<p class="western" align="justify"></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;"><b>Corte di Cassazione, V, sentenza del 01.04.2020, n, 10967</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Nell’esaminare la controversia in epigrafe la Corte di Cassazione prendeva le mosse dalle seguenti ragioni di</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Cambria, serif;">FATTO E DIRITTO</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">All’imputato, in qualità di direttore responsabile del quotidiano Omissis, veniva contestato il delitto di cui all’art. 57 c.p., per non aver impedito (attraverso il controllo sul quotidiano da lui diretto) che venisse diffamato il Dott. I., accostando la sua persona, con la pubblicazione di una sua fotografia al tema oggetto dell’articolo a firma di A.L.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Lo scritto veniva così impaginato: </span><span style="font-family: Cambria, serif;">1) titolo: "Certificati al telefono, medico condannato"; 2) sottotitolo: "aveva prorogato i giorni di malattia a una paziente senza visitarla"; 3) sottostante articolo della A. , nel quale si commentava una sentenza della Corte di Cassazione, di conferma della condanna di un medico di famiglia, che aveva rilasciato un certificato di malattia "al telefono", senza visitare il paziente; 4) fotografia del Dott. I. , raffigurato mentre era seduto in uno studio medico, intento a colloquiare con una "paziente", mostrandole una lastra radiografica, con sottostante didascalia: "anche l’ordine richiama i medici al rigore nelle visite per i certificati di malattia".</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">La Corte anzitutto rappresentava che il reato di cui all’art. 57 c.p. configura un’ipotesi di reato autonoma e strutturalmente caratterizzata dall’omissione dell’attività di controllo del direttore responsabile, al fine di evitare che attraverso il periodico da lui diretto venga dolosamente lesa la reputazione di terze persone - contemplata come causa di un evento non voluto - addebitabile al direttore di stampa periodica a titolo di colpa, sicché tale reato non può configurarsi ove venga accertato che nessun reato di diffamazione è stato commesso. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Il Collegio giudicante evidenziava che il reato presupposto di diffamazione non era stato ravvisato nel contenuto dell’articolo della giornalista A.L., tant’è che la posizione di quest’ultima era stata archiviata dal G.i.p. di Monza, non occupandosi l’articolo suddetto in alcun modo dell’I.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Viceversa, i giudici di merito avevano ritenuto diffamatorio l’accostamento tra il titolo (avente una carica negativa) e l’immagine del Dott. I., atteso che l’associazione visiva tra quel titolo e l’immagine aveva ingenerato nel lettore medio l’idea che proprio l’I. fosse collegato alla condanna. La sentenza impugnata metteva in risalto come fosse notorio che il pubblico medio non si impegnava nella lettura di tutti gli articoli accostati alle immagini, fermandosi a considerare l’impatto visivo e il collegamento fra titolo e immagine. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Preliminarmente la Corte premetteva che, in tema di diffamazione, è compito del giudice di legittimità procedere a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi la portata offensiva della pubblicazione ritenuta diffamatoria. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Per il Collegio occorreva sgombrare il campo dall’equivoco (ravvisabile in un passaggio del ricorso), secondo cui, avendo qualche anno prima l’I. posato per una fotografia destinata ad essere utilizzata ai fini di illustrazione ciò sarebbe stato illustrativo del fatto che la p.o. aveva liberamente accettato che tale immagine fosse pubblicata. La Cassazione sul punto richiamava i principi più volte da essa ribaditi alla stregua dei quali il consenso alla pubblicazione di una foto non vale come scriminante del delitto di diffamazione se l’immagine sia riprodotta in un contesto diverso da quello per cui il consenso sia prestato che implichi valutazioni peculiari, anche negative sulla persona effigiata. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">La portata offensiva dell’accostamento titolo/fotografia – chiosava ancora la Corte – non poteva essere esclusa neppure per il solo fatto che fosse difficile riconoscere nella foto selezionata dalla redazione la reale identità della persona rappresentata. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Tuttavia, il Collegio giudicante escludeva la penale rilevanza della condotta in esame per l’assenza di offensività della pubblicazione, muovendo dalla circostanza che l’accostamento titolo/fotografia rappresentava una finzione scenica. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">La Sezione V respingeva la tesi della Corte territoriale fondata sul far coincidere il concetto di lettore medio con quello di lettore frettoloso, incapace di andare oltre la lettura di titoli e foto. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Secondo la Cassazione, nel caso in esame, il lettore medio poteva solo ad un primo sguardo fraintendere l’identità della persona condannata </span><span style="font-family: Cambria, serif;">attraverso l’associazione del solo titolo con l’immagine pubblicata. Al contrario, il complessivo contesto in cui la fotografia ed il titolo erano inseriti induceva senz’altro a una lettura progressiva di tutti gli elementi utili a cogliere il reale significato della notizia. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Sul punto vi erano diversi ed ulteriori indici: il sottotitolo "aveva prorogato i giorni di malattia a una paziente senza visitarla", dava conto visivamente del contrasto tra quanto rappresentato nella foto (medico intento a colloquiare con la paziente) rispetto alla mancata visita per il rilascio del certificato; la didascalia dell’immagine "anche l’Ordine (dei medici) richiama i medici al rigore nelle visite per i certificati di malattia" conteneva un riferimento che non aveva a che vedere con la condanna di un medico, raccordandosi piuttosto con l’oggetto del contenuto dell’articolo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Senza considerare - rappresentava altresì la Corte – che il testo dell’articolo stigmatizzava la degenerazione dell’etica professionale dei medici, traendo spunto da una sentenza di condanna di un medico identificato con le sue iniziali, incompatibili con quelle della costituita parte civile che si assumeva lesa dalla pubblicazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">Pertanto, secondo il Collegio il lettore medio era, sulla base degli elementi contenuti nella pubblicazione, in grado di avvedersi (senza sforzi o particolare arguzia) del fatto che la persona effigiata non aveva nulla a che vedere con il medico condannato (ciò anche con una mera progressione visiva). </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">In conclusione, per la Corte, l’assenza di offensività della pubblicazione escludeva il reato di cui all’art. 595 c.p. e conseguentemente quello di cui all’art. 57 c.p. ascritto all’imputato. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Cambria, serif;">All’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, seguiva l’annullamento senza rinvio della sentenza perché il fatto non sussiste. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-size: large;"><i><span style="font-family: Cambria, serif;">Alessandro Piazzai</span></i></span></p>