunque dimostrato non attraverso l’avvenuto svolgimento di meri controlli ed azioni di verifica o sanzionatorie interne, ordinariamente retribuite, ma in un danno distinto e ben preciso, da provare e quantificare, alla organizzazione e tempistica interna dell’ente causata dall’aver distolto unità lavorative da altre e prevalenti funzioni pubbliche.
5.2. Venendo al c.d. danno da tangente primariamente rivendicato dalla Procura attrice, è assolutamente pacifica la perseguibilità dello stesso da parte di questa Corte ed appare ultronea una ampia ricostruzione dogmatica e giurisprudenziale di tale acquisita categoria di danno erariale: la Corte dei conti ha infatti da anni ritenuto, in base alla comune esperienza, che il costo delle c.d. « mazzette » nelle procedure ad evidenza pubblica si traduce causalmente in un aumento dei prezzi rispetto a quelli comuni di mercato o origina forniture o servizi di qualità inferiore. Difatti, la dazione di denaro da privati fornitori (es. imprese costruttrici, fornitori, etc.) a pubblici funzionari o amministratori, crea un sistema « fisiologicamente distorto » di gestione dei pubblici appalti, nel quale il versamento della tangente costituisce requisito indefettibile di accesso alla procedura connessa agli appalti o per successivi omessi controlli in fase esecutiva (ex pluribus C. conti, sez.Lombardia, 12 febbraio 2018, n.28; id., sez. I app., 26 ottobre 2017, n 428; id., sez. I app., 17 marzo 2017, n. 74; id., sez. III app., 6 aprile 2016 n. 140; id., sez. Lombardia, 13 ottobre 2015, n. 170; id., sez. Lombardia, 21 aprile 2016, n. 79; id., sez. Lombardia, 28 novembre 2016, n. 199; id., sez. Piemonte, 15 ottobre 2014, n. 123; id., sez. Lazio, 22 marzo 2011, n. 474 ).
Nella specie, a fronte dei predetti accertamenti penali definitivi, la Procura quantifica il danno da tangente nei seguenti importi, corrispondenti alle relative utilità percepite dai convenuti: capo di imputazione A: Antonicelli per euro 10.000,00 quantificati in via equitativa ex art. 1226 c.c. (quale determinazione del controvalore monetario del “consenso elettorale e dell’appoggio politico nel territorio Brianzolo e Milanese”); capo di imputazione B: Antonicelli per euro 1.000.000,00, di cui euro 700.000,00 in denaro ed euro 300.000,00 quale controvalore monetario, quantificato in via equitativa ex art 1226 c.c., di “fideiussioni bancarie … per un totale di euro 130.000,00 .., prestito senza interessi di 100.000,00 euro, acquisto di un appartamento…, assunzione di soggetti vicini all’organizzazione criminale …, vari lavori commissionati…”; Di Giuseppe per euro 100.000,00; Gabetta per euro 200.000,00; Petrucci per euro 240.000,00 di cui euro 20.000,00 quale controvalore monetario, quantificato in via equitativa, di “varie commesse lavorative alla sua azienda”; Brambilla: euro 150.000,00; capo di imputazione C: Di Giuseppe: euro 15.000,00; a tali importi è necessario aggiungere il danno patrimoniale diretto pari ad euro 5.000,00 derivante dalle condotte delittuose della Di Giuseppe di cui ai capi G-H.
Ne deriverebbe, nella ricostruzione attorea, un conclusivo danno da tangente pari ad euro 1.010.000,00 in capo ad Antonicelli, ad euro 120.000,00 in capo a Di Giuseppe, ad euro 200.000,00 in capo a Gabetta, ad euro 240.000,00 in capo a Petrucci, ad euro 150.000,00 in capo a Brambilla, oltre accessori.
