<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Il Consiglio di Stato conferma il principio onde, in materia di responsabilità della Pubblica Amministrazione, è da escludersi il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela specifici predisposti dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>(Consiglio di Stato, sez. VI – sentenza n. 5387 del 07 settembre 2020) </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia l’odierna appellante invocava il risarcimento del danno nei confronti del Comune di Milano. L’originaria ricorrente esponeva di avere presentato in data 3 luglio 2012 al Comune di Milano una d.i.a., poi modificata in data 27 dicembre 2012, finalizzata alla demolizione di un fabbricato esistente e successiva realizzazione di un edificio formato da piani quattro fuori terra, avente destinazione residenziale, ubicato in via dei Garofani n. 6, Milano.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Il Comune di Milano avviava, però, un procedimento volto all’annullamento in autotutela del titolo edilizio formatosi sulla citata D.I.A. con contestuale invito a sospendere le opere in corso e a presentare proprie memorie ed integrazioni documentali. L’amministrazione comunale evidenziava carenze, tra cui la necessità di verificare “l’altezza del fabbricato in quanto la parte dichiara la destinazione funzionale quale RX”. In data 12 dicembre 2012 l’appellante integrava i propri elaborati e depositava una relazione esplicativa. Ciò nonostante l’amministrazione comunale in data 14 febbraio 2013 adottava provvedimento di annullamento del titolo edilizio. Il detto provvedimento veniva annullato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2825/2014, con la quale veniva evidenziata la sproporzione del provvedimento impugnato, risultando, al contrario, adeguato un annullamento parziale riferito esclusivamente al sottotetto, ritenendo che l’interesse del privato volto a mantenere in essere quella parte di progetto e di opere non in contrasto con la normativa urbanistico - edilizia potesse essere adeguatamente salvaguardato dalla possibilità di presentare istanza di permesso di costruire in sanatoria, previa modifica delle parti progettuali che erano, invece, in contrasto con la normativa stessa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">L’amministrazione, dal canto suo, adottava in data 18 luglio 2014 un nuovo provvedimento con il quale ordinava all’odierna appellante di demolire le opere abusivamente realizzate individuate nell’intero piano sottotetto entro il termine di 90 giorni dalla notificazione. Anche questo provvedimento veniva gravato dinanzi a questa Sezione in sede di ottemperanza, che con sentenza n. 19 del 2015, dichiarava nulle le note comunali precisando che l’annullamento del titolo edilizio limitato al sottotetto andava inteso nel senso che il ripristino a legalità poteva riguardare solo le opere interne (al fine di eliminare la destinazione abitativa) e non già nel senso che dovesse essere demolito l’intero sottotetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">In ragione di quanto sopra esposto l’odierna appellante adiva il TAR per la Lombardia, argomentando in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi di un illecito extracontrattuale cagionato dall’amministrazione comunale, che commisurava in euro 3.171.821,70.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li>Il primo giudice, premessa la propria competenza a valutare la domanda risarcitoria, esclusa la sussistenza degli elementi per disporre la riunione del ricorso con altro riguardante vicenda simile relativa al civico n. 8 di via dei Garofani, e valutata non fondata l’eccezione di tardività sollevata dalla difesa del Comune di Milano, respingeva il ricorso. In particolare, il giudice di prime cure escludeva la sussistenza dell’elemento oggettivo in ragione della limitata incidenza dell’illegittimità accertata dalle pronunce di questo Consiglio sopra esposte.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Del pari, la pronuncia impugnata escludeva la sussistenza dell’elemento soggettivo, in ragione dello scenario particolarmente incerto indotto sia dalla presenza di contrapposti orientamenti giurisprudenziali in tema di possibilità di annullamento del titolo edilizio nella sua interezza che dall’agire dell’appellante. Quest’ultima, infatti, oltre a non interrompere i lavori anche quando gli stessi risultavano inibiti da provvedimenti non dichiarati ancora inefficaci, continuava a svolgere ininterrottamente l’attività di intermediazione immobiliare per l’immobile de quo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Ancora a giudizio del TAR risultava carente la prova del nesso eziologico, anzi, al contrario, la ricostruzione fattuale consentiva di ritenere che il nesso causale dovesse essere escluso, ai sensi degli artt. 1227 cod. civ. e 30 cod. proc. amm., atteso