<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Se per molti anni quello amministrativo (GA) è stato il giudice incontrastato del lavoro pubblico - anche in forza della inestricabile commistione tra diritti soggettivi e interessi legittimi che la pertinente materia tradizionalmente presenta (ammesso che sussista tra tali due figure una reale differenza) – da qualche lustro la c.d. “</em>privatizzazione<em>” del lavoro alle dipendenze della PA ha fatto spostare il baricentro giurisdizionale verso il giudice ordinario (GO); non manca tuttavia a tutt’oggi (in disparte i concorsi) una ampia fetta di contenzioso - peraltro, di non poco momento in termini di significatività - che è ancora appannaggio del giudice amministrativo, e che si ricava “</em>per sottrazione<em>” rispetto alla richiamata giurisdizione ordinaria, a quella contabile ed a quella “</em>domestica<em>” affidata a taluni organi costituzionali (c.d. “</em>autodichia<em>”).</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Se durante il periodo repubblicano le cariche pubbliche corrispondono sempre, in linea di massima, con le c.d. Magistrature (Consoli, Pretori e così via), è in epoca imperiale e tardo classica (a partire da Augusto) che presso i Romani si istituzionalizza un vero e proprio impiego pubblico compendiato per lo più da “<em>funzionari imperiali</em>”, chiamati come tali a coadiuvare il <em>Princeps</em> nell’esercizio di un potere sempre più accentrato.</p> <p style="text-align: justify;">In un primo momento, si tratta di un impiego pubblico solo nella “<em>sostanza</em>”, giacché nella forma giuridica si configura un rapporto privatistico tra l’Imperatore (come persona fisica) e i propri “<em>procuratores</em>”, sulla scia di quanto avviene appunto in ambito privatistico; solo a partire dal Principato di Claudio e poi, via via, con gli Antonini e soprattutto con i Severi, il funzionario vive un rapporto maggiormente “<em>pubblicistico</em>” che lo avvince non più all’Imperatore quanto, piuttosto, alla carica imperiale (a prescindere da chi di volta in volta la rivesta).</p> <p style="text-align: justify;">E’ sempre in questa fase che vede la luce la c.d. <em>supplicatio</em>, quale richiesta di intervento all’Imperatore – della quale ci parlano i giuristi Ulpiano e Paolo e che viene definitivamente attestata a partire dal III secolo d.C. - che può essere riconnessa tanto al concetto di autodichia o giurisdizione domestica (sul crinale del rapporto tra l’Imperatore stesso e i relativi “<em>funzionari</em>”) quanto - su di un crinale più generale - a quello che diverrà poi il ricorso straordinario al Re e, in ulteriore prospettiva, al Presidente della Repubblica (c.d. “<em>giustizia ritenuta</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">L’autodichia moderna vede la luce in Inghilterra molto più avanti, nel secolo XVII col formarsi di una consuetudine nel contesto della dialettica tra Corona e Camera dei Comuni in Inghilterra, la seconda rivendicando dal Re più consistenti forme di autonomia rispetto a quelle originariamente limitate alla verifica dei propri poteri (c.d. “<em>autocrinia</em>”, quale sottrazione all’arbitrio della Corona del controllo sulla composizione del Parlamento). Si afferma dunque in primo luogo l’autonomia della Camera dei Comuni in tema di insidacabilità delle pronunce di convalida o decadenza dalla carica parlamentare, per poi giungere progressivamente ad una competenza esclusiva (<em>exclusive cognisance)</em> per la repressione di qualunque episodio in cui sia competente il Parlamento ridetto.</p> <p style="text-align: justify;">Quest’ultimo viene fatto oggetto di una vera e propria “<em>estrazione geografica</em>”, assumendo la consistenza di una zona extraterritoriale, onde tutto ciò che accade all’interno del palazzo di <em>Westminister</em> – quand’anche non teologicamente e funzionalmente collegato all’esercizio istituzionale del potere parlamentare – finisce col ricadere nel concetto di autodichia.</p> <p style="text-align: justify;">La prassi dell’autodichia si diffonde via via anche in altri Paesi come il Belgio e la Francia, fino ad ad una pertinente costituzionalizzazione nelle Carte ottriate dell’Ottocento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1848</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la Costituzione del Regno delle due Sicilie, concessa da re Ferdinando II, il cui art. 42 prevede la possibilità per ciascuna delle due Camere (Camera de’ Pari e Camera dei Deputati) di adottare un regolamento attraverso il quale venga determinato il modo e l’ordine delle proprie discussioni e votazioni, nonché il numero e gli incarichi delle commissioni ordinarie e – più in generale - tutto ciò che concerne “<em>l’economia del suo servizio interno</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Viene varato anche, in Piemonte e Sardegna, lo Statuto Albertino secondo i cui articoli 60 e 61, rispettivamente, “<em>ognuna delle Camere è sola competente per giudicare la validità dei titoli di ammissione dei propri membri</em>” (art.60) e “<em>così il Senato, come la Camera dei deputati, determina, per mezzo di un suo regolamento interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni</em>.” (art.61); nel quadro tracciato dallo Statuto, la giurisdizione domestica diviene un limite all’eventuale esercizio anomalo delle funzioni sovrane, palesandosi connaturata al Parlamento la c.d. “<em>tricotomia</em>”: autonomia (potere legislativo), autodichia (potere giudiziario) e autarchia (potere esecutivo); il tutto in veste appunto di argine al potere del Re e, più in specie, all’esercizio (eventualmente) anomalo delle funzioni della Corona.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1898</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 novembre vede la luce la decisione della IV sezione del Consiglio di Stato n.415; investito di una questione relativa all’annullamento di un concorso bandito dalla Camera dei Deputati, il Collegio declina la propria “<em>attribuzione</em>” in materia di atti sostanzialmente amministrativi della Camera stessa con riguardo precipuo all’ambito, per l’appunto, concorsuale, e dunque di atti afferenti ai relativi dipendenti.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una decisione che alimenterà un vivace e polemico dibattito in tema di prerogative parlamentari e di insidacabilità dei cd “<em>interna corporis acta</em>”, con riferimento dunque alla c.d. autodichia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1904</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce la sentenza delle SSUU civili di Roma in tema di natura della deliberazione del bilancio di ciascuna Camera e di mancanza di personalità giuridica delle Camere (caso Talamo e Mannajuolo, vincitori del concorso per la costruzione di una nuova aula, contro Camera dei Deputati).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte, nel caso di specie, dichiara legittima un'azione giudiziaria civile contro gli atti di carattere amministrativo della Camera dei Deputati per asseriti danni di natura patrimoniale, aprendo una breccia in tema di sindacabilità degli atti interni delle Camere (e di connessa negatoria dell’autodichia), abbracciando una tesi che rimarrà tuttavia pressoché isolata, fino ad essere esclusa del tutto nel successivo ordinamento repubblicano e costituzionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1923</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varato il R.D. n.2840, recante modificazioni all'ordinamento del Consiglio di Stato e della Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale, secondo il cui art.8 sono attribuiti all'esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, tra gli altri, i ricorsi relativi al rapporto di impiego prodotti dagli impiegati dello Stato, degli enti od istituti pubblici sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dell'amministrazione centrale dello Stato o da agenti di ferrovie e tramvie concesse all'industria privata ai sensi dell'art. 15 del R. decreto-legge 19 ottobre 1923, n. 2311, quando non si tratti di materia spettante alla giurisdizione della Corte dei conti o a quella di corpi o collegi speciali.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta della prima norma che esplicitamente attribuisce la giurisdizione esclusiva al Consiglio di Stato e, dunque, al giudice amministrativo, in materia di impiego pubblico, stante anche la difficoltà in questa materia di distinguere nettamente gli interessi legittimi dai diritti soggettivi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1924</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno viene varato il R.D. n.1054, recante approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, il cui art. 29 – sulla scia dell’art. 8 del R. decreto 30 dicembre 1923, n. 2840 – attribuisce all'esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, tra gli altri, i ricorsi relativi al rapporto d'impiego prodotti dagli impiegati dello Stato, degli enti od istituti pubblici sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dell'amministrazione centrale dello Stato o da agenti di ferrovie e tramvie concesse all'industria privata ai sensi dell'art. 15 del R. decreto-legge 19 ottobre 1923, n. 2311, quando non si tratti di materia spettante alla giurisdizione della Corte dei conti o a quella di altri corpi o collegi speciali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1934</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio viene varato il R.D. n.1214, recante approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, secondo il cui art.13 la Corte giudica, tra l’altro, sui ricorsi in materia di pensione in tutto o in parte a carico dello Stato o di altri Enti designati dalla legge e sulle istanze tendenti a conseguire la sentenza che tiene luogo del decreto di collocamento a riposo, ai termini dell'articolo 174 del testo unico 21 febbraio 1895, n. 70.</p> <p style="text-align: justify;">Il successivo art.62 precisa che contro i provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione a carico totale o parziale dello Stato e' ammesso il ricorso alla competente Sezione della Corte, la quale giudica con le norme di cui agli articoli seguenti; alla medesima Sezione sono poi devoluti anche tutti gli altri ricorsi in materia di pensione, che leggi speciali attribuiscono alla Corte dei conti, nonché le istanze dirette ad ottenere la sentenza che tenga luogo del decreto di collocamento a riposo o in riforma e dichiari essersi verificate nell'impiegato dello Stato o nel militare le condizioni dalle quali, secondo le leggi vigenti, sorge il diritto a pensione, assegno o indennità. In materia di riscatto di servizi, il ricorso e' ammesso soltanto contro il decreto concernente la liquidazione del trattamento di quiescenza nel termine stabilito dal primo comma dell'articolo seguente.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di disposizioni che stabiliscono la giurisdizione della Corte dei conti in materia pensionistica, con conseguente porzione (<em>lato sensu</em> ed <em>ex post</em>) di “<em>pubblico impiego</em>” sottratta alla giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1940</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 ottobre viene varato il R.D. n.1443, nuovo codice di procedura civile, alla stregua del cui art.429, n.3, sono devolute al GO le controversie relative ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti di enti pubblici (“<em>economici</em>”) inquadrati nelle associazioni sindacali di categoria e, dunque, “<em>corporativizzati</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, alla stregua del cui art.2129 le disposizioni della pertinente sezione (afferenti al lavoro privato) si applicano (anche) ai <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3071.html">prestatori di lavoro</a> dipendenti da <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/614.html">enti pubblici</a>, salvo che il rapporto sia diversamente regolato dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo viene varato il R.D. n.318, recante disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, il cui art.98, comma 2, estende l’effettualità di talune norme in materia di lavoro privato ed esercizio dell’impresa ai rapporti d'impiego dei dipendenti di enti pubblici anche se non inquadrati sindacalmente, in quanto il rapporto non sia diversamente disciplinato da leggi e regolamenti speciali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1944</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre viene varato il decreto legislativo n.369, che sopprime l’ordinamento corporativo fascista, sollevando il problema della sopravvivenza dell’art. 429 n. 3 c.p.c. e della regola, in esso inscritta, della giurisdizione del GO per i pubblici dipendenti “<em>ex corporativizzati</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, il cui art.3, comma 1, scolpisce <em>in primis</em> il principio c.d. di eguaglianza formale, onde tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, anche – in linea teorica – sul crinale della tutela giurisdizionale e del giudice al quale rivolgersi.