<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>La sentenza in esame ripercorre l’intera storia legislativa del danno causato dagli animali selvatici, a partire dalla legge n.968 del 1977, disponente la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato. Dopo tale excursus la Suprema Corte analizza il dettato normativo attuale, risalendo alla responsabilità della Regione, con possibilità di rivalsa sull’Ente territoriale concretamente colpevole, e specificando l’indagine ermeneutica di accertamento dell’effettivo nesso eziologico tra il danno subito dal ricorrente e la responsabilità della Regione stessa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 10-01-2020) 20-04-2020, n. 7969 </strong></p> <h3 style="text-align: justify;">Testo rilevante della decisione</h3> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><strong> Individuazione del thema decidendum. </strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;">Il ricorso pone la discussa questione della individuazione del soggetto, pubblico o privato, tenuto a rispondere dei danni causati dagli animali selvatici (in particolare, ma non solo, alla circolazione su strade pubbliche).</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene il Collegio che tale questione sia necessariamente legata al fondamento giuridico della responsabilità stessa per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica e richieda un esame analitico della relativa problematica.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>3.1 Riferimenti normativi rilevanti. </strong></p> <p style="text-align: justify;">I danni causati dagli animali selvatici, in passato, erano considerati sostanzialmente non indennizzabili, in quanto tutta la fauna selvatica era ritenuta res nullius.</p> <p style="text-align: justify;">Con la L. 27 dicembre 1977, n. 968 <strong>la fauna selvatica</strong> (appartenente a determinate specie protette) è stata dichiarata <strong>patrimonio indisponibile dello Stato</strong>, tutelata nell'interesse della comunità nazionale e le relative</p> <p style="text-align: justify;">funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell'art. 117 Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Successivamente, la L. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) ha specificato che la predetta tutela riguarda "le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale", con le eccezioni specificate (talpe, ratti, topi propriamente detti, nutrie, arvicole) ed avviene anche nell'interesse della comunità internazionale.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>3.2 Il fondamento teorico della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici secondo la dottrina e l'orientamento della Corte di Cassazione. </strong></p> <p style="text-align: justify;">La dottrina (oltre ad alcune remote decisioni, soprattutto di merito) ha in prevalenza ritenuto che il riconoscimento della proprietà pubblica della fauna selvatica, con la funzionalizza-zione agli interessi collettivi, nazionali ed internazionali, della sua tutela nonchè della sua stessa gestione, comportasse l'applicabilità, anche agli animali selvatici appartenenti alle specie protette, del regime di responsabilità speciale previsto, in generale, dall'art. 2052 c.c., per i danni causati dagli animali in proprietà o in uso di un qualunque soggetto giuridico. Nella giurisprudenza di questa Corte si è invece <strong>consolidato un diverso indirizzo</strong>, secondo cui il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita nell'art. 2052 c.c., inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Tale indirizzo ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale</strong>, la quale - con Ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4 - ha ritenuto non sussistere una irragionevole disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico o in cattività, che risponde dei danni da questo arrecati secondo il criterio di imputazione di cui all'art. 2052 c.c., e la pubblica amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi gli animali selvatici.</p> <p style="text-align: justify;">A fronte di tale originario orientamento, sono state <strong>in seguito operate una serie di specificazioni</strong>, pervenendosi in sostanza in qualche modo ad alterare l'esposto criterio di imputazione soggettiva della responsabilità in capo alla Regione.</p> <p style="text-align: justify;">Sul presupposto che il fondamento della responsabilità era da ricercare nella clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. e che ciò richiedeva in ogni caso l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7080 del 28/03/2006, Rv. 588414 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 27673 del 21/11/2008, Rv. 605619 - 01), in alcune più recenti decisioni</p> <p style="text-align: justify;">(comunque successive alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 4 del 2001, già richiamata) si è affermato che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici non è sempre imputabile alla Regione ma deve in realtà essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della L. n. 157 del 1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente.</p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li><strong>La sostanziale non univocità dell'attuale indirizzo della Corte di Cassazione e le criticità da esso derivanti</strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;">L'esposto panorama (per quanto inevitabilmente parziale e sommario) di alcune delle principali decisioni relative alle numerose fattispecie di domande di risarcimento di danni causati da animali selvatici appartenenti a specie protette, pervenute all'esame del giudice di legittimità, evidenzia di per sè come l'attuale quadro degli orientamenti di questa Corte non possa ritenersi affatto chiaro e univoco.</p> <ol style="text-align: justify;" start="5"> <li><strong> La necessità di rimeditare la questione del fondamento della responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica protetta, per offrire un indirizzo chiaro e univoco. </strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;">Osserva la Corte che la questione di fondo che ha determinato, pur in assenza di un palese contrasto, l'incerto quadro interpretativo fin qui delineato (e che richiede quindi una adeguata sistemazione, per offrire un indirizzo che sia effettivamente univoco e coerente, che superi le difformità applicative e, possibilmente, le stesse criticità in precedenza segnalate) sta proprio nella scelta iniziale del criterio di imputazione della responsabilità, operata sul presupposto della impossibilità di estendere alla fauna selvatica il regime previsto dall'art. 2052 c.c., fondato sulla responsabilità oggettiva del proprietario dell'animale che ha causato il danno ovvero del diverso soggetto che lo utilizza per trarne utilità, superabile esclusivamente con la prova da parte di quest'ultimo del caso fortuito. Tale scelta è stata essenzialmente giustificata sulla base dell'assunto per cui la disposizione di cui all'art. 2052 c.c. avrebbe riguardo esclusivamente agli animali domestici e non a quelli selvatici, in quanto il criterio di imputazione della responsabilità che esprimerebbe sarebbe basato sul dovere di "custodia" dell'animale da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un utilità (patrimoniale o affettiva), custodia per natura non concepibile per gli animali selvatici, che vivono in libertà.