Corte di Cassazione, VI-3 Sezione Civile, ordinanza 07 novembre 2022, n. 32639
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- L’unico motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.
I ricorrenti deducono che con l’atto di appello – con cui avevano impugnato la sentenza resa dal Tribunale di Padova – avevano proposto due distinte domande: in via principale, la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’evento ischemico che aveva colpito A.A.; in via subordinata, la domanda di risarcimento del pregiudizio derivante dalla perdita di chance determinata dalla condotta della professionista. Soggiungono che, sebbene si trattasse di domande ontologicamente distinte e richiedenti specifici valutazioni ed apprezzamenti, la Corte di appello avrebbe preso in considerazione – rigettandola – solo la prima, omettendo di pronunciarsi sulla seconda.
- Il motivo – e con esso l’intero ricorso – è inammissibile.
2.1. In primo luogo, osserva la Corte, esso non contiene la doverosa esposizione, pur sommaria (art. 366 c.p.c., n. 3), dei fatti della causa: non viene descritto l’evento subito dall’infortunato, che viene genericamente ricordato come evento ischemico; non viene descritta la condotta asseritamente colposa tenuta dalla professionista e dalla struttura sanitaria; non vengono riportate le circostanze di tempo e di luogo in cui l’illecito si sarebbe verificato; non vengono adeguatamente descritte le conseguenze dannose che ne sarebbero derivate.
L’acquisizione di informazioni su tali circostanze di fatto (acquisizione necessaria in funzione della delibazione della censura prospettata) presupporrebbe, nel caso di specie, l’accesso ad altri atti processuali, il cui esame è peraltro precluso dall’autonomia del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308; da ultimo, cfr. Cass. 1 marzo 2022, n. 6611). In proposito giova ricordare che il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencati dall’art. 360 c.p.c..
L’inosservanza questi doveri conduce ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione quando – come nella specie – essa si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 (Cass., Sez. Un., 30 novembre 2021, n. 37552).
2.2. In secondo luogo, prosegue la Corte, il ricorso difetta di autosufficienza in relazione al vizio denunciato. Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi.
Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (da ultimo, Cass. 14 ottobre 2021, n. 28072; in precedenza, tra le altre, Cass. 4 luglio 2014, n. 15367).
Nel caso di specie, avendo dedotto omessa pronuncia del giudice del merito sulla specifica domanda di risarcimento del danno per perdita di chance, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare precisamente l’atto difensivo in cui questa domanda era stata tempestivamente e ritualmente proposta in primo grado (ad es. l’originario atto di citazione dinanzi al Tribunale di Padova), nonché, in ipotesi di omessa pronuncia o di non accoglimento di tale domanda da parte del Tribunale, la relativa doglianza o l’espressa riproposizione della stessa nella citazione in appello, eventualmente riportando i corrispondenti brani dei precedenti atti di parte nel ricorso per cassazione. I ricorrenti non hanno assolto questo onere, atteso, da un lato, che nel ricorso per cassazione sono riportate, in autonomi passaggi virgolettati, solo le conclusioni contenute nell’atto di citazione in primo grado (p.2 del ricorso) e nell’atto di citazione in appello (pp. 4 e 6-7 del ricorso); e considerato, dall’altro lato, che dal confronto tra gli stralci di questi atti processuali, risulta che solo in appello è stato evocato il pregiudizio da perdita di chance.
Resta dunque incerto, precisa la Corte, se la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance concretasse un domanda “nuova”, in quanto proposta per la prima volta in grado di appello e, come tale, inammissibile (in tal senso sembrerebbe doversi concludere alla luce delle indicazioni contenute nel ricorso per cassazione) o se essa fosse stata già tempestivamente proposta in primo grado (eventualmente nel corpo dell’atto di citazione o in prima udienza, ove si fosse trattato di domanda proposta in conseguenza di un’eccezione di controparte: art. 183 c.p.c.) e se in tale grado fosse stata oggetto di rigetto o di omessa pronuncia, con onere a carico dei proponenti di dolersene, rispettivamente, con la formulazione di uno specifico motivo di gravame o con espressa riproposizione nel grado successivo (nessuna indicazione in tal senso è peraltro contenuta nel ricorso in esame).