A fronte di un conteggio comprensibilmente equitativo, seppur ancorato alle erogazioni tangentizie desunte dagli esiti penali, va tuttavia tenuto conto che la Procura ha costruito il danno da tangente qui rivendicato in via presuntiva richiamando copiosa giurisprudenza che fa riferimento alla traslazione del costo occulto della tangente (sicuramente erogata agli attuali convenuti) attraverso revisione dei prezzi concordati, esecuzione di lavori supplementari a costi maggiorati, realizzazione di economie di spesa con l’esecuzione di prestazioni di minor valore rispetto a quanto concordato.
La Procura attrice ha dunque presunto, ragionevolmente, tale “traslazione del costo occulto” sulla P.A. committente, ovvero sul Comune di Monza.
Osserva però il giudicante sul punto che se tale minor resa del servizio o un incremento di costi o una maggiorazione dell’iniziale offerta (pur ragionevole secondo parametri di mercato, come eccepito dalle difese, ma che poteva essere verosimilmente più bassa se non vi fossero state mazzette da erogare e dunque costi occulti da recuperare) da parte della Sangalli vi possono verosimilmente essere stati, tuttavia il Comune di Monza, in forza di accordo transattivo stipulato il 20 gennaio 2015 con Sangalli S.r.l. (in atti: v. doc.7 difesa Gabetta e doc.10 difesa Petrucci), cui fanno riferimento tutte le difese, ha ottenuto l’impegno di quest’ultima società al pagamento, nell’arco di un quadriennio, di somme complessivamente pari ad oltre € 6.000.000,00 (tra 6.800.375,35 e 8.000.375,35, secondo la nota 13.1.2020 n.9058 del Comune di Monza, pag.7, in doc.34 Procura), e ciò proprio a fronte dei maggiori costi indebitamente posti a carico dell’Ente appaltante (anche in forma di inadempimento o di danni arrecati), assai verosimilmente anche per “traslare” sul committente PA i costi delle tangenti erogate agli infedeli funzionari ed amministratori qui evocati (notoriamente la provvista per le “mazzette” non proviene da utili di impresa, circostanza che renderebbe l’imprenditore, homo oeconomicus, un “benefattore”, ma viene recuperata attraverso traslazioni, in vari modi, sul committente pubblico). L’ampia formulazione di tale transazione manifesta una volontà di chiusura complessiva su ogni voce di danno arrecato al Comune.
A tali importi, assai rilevanti, vanno poi aggiunte le somme versate da alcuni dei convenuti al Comune (v. difese del sigg.Brambilla, che ha versato euro 150.000,00; difesa del Gabetta, che ha versato euro 15.000,00; difesa della Di Giuseppe, che ha versato euro 93.686,33).
Orbene, a fronte di tali specifiche eccezioni difensive volte a smentire la permanenza di un perdurante danno da tangente dopo i predetti rilevanti versamenti effettuati da corruttori (Sangalli srl) e da alcuni corrotti al Comune di Monza, la Procura ha replicato ritenendo che tali recuperi ottenuti (o in ottenimento) da parte del Comune di Monza non comprano anche il danno da tangente, invocando i conteggi sviluppati nella nota 13.1.2020 n.9058 del Comune di Monza, pag.7, in doc.34 Procura, che dimostrerebbero un residuo danno patito dal Comune per la illecita condotta dei convenuti.
In realtà, da una serena lettura di tale ultima scrittura non si desume affatto una prova certa di un residuo danno patito dal Comune etiologicamente riconducibile a condotte tangentizie dei
a) i complessi conteggi si fondano anche su rilevanti dati, per ammissione degli stessi estensori della nota 13.1.2020, forniti dal Commissario straordinario per l’amministrazione del contratto dall’8.7.2016 al 28.2.2018 dr.ssa Brugnoni, della cui piena attendibilità non ha certezza lo stesso Comune (v. pag.5 nota 13.1.2020, frase sottolineata); in questa sede giuscontabile una condanna deve fondarsi invece su dati certi ed inconfutabili, seppur da utilizzare quale parametro-base per un calcolo equitativo di un danno da tangente;
b) si dà atto, in tale nota 13.1.2020, della pendenza di un contenzioso civile RG 14463/2017 presso il Tribunale di Monza che potrebbe incrementare o diminuire il danno patito dal Comune ad opera della Sangalli srl per non corretta esecuzione del contratto pulizie anche per il predetto “riversamento” di costi sul committente per rifarsi delle erogate tangenti (ma non solo); tale circostanza, non chiarita dalle parti in udienza nonostante esplicita richiesta del relatore, rende in questa sede fluido e non ancora certo (come tale non reclamabile) un danno residuo in capo al Comune di Monza, prima di esiti definitivi del giudizio civile;
c) non si forniscono affatto in tale nota 13.1.2020 dati numerici sul residuo danno, ascrivibile ai convenuti, patito dal Comune dopo l’accordo transattivo stipulato il 20 gennaio 2015 con Sangalli S.r.l.