che il fatto estraneo alla serie procedimentale, che aveva reso impossibile il conseguimento del bene della vita, era imputabile al ricorrente danneggiato: a) non era stata raggiunta la prova piena e certa che i lavori fossero stati sospesi in attesa che gli organi giudiziari decidessero sulla legittimità della costruzione e della relativa attività provvedimentale del Comune di Milano; b) l’attività continuativa di stipulazione dei contratti preliminari assistiti da polizza fideiussoria poteva essere fonte dimostrativa di come l’attività gestoria e amministrativa dell’edificio di via Garofani n. 6 non era stata intaccata dalle scelte del Comune di Milano, essendo deducibile dagli stessi fatti che la ricorrente avesse comunque continuato la sua attività immobiliare tra il 2012 ed il 2015.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, il TAR escludeva anche la sussistenza della prova di un danno ingiusto, non risultando adeguatamente dimostrata la lesione ad un bene della vita. Infine, valutava non fondata la dimostrazione sulla sussistenza delle singole voci di danno sia in relazione al lamentato danno patrimoniale che al danno non patrimoniale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li>Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente con atto eccedente il limite dimensionale stabilito dall’art 3 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016, per il quale non veniva chiesta alcuna autorizzazione in deroga sia pure successiva. Nel detto atto di appello viene censurata la pronuncia di prime cure, che si ritiene erronea laddove: a) avrebbe dovuto riscontrare la presenza dell’elemento oggettivo dell’illecito aquiliano in capo all’appellata, desumendolo dalla declaratoria di illegittimità degli atti acclarata dalle sentenze nn. 2825/2014 e 19/2015 di questo Consiglio. I provvedimenti dell’amministrazione comunale stigmatizzati dalla Sezione avrebbero, infatti, determinato il fermo del cantiere dal 19 novembre 2012 data di ricezione dell’avviso di avvio del procedimento di autotutela al 30 giugno 2013 data di ripresa dei lavori, dal 22 novembre 2013 (data di pubblicazione della sfavorevole sentenza del TAR) al 27 gennaio 2014, ossia cinque giorni dopo la pubblicazione della favorevole pronuncia cautelare del Consiglio di Stato, dal 18 luglio 2014 data in cui veniva adottato il provvedimento di rettifica da parte del Comune di Milano al 15 gennaio 2015, ossia dieci giorni dopo l’adozione della sentenza n. 19/2015 di questa Sezione che ne dichiarava la non conformità al giudicato. Per un totale di complessivi 473 giorni di blocco del cantiere, che avrebbe interessato l’intera costruzione dell’immobile e non solo i lavori inerenti al sottotetto;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>b) avrebbe dovuto riscontrare la presenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, in quanto non vi sarebbe stata alcuna incertezza circa le richieste abilitative presentate dalla società che potrebbero aver indotto in errore il Comune nell’adottare i provvedimenti contestati. Né in materia sarebbe riscontrabile alcuna incertezza giurisprudenziale in relazione alla possibilità di adottare un provvedimento di annullamento parziale del titolo edilizio, sussistendo un’espressa volontà del privato in questo senso. Né il provvedimento n. 444867/14, con il quale l’appellata ordinava alla società di demolire entro il termine di novanta giorni l’intero sottotetto (anziché di ripristinare la non abitabilità), posto nel nulla dalla sentenza di ottemperanza n. 19/15, potrebbe reputarsi emesso in una situazione di incertezza giurisprudenziale. Né si potrebbe porre in dubbio che al cospetto di precetti vincolanti contenuti in provvedimenti amministrativi l’appellante non abbia interrotto le attività di cantiere. Sotto questo profilo non avrebbero alcun rilievo probante i sopralluoghi sul cantiere operati dall’amministrazione in relazione alla cronologie dei provvedimenti adottati. Al contrario, le richieste cautelari aventi ad oggetto la prosecuzione dei lavori, operate nel corso del giudizio o indirizzate all’amministrazione comunale, gli atti societari e le contestazioni dei promissari acquirenti concernenti il ritardo nella consegna delle unità abitative proverebbero il fermo in questione. Al contempo, nessun elemento di prova sarebbe desumibile dalla stipula dei contratti di utenza, dalle polizze fideiussorie ovvero dai contratti preliminari e definitivi di vendita.