<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, ordinanze 9 luglio 2019 n. 167 e 168</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della norma in esame, la Corte, con la sentenza n. 355 del 2010 (successivamente confermata dalle ordinanze n. 219, 221 e 286 del 2011), ha affermato anzitutto che rientra «</em>nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte<em>»; la stessa decisione ha conseguentemente ritenuto non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento del danno all’immagine della PA «</em>soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione<em>»; la finalità della norma impugnata è dunque quella di dare coerenza alla disciplina del danno all’immagine all’interno di un complessivo disegno legislativo volto a ridurre i casi di responsabilità amministrativa, «</em>all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere<em>» (sentenza n. 355 del 2010); tale scelta non esclude la ragionevolezza dell’identificazione, all’interno di tale disegno, di ulteriori e specifiche ipotesi di responsabilità, che si giustificano in ragione della loro specialità; i principi così sintetizzati non sono posti in discussione dalle censure formulate, che non sottopongono alla Corte argomenti e profili non considerati nei precedenti sopra richiamati; neppure rilevano in tal senso le ipotesi invocate dal rimettente per evidenziare una pretesa incoerenza di sistema; infatti, in ordine alla prima di esse – quella contemplata dall’art. 55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), inserito dall’art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), ove è prevista la condanna del dipendente al risarcimento dei danni all’immagine subiti dall’amministrazione di appartenenza in conseguenza di sue assenze ingiustificate dal lavoro – la già citata sentenza n. 355 del 2010 ha affermato la possibilità di «</em>riconoscere l’esistenza di diritti “<em>propri</em>” degli enti pubblici e conseguentemente ammettere forme peculiari di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati<em>» e che, pertanto, «[i]</em>n questa prospettiva, non è manifestamente irragionevole ipotizzare differenziazioni di tutele, che si possono attuare a livello legislativo, anche mediante forme di protezione dell’immagine dell’amministrazione pubblica a fronte di condotte dei dipendenti, specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate alla persona fisica<em>»; analoghe considerazioni valgono per l’art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione); tale norma, infatti, prevede la proponibilità dell’azione risarcitoria nel caso in cui all’interno dell’amministrazione sia accertato con sentenza definitiva un reato di corruzione, ovvero uno dei reati che consentono il risarcimento del danno all’immagine ai sensi della norma impugnata; il fatto che, in tale ipotesi, l’esercizio dell’azione risarcitoria sia consentito nei confronti del dirigente di ruolo designato quale «</em>Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza<em>» (art. 1, comma 7, della l. n. 190 del 2012) non realizza una scelta legislativa manifestamente irragionevole; i particolari poteri e compiti attribuiti dall’ordinamento a tale figura, infatti, giustificano un’affermazione di responsabilità conseguente alle relative omissioni, che hanno sostanzialmente vanificato le misure a difesa dell’amministrazione, non impedendo la commissione del fatto corruttivo; infine, e quanto all’evocato art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nel testo modificato dall’art. 37, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), rileva, a giustificazione dell’introduzione di un’ulteriore ipotesi risarcitoria, la relativa finalità di rafforzamento delle misure di trasparenza della pubblica amministrazione, volte a coniugare l’efficienza della funzione pubblica con le garanzie di tutela delle posizioni giuridiche dei cittadini, di cui sono corollari i previsti obblighi di pubblicità e l’accessibilità ai documenti amministrativi, le cui previsioni sono qualificate dall’ordinamento come livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97, comma secondo, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria; va altresì dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78 del 2009, come convertito e successivamente modificato, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 103, comma secondo, Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria</em>.</p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della norma odiernamente in esame, la Corte, con la sentenza n. 355 del 2010 (successivamente confermata dalle ordinanze n. 219, 221 e 286 del 2011), ha affermato anzitutto che rientra «</em>nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte<em>»; la stessa decisione ha conseguentemente ritenuto non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento «</em>soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione<em>»; la finalità della norma impugnata è dunque quella di dare coerenza alla disciplina del danno all’immagine all’interno di un complessivo disegno legislativo volto a ridurre i casi di responsabilità amministrativa, «</em>all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere<em>» (sentenza n. 355 del 2010); tale scelta, peraltro, non esclude la ragionevolezza dell’identificazione, all’interno di tale disegno, di ulteriori e specifiche ipotesi di responsabilità, che si giustificano in ragione della loro specialità; i principi così sintetizzati non sono posti in discussione dalle censure formulate nel caso di specie, che non sottopongono alla Corte argomenti e profili non considerati nei precedenti sopra richiamati.</em></p>