Da tali concorrenti rilievi consegue che la Procura avrebbe dovuto fornire prova certa ed inconfutabile della permanenza del rivendicato danno da tangente o di un residuo dello stesso, dimostrando che i vari e rilevanti pregressi versamenti transattivi e spontanei non siano pienamente satisfattivi dei maggiori costi “traslati” sul Comune dalla impresa Sangalli e che rappresentano, nella prospettazione accusatoria, proprio il danno da tangente contestato, tra l’altro determinato in via equitativa e non aritmetica.
Ma la Procura non ha fornito tale prova, richiamando solo assiomaticamente la non decisiva nota 13.1.2020 n.9058, che non fornisce però a questa Corte riscontro alcuno né dell’an, né dell’eventuale residuo quantum, per cui non appare dimostrata in modo certo la permanenza, ad oggi, di un danno da tangente pur inizialmente sussistente, con conseguente rigetto anche di questa domanda.
A ciò aggiungasi che la relazione amministrativa comunale del 14/9/2018 prot. 0164961 (doc.46 Proc.) redatta dal Segretario Comunale e dall’Avvocatura e prodotta dalla stessa Procura, se è chiarissima nell’indicare analiticamente i costi maggiorati e le inadempienze della Sangalli srl, ribadisce più volte, con altrettanta chiarezza, che tali costi sono stati determinati prima della transazione 20.1.2015, e sembra dunque dire, seppur implicitamente, che tale accordo avrebbe eliminato i rilevanti riflessi diseconomici patiti dal Comune anche in conseguenza delle tangenti percepite dai convenuti e traslate sul Comune. Ma sul punto la Procura non ha fornito, come suo onere, chiarimenti in ordine alla persistenza di un danno dopo la transazione suddetta.
5.3. Venendo poi al danno da interruzione del nesso sinallagmatico per gli importi indebitamente riscossi dal pubblico dipendente a fronte dell’esercizio di pubbliche funzioni non rese o rese in modo palesemente difforme rispetto alle modalità dovute conformi a legge, secondo pacifica giurisprudenza esso è ravvisabile nell’ammontare degli importi che si rivelano indebitamente riscossi dal dipendente (o dall’amministratore pubblico) a fronte dell’esercizio di pubbliche funzioni non rese o rese in modo palesemente difforme rispetto alle modalità dovute conformi a legge (cfr. C. conti, Sez.giur. Toscana, 14 aprile 2014, n. 65; id, sez.Emilia Romagna, 26 luglio 2007 n. 581; id., Sez. Lombardia, n. 282/2012 e n. 310 e 313/2012). Trattasi dunque di una “disutilità della spesa” pubblica in tal modo sostenuta per i compensi erogati (C. conti, Sez. Lombardia 2 gennaio 2012 n. 1 e 20 gennaio 2011 n.47), non avendo gli infedeli pubblici ufficiali eseguito correttamente i propri doveri politico-amministrativi.
Tale danno viene quantificato dalla Procura, nel caso in esame, in misura pari al 40% degli oneri derivanti dal rapporto di impiego/di servizio con ciascheduno dei convenuti nel periodo indicato dai capi di imputazione patteggiati (dal 2007 al 19.11.2012 per la dott.ssa Di Giuseppe e dal 13.6.2007 al 7.3.2012 per Antonicelli, data di inizio e cessazione dell’incarico di Assessore), pari ad euro 276.763,16 per la dott.ssa Di Giuseppe e ad euro 84.589,24 per l’Antonicelli, (oltre accessori), come documentato dalla relazione amministrativa del 14/9/2018 prot. 0164961 punto e) all.7 predetta.