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio sul crinale della tutela giurisdizionale, tutti <em>in primis</em> possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art.24, comma 1); il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno poi giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi (art.103, comma 2), mentre la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (art.103, comma 3); ancora, contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (art.113, comma 1), tutela giurisdizionale che non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (comma 2), la legge determinando quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">La funzione giurisdizionale è poi esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.102, comma 1, onde non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali, potendo soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura (comma 2). Ancora, ai sensi dell’art.108 le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge (comma 1), tale legge assicurando l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">Importante anche l’art.111, alla cui stregua, se da un lato tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (comma 1), dall’altro contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, potendosi derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra (comma 2); ancora, contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Esplicitamente all’autodichia (o, più precisamente, alla c.d. “<em>autocrinia</em>”) è dedicato l’art.66 della Carta, onde ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei relativi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità; se ne occupa invece indirettamente l’art.64, laddove prescrive che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei relativi componenti.</p> <p style="text-align: justify;">Stando poi all’art.51, comma 1, tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, a tal fine la Repubblica promuovendo, con appositi provvedimenti, le pari opportunità tra donne e uomini.</p> <p style="text-align: justify;">Per il successivo art.97, i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (comma 1), agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni accedendosi mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge (comma 2); rilevante anche l’art.98, onde i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione (comma 1); se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità (comma 2); si possono inoltre con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Significativa anche la VI disposizione transitoria e finale, alla cui stregua entro 5 anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari (comma 1), mentre entro 1 anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all'<a href="https://www.senato.it/1025?sezione=135&articolo_numero_articolo=111">articolo 111</a> (comma 2).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 agosto viene varata la legge n.1077, recante determinazione dell’assegno e della dotazione del Presidente della Repubblica e istituzione del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta del provvedimento normativo che costituirà il fondamento del progressivo potere di autodichia via via riconosciutosi dal Presidente della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1949</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 novembre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.3 alla cui stregua l’inquadramento corporativo, ormai soppresso, deve assumersi aver costituito il presupposto essenziale per l’applicabilità del regime (derogatorio) di cui all’art. 429 c.p.c. in tema di giurisdizione del GO sui dipendenti di enti pubblici economici, onde va ormai ribadito la riespansione della giurisdizione amministrativa ai dipendenti degli enti ridetti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1953</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 marzo viene varata la legge n.87, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, il cui art.14, comma 3, dispone che la Corte e' competente in via esclusiva a giudicare sui ricorsi dei relativi dipendenti (c.d. autodichia).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1957</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio viene varato il D.p.R. n.3, recante Testo Unico del 1957 sugli impiegati civili dello stato che, ad onta del dichiarato intento del legislatore di attenuare l’impostazione gerarchica del sistema, finisce col compendiare una semplice rivisitazione in chiave aggiornata dell’impianto – per l’appunto “<em>gerarchico</em>” – tradizionale; pur a fronte infatti del mutamento del regime politico istituzionale, con la caduta del regime fascista e la nascita della Repubblica democratica, ne affiora comunque l’idea di una PA suprema e autoritaria che vede vieppiù differenziata la posizione del dipendente pubblico rispetto a quella degli altri cittadini lavoratori che, nel settore privato, già godono delle tradizionali forme di tutela individuale e, allo stesso tempo, delle nuove forme di tutela collettiva, giusta associazionismo sindacale garantito dall’articolo 39 della Carta Costituzionale e stante il riconoscimento del diritto di sciopero al successivo articolo 40.</p> <p style="text-align: justify;">La accentuata “<em>pubblicizzazione gerarchica</em>” del pubblico impiego giustifica, su questo crinale, la (del pari) tradizionale giurisdizione esclusiva del GA quale presidio delle pertinenti controversie.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1958</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo viene varata la legge n.195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il relativo art.17, tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro; ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per la grazia e giustizia. Per quanto concerne i compensi speciali previsti dall'art. 6 del decreto legislativo 27 giugno 1946, n. 19, i provvedimenti sono adottati di concerto con il Ministro per il tesoro (comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">Contro i predetti provvedimenti, e' ammesso ricorso al Consiglio di Stato per motivi di legittimità (comma 2), ma contro i provvedimenti in materia disciplinare, e' invece ammesso ricorso alle SSUU della Corte suprema di cassazione, che ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato (comma 3): in materia disciplinare si assiste dunque – con riguardo ai magistrati ordinari - ad una eccezione rispetto alla giurisdizione esclusiva del GA, normalmente prevista in materia di impiego pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1961</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 205 alla cui stregua, pur dopo la soppressione dell’ordinamento corporativo fascista, deve assumersi pienamente in vigore l’art.429, n.3, c.p.c., con conseguente giurisdizione del GO sulle controversie dei dipendenti di quegli enti pubblici che, pur non avendo mai ricevuto un inquadramento di tipo sindacale, svolgano un’attività economica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1963</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varata la legge n.1643, istitutiva dell’Enel, ai sensi del cui art.13 - dopo essersi stabilito che il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’Ente è retto dalle norme di diritto privato – si dispone che in sede giurisdizionale la competenza a conoscere le relative controversie è attribuita all’autorità giudiziaria ordinaria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1970</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio viene varata la legge n.300, recante norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento (c.d. Statuto dei lavoratori), il cui art. 28 disciplina la nota repressione della condotta antisindacale.</p> <p style="text-align: justify;">Stando al successivo art.37 (applicazione ai dipendenti di enti pubblici), con formula anodina, le disposizioni dello Statuto – compreso dunque, a quanto pare, l’art.28 - si applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica nonché ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli altri enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 marzo 1971 viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il regolamento della Camera dei Deputati, approvato nel febbraio e destinato ad entrare in vigore il 01 maggio successivo, il cui art.12 lascia affiorare il potere di c.d. autodichia con riguardo alle controversie di lavoro del pertinente personale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Quello stesso 01 marzo 1971 viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale anche il regolamento del Senato della Repubblica, approvato nel febbraio e destinato ad entrare in vigore il 01 maggio successivo, il cui art.12 lascia anch’esso affiorare il potere di c.d. autodichia con riguardo alle controversie di lavoro del pertinente personale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varata la legge n.1034, recante istituzione dei tribunali amministrativi regionali, secondo il cui art.7 il TAR esercita giurisdizione di merito nei casi preveduti dall'articolo 27 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054, ed in quelli previsti dall'articolo 1 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1058 (comma 1), mentre esercita giurisdizione esclusiva nei casi previsti dall'articolo 29 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054, e in quelli previsti dall'articolo 4 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1058 e successive modificazioni, nonché nelle materie di cui all'articolo 5, primo comma, della legge.</p> <p style="text-align: justify;">Viene dunque confermata la giurisdizione esclusiva del GA in materia di pubblico impiego.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1980</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio viene varato il D.p.R. n.31 che disciplina l’autodichia della Presidenza della Repubblica con riguardo alle controversie con i dipendenti ed ex dipendenti del pertinente Segretariato generale, i quali possono ricorrere al Segretario generale, per motivi di legittimità, contro atti e provvedimenti amministrativi in materia di rapporti d’impiego e di trattamento pensionistico; il Segretario generale provvede in merito al ricorso in conformità al parere vincolante di un’apposita commissione composta da un Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, che la presiede, e da due magistrati ordinari o amministrativi, con qualifica non inferiore a quella di Consigliere della Corte di Cassazione od equiparata.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, l’art. 5, comma 2, dispone nondimeno che “<em>In ogni caso il ricorso è dichiarato improcedibile se nei confronti dello stesso atto o provvedimento amministrativo sia stato da chiunque presentato ricorso al giudice amministrativo</em>”, affiorando dunque il carattere meramente eventuale della procedibilità del ricorso “<em>interno</em>” stante la possibilità di interromperne lo scandaglio, da parte di chiunque e senza limiti di tempo nelle more del procedimento, giusta apposito ricorso “<em>esterno</em>” spiccato innanzi al GA.</p> <p style="text-align: justify;">Si profila dunque una autodichia che - a differenza di quella vigente per i dipendenti delle Camere e della Corte costituzionale – ha carattere meramente “<em>eventuale</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1982</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 ottobre viene pubblicata una prima modifica all’art.12 del Regolamento della Camera dei Deputati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo viene varata la legge n.93, c.d. legge quadro sul pubblico impiego, che introduce tra le altre cose la contrattazione collettiva nel lavoro pubblico. Si tratta di una legge di riforma economico-sociale, come tale applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni ed orientata, da un lato, a fissare dei principi di “<em>omogeneizzazione</em>” e di “<em>perequezione</em>” della disciplina del lavoro pubblico (giusta gestione accentrata dello stato giuridico e del trattamento economico dei dipendenti interessati) e, dall’altro, a disciplinare in maniera organica il sistema delle relazioni sindacali, ripartendo la competenza tra fonti unilaterali e fonti negoziate.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua del pertinente art.28, peraltro, si afferma che in sede di revisione dell'ordinamento della giurisdizione amministrativa si provvederà all'emanazione di norme che si ispirino, per la tutela giurisdizionale del pubblico impiego, ai principi contenuti nelle leggi 20 maggio 1970, n. 300, e 11 agosto 1973, n. 533 (comma 1), al contempo prevedendosi che - nei ricorsi in materia di pubblico impiego avanti gli organi di giurisdizione amministrativa (che viene dunque confermata) - l'udienza di discussione deve essere fissata entro 6 mesi dalla scadenza del termine di costituzione in giudizio delle parti contro le quali e nei confronti delle quali il ricorso e' proposto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.185 che – in tema di autodichia - dichiara inammissibile, per insindacabilità dei Regolamenti parlamentari, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12.1 e 12.3 dei Regolamenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati - approvati rispettivamente il 17 e 18 febbraio 1971 - sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma, 108, primo e secondo comma, e 113, primo comma, Cost., con ordinanze all’uopo dalle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione.</p> <p style="text-align: justify;">La particolare elaboratezza della questione affrontata suggerisce alla Corte di fissare preliminarmente quei punti che sembrano maggiormente giovare all'essenzialità e chiarezza del successivo discorso.