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, sarebbe sussistente la colpa dell’amministrazione, desumibile anche in forza delle presunzioni di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., sulla quale, peraltro, non sortirebbe effetti esimenti alcun errore scusabile;</p> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>c) sostiene che non sarebbe riscontrabile alcuna carenza in termini di prova del nesso causale, risultando i danni riconducibili ai provvedimenti illegittimi adottati dall’appellata, in base a una valutazione prognostica e sulla scorta della teoria della causalità adeguata, risultando irrilevante la presentazione da parte dell’appellante di una d.i.a. illegittima;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>d) la pronuncia impugnata avrebbe dovuto ritenere sussistente l’ingiustizia di un danno non jure e contra jus. Il danno non iure si riscontrerebbe nell’utilizzo del potere amministrativo in modo illegittimo, in difetto di cause giustificative. Il danno contra ius sarebbe apprezzabile considerando che alla società spettava l'ottenimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo di tipo oppositivo, trattandosi di un danno da disturbo;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="2017"> <li>e) il TAR avrebbe dovuto riconoscere la sussistenza delle singole voci di danno, sia di quelle illustrate nel ricorso introduttivo che di quelle sopravvenute nel corso del giudizio di primo grado ed esposte nella memoria depositata in primo grado in data 13 febbraio 2017.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li>Costituitasi in giudizio, l’amministrazione appellata invoca la conferma dell’impugnata pronuncia, ritenendo nella fattispecie integrati gli estremi del comma 2 dell’art. 1227 c.c. e in subordine del comma 1, che in ogni caso indurrebbero ad escludere il nesso causale ovvero a ritenere la sussistenza di una concorrente responsabilità in capo alla società appellante, sì da comportare quantomeno un’eventuale riduzione del quantum risarcitorio. Le memorie del 5 e dell’8 giugno 2020 eccedono i limiti dimensionali fissati dall’art.3 del d.p.c.s. n. 167/2016, con la precisazione che per la prima memoria è stata respinta la richiesta di autorizzazione alla deroga, presentata dopo il deposito della stessa, con decreto presidenziale del 5 giugno 2020, mentre per la successiva memoria dell’8 giugno 2020 una richiesta di deroga non risulta avanzata.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Secondo la prospettazione dell’amministrazione, l’appellante avrebbe potuto ridurre gli effetti del provvedimento di annullamento, riconoscendo la natura illegittima del sottotetto abitabile e presentando una variante volta al ripristino della legalità violata, limitando così gli effetti del provvedimento al solo sottotetto ed evitando ogni ostacolo alla prosecuzione dei lavori. L’originaria ricorrente non avrebbe offerto la prova in ordine all’esistenza di un profilo di colpa in capo all’amministrazione, che non sarebbe in concreto predicabile in presenza di una complessa vicenda procedimentale e di un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di disporre l’annullamento parziale di un titolo edilizio. Inoltre, l’affermazione avversaria per cui la Società I Garofani avrebbe richiesto l’annullamento parziale del titolo non troverebbe riscontro nella realtà.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Non sarebbe ravvisabile alcuna colpa anche nell’attività provvedimentale del Comune successiva alla sentenza del Consiglio di Stato n. 2825/14 e, in particolare, nel provvedimento in data 9 luglio 2014 con il quale veniva ordinata la demolizione del sottotetto. Ciò in quanto la citata pronuncia avrebbe lasciato sul campo un problema interpretativo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Ancora non sarebbe corretta la ricostruzione operata dall’appellante in relazione ai danni subiti in forza del fermo del cantiere, atteso che quanto al primo periodo, sarebbe infondata la domanda risarcitoria relativa a presunti danni e sospensioni lavori antecedenti al suddetto provvedimento di annullamento ed alla suddetta data, posto che non sarebbero ricollegabili causalmente all’elemento oggettivo della fattispecie risarcitoria per cui è stata proposta l’azione. Inoltre, la comunicazione di avvio del procedimento notificata in data 19 novembre 2012 sarebbe stata assunta dal Comune in ragione di plurimi rilievi tra cui anche, ma non soltanto, la questione della verifica dell’altezza del fabbricato. A tale comunicazione, per colmare le lacune in essa evidenziate, infatti, seguì la protocollazione, da parte della Società, di tavole integrative a variante in data 27 dicembre 2012. Dunque, almeno fino alla data del 27 dicembre l’atto di sospensione integrale dei lavori sarebbe stato senz’altro dovuto e legittimo, considerato che le lacune evidenziate nello stesso concernevano il titolo edilizio, complessivamente considerato, e non solo il piano sottotetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Alla data del 22 gennaio 2013 la Società avrebbe avuto in corso le opere di innalzamento del nuovo edifico, che erano arrivate al terzo piano fuori terra, come emerge da verbale di sopralluogo della Polizia Locale in pari data. I lavori sarebbero