Pare evidente al Collegio che la quantificazione sia palesemente eccessiva, in quanto presume che il 40% del tempo lavorativo o assessorale svolto negli anni rispettivamente dalla dirigente dr.ssa Di Giuseppe e dall’assessore Antonicelli in tutto l’arco temporale in cui hanno rivestito le rispettive funzioni/cariche sia stato “dedicato” ad attività illecite, tradottesi in condotte materiali e provvedimentali varie finalizzate alla percezione di tangenti.
Orbene, osserva il Collegio che se è innegabile l’avvenuta percezione di tangenti da parte dei due convenuti perchè favorissero, con condotte materiali e provvedi mentali, lo sporco (qui d’uopo è l’espressione, vista l’oggetto dell’appalto) sistema tangentizio Monzese, l’operata quantificazione, necessariamente presuntiva ed equitativa, appare eccessiva sia in termini percentuali, sia per il suo computo su tutti gli anni di lavoro dei due convenuti (a fronte di fatti verificatisi nel 2009) e va dunque rideterminata, sempre equitativamente, in euro 40.000,00, ad oggi già rivalutati, per la Di Giuseppe e in euro 15.000,00, parimenti ad oggi già rivalutati, per l’Antonicelli.
5.4. Venendo, da ultimo, al contestato danno all’immagine della P.A. determinato dalla Procura in via equitativa ex art. 1226 c.c. nelle seguenti somme, pari al doppio delle utilità tangentizie percepite (oltre accessori) dai convenuti in base alle risultanze penali di condanna: – euro 2.020.000,00 in capo ad Antonicelli; – euro 240.000,00 in capo a Di Giuseppe; – euro 400.000,00 in capo a Gabetta; – euro 480.000,00 in capo a Petrucci; – euro 300.000,00 in capo a Brambilla, osserva il Collegio quanto segue.
Come efficacemente rimarcato dalla Procura, a prescindere dalle disquisizioni classificatorie e dalla monolitica giurisprudenza di questa Corte sulla pacifica ipotizzabilità di tale peculiare danno, nel caso di specie è indubbia e quasi palpabile l’avvenuta e clamorosa lesione dell’immagine del Comune di Monza, posto che alcun dubbio può sussistere circa le condotte delittuose in contestazione, confluite in un giudicato penale di condanna ex art.444 c.p.p. e riprese sul piano mediatico (v. articoli prodotti dalla Procura in doc.1 e 63). Esse hanno suscitato gravi sentimenti di riprovevolezza all’interno ed all’esterno dell’Amministrazione: l’aver ingenerato l’idea presso la comunità locale che i pubblici ufficiali, amministratori e dirigenti, siano dediti alla commissione di gravi delitti per finalità di arricchimento personale, ha prodotto sicuramente in capo al Comune di Monza un deterioramento della propria immagine presso la cittadinanza.
La peculiare gravità dei fatti deriva dal fatto che non si tratta di una occasionale e minimale condotta tangentizia unipersonale comparabile alla tante penose vicende che vengono di frequente al pettine di questa Corte e che coinvolgono singoli infedeli funzionari: nel caso in esame emerge chiaro agli occhi della Corte e della collettività Monzese e nazionale un vero e proprio “sistema tangentizio” che vede coinvolto un importante imprenditore corruttore che “opera” in più Regioni italiane, Amministratori locali espressi e scelti dalla comunità per gestire la “cosa pubblica”, dipendenti pubblici che hanno abdicato a basilari canoni di “onore e disciplina” nel servire la P.A. (non a caso legittimamente licenziati, come desumibile dagli atti).