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Non pare al Collegio che tale assunto trovi però effettivo fondamento nella disposizione indicata. </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dagli animali espresso nell'art. 2052 c.c. non risulta, in primo luogo, espressamente limitato agli animali domestici, ma fa riferimento esclusivamente a quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell'uomo.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, esso prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale da parte dell'uomo, come si desume dallo stesso tenore letterale della disposizione, là dove prevede espressamente che</p> <p style="text-align: justify;">la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussiste sia che l'animale fosse "sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito".</p> <p style="text-align: justify;">Tanto premesso, appare corretta l'impostazione di chi afferma che, avendo l'ordinamento stabilito (con legge dello Stato) che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992) è effettivamente configurabile, in capo allo stesso Stato (quale suo patrimonio indisponibile) e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, con l'attribuzione esclusiva a soggetti pubblici del diritto/dovere di cura e gestione del patrimonio faunistico tutelato onde perseguire i suddetti fini collettivi, la immediata conseguenza della scelta legislativa è l'applicabilità anche alle indicate specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">In siffatta situazione, l'esenzione degli enti pubblici dal regime di responsabilità oggettiva di cui all'art. 2052 c.c., non potendosi in diritto giustificare - per quanto già chiarito - sulla base della impossibilità di configurare un effettivo rapporto di custodia per gli animali selvatici (non costituendo affatto la custodia il presupposto di applicabilità della disposizione che disciplina l'imputazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 c.c., come già chiarito), finisce per risolversi in un ingiustificato privilegio riservato alla pubblica amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, in questo caso, poichè la proprietà pubblica delle specie protette è in sostanza disposta in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonchè di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, si determina una situazione che è equiparabile (nell'ambito del diritto pubblico) a quella della "utilizzazione" degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, ai fini dell'art. 2052 c.c.: la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una "utilizzazione", in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Sono dunque in sostanza le Regioni </strong>gli enti che "utilizzano" il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.</p> <ol style="text-align: justify;" start="6"> <li><strong> Analisi delle modalità applicative del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. per la fauna selvatica protetta. </strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;">Una volta stabilita l'applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. per i danni causati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, e una volta chiarito che - in linea di principio - il soggetto pubblico tenuto a risponderne nei confronti dei privati danneggiati (salva la prova del caso fortuito) <strong>è la Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema</strong>, restano da effettuare alcune precisazioni (onde meglio chiarire il senso della ricostruzione sistematica esposta), con riguardo: a) ai presupposti per l'imputazione della responsabilità, in applicazione del suddetto criterio; b) alla individuazione dell'effettivo oggetto della prova liberatoria gravante sulla Regione; c) all'ipotesi di negligente esercizio delle funzioni amministrative delegate o proprie, da parte di enti minori (in particolare, ma non solo, le Province).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>6.1 Il regime di imputazione della responsabilità: l'onere della prova gravante sull'attore. </strong></p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda il regime di <strong>imputazione </strong>della responsabilità, in applicazione del criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., sarà naturalmente il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico. Ciò comporta, evidentemente, che sull'attore che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l'onere dimostrare la dinamica del sinistro nonchè il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L.</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>6.2 L'oggetto della prova liberatoria. </strong></p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda la prova liberatoria, il cui onere grava sulla Regione, essa deve consistere, ai sensi dell'art. 2052 c.c., <strong>nella </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>dimostrazione che il fatto sia avvenuto per "caso fortuito" </strong>(la questione, come appena precisato, può venire in rilievo solo laddove l'attore abbia già dimostrato la effettiva e concreta dinamica dell'incidente e cioè che la condotta dell'animale selvatico appartenente a specie protetta di proprietà statale sia stata la causa, esclusiva o concorrente, del danno).</p> <p style="text-align: justify;">La Regione, per liberarsi dalla responsabilità del danno cagionato dalla condotta dell'animale selvatico (recte: che l'attore abbia già provato essere stato causato dalla condotta dell'animale selvatico appartenente a specie protetta e di proprietà pubblica), dovrà dimostrare che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo, cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purchè, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>6.3 I rapporti tra gli enti titolari di funzioni (proprie o delegate) di gestione e tutela della fauna selvatica protetta e/o ai quali comunque spetta di adottare le opportune misure di cautela e protezione per la collettività. </strong></p> <p style="text-align: justify;">Laddove peraltro, il danno si assuma essere stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, cui spettava il compito (trattandosi di funzioni di sua diretta titolarità ovvero delegate) di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso omesse e che avrebbero impedito il danno, la stessa Regione potrà rivalersi nei confronti di detto ente e, naturalmente, potrà anche, laddove lo ritenga opportuno, chiamarlo in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato, onde esercitare la rivalsa (in tal caso l'onere di dimostrare l'assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione, che non potrà naturalmente avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell'ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Lorenzo Quadrini</strong></p>