</p> <p style="text-align: justify;">Per espresso dettato dell'art. 12.1 del vigente regolamento del Senato della Repubblica, "<em>il consiglio di presidenza, presieduto dal Presidente del Senato... adotta i provvedimenti relativi al personale... nei casi... previsti</em>" dai regolamenti interni; analogamente, per espresso dettato dell'art. 12.3 del vigente regolamento della Camera dei Deputati, "<em>l'ufficio di presidenza... decide in via definitiva i ricorsi che attengono allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Le sopra trascritte disposizioni – riprende la Corte - hanno dato motivo a contrasti interpretativi, peraltro non del tutto privi di fondamento - specie con riguardo alla formulazione del regolamento del Senato, troppo scarna, e perciò scarsamente significante nella relativa genericità -, opinandosi addirittura - con riguardo, questa volta, al regolamento della Camera - che la pertinente formulazione sul punto, in quanto mutata rispetto al regolamento anteriore, avrebbe comportato la caducazione del principio dell'autodichia, nel senso, conseguentemente, che ormai i ricorsi dei dipendenti della Camera medesima dovrebbero ritenersi definiti con decisione amministrativa impugnabile in sede giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Senonché, con le ordinanze scandagliate, le Sezioni unite della Cassazione, dopo avere dichiarato esplicitamente che, "<em>ai fini del regolamento di giurisdizione.. oggetto é stabilire se vi sia un giudice e quale esso sia</em>", ed implicitamente che la formulazione del regolamento del Senato vale quella del regolamento della Camera, osservano che la norma attributiva dell'autodichia - e perciò le due disposizioni regolamentari in parola - può ritenersi che "<em>esclude la giurisdizione del giudice comune</em>", sia "<em>in quanto nega qualsiasi giudice nell'ordinamento generale ed affida la risoluzione delle controversie ad una decisione adottata dall'organo costituzionale... e destinato ad operare unicamente all'interno dell'ordinamento particolare</em>", sia "<em>in quanto istituisce nell'ordinamento generale un giudice speciale - l'organo costituzionale appunto, in una sua articolazione - con competenza in causa propria</em>".</p> <p style="text-align: justify;">E poiché nelle ordinanze si afferma apertamente che "<em>é da preferire</em>,", e si riafferma che "<em>é preferibile</em>", per le considerazioni riportate più sopra, l'orientamento interpretativo, secondo cui le controversie in tema di rapporto d'impiego dei dipendenti delle Camere sono decise da queste, sembra non dubitabile che, così esprimendosi, il giudice <em>a quo</em> ha inteso riconoscere in sostanza nei due menzionati articoli i portatori del principio dell'autodichia e, quindi, l'esistenza nel nostro ordinamento dell'autodichia, sia della Camera dei Deputati, sia del Senato della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">In tutte le tre ordinanze vengono impugnati, specificamente gli artt. 12, <em>in</em><em> parte de qua</em>, dei regolamenti parlamentari in vigore, e genericamente "<em>la norma attributiva dell'autodichia</em>" ad entrambe le Camere. Stante la duplicità della denuncia, si rende necessario per la Corte comprendere in quale rapporto l'una impugnativa si pone nei confronti dell'altra.</p> <p style="text-align: justify;">Sembra doversi escludere che il giudice <em>a quo</em> abbia inteso riferirsi ad un unico dato normativo, giacché allora gli articoli dei regolamenti sarebbero meramente ricognitivi ed esplicativi di quella norma inespressa, da cui in effetti avrebbe tratto origine in passato e su cui troverebbe ancor oggi fondamento la giurisdizione domestica delle Camere; ciò equivarrebbe a ravvisare l'unica e vera fonte e l'unico e vero sostegno dell'autodichia nella ridetta norma inespressa, che le disposizioni dei due articoli si sarebbero limitate a recepire.</p> <p style="text-align: justify;">L'ipotesi per il Collegio é inaccoglibile: basterebbe in proposito considerare anche solo che nelle ordinanze il quesito assolutamente pregiudiziale é quello relativo alla sindacabilità, da parte della Corte, dei regolamenti parlamentari, e che tale quesito risulterebbe proposto <em>inutiliter</em> - anzi, non avrebbe addirittura senso -, ove le Sezioni unite ritenessero che il rapporto fra le norme espresse e la norma inespressa sia quello testé ipotizzato. Ma se, viceversa, si pone mente che in ognuna delle tre ordinanze delle SSUU risultano impugnati <em>principaliter</em> i più volte menzionati artt. 12 dei regolamenti parlamentari, e solo successivamente "<em>la norma attributiva dell'autodichia</em>", appare verosimile alla Corte la congettura che l'impugnativa della norma inespressa sia stata proposta in via meramente subordinata e prudenziale.</p> <p style="text-align: justify;">Se la ricostruzione del pensiero del giudice <em>a quo</em> sul punto é esatta, ne deriva per il Collegio che, a parte la questione della proponibilità della denuncia di una norma inespressa, sarebbe ultroneo ogni discorso intorno a quest'ultima, in quanto ai fini del decidere é necessario e sufficiente per il Collegio fare oggetto del presente giudizio solo gli artt. 12.1 del regolamento del Senato e 12.3 del regolamento della Camera.</p> <p style="text-align: justify;">É appena il caso di avvertire – prosegue a questo punto il Collegio - che i regolamenti di che trattasi sono esclusivamente quelli previsti dall'art. 64, primo comma, Cost., cioé quelli adottati direttamente dall'assemblea di ognuna delle due Camere "<em>a maggioranza assoluta dei suoi componenti</em>". Se, infatti, si dubita che qualsiasi giudice - sia pure il giudice delle leggi - abbia il potere di sindacare i suddescritti regolamenti, non si dubita, viceversa, che a sensi dell'art. 134 Cost. é precluso alla Corte di prendere in esame atti normativi di una singola Camera diversi da quelli di cui sopra. E nella specie i regolamenti oggetto di questo giudizio sono precisamente quelli adottati dal Senato della Repubblica il 17 febbraio 1971 e dalla Camera dei Deputati il giorno successivo ed entrambi pubblicati nella "<em>Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Il giudice <em>a quo</em> – riprende la Corte - si chiede: a) "<em>se la norma in argomento non trovi una giustificazione... nell'indipendenza degli organi costituzionali</em>", cioè nel principio così detto della divisione dei poteri, ovvero nel principio che riconosce ad ogni Camera il potere di autoorganizzazione; b) se l'istituzione dell'"<em>organo costituzionale quale giudice in causa propria</em>" non offenda "<em>le garanzie di serietà ed effettività di tutela che, in relazione agli artt. 24 e 113 Cost., sono sancite dagli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione sotto il profilo dell'indipendenza- terzietà e indipendenza-imparzialità del giudizio, e di nuovo e più direttamente, dall'art. 24 della Costituzione sotto il profilo della difesa e del contraddittorio</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Sollevando il primo interrogativo, le SSUU rimettenti sospettano che la giurisdizione domestica delle Camere - e la correlativa esclusione di un qualsivoglia giudice - non possa ritenersi ancor oggi costituzionalmente legittima, ove non si rinvenga una giustificazione nel sistema instaurato dalla Costituzione repubblicana.</p> <p style="text-align: justify;">Sollevando il secondo interrogativo, che concerne più propriamente "<em>il modo in cui l'autodichia viene attualmente in concreto strumentata ed esercitata</em>", il giudice <em>a quo</em> sospetta poi che non ricorrano e concorrano le garanzie che rendano costituzionalmente legittimo l'esercizio della funzione giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">I due punti appaiono alla Corte di per sé meritevoli della più attenta considerazione. Le Sezioni unite della Cassazione, pur riconoscendo all'autodichia radici storiche e, a quanto pare, anche logiche, pensano tuttavia che il nuovo sistema costituzionale ne abbia operato la delegittimazione.</p> <p style="text-align: justify;">Ed in quanto al dubbio sulla compatibilità dell'autodichia delle Camere con i principi costituzionali in tema di giurisdizione, non può per il Collegio non convenirsi col giudice <em>a quo</em>, anche sulla base di principi contenuti in convenzioni internazionali, sul postulato onde indipendenza ed imparzialità dell'organo che decide, garanzia di difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto stesso di una effettiva tutela, sono indefettibili nella definizione di qualsiasi controversia.</p> <p style="text-align: justify;">Senonché, il dubbio sulla sindacabilità, da parte della Corte, ai sensi ed ai fini dell'art. 134, primo alinea, Cost., dei regolamenti parlamentari contenenti gli impugnati artt. 12.1 e 12.3 é in ordine logico pregiudiziale rispetto ai due interrogativi di cui sopra, e perciò va esaminato per primo.</p> <p style="text-align: justify;">Il problema dell'assoggettabilità al giudizio della Corte medesima dei regolamenti parlamentari adottati a sensi dell'art. 64, primo comma, Cost., é il problema dell'ammissibilità della questione. Secondo il giudice <em>a quo</em>, tali regolamenti sono fonti del diritto oggettivo assimilabili alle leggi ordinarie. Ed invero, la riserva del potere di organizzazione delle Camere e di integrazione della disciplina del procedimento legislativo, in quanto istituisce fra gli uni e le altre un rapporto di distribuzione di competenza normativa, se non comporta la costituzionalizzazione dei regolamenti in parola e la loro parametricità, comporterebbe certamente la loro collocazione allo stesso livello delle leggi ordinarie, specie per la parte in cui vengono regolati i rapporti con terzi e, più ancora, se si ritiene che la norma inespressa si lascia desumere dal sistema delle disposizioni di legge in tema di tutela giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Né varrebbe in contrario invocare il dogma dell'insindacabilità degli <em>interna corporis</em> degli organi costituzionali, che la Corte ha già ripudiato con l'ormai remota sentenza del 1959, n. 9.</p> <p style="text-align: justify;">Di opposto avviso – chiosa ancora la Corte - é, viceversa, l'Avvocatura dello Stato, la quale contesta l'assimilabilità di cui sopra: i regolamenti parlamentari non sarebbero atti dello Stato, bensì di organo, cioè di un singolo ramo del Parlamento, e si sottraggono, sia alla promulgazione del Presidente della Repubblica, sia all'abrogazione per <em>referendum</em>, sicché non possono farsi rientrare fra gli atti di cui all'art. 134 Cost.; essi sarebbero privi, tanto della potenzialità attiva (abrogatrice) nei confronti delle leggi anteriori, quanto della potenzialità passiva (di resistenza) nei confronti delle leggi posteriori, sicché non avrebbero forza di legge; l'interpretazione della sentenza n. 9 del 1959 sarebbe tutt'altro che univoca ed, anzi, sarebbero reperibili altre sentenze (55/1964, 14/1965, 183/1973 e 232/1975), dalle quali "<em>possono desumersi e sono stati desunti indirettamente altri argomenti per escludere quella sindacabilità</em>".</p> <p style="text-align: justify;">É opinione della Corte che i richiami alla giurisprudenza costituzionale non danno un apporto risolutivo allo scioglimento del nodo in parola. Ed invero, le sentenze che vengono invocate dall'Avvocatura dello Stato e dalle parti, quando non sono inconferenti, appaiono prestarsi solo a congetture, piuttosto forzate e, comunque, controvertibili e controverse, le quali talvolta risultano dedotte da qualche evidente <em>obiter dictum</em>. E, quanto alle considerazioni di ordine concettuale, esse in definitiva si bilanciano, sicché non é possibile cogliere in alcuna di esse un argomento decisivo.</p> <p style="text-align: justify;">Sembra, viceversa, che la soluzione possa e debba ricercarsi nell'art. 134 Cost., prima ipotesi, indagato alla stregua del sistema costituzionale. Formulando tale articolo, il costituente ha segnato rigorosamente i precisi ed invalicabili confini della competenza del giudice delle leggi nel nostro ordinamento, e poiché la formulazione ignora i regolamenti parlamentari, solo in via d'interpretazione potrebbe ritenersi che questi vi siano ugualmente compresi.</p> <p style="text-align: justify;">Ma una simile interpretazione, oltre a non trovare appiglio nel dato testuale, urterebbe contro il sistema. La Costituzione repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare, intendendosi dire che, come dimostra anche la precedenza attribuita dal testo costituzionale al Parlamento nell'ordine espositivo dell'apparato statuale, ha collocato il Parlamento al centro del sistema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento.</p> <p style="text-align: justify;">É nella logica di tale sistema, chiosa ancora la Corte, che alle Camere spetti - e vada perciò riconosciuta - una indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, primo comma, Cost.. Le guarentigie non vanno considerate singolarmente, bensì nel loro insieme. Ed infatti, attengano esse all'immunità dei membri delle Camere ovvero all'immunità delle rispettive sedi, é evidente la loro univocità, mirando pur sempre ad assicurare la piena indipendenza degli organi. Ne é conferma il divieto alla forza pubblica ed a qualsiasi persona estranea - sia pure il Presidente della Repubblica o il membro di una Camera diversa da quella di appartenenza - di entrare nell'aula, che discende dall'art. 64, ultimo comma, Cost., prima ancora che dagli artt. 62.2 e 64.1 del regolamento della Camera e 69.2 e 70.1 del regolamento del Senato.