Il concorso tra tali soggetti, come nel campo penale e disciplinare, rende più grave ed odiosa la condotta illecita, e dunque foriera di un maggior danno erariale all’immagine, in quanto ingenera o rafforza nel sentire comune il convincimento che vi siano accordi sistematici tra imprenditori, politici e funzionari pubblici per aggiudicare appalti e favorire esecuzioni non a regola d’arte dei contratti in cambio di denaro, approfittando così della “cosa pubblica” e dei pubblici bilanci.
Va premesso che i fatti sono riconducibili a reato di corruzione (ergo perseguibili, già prima della novella del d.lgs. n.174 del 2016, dall’originaria previsione dell’improvvido art.17, co.30-ter, d.l. n.78 del 2009 conv.to in l. n.102 del 2009, “graziato”, ad oggi, dalla Consulta con la pronuncia 1.12.2010 n.355) e che gli stessi sono stati adeguatamente provati dalla rilevanza giornalistica (doc. Procura cit.) e giudiziaria avuta all’interno di un ente non piccolo e dunque particolarmente esponenziale della legalità.
Venendo dunque al quantum, occorre in primo luogo ribadire in questa sede (come già rimarcato, tra le tante, con sentenze 27.11.2018 n.284 e 12.7.2017 n.113 della Sezione), in punto di quantificazione di tale danno all’immagine, quale sia la portata applicativa del sopravvenuto art. 1, co. 1-sexies, l. n. 20/1994 (introdotto dall’art 1, co. 62, l. n. 190 del 2012), che prevede che “Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Tale presunzione normativa, la cui portata sostanziale (e non processuale), innovativa e dunque operante ex nunc, è stata prevalentemente rimarcata da questa Corte (v. C.conti, sez.Lombardia n.50 del 2021; id., sez.I app., 19.3.2018 n.121; id., sez. Liguria, 18.5.2017 n.35; id., sez. Lombardia, 31.7.2015 n.138 riprese da sez. Lombardia 25.5.2016 n.113; id., sez. Lombardia, 24.2.2016 n.32; id., sez. Lombardia 13.10.2016 n.171; id., sez. Lombardia 1.12.2016 n.201; id., sez. Piemonte, 12.7.2016 n.237; id., sez. I App., 26.5.2015, n. 333 e id., sez.III app., n.335/15; id., sez. II Appello, sentenza n. 489/2013; id., sez. Abruzzo 26/2015; sez. Friuli n. 7/2015; sez. Abruzzo, 68/2014; sez. Campania 31/2014; sez. Sardegna n. 173/2014; sez. Veneto n. 196/2014; sez. Marche n. 21 e 16/2014; sez. Lazio n. 395/2014; sez. Sicilia n. 132/2014), non consente una applicabilità a fatti storici delittuosi posti in essere, come nella specie, nel 2009, ovvero anteriormente alla novella della l. n.190 del 2012, ancorché il giudicato penale sia successivo a tale legge.
Difatti, configurando la presunzione legislativa sul “raddoppio tangentizio”, quale criterio quantificatorio del danno, un parametro certamente, in via generale, peggiorativo della posizione del convenuto e come tale irretroattivo, testualmente e logicamente la modifica apportata dalla l. n.190 interviene su fatti storici successivi alla sua entrata in vigore. Una diversa lettura urterebbe con basilari principi sulla non retroattività di norme “afflittive” (non solo penali) sanciti dall’art.11 delle disposizioni sulla legge in generale, dall’art.2, comma 1, cod. pen., dall’art.25, comma 2, Cost., dall’art.14 delle disposizioni sulla legge in generale, e dall’art.7 CEDU, ovvero dei principi sull’applicazione della legge in generale. Come è ius receptum, tali principi generali dispongono che tutte le norme e, in particolare, quelle afflittive–sanzionatorie, ovvero quelle penali, amministrative, deontologiche, civili, disciplinari etc. hanno efficacia ex nunc e possiedono non portata retroattiva, salvo il caso di promulgazione di norme sanzionatorie più favorevoli di quelle previgenti. È questa una regola di basilare civiltà giuridica: i cittadini, infatti, nel determinare la propria condotta, tengono conto delle leggi vigenti in quel momento e sulla base di queste – e non di quelle sconosciute successive – devono essere giudicate le controversie che da quella condotta si originano. Tale principio è considerato condicio sine qua non della certezza del diritto (Corte Cost., sentenza n. 194 del 1976), elemento essenziale di civiltà giuridica (Corte Cost., sentenza n. 108 del 1981) e principio generale dell’ordinamento (Corte Cost., sent. n. 91 del 1982).