proseguiti attivamente e ciò anche successivamente al provvedimento di annullamento ed ordine di sospensione dei lavori notificato dal Comune in data 22 febbraio 2013, come si desumerebbe dal sopralluogo eseguito dalla Polizia Locale in data 26 febbraio 2013. Da questa data e fino al 12 giugno 2013 la Società non avrebbe fornito alcuna prova che i lavori effettivamente vennero sospesi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Per quanto concerne il secondo periodo di asserita sospensione dei lavori, non vi sarebbe la prova che gli stessi furono effettivamente sospesi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Per quanto concerne il terzo periodo di asserita sospensione dei lavori durante lo stesso non vi sarebbe stata alcuna sospensione relativa all’intera attività di cantiere o, se ciò vi fu, sarebbe stato il frutto di libera scelta della Società, atteso che il provvedimento del 9 luglio 2014 concerneva solo il sottotetto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Infine, non sarebbe stata dimostrata la presenza di un’ingiustizia del danno intesa come lesione ad un bene della vita dell’appellante, né sarebbe condivisibile la prospettazione relativa alle singole poste del danno.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="5"> <li>Nelle successive difese l’appellante, oltre ad insistere nelle proprie argomentazioni, controdeduce in relazione al presunto concorso della Società nella causazione del danno e integra il quantum delle poste di danno oggetto del quinto motivo di appello, atteso che la Società medesima nel periodo intercorrente tra il deposito del ricorso e la fissazione dell’udienza di merito avrebbe subito ulteriori pregiudizi direttamente riconducibili all’agire illegittimo dell’ente comunale, i quali avrebbero vieppiù aggravato la sua esposizione debitoria e quella dei soci, così costringendola alla messa in liquidazione.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="6"> <li>Nelle successive difese entrambe le parti insistono nelle proprie conclusioni.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="7"> <li>L’appello è infondato e non può essere accolto. Il Collegio, in particolare, ritiene di doversi soffermare sulla verifica del nesso eziologico tra l’attività posta in essere dall’amministrazione e i danni lamentati dall’appellante. L’esclusione del detto rapporto causale consente di non procedere alla verifica degli altri elementi dell’illecito, atteso che ciò è sufficiente per concludere per l’infondatezza della domanda risarcitoria.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">7.1. Prima di procedere all’analisi in concreto del nesso causale, occorre premettere che nel processo amministrativo l’azione risarcitoria, sebbene connotata da alcune peculiarità, rientra nel genus della responsabilità aquiliana, sicché ai sensi del principio generale contenuto nell’art. 2967 c.c., il danneggiato deve offrire la prova in ordine a tutti gli elementi costitutivi della domanda, ivi incluso il nesso causale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Nell’ambito del giudizio risarcitorio, infatti, il principio dispositivo non è temperato dal metodo acquisitivo, dal momento che, da un lato, non si registra la necessità di bilanciare un’asimmetria informativa tra l’amministrazione danneggiante e il danneggiato; dall’altro, opera pienamente il criterio di cd. vicinanza della prova, sicché è il danneggiato nella cui sfera giuridica si assume la verificazione del danno a dover offrire elementi probatori dai quali desumere l’illecito lamentato sia per ciò che concerne l’an che per ciò che riguarda il quantum (ex multis, Cons. St., Sez. II, 25 maggio 2020, n. 3318), salva la possibilità in relazione ad alcune particolari tipologie di danni (quelli non patrimoniali) di fare ricorso a presunzioni (Cons. St., Ad. Plen., 19 aprile 2013, n. 7). Ulteriori e peculiari regole riguardano poi la tematica della prova dell’elemento soggettivo in materia di appalti pubblici sopra soglia, ciò in ragione della disciplina di derivazione eurounitaria, che in questa sede non interessano.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Nella dimensione generale della responsabilità della pubblica amministrazione, il nesso di causalità tra la condotta e l'evento lesivo - c.d. "causalità materiale" - consiste nel verificare se l'attività illegittima dell'Amministrazione abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento; il relativo giudizio attiene non ad un evento futuro, ma al nesso di causalità tra il vizio che inficia il provvedimento ed il contenuto del provvedimento stesso. Secondo la teoria condizionalistica l’illegittimità dei provvedimenti dell’amministrazione è causa dei danni lamentati dal ricorrente, quando si può affermare che in presenza di un’attività amministrativa emendata dagli stessi la lesione della sfera giuridica del danneggiato non si sarebbe prodotta. La teoria della condicio sine qua non deve essere, però, temperata, facendo applicazione dell’art. 1227 c.c., che, applicabile anche nel giudizio amministrativo in forza del disposto di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a., concerne l’incidenza delle concause umane. Il comma 2 dell’art. 1227 c.c. e il comma 3 dell’art. 30 c.p.a. regolano in particolare il secondo stadio della causalità (cd. causalità giuridica), che attiene al nesso esistente tra l’evento illecito e le conseguenza dannose che ne sono derivate.