In difetto dell’assoluzione del detto onere, il motivo fondato sul dedotto error in procedendo non può ritenersi ammissibile, non avendo questa Corte gli elementi per verificare l’originaria ritualità e tempestività della domanda asseritamente non delibata, nonché la ritualità e tempestività delle censure eventualmente formulate in appello avverso la omessa pronuncia in primo grado ovvero la ritualità e tempestività della sua espressa riproposizione in ipotesi di mancato accoglimento. Anche per questa ragione, dunque, il ricorso va dichiarato inammissibile.
2.3. In terzo luogo, infine, quand’anche si ritenesse di superare le – per vero assorbenti – ragioni di inammissibilità appena illustrate e si escludesse il carattere di novità (e la conseguente inammissibilità) della specifica domanda risarcitoria per perdita di chance, dovrebbe tuttavia ritenersi, proprio alla luce della prospettazione contenuta nelle conclusioni contenute nell’atto di citazione in appello, per come trascritte nel ricorso per cassazione (p. 4 e pp.6-7), che una tale domanda non sia stata in realtà mai proposta.
Dalla predetta trascrizione, osserva la Corte, emerge infatti che gli appellanti, per un verso, avevano genericamente evocato il pregiudizio da perdita di chance, senza peraltro precisare l’oggetto della chance perduta: senza precisare, cioè, se la possibilità di cui si recriminava la perdita fosse quella di guarigione, di miglioramento delle condizioni di vita, di ottenimento di cure migliori, di sopportazione di minori sofferenze, ecc.; per altro verso, avevano invocato l’accertamento della sussistenza del nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento lesivo, il quale ultimo, peraltro, era stato prospettato in termini di certezza con riferimento all’evento ischemico sofferto da A.A., e non con riferimento all’evento incerto (per l’appunto: la guarigione, il miglioramento delle condizioni di vita, l’ottenimento di cure migliori, ecc.) che avrebbe dovuto costituire l’oggetto della chance ma che non era stato neppure mentovato.
I ricorrenti, in altre parole, pur evocando genericamente (anche) la perdita di chance (senza peraltro, precisare l’oggetto della chance medesima e quindi senza individuare il risultato sperato), avevano invocato unicamente l’accertamento del nesso di causa tra la condotta colpevole del sanitario e l’evento ischemico di cui era stato vittima A.A.. La domanda proposta è dunque quella di risarcimento del danno per mancato raggiungimento del risultato e non per la perdita della possibilità di ottenerlo, giacché l’illecito prefigurato, sul piano strutturale, non è costituito da un nesso causale certo a fronte di un evento (la guarigione o altro) incerto, ma è costituito da un nesso causale incerto (di cui si invoca l’accertamento) a fronte di un evento di danno (l’evento ischemico) certo.
Quando pure fosse mancata la decisione sulla (presunta) domanda di danno per perdita di chance, dunque, non vi sarebbe alcuna omessa pronuncia e quindi alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., giacché la sovrapposizione dell’accertamento dell’elemento causale a quello dell’evento di danno e l’identificazione di quell’evento nell’evento dannoso verificatosi (non riconducibile al concetto di chance che invece presuppone un evento incerto: Cass. 9 marzo 2018, n. 5641) escludono che una simile domanda fosse stata effettivamente proposta.
- Il ricorso, in definitiva, va dichiarato inammissibile.
- Le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto processuale intercorso tra i ricorrenti, E.E. e l’Azienda Ospedaliera di (Omissis) (controricorrenti) seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo; non si deve invece provvedere su quelle relative al rapporto processuale con la UnipolSai Assicurazioni Spa, che non ha svolto difese in sede di legittimità.
- Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.