Dunque, il criterio del raddoppio tangentizio di cui alla legge 190 cit., pur rappresentando astrattamente un possibile ragionevole criterio (ma non vincolante: v. C.conti, sez.Lombardia n.50 del 2021 cit.) di valutazione equitativa del danno all’immagine anche con riferimento a fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore, non è automaticamente e doverosamente applicabile, nella sua coartante portata presuntiva, ai fatti sub iudice, in quanto le condotte materiali all’origine del danno all’immagine arrecato alla p.a. comunale sono anteriori alla legge n. 190 che ha introdotto il novello parametro.
Di tale approdo interpretativo è ben cosciente la Procura attrice, che si è ispirata all’art. 1226 c.c. per proporre un criterio determinativo del danno all’immagine, innegabilmente sussistente per il chiaro discredito patito dal Comune di Monza.
Stante dunque l’inapplicabilità del sopravvenuto parametro legale presuntivo (c.d. “doppio della tangente o del vantaggio conseguito”), la quantificazione del danno all’immagine va, quindi, determinata nel caso sub iudice senza automatismi di legge, ma valutando il caso specifico, come sopra detto, da gravi condotte poste in essere in concorso, da soggetti apicali e con clamor giudiziario e mediatico.
Alla stregua di tali parametri, ritiene il Collegio in via equitativa di ascrivere euro 1.500.000,00 al convenuto Antonicelli; euro 190.000,00 alla convenuta Di Giuseppe; euro 300.000,00 al convenuto Gabetta; euro 360.000,00 al convenuto Petrucci; euro 225.000,00 al convenuto Brambilla, somme tutte ad oggi già rivalutate.
6. In conclusione, sommando le poste di danno loro ascritte, i conventi vanno condannati al pagamento a favore del Comune di Monza dei seguenti importi:
euro 1.515.000,00 il convenuto Antonicelli Giovanni;
euro 230.000,00 la convenuta Di Giuseppe Gabriella;
euro 300.000,00 il convenuto Gabetta Antonio;
euro 360.000,00 il convenuto Petrucci Daniele Massimo;
euro 225.000,00 al convenuto Brambilla Claudio.
La condanna, a fronte di condotte dolose, è in solidum per il complessivo importo di euro 2.630.000,00 tra tutti i convenuti che potranno dunque essere escussi per l’intero, ma lo stesso viene dalla Corte pro quota ripartito ai soli fini delle rivalse interne. Le somme sono tutte ad oggi già rivalutate, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo.
7. Non assumono valenza decurtante su tali importi né i sequestri né la confisca intervenuti in sede penale. Difatti, secondo pacifica giurisprudenza (ex pluribus C. conti, sez. Lombardia, 29 giugno 2011, n. 407, 23 febbraio 2018, n. 14 e 28 maggio 2019, n. 125) le somme sequestrate o confiscate al pubblico dipendente/amministratore, nell’ambito di un processo penale, non sono versate a titolo di risarcimento dei danni cagionati all’ente di appartenenza, ma costituiscono importo equivalente al profitto conseguito mediante i fatti di reato e non comportano un beneficio per l’amministrazione danneggiata; pertanto, tali somme non sono deducibili dall’importo del danno erariale che è derivato dai medesimi fatti (in terminis, C. conti, sez. I app., 13 giugno 2011, n. 256, C. conti, sez. Piemonte, 25 settembre 2014, n. 116; id., sez. Lombardia, 4 febbraio 2016, n. 8 e 6 ottobre 2017, n. 143).
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.