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, già all’indomani dell’entrata in vigore del c.p.a. con la sentenza n. 3 del 2011 ha chiarito che l'art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, nel prevedere che nel determinare il risarcimento, "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti", pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 c.c. Tale regola è applicabile pertanto anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">La scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">7.2. Alla stregua dei detti principi, ciò che interessa nella fattispecie è esaminare, quindi, gli effetti del comportamento serbato dalla società appellante in relazione alle illegittimità riconosciute esistenti dalle pronunce passate in giudicato che si sono succedute nella vicenda de qua.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">La sentenza di questo Consiglio n. 2825/2014, ha affermato l’illegittimità della d.i.a. presentata dall’appellante, in quanto come correttamente rilevato dall’amministrazione comunale, veniva accertato il superamento, da parte dell’immobile oggetto della DIA, dell’altezza massima (m. 13,50) prevista dall’art. 28 del vigente PRG per la zona in cui lo stesso immobile è ubicato. La detta pronuncia rilevava un comportamento scorretto da parte della società appellante, rilevando che: “In presenza di univoci elementi che denotano l’intenzione di rendere abitabile il locale, perde di rilevanza il fatto che siano stati adottati accorgimenti surrettizi (quali la tamponatura di alcune finestre) finalizzati a rendere i rapporti di aero-illuminazione inferiori rispetto ai parametri previsti dalla normativa edilizia vigente… Tali elementi, sulla base dei principi giurisprudenziali richiamati, sono idonei a suffragare la convinzione che la reale intenzione del ricorrente sia quella di destinare tali locali, alla funzione abitativa già virtualmente impressa”. Pertanto, è indubbio che la d.i.a. presentata dall’appellante non potesse in alcun modo operare proprio in ragione delle illegittimità poste in essere da quest’ultima, che hanno imposto l’intervento in autotutela da parte dell’amministrazione. Non va dimenticato che il titolo edilizio fonda sulla d.i.a. posta in essere dal privato, sicché l’impossibilità della stessa di operare poggia sugli errori e le non veritiere dichiarazioni inerenti il rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia imputabili alla stessa appellante. L’abuso commesso si pone, quindi, quale causa interruttiva nel rapporto tra l’illegittimità riscontrata in capo al provvedimento in autotutela adottato dall’amministrazione e le conseguenze dannose lamentate dall’originaria ricorrente. Ciò in quanto il titolo edilizio ai fini della sua efficacia non può che essere considerato unitariamente, benché possa essere oggetto di annullamento parziale anziché totale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">In definitiva, se la società appellante si fosse comportata con diligenza, evitando atteggiamenti connotati da comportamenti surrettizi, l’amministrazione non avrebbe avuto alcun motivo per adottare un provvedimento in autotutela. Allo stesso tempo la società appellante, conformando il proprio comportamento ad un canone di legalità avrebbe potuto presentare una variante rispetto alla d.i.a. presentata, appellandosi a proprie prerogative procedimentali che avrebbero scongiurato qualsivoglia conseguenza dannosa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Il comportamento del danneggiato incide, quindi, sulla catena causale innescata dal provvedimento del 14 febbraio 2013 e proseguita con quello del 18 luglio 2014, sicché le conseguenze delle illegittimità poste in essere dall’amministrazione non si sarebbero prodotte se il comportamento della società appellante si fosse ispirato a canoni di legalità e correttezza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <ol style="text-align: justify;" start="8"> <li>Per tutte le ragioni sopra esposte l’odierno gravame deve essere respinto, potendo non esaminarsi le ulteriori doglianze contenute nell’appello in esame, per le quali non sopravvive alcun apprezzabile interesse alla decisione. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>Michela Gaeta</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>