</p> <p style="text-align: justify;">Il Parlamento, insomma, in quanto espressione immediata della sovranità popolare, é diretto partecipe di tale sovranità, ed i regolamenti, in quanto svolgimento diretto della Costituzione, hanno una "<em>peculiarità e dimensione</em>" (sentenza <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1984/0078s-84.html">n. 78 del 1984</a>), che ne impedisce la sindacabilità, se non si vuole negare che la riserva costituzionale di competenza regolamentare rientra fra le guarentigie disposte dalla Costituzione per assicurare l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere.</p> <p style="text-align: justify;">Le suesposte considerazioni non consentono che nell'art. 134, primo alinea, Cost. possano ritenersi compresi i regolamenti parlamentari in oggetto, dei quali pertanto va riconosciuta l'insindacabilità, con la conseguente dichiarazione d'inammissibilità della proposta questione, cui corrisponde la preclusione dell'esame del merito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 febbraio viene emanato il decreto del Presidente del Senato n. 6314, recante la disciplina dell’autodichia, quale «<em>Testo unico delle norme regolamentari dell’Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica</em>» (approvato dal Consiglio di Presidenza del Senato il precedente 18 dicembre 1987).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile viene varata la legge n.74 che, all’art.4, modifica l’art.17, comma 2, della legge 195.58 in tema di atti del CSM e tutela giurisdizionale, onde contro i predetti provvedimenti e' ammesso ricorso in primo grado al TAR del Lazio per motivi di legittimità, mentre contro le decisioni di prima istanza e' poi ammessa l'impugnazione in appello al Consiglio di Stato.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, viene previsto il doppio grado di giurisdizione, con competenza funzionale in primo grado del Tar Lazio.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 giugno viene varata la legge n.146, recante norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, nonché istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge.</p> <p style="text-align: justify;">Stando al relativo art.6, che aggiunge all’art.28 due comma finali forgiando la c.d. doppia tutela, se il comportamento datoriale antisindacale è posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non economico, l'azione e' proposta con ricorso davanti al pretore (GO) competente per territorio (comma 1); nondimeno, qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego (c.d. “<em>condotta plurioffensiva</em>”), le organizzazioni sindacali di cui al primo comma, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale (GA) competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalità di cui al primo comma dello stesso art.28: contro il decreto che decide sul ricorso e' ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 ottobre viene varata la legge n.421, recante delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale, che dà la stura – giusta delega all’uopo conferita al Governo - alla “<em>prima privatizzazione</em>” del pubblico impiego.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 febbraio viene varato il decreto legislativo n.29, recante razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.</p> <p style="text-align: justify;">Stando al relativo art.2, comma 4, in deroga ai precedenti commi 2 e 3 (lavoro pubblico privatizzato) rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, a partire rispettivamente dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice consigliere di prefettura, i dirigenti generali nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e quelli agli stessi equiparati per effetto dell'articolo 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e 10 ottobre 1990, n. 287.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varato il decreto legislativo n.546, il cui art.2, comma 1, aggiunge all’art.2 del decreto legislativo 29.93 un comma 5, onde il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni (pubblicistiche) rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all'articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, tenuto conto dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio viene varato il decreto del Presidente della Repubblica n.81, in tema di disciplina del personale della Presidenza e di pertinente autodichia.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre viene varato il decreto del Presidente della Repubblica n.89, con efficacia integrativa del decreto n.81, ancora in tema di disciplina del personale della Presidenza e di pertinente autodichia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo viene varata la legge n.59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa, con la quale si dà il via alla c.d. “<em>seconda privatizzazione</em>” del pubblico impiego.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, l’art. 11, comma 4, delega il Governo a completare la ridetta privatizzazione con decreti correttivi e integrativi del decreto legislativo n. 29 del 1993, attenendosi ai principi e ai criteri direttivi della legge n. 421 del 1992, così come modificati e integrati dalla legge delega <em>de qua</em>, e ai principi generali e ai fini di decentramento e deconcentrazione della stessa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo viene varato il decreto legislativo n.80, recante nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59.</p> <p style="text-align: justify;">Il relativo art.2, comma 2, interviene ancora sull’art.2, comma 4, del decreto legislativo 29.93 incidendo in particolare sul personale della carriera prefettizia, che resta assoggettato all’ordinamento pubblicistico (dunque, non privatizzato) solo a partire, tuttavia, dalla qualifica di vice consigliere di prefettura; nel medesimo comma 4 vengono poi soppresse le parole "<em>i dirigenti generali nominati con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e quelli a questi stessi equiparati per effetto dell'articolo 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72</em>.", che vengono dunque attratti nell’orbita privatistica.</p> <p style="text-align: justify;">Sullo specifico crinale della giurisdizione, significativo l’art.29, comma 4, alla cui stregua – nel prisma di una generalizzata attribuzione al GO della giurisdizione in materia di impiego pubblico – restano nondimeno devolute alla giurisdizione del GA le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro (non “<em>privatizzati</em>”) di cui all'articolo 2 commi 4 e 5, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.12621, alla cui stregua – in tema di danno da <em>mobbing</em> - rientrano nella giurisdizione amministrativa esclusiva tutte le controversie patrimoniali inerenti al rapporto d'impiego, senza distinguere fra responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>” e responsabilità aquiliana, non dovendosi determinare il riparto di giurisdizione tra GA e GO in relazione alla natura dell’azione fatta valere in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò per la Corte, muovendo dal postulato onde è sufficiente un comportamento illegittimo del datore di lavoro e, quindi, un collegamento non occasionale fra la <em>causa petendi</em> dell’azione spiccata dal dipendente ed il rapporto d’impiego, per radicare la giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 dicembre viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale una seconda modifica all’art.12 del Regolamento della Camera.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.763, alla cui stregua – in tema di danno da <em>mobbing</em> - rientrano nella giurisdizione amministrativa esclusiva tutte le controversie patrimoniali inerenti al rapporto d'impiego, senza distinguere fra responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>” e responsabilità aquiliana, non dovendosi determinare il riparto di giurisdizione tra GA e GO in relazione alla natura dell’azione fatta valere in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò per la Corte, muovendo dal postulato onde è sufficiente un comportamento illegittimo del datore di lavoro e, quindi, un collegamento non occasionale fra la <em>causa petendi</em> dell’azione spiccata dal dipendente ed il rapporto d’impiego, per radicare la giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre viene varata la legge costituzionale n.2, che innova l’art.111 della Carta disponendo, tra l’altro (nuovo comma 1) che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile viene varata la legge n.83, che reca modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.</p> <p style="text-align: justify;">Il relativo art.4 abroga gli ultimi due comma dell’art.28 della legge 300.70, siccome introdotti dall’art.6 della legge 146.90, e la c.d. “<em>doppia tutela</em>” in essi prevista con riguardo al lavoro pubblico e alla condotta datoriale antisindacale (che è dunque da considerarsi ormai – almeno per quanto riguarda l’impiego pubblico “<em>privatizzato</em>” - appannaggio esclusivo del GO).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.1680, alla cui stregua l’autodichia che caratterizza le controversie di lavoro dei dipendenti delle Camere non può non coinvolgere anche, più a monte, le procedure concorsuali per l’assunzione dei ridetti dipendenti, stante da un lato l’evidente analogia di situazioni da scandagliare e, dall’altro, la considerazione onde – nell’ipotesi di costituzione di un nuovo rapporto di lavoro – va scongiurata ogni possibilità di interferenza da parte di altri organi pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">La determinazione dei criteri di scelta dei propri dipendenti e le pertinenti procedure di ammissione (a monte) devono infatti assumersi espressione di quella medesima autonomia riconosciuta a Camera e Senato sui rapporti già costituiti (a valle) con i propri dipendenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo viene varato il decreto legislativo n.165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, secondo il cui art.3, rubricato “<em>Personale in regime di diritto pubblico (Art. 2, commi 4 e 5 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituiti dall'art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall'art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 80 del 1998)</em>” in deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n.691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n.281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n.287 (comma 1).</p> <p style="text-align: justify;">Il rapporto di impiego dei professori e dei, ricercatori universitari resta poi disciplinato (comma 2) dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all'articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n.168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992. n. 421.</p> <p style="text-align: justify;">Sul crinale processuale, stando al successivo art.63, comma 4, restano devolute alla giurisdizione del GA – oltre alle controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (i c.d. “<em>concorsi</em>”) - anche, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi: si conferma in tal modo la devoluzione delle controversie in materia di lavoro pubblico “<em>non privatizzato</em>” alla giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">La disposizione segue il precedente comma 3, che privatizza in via generale il rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, devolvendo al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la cognizione delle controversie anche in materia di condotta antisindacale delle Pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori; resta tuttavia il dubbio se tale disposizione si applichi anche al pubblico impiego “<em>non privatizzato</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Viene abrogato integralmente il decreto legislativo n.29.93, del quale viene “<em>assorbita</em>” e aggiornata la disciplina.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.1147, alla cui stregua - ai fini del riparto della giurisdizione a fronte di una richiesta di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti di una PA non assoggettata al regime della privatizzazione – assume un ruolo determinante la qualificazione dell’azione di responsabilità in concreto esercitata e la relativa natura contrattuale o extracontrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, si assume spiccata l’azione aquiliana – con giurisdizione affidata al GO - tutte le volte in cui non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore dell’azione contrattuale e, viceversa, l’azione “<em>contrattuale</em>”, con conseguente devoluzione della controversia al GA, allorché la domanda risarcitoria sia fondata sull’asserito inadempimento, da parte del datore di lavoro pubblico, di obblighi relativi al rapporto di impiego.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 febbraio esce la sentenza delle SSUU n.2882, alla cui stregua - ai fini del riparto della giurisdizione a fronte di una richiesta di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti di una PA non assoggettata al regime della privatizzazione – assume un ruolo determinante la qualificazione dell’azione di responsabilità in concreto esercitata e la relativa natura contrattuale o extracontrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, si assume spiccata l’azione aquiliana – con giurisdizione affidata al GO - tutte le volte in cui non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore dell’azione contrattuale e, viceversa, l’azione “<em>contrattuale</em>”, con conseguente devoluzione della controversia al GA, allorché la domanda risarcitoria sia fondata sull’asserito inadempimento, da parte del datore di lavoro pubblico, di obblighi relativi al rapporto di impiego.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 maggio esce la sentenza delle SSUU n.7470, alla cui stregua – sulla scia dell’orientamento maggioritario – anche per‘quanto concerne i rapporti di pubblico impiego sottratti alla privatizzazione, spetta al GO la controversia risarcitoria avente ad oggetto il danno all’integrità fisica del dipendente asseritamente cagionato dal <em>mobbing</em> allorché la pertinente domanda prospetti come aquiliana la responsabilità della Pubblica amministrazione per il pregiudizio derivante dalla situazione di disagio e dal comportamento vessatorio di colleghi o superiori.</p> <p style="text-align: justify;">All’opposto, chiarisce il Collegio, va confermata la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui la lesione denunciata sia scaturigine della violazione del rapporto contrattuale, fondandosi l’azione proposta su uno specifico inadempimento da parte dell’Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Laddove poi uno stesso fatto violi contemporaneamente sia diritti spettanti alla persona in base al precetto generale del <em>neminem laedere</em>, sia diritti derivanti dal vincolo giuridico contrattuale, è possibile per il Collegio ipotizzare il concorso dell’azione aquiliana ex art. 2043 c.c., spettante (per orientamento dominante) alla cognizione del GO, con quella “<em>contrattuale</em>” fondata sulla violazione degli obblighi di sicurezza posti a carico del datore di lavoro, anche pubblico, dall’att. 2087 c.c. ed affidata alla giurisdizione del GA.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 luglio viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale una modifica all’art.12 del Regolamento del Senato, onde il Consiglio di Presidenza, presieduto dal Presidente del Senato, tra le altre cose, approva i Regolamenti interni dell’Amministrazione del Senato e adotta i provvedimenti relativi al personale stesso nei casi ivi previsti ed esamina tutte le altre questioni che ad esso siano deferite dal Presidente.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre esce la sentenza della Sezione V del Consiglio di Stato n.5414 onde - con riferimento a questione afferente al periodo precedente 11 luglio 1998 e proposta prima del 15 settembre 2000 – va affermata l’esigenza di valorizzare il principio di semplificazione e di concentrazione delle controversie risarcitorie consequenziali presso il GA, tanto all’interno della giurisdizione esclusiva, quanto nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, proprio muovendo da queste premesse, le disposizioni contenute nel comma 4 dell’art. 63 del decreto legislativo 165.01 attribuiscono alla giurisdizione amministrativa le controversie di carattere risarcitorio, indipendentemente dal titolo (contrattuale od aquiliano della responsabilità) fatto valere dal pubblico dipendente che agisca per <em>mobbing</em>, essendo invece decisivo il collegamento della pertinente pretesa con il rapporto affidato alla giurisdizione esclusiva amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre viene varato il Regolamento dei Concorsi del Senato, alla stregua del cui art.18, comma 1, avverso gli atti della pertinente procedura di concorso è proponibile ricorso alla Commissione contenziosa del Senato della Repubblica per motivi di legittimità, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione, anche a mezzo di affissione ovvero di pubblicazione, del singolo provvedimento eventualmente ed immediatamente lesivo, salva la possibilità di presentare successivamente motivi aggiunti; in tal modo risulta pertanto estesa formalmente l’autodichia anche a rapporti di lavoro che sono ancora solo “<em>potenziali</em>”, trattandosi per l’appunto di procedure concorsuali finalizzate all’assunzione di aspiranti dipendenti del Senato, come tali ancora estranei ad esso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.1127, alla cui stregua nel nuovo sistema delineato dall’art. 63, comma 3, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e dunque con riguardo al pubblico impiego privatizzato, anche l’atto antisindacale (art.28 della legge 300.70) del datore di lavoro pubblico ha la connotazione di atto privatistico, omologo a quello parimenti scorretto del datore di lavoro privato, come tale suscettibile di cognizione da parte del GO, anche se sia richiesta la caducazione dell’atto stesso e dei relativi effetti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.143, che dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 63, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione, dal Tribunale di Genova.</p> <p style="text-align: justify;">Quest’ultimo – premette la Corte - dubita della legittimità costituzionale dell'art. 63, comma 3, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui non demanda alla cognizione del GA le controversie promosse dalle organizzazioni sindacali ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 (“<em>Statuto dei lavoratori</em>”), qualora il comportamento antisindacale dedotto sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego del personale in regime di diritto pubblico, previsti dall'art. 3 del medesimo d. lgs. n. 165 del 2001, e ciò in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero – chiosa la Corte - che il criterio di riparto della giurisdizione, introdotto dall'art. 6 della legge n. 146 del 1990 in epoca in cui sussisteva la giurisdizione esclusiva del GA (criterio per il quale la giurisdizione spettava al giudice amministrativo ovvero al giudice ordinario secondo che con l'azione ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 il sindacato avesse chiesto, o non, la rimozione degli effetti incidenti sul pubblico dipendente), era idoneo a razionalmente operare anche a seguito della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, dal momento che a tale “<em>privatizzazione</em>” erano sottratti i rapporti di cui all'art. 2, comma 2, del d. lgs. n. 80 del 1998 (oggi art. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001), è anche vero che l'espressa abrogazione - ad opera dell'art. 4 della legge n. 83 del 2000 - del comma primo del citato art. 6 della legge n. 146 del 1990 (che quel criterio aveva codificato) non fa sorgere questioni di legittimità costituzionale, bensì esclusivamente di interpretazione sistematica della norma denunciata.</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, è possibile sia a) un'interpretazione secondo la quale l'art. 63, comma 4, del d. lgs. n. 165 del 2001, varrebbe a devolvere tuttora al GA tutte «<em>le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3</em>», e, quindi, anche l'azione ex art. 28 Stat. lav. che quei rapporti di lavoro coinvolga (sicché l'abrogazione dell'art. 6, comma primo, della legge n. 146 del 1990, renderebbe esplicita l'abrogazione tacita prodotta dalla norma citata); sia b) un'interpretazione secondo la quale l'abrogazione del citato art. 6, comma primo, della legge n. 146 del 1990, comporterebbe in ogni caso la devoluzione al GO dell'azione ex art. 28 Stat. lav. promossa dall'organizzazione sindacale, anche se tale azione incidesse, attraverso la richiesta di rimozione degli effetti del comportamento antisindacale, su rapporti di lavoro non “<em>privatizzati</em>”, mentre il pubblico dipendente potrebbe far valere la propria situazione soggettiva individuale davanti al giudice amministrativo ex art. 63, comma 4.</p> <p style="text-align: justify;">Entrambe tali interpretazioni valgono perla Corte a risolvere alla radice i problemi che il rimettente solleva quali questioni di legittimità costituzionale, in quanto quella sub a) comporta il persistere della situazione preesistente alla legge n. 83 del 2000, ed in quanto quella sub b), alla quale il rimettente dichiara di aderire, implica o b1) una prevenzione del paventato conflitto di giudicati, attraverso il coordinamento, ex art. 295 del codice di procedura civile, dell'azione individuale con quella promossa dal sindacato, ovvero b2) la radicale negazione di ogni possibilità di conflitto pratico di giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, per la Corte del tutto insussistente è la violazione dell'art. 25 Cost. (giudice naturale precostituito per legge), così come insussistente è la lamentata irragionevolezza della disciplina (ex art. 3 Cost.) e la conseguente violazione del diritto di difesa del pubblico dipendente, in nessun caso distolto dal relativo giudice naturale ed abilitato a far valere la relativa situazione soggettiva davanti ad esso, o a) congiuntamente con il sindacato, o b1) giovandosi innanzi al GA dell'accertamento favorevole da quest'ultimo ottenuto davanti al GO, ovvero, e comunque b2) prospettando al GA (nel caso di accertamento sfavorevole al sindacato) l'illegittimità - sotto il profilo dell'eccesso di potere - dell'atto asseritamene lesivo per relativa antisindacalità.</p> <p style="text-align: justify;">Conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente - sulla premessa che una disciplina irragionevolmente inidonea a prevenire conflitti pratici di giudicati si risolva in una compressione del diritto di difesa del dipendente pubblico “<em>non privatizzato</em>” ed in un'arbitraria individuazione del giudice munito di giurisdizione - è per la Corte manifestamente infondata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la sentenza della Sezione III bis del Tar Lazio n.6254 onde – in tema di danno da <em>mobbing</em> subito da un dipendente pubblico non privatizzato e di possibile cumulo di responsabilità contrattuale ed aquiliana – pur nella consapevolezza che normalmente l’azione aquiliana è di competenza del GO e quella “<em>contrattuale</em>” di competenza del GA, ciò non esclude, in alcuni casi particolari, il cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ed una possibile devoluzione della causa al giudice amministrativo, in omaggio ad un'esigenza di concentrazione della tutela.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 aprile esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.2905, alla cui stregua l’autodichia che caratterizza le controversie di lavoro dei dipendenti delle Camere non può non coinvolgere anche, più a monte, le procedure concorsuali per l’assunzione dei ridetti dipendenti, stante da un lato l’evidente analogia di situazioni da scandagliare e, dall’altro, la considerazione onde – nell’ipotesi di costituzione di un nuovo rapporto di lavoro – va scongiurata ogni possibilità di interferenza da parte di altri organi pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">La determinazione dei criteri di scelta dei propri dipendenti e le pertinenti procedure di ammissione (a monte) devono infatti assumersi espressione di quella medesima autonomia riconosciuta a Camera e Senato sui rapporti già costituiti (a valle) con i propri dipendenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 dicembre viene varata la deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato che approva il Regolamento sulla tutela giurisdizionale relativa ad atti e provvedimenti amministrativi non concernenti i dipendenti o le procedure di reclutamento, alla cui stregua (art. 1, comma 1), <em>expressis verbis</em>, sulla tutela giurisdizionale relativa ad atti e provvedimenti amministrativi non concernenti i dipendenti o le procedure di reclutamento del personale, sono competenti gli Organi di autodichia istituiti con deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato del 18 dicembre 1987, modificata nella riunione del 9 dicembre 1990, nella composizione prevista dall'art. 2 del Regolamento stesso.</p> <p style="text-align: justify;">In tal modo la c.d. giurisdizione domestica del Senato viene estesa, innovativamente, anche ad atti concernenti soggetti estranei al Senato, confermando ad un tempo l’autodichia con riguardo ai ricorsi relativi ad atti e provvedimenti concernenti i dipendenti del Senato stesso, assimilandovi pienamente anche quelli afferenti alle procedure di reclutamento e, dunque, le procedure concorsuali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.7470 alla cui stregua – in tema di danno da <em>mobbing</em> - ai fini del riparto della giurisdizione tra GO e GA, a fronte di una richiesta di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti di un’Amministrazione non assoggettata al regime della privatizzazione, va assunta determinante la qualificazione dell’azione di responsabilità fatta concretamente valere, onde assume importanza decisiva la natura contrattuale o aquiliana che connota la ridetta azione.</p> <p style="text-align: justify;">Nel condurre l’accertamento peraltro – chiosa il Collegio - non possono assumersi quali indizi decisivi della natura “<em>contrattuale</em>” dell’azione (con conseguente giurisdizione del GA) né la semplice prospettazione dell’inosservanza dell'art. 2087 c.c. né la lagnata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro da parte del prestatore attore.</p> <p style="text-align: justify;">Tale natura dell’azione in concreto spiccata può invece desumersi per la Corte dai tratti propri dell’elemento materiale dell'illecito, con particolare riguardo alla condotta dell’amministrazione ed alla idoneità lesiva che essa palesa; laddove tale idoneità lesiva sia destinata ad esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, il rapporto di lavoro finisce per la Corte con l’atteggiarsi a mera occasione dell'evento dannoso, con conseguente natura aquiliana della responsabilità e giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">All’opposto, laddove la condotta dell'Amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego (e, dunque, di “<em>terzi</em>” rispetto a tale rapporto), la natura contrattuale della responsabilità – e la connessa giurisdizione del GA - non può essere revocata in dubbio, poiché in simili casi l'ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto lavorativo medesimo si articola e si svolge.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.1030, alla cui stregua - al cospetto dell’impugnazione degli atti di una pubblica gara bandita dal Senato – va dichiarato la giurisdizione del GA atteso come il regolamento del Senato non contenga veruna disposizione espressa idonea a legittimare l’estensione dell’autodichia anche alle controversie instaurate da un <em>extraneus</em> (il concorrente aspirante dipendente) contro atti di amministrazione diversi da quelli adottati nei confronti del personale dipendente (<em>intraneus</em>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.969 alla cui stregua – in tema di possibile cumulo di responsabilità contrattuale ed aquiliana – l’azione spiccata e qualificata come aquiliana rientra nella cognizione del GO, ed è dunque estranea alla giurisdizione esclusiva del GA in materia di rapporto di pubblico impiego non privatizzato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 marzo esce la sentenza del Tar Abruzzo, Pescara, n.339 onde – in tema di danno da <em>mobbing</em> subito da un dipendente pubblico non privatizzato e di possibile cumulo di responsabilità contrattuale ed aquiliana – pur nella consapevolezza che normalmente l’azione aquiliana è di competenza del GO e quella “<em>contrattuale</em>” di competenza del GA, ciò non esclude, in alcuni casi particolari, il cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ed una possibile devoluzione della causa al giudice amministrativo, in omaggio ad un'esigenza di concentrazione della tutela.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1739, alla cui stregua il danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato non può che spettare alla giurisdizione esclusiva del GA, stante il combinato disposto degli articoli 3 e 63 del decreto legislativo 165.01 ed il riferimento ai c.d. “<em>diritti patrimoniali connessi</em>”, tali da ricomprendere tutte le pretese siccome scaturenti da pregiudizi inferti a situazioni giuridiche che siano in qualunque modo avvinte al rapporto di lavoro (rimasto) pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.26972, alla cui stregua – nelle fattispecie di c.d. cumulo tra responsabilità “<em>contrattuale</em>” ed aquiliana - il danneggiato ha a disposizione entrambe le distinte, pertinenti azioni.</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte, l'esercizio dell’azione aquiliana - se da un lato reca seco sul crinale probatorio, l’onere per il danneggiato di provare la colpa o il dolo dell'autore della condotta lesiva - dall’altro consente di estendere la pretesa risarcitoria anche ai danni non patrimoniali, ed in particolare, ai danni morali (massime allorché la condotta abbia avuto consistenza criminosa, con conseguente applicazione dell’art. 185 c.p.); ciò anche prima del riconoscimento da parte della giurisprudenza della risarcibilità del c.d. danno non patrimoniale contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre viene varato il decreto del Presidente della Repubblica n.34, con efficacia modificativa del decreto n.81.96, ancora in tema di disciplina del personale della Presidenza e di pertinente autodichia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza del Tar Emilia Romagna, Parma, n.791, alla cui stregua il <em>mobbing</em> (compreso ovviamente quello perpetrato in ambito pubblico) si distingue in “<em>verticale</em>”, nel caso in cui la condotta vessatoria nei confronti del lavoratore venga posta in essere dal datore di lavoro o da un superiore gerarchico; e in “<em>orizzontale</em>”, nel caso in cui la pertinente violenza o vessazione provenga invece dai colleghi di lavoro.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio gli elementi caratterizzanti il <em>mobbing</em> sono costituiti dalla frequenza – capace di differenziare un singolo atto di ostilità da quel conflitto sistematico e persecutorio che compendia appunto il <em>mobbing</em> - e dalla ripetitività nel tempo delle aggressioni secondo un'evoluzione o progressione di fasi casualmente legate l'una all'altra.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 aprile esce la sentenza della sezione II della Corte EDU, Savino ed altri c/ Italia, che – in tema di c.d. autodichia - osserva <em>in primis</em> come non sia in discussione il potere della Camera dei deputati italiana e di altri organi costituzionali statali di disporre di un ordinamento giudiziario interno e di regolamentare in modo autonomo la tutela giurisdizionale dei loro dipendenti e i rapporti giuridici con terze persone.</p> <p style="text-align: justify;">Essa rammenta che né l’articolo 6 § 1 né nessun’altra disposizione della Convenzione obbliga gli Stati e le loro istituzioni a conformarsi ad un determinato ordinamento giudiziario. Al riguardo, la Corte rinvia nuovamente alla propria giurisprudenza secondo la quale, con il termine «<em>tribunale</em>», l'articolo 6 § 1 della Convenzione non intende necessariamente un organo giurisdizionale di tipo classico, inserito nelle strutture giudiziarie ordinarie del paese (Campbell e Fell c/Regno Unito, succitata, § 76).</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, prosegue la Corte, non si tratta di imporre agli Stati un determinato modello costituzionale che regoli in questo o quel modo i rapporti e l’interazione tra i diversi poteri dello Stato. La scelta del legislatore italiano di preservare l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento riconoscendogli l’immunità di fronte agli organi giurisdizionali ordinari non può dunque di per sé essere oggetto di contestazione dinanzi alla Corte.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta piuttosto di sapere se, in una determinata causa, siano state rispettate le esigenze della Convenzione (Demicoli c/Malta, 27 agosto 1991, § 39, serie A n. 210). Nei presenti casi di specie, compito della Corte è accertare se la Commissione e la Sezione della Camera dei deputati fossero dei «<em>tribunali costituiti per legge, indipendenti ed imparziali</em>», nel momento in cui hanno trattato le cause dei ricorrenti.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte rammenta a questo punto che, in virtù dell’articolo 6 § 1, un «<em>tribunale</em>» deve essere sempre «<em>costituito per legge</em>». L’espressione riflette il principio dello Stato di diritto, inerente a tutto il sistema della Convenzione e dei relativi protocolli. L’espressione «<em>costituito per legge</em>» riguarda non solo la base giuridica dell’esistenza stessa del tribunale, ma anche la composizione dell’organo in ogni causa (si vedano Coëme ed altri c/Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 99, CEDU 2000 VII).</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la giurisprudenza, l’inserimento dell’espressione «<em>costituito per legge</em>» nell’articolo 6 § 1 della Convenzione ha lo scopo di evitare che l’organizzazione dell’ordinamento giudiziario sia lasciata alla discrezione dell’Esecutivo e di fare in modo che la materia sia disciplinata da una legge del Parlamento (Zand c/Austria, n. 7360/76, rapporto della Commissione del 12 ottobre 1978, DR 15, § 69).</p> <p style="text-align: justify;">Né, in paesi di diritto codificato, l’organizzazione dell’ordinamento giudiziario può essere lasciata alla discrezione delle autorità giudiziarie. Ciò non esclude tuttavia che a queste ultime sia riconosciuto un certo potere d’interpretazione della legislazione nazionale in materia (Coëme ed altri c/Belgio, succitata, § 98).</p> <p style="text-align: justify;">D’altra parte, la Corte rammenta che la delega di poteri in questioni riguardanti l’organizzazione giudiziaria è ammissibile nella misura in cui questa possibilità si iscrive nell’ambito del diritto interno dello Stato in questione, ivi comprese le disposizioni pertinenti della Costituzione (Zand c/Austria, succitata, §§ 69 e 71).</p> <p style="text-align: justify;">I ricorrenti ritengono – chiosa a questo punto la Corte - che la Commissione e la Sezione che li hanno “<em>giudicati</em>” non abbiano un fondamento giuridico nel diritto italiano, dal momento che la loro istituzione e il loro funzionamento sono stati stabiliti dal RTG, vale a dire da un regolamento secondario della Camera dei deputati.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte osserva in proposito che la questione della portata normativa dei regolamenti della Camera dei deputati è stata esaminata dagli organi giurisdizionali interni. Così, la Corte di cassazione italiana, applicando le conclusioni della Corte costituzionale in materia, ha dichiarato che il regolamento generale della Camera dei deputati - come i relativi regolamenti «<em>minori</em>» adottati dall’Ufficio di presidenza in esecuzione del primo - costituivano l’espressione dell’autonomia normativa attribuita alla Camera dei deputati dalla Costituzione. Ne consegue che ogni regolamento della Camera dei deputati trova la propria fonte normativa nella Costituzione e si sottrae al controllo da parte degli altri poteri dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte EDU rammenta a questo punto di non avere il compito di sostituirsi agli organi giurisdizionali interni nell’interpretazione della legislazione interna, né quello di esaminare <em>in abstracto</em> la legislazione e la prassi interne pertinenti. D’altra parte, essa non può perdere di vista il fatto che l’autonomia normativa del Parlamento italiano persegue il fine di preservare il potere legislativo da ogni ingerenza esterna, ivi compreso da parte dell’Esecutivo, cosa che non può essere ritenuta contraria alla lettera o allo spirito dell’articolo 6 § 1 della Convenzione quali precisati dalla giurisprudenza della Corte.</p> <p style="text-align: justify;">La quale assume di dover ora verificare se la «<em>legge</em>» in questione presenti le caratteristiche di accessibilità e prevedibilità. I ricorrenti deducono l’inaccessibilità del RTG dal fatto che esso non è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. A giudizio della Corte, questo elemento non inficia di per sé l’accessibilità del RTG, purché le persone interessate possano consultarlo agevolmente. Tenuto conto del campo coperto da detto regolamento, vale a dire la regolamentazione dei procedimenti giudiziari interni della Camera dei deputati, la relativa pubblicazione in una gazzetta a diffusione interna è sufficiente, a giudizio della Corte, a soddisfare il criterio di accessibilità previsto dalla Convenzione. Del resto, i ricorrenti non hanno addotto di avere incontrato difficoltà nella ricerca del testo in questione.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, la Corte osserva che le disposizioni che interessano sono redatte in termini sufficientemente chiari da consentire ad ogni parte in giudizio di conoscere le norme che disciplinano il procedimento dinanzi alla Commissione e alla Sezione (si veda, a contrario, Coëme ed altri c/Belgio, succitata, § 103). Tenuto conto di quanto precede, il Collegio ritiene che la Commissione giurisdizionale e la Sezione giurisdizionale della Camera dei deputati soddisfino l’esigenza di base giuridica nel diritto interno prevista all’articolo 6 § 1 della CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, per stabilire se un tribunale possa ritenersi «<em>indipendente</em>» nei confronti sia delle parti sia dell’Esecutivo, è necessario per la Corte EDU prendere in considerazione, in particolare, le modalità di designazione e la durata del mandato dei relativi membri, l’esistenza di una tutela contro le pressioni esterne e se vi sia o meno una parvenza d’indipendenza.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto al requisito d’«<em>imparzialità</em>», ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, esso riveste due aspetti. Occorre innanzitutto che il tribunale non manifesti soggettivamente alcun partito preso né pregiudizio personale. Il tribunale deve essere poi oggettivamente imparziale, vale a dire offrire garanzie sufficienti ad escludere ogni legittimo dubbio al riguardo. All’atto pratico, si tratta di chiedersi se, indipendentemente dalla condotta personale dei giudici, alcuni fatti verificabili autorizzino a sospettare l’imparzialità di questi ultimi. In questo campo, persino le apparenze possono per la Corte rivelarsi importanti. E’ in gioco la fiducia che i tribunali di una società democratica sono tenuti ad ispirare alle parti in giudizio, a cominciare dalle parti nel procedimento (Morris c/Regno Unito, n. 38784/97, § 58, CEDU 2002-I).</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio osserva di primo acchito che nel caso di specie non è in discussione la questione dell’imparzialità soggettiva. Infatti, i ricorrenti non hanno addotto l’esistenza di pregiudizi o di partiti presi nei confronti delle loro situazioni personali. Hanno invece lamentato un difetto d’imparzialità oggettiva e una mancanza d’indipendenza nei confronti di una delle parti in causa (la Camera dei deputati) della Commissione e della Sezione, con particolare riferimento alle modalità di designazione dei loro membri. Le nozioni di indipendenza e di imparzialità oggettiva sono strettamente legate, onde la Corte decide di esaminarle congiuntamente (Findlay c/Regno Unito, 25 febbraio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I, § 73).</p> <p style="text-align: justify;">Osserva in proposito che i membri della Commissione sono scelti mediante sorteggio da un elenco di deputati designati dal Presidente della Camera dei deputati, dal Segretario generale e dalle organizzazioni sindacali del personale. I membri dell’Ufficio di presidenza della Camera stessa non possono fare parte della Commissione (articolo 3 del RTG). La Sezione invece è composta da quattro deputati membri dell’Ufficio di presidenza ed è presieduta dal Presidente della Camera dei deputati (articolo 6 del RTG, ibidem).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte ritiene innanzitutto che il mero fatto che i membri dei due organi giurisdizionali della Camera dei deputati siano scelti tra i deputati membri della Camera non può far dubitare dell’indipendenza di questi organi giurisdizionali. Tuttavia, essa non può ignorare il fatto che la Sezione, organo d’appello che delibera a titolo definitivo, è composta interamente da membri dell’Ufficio di presidenza, vale a dire dell’organo della Camera dei deputati competente a dirimere le principali questioni amministrative della Camera, ivi comprese quelle riguardanti la contabilità e l’organizzazione dei concorsi per l’assunzione del personale.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, il protocollo addizionale al regolamento contabile della Camera dei deputati nonché il regolamento dei concorsi per l’assunzione del personale, che formano oggetto delle rispettive controversie dei ricorrenti, sono atti adottati dall’Ufficio di presidenza nell’ambito delle proprie prerogative normative. Inoltre, la Camera dei deputati è rappresentata dinanzi alla Sezione dal Segretario generale, nominato anche lui dall’Ufficio di presidenza.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, la Corte ammette di comprendere i timori dei ricorrenti quanto all’imparzialità della Sezione. A giudizio della Corte, il fatto che l’organo amministrativo con competenze simili a quelle dell’Ufficio di presidenza sia lo stesso organo giurisdizionale competente a decidere ogni contenzioso amministrativo può essere sufficiente a far sorgere dubbi in merito all’imparzialità dell’organo giurisdizionale così formato. D’altra parte, osserva ancora la Corte che non si può mettere in dubbio il legame stretto esistente tra l’oggetto dei procedimenti giurisdizionali avviati dinanzi alla Sezione e gli atti adottati dall’Ufficio di presidenza nell’ambito delle relative funzioni.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, la Corte rileva la differenza con il caso Kleyn ed altri, in cui essa aveva ritenuto che i pareri emessi dal Consiglio di Stato nell’esercizio delle relative funzioni consultive e il conseguente procedimento giudiziario non potessero essere considerati «<em>lo stesso caso</em>» o «<em>la stessa decisione</em>» (Kleyn ed altri c/Paesi Bassi [GC], nn. 39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99, § 200, CEDU 2003 V).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte osserva di non avere il compito di indicare agli Stati, tra le numerose possibilità immaginabili, la soluzione da adottare per conformarsi all’articolo 6 § 1 della Convenzione. Tuttavia, essa ribadisce l’assoluta importanza che le corti ed i tribunali siano indipendenti ed imparziali e che ispirino fiducia alle parti in causa (precedente paragrafo 101).</p> <p style="text-align: justify;">Tenuto conto di quanto precede, la Corte ritiene che i timori nutriti dai ricorrenti circa l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione giurisdizionale della Camera dei deputati fossero oggettivamente giustificati. Non è quindi necessario esaminare gli altri aspetti della doglianza.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, per la Corte EDU vi è stata nel caso di specie violazione dell’articolo 6 § 1 della CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 09 luglio viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale una terza modifica all’art.12 del Regolamento della Camera. Secondo quest’ultima versione, per quanto qui di interesse, l'Ufficio di Presidenza adotta i regolamenti e le altre norme concernenti, tra l’altro (comma 3, lettera d) lo stato giuridico, il trattamento economico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti della Camera, ivi compresi i doveri relativi al segreto d'ufficio, nonché (lettera f) i pertinenti ricorsi nonché i ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli altri atti di amministrazione della Camera medesima.</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua del comma 6, con regolamento approvato dall’Ufficio di Presidenza sono istituiti gli organi interni di primo e di secondo grado, composti da deputati in carica, che giudicano in via esclusiva sui ricorsi di cui alla lettera f) del comma 3 e, dunque, anche su quelli spiccati dal personale della Camera (i componenti dell’Ufficio di Presidenza della Camera non possono tuttavia fare parte di tali organi giudicanti).</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di una disposizione assai più articolata di quella, omologa, prevista dal Regolamento del Senato, la quale ultima tuttavia viene interpretata allo stesso modo di questa, nel senso di escludere (tanto per la Camera, quanto per il Senato) qualunque giurisdizione esterna al Senato stesso con riguardo a qualsivoglia controversia involgente lo stato e la carriera giuridica ed economica dei propri dipendenti (c.d. giurisdizione domestica o autodichia).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, recante attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo, nuovo c.p.a., secondo il cui art.133, comma 1, lettera i), sono devolute alla giurisdizione esclusiva del GA, tra le altre, le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico (c.d. pubblico impiego non privatizzato).</p> <p style="text-align: justify;">Il relativo art.3, comma 4, modifica poi l’art.17, comma 2, della legge 195.58 in tema di giurisdizione sugli atti del CSM, onde la tutela giurisdizionale davanti al GA è ora disciplinata dal codice del processo amministrativo, rimanendo tuttavia nella sostanza immutata.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 settembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.20161 alla cui stregua, in tema di condotta antisindacale e impiego pubblico non privatizzato, va abbracciata la tesi della giurisdizione del GO, richiamando all’uopo le medesime conclusioni già raggiunte dalla Corte cost. con l’ordinanza n. 143 del 2003.</p> <p style="text-align: justify;">Scandagliando una controversia promossa ex art. 28 Stat. lav. da talune associazioni sindacali per la repressione della condotta antisindacale della Banca d’Italia (giusta modifica unilaterale del Regolamento del personale quanto alle fasce orarie di reperibilità dei dipendenti assenti per malattia) le Sezioni unite negano il conforto alla difesa datoriale della Banca d’Italia onde, nel caso di specie, andrebbe predicata la giurisdizione del GA., dacché la condotta antisindacale censurata presenterebbe carattere plurioffensivo incidendo, come tale, “<em>anche</em>” (e <em>singulatim</em>) sulle posizioni soggettive dei dipendenti della Banca il cui rapporto di impiego è sottratto alla cd. privatizzazione ax d.lgs. n. 165 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">La Cassazione rappresenta sul punto come non si ravvisi un'esigenza costituzionale per cui, ove la condotta antisindacale patita dal sindacato incida anche su un rapporto di impiego non “<em>contrattualizzato</em>”, debba derogarsi alla regola, posta dal decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, che prevede appunto la giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1360 alla cui stregua – conformemente alla presa di posizione delle SSUU della Cassazione del 2010, che richiama a propria volta l’ordinanza della Corte costituzionale 143.03 - non si ravvisa un'esigenza costituzionale per cui, ove la condotta antisindacale patita dal sindacato incida anche – <em>singulatim</em> - su un rapporto di impiego non “<em>contrattualizzato</em>”, debba derogarsi alla regola, posta dal decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, che prevede la giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.528, onde - ai fini della configurabilità del <em>mobbing</em> sono rilevanti:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;</li> <li>b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;</li> <li>c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico (in caso di <em>mobbing</em>d. verticale) e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;</li> <li>d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">La ricorrenza di una condotta mobbizzante va pertanto esclusa per il Collegio quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare "<em>singulatim</em>" elementi e episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro (Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272).</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, chiosa ancora il Collegio, la condotta di <em>mobbing</em> dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali nei confronti di un relativo dipendente, deve da quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta dall’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno persecutorio; in ogni caso, determinati comportamenti non possono essere qualificati come <em>mobbing</em> se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione (Cons. Stato, Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 1991; Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3648 onde, nel verificare l'integrazione della fattispecie di <em>mobbing</em> è necessario - anche in ragione della relativa indeterminatezza – attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, da apprezzare al fine di accertare, da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle relative caratteristiche di persecuzione e discriminazione) e, dall’altro, la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della pertinente condotta.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6608 in tema di danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato e onere della prova.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio è il lavoratore che invoca il risarcimento dei danni a dover dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale pubblico (si tratta di responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>”). Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre difatti automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo, siccome lagnato da parte lavoratrice.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio poi mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le relative abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della relativa personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo in simili fattispecie la prova presuntiva.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio dunque il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro pubblico non privatizzato al risarcimento del danno (anche nella relativa eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, è tenuto a fornire la relativa prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non essendo sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale pubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.14 in tema di danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato e onere della prova.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio è il lavoratore che invoca il risarcimento dei danni a dover dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale pubblico (si tratta di responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>”). Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre difatti automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo, siccome lagnato da parte lavoratrice.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio poi mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le relative abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della relativa personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo in simili fattispecie la prova presuntiva.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio dunque il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro pubblico non privatizzato al risarcimento del danno (anche nella relativa eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, è tenuto a fornire la relativa prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non essendo sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 17 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.856, alla cui stregua il danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato non può che spettare alla giurisdizione esclusiva del GA, stante il combinato disposto degli articoli 3 e 63 del decreto legislativo 165.01 ed il riferimento ai c.d. “<em>diritti patrimoniali connessi</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.21112 alla cui stregua rientra nella giurisdizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e non in quella del GA, la controversia avente ad oggetto il provvedimento disciplinare adottato nei confronti di magistrati dal Consiglio Superiore della Magistratura, e ciò anche allorché con il ridetto provvedimento (disciplinare) si disponga il trasferimento e l’individuazione della sede e dell'ufficio di destinazione del magistrato sanzionato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 gennaio esce la sentenza della sezione II del Tar Campania n.599 alla cui stregua il <em>mobbing</em>, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della relativa salute psicofisica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1609 onde, nel verificare l'integrazione della fattispecie di <em>mobbing</em> è necessario - anche in ragione della relativa indeterminatezza – attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, da apprezzare al fine di accertare, da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle relative caratteristiche di persecuzione e discriminazione) e, dall’altro, la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della pertinente condotta.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.7, alla cui stregua nell'ipotesi in cui il dipendente pubblico chieda in giudizio il risarcimento per danno da usura psicofisica - deducendo che tale danno sia stato provocato dal frequente mancato godimento del riposo settimanale, reiterato nell'arco di un notevole periodo complessivo di tempo, senza che egli abbia fruito di riposo compensativo ed ancorché abbia percepito le previste maggiorazioni retributive per lo svolgimento di attività lavorativa in giorno festivo - deve assumersi soddisfatto dal ricorrente l'onere di allegazione concernente sia l'oggetto della domanda che le circostanze costituenti il fatto-base su cui essa si fonda, onde il giudice può far ricorso a presunzioni basate sulle regole di esperienza per ritenere provato il fatto-conseguenza del pregiudizio subìto dall'istante.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio il danno da usura psicofisica in questione - stante la relativa afferenza alla lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente protetto e, in particolare, del diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale - è riconducibile al disposto dell’art. 2059 c.c., il quale, interpretato in modo conforme a Costituzione, prevede una categoria unitaria di danno non patrimoniale per lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica, in cui rientrano sia il danno alla salute in senso stretto, cosiddetto biologico, sia quello c.d. tipo esistenziale quale quello appunto da usura psicofisica, intesi come tipologie descrittive e non strutturali.</p> <p style="text-align: justify;">Ancora, per l'Adunanza l’attribuzione patrimoniale rivendicata da un dipendente pubblico per danno da usura psicofisica derivante dalla perdita del riposo settimanale deve assumersi avere natura risarcitoria e non retributiva; esso non consiste dunque in una voce ordinaria o straordinaria della retribuzione da corrispondersi periodicamente e destinata a compensare l'eccedenza della prestazione lavorativa, essendo piuttosto diretto ad indennizzare ai sensi dell’art. 2059 c.c. il lavoratore per il predetto danno correlato all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro; trattasi di posta che si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., e non nel termine breve (quinquennale) di cui ai successivi artt. 2947, previsto per il risarcimento del danno aquiliano, e 2948, n. 4, previsto per i crediti.</p> <p style="text-align: justify;">Si tratta di prese di posizione che possono assumere rilievo anche nella diversa ipotesi di c.d. danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato, affondando le proprie radici nella medesima natura “<em>contrattuale</em>” della pertinente responsabilità siccome fatta valere dal lavoratore pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 aprile esce la sentenza della Sezione I quater del Tar Lazio n.4064, alla cui stregua rientra nella giurisdizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e non in quella del GA, la controversia avente ad oggetto il provvedimento disciplinare adottato nei confronti di magistrati dal Consiglio Superiore della Magistratura, e ciò anche allorché con il ridetto provvedimento (disciplinare) si disponga il trasferimento e l’individuazione della sede e dell'ufficio di destinazione del magistrato sanzionato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 maggio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.10400, che solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 4 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3049 in tema di danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato e onere della prova.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio è il lavoratore che invoca il risarcimento dei danni a dover dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale pubblico (si tratta di responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>”). Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre difatti automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo, siccome lagnato da parte lavoratrice.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio poi mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le relative abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della relativa personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo in simili fattispecie la prova presuntiva.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio dunque il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro pubblico non privatizzato al risarcimento del danno (anche nella relativa eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, è tenuto a fornire la relativa prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non essendo sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 6 agosto esce la sentenza della sezione IV del Consiglio di Stato n.4135 alla cui stregua ili <em>mobbing</em>, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della relativa salute psicofisica.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio – su altro crinale - è il lavoratore che invoca il risarcimento dei danni a dover dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale pubblico (si tratta di responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>”). Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre difatti automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo, siccome lagnato da parte lavoratrice.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio poi mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le relative abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della relativa personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo in simili fattispecie la prova presuntiva.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio dunque il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro pubblico non privatizzato al risarcimento del danno (anche nella relativa, eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, è tenuto a fornire la relativa prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non essendo sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto esce la sentenza della Sezione IV del Consiglio di Stato n.847, alla cui stregua la giurisdizione della Corte dei conti in tema di pensioni ha carattere esclusivo, essendo affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, sicché in essa va ricompresa la controversia con la quale il pubblico dipendente, collocato a riposo, non mira a percepire ulteriori somme in ragione della propria attività lavorativa, ma contesta piuttosto i criteri di valutazione dei compensi già percepiti, ai fini del trattamento pensionistico, restando quindi esclusa da tale competenza ogni questione connessa con il rapporto di pubblico impiego, quale la determinazione della base pensionabile e dei relativi contributi da versare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto esce la sentenza della Sezione I del Tar Umbria n.432 alla cui stregua la giurisdizione della Corte dei conti in tema di pensioni ha carattere esclusivo, essendo affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, sicché in essa ricadono tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisce l'elemento identificativo del <em>petitum</em> sostanziale, vale a dire tutte le controversie riguardanti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, indipendentemente dal regime privatizzato o pubblico del rapporto di lavoro.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.4325, alla cui stregua la giurisdizione della Corte dei conti in tema di pensioni ha carattere esclusivo, essendo affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, sicché in essa va ricompresa la domanda di accertamento della causa di servizio, proposta da pubblici dipendenti in regime di rapporto non privatizzato unitamente alla conseguente domanda di condanna dell'ente al versamento del trattamento pensionistico, nonché la sola domanda di accertamento della causa di servizio, quale presupposto del trattamento pensionistico privilegiato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce la sentenza della Sezione I del Tar Umbria n.155, alla cui stregua non rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la controversia afferente al riconoscimento della causa di servizio di patologie contratte dal dipendente in regime di rapporto non privatizzato ed avente ad oggetto diritti o interessi inerenti al rapporto di lavoro di diritto pubblico, da assumersi attratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Quello stesso 13 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.5806 alla cui stregua non rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la controversia avente ad oggetto la domanda, avanzata dal coniuge superstite, di attribuzione dell’indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità, avendo essa carattere integrativo del trattamento obbligatorio, in quanto derivante da un Fondo di previdenza interno all’Inpdap (ex gestione Enpas) e,dunque, di corresponsione dovuta (a suo tempo) dall’ente pubblico datore di lavoro, non trattandosi di mera pensione obbligatoria a carico dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;">Costituendo essa una prestazione strettamente inerente al rapporto di pubblico impiego, ne consegue l’attribuzione delle pertinenti controversie alla giurisdizione, rispettivamente, del GA ovvero del GO, secondo la disciplina transitoria di cui all'art. 69, comma 7, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e a seconda dunque che la situazione giuridica azionata, ossia i fatti materiali e le circostanze, siano antecedenti o successivi al 30 giugno 1998 (Cass. civ., Sez. Un., 13 marzo 2014, n. 5806).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 maggio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.9573, onde - con riferimento al rapporto di pubblico impiego non privatizzato - la domanda proposta nei confronti del Ministero della difesa dagli eredi di un militare italiano, per il risarcimento dei danni conseguenti all'esposizione del proprio congiunto all’uranio impoverito e ad altre sostanze nocive nel corso della missione di pace in Kosovo, appartiene alla giurisdizione del GA solo in relazione ai pregiudizi fatti valere “<em>iure hereditatis</em>”, giacché fondata su di una condotta dell'Amministrazione che non presenta un nesso meramente occasionale con il rapporto di impiego.</p> <p style="text-align: justify;">Per contro, chiarisce il Collegio, appartiene alla giurisdizione del GO la domanda volta al ristoro dei danni subîti “<em>iure proprio</em>” dagli attori, atteso come l’art. 63, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001, n.165 - nel riservare al GA, oltre alle controversie relative ai rapporti di lavoro non contrattualizzati, anche i diritti patrimoniali connessi - sottintende la riferibilità degli stessi alle sole parti del rapporto di impiego e non anche a terzi, quali sono appunto gli eredi del militare che agiscano <em>iure proprio</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio esce la sentenza della Coste costituzionale n.120, che – in tema di autodichia - dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica, approvato il 17 febbraio 1971, e successive modifiche, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, secondo comma, 111, primo, secondo e settimo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezioni unite (dichiarando con separata ordinanza ammissibile l'intervento della Camera dei deputati, nel giudizio introdotto dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nel pertinente processo costituzionale).</p> <p style="text-align: justify;">La Corte rappresenta che ancora una volta, la sindacabilità dei regolamenti parlamentari, adottati ai sensi dell’art. 64, primo comma, Cost., costituisce la premessa della valutazione di ammissibilità della questione ad essa sottoposta.</p> <p style="text-align: justify;">I regolamenti parlamentari, per il Collegio, non rientrano espressamente tra le fonti-atto indicate nell’art. 134, primo alinea, Cost. − vale a dire tra le «<em>leggi</em>» e «<em>gli atti aventi forza di legge</em>» − che possono costituire oggetto del sindacato di legittimità rimesso alla Corte.</p> <p style="text-align: justify;">Nel sistema delle fonti delineato dalla stessa Costituzione, il regolamento parlamentare è espressamente previsto dall’art. 64 come fonte dotata di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria e nella quale, pertanto, neppure questa è abilitata ad intervenire.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 134 Cost., indicando come sindacabili la legge e gli atti che, in quanto ad essa equiparati, possono regolare ciò che rientra nella competenza della stessa legge, non consente di includere tra gli stessi i regolamenti parlamentari. Risiede dunque in ciò, e non in motivazioni storiche o in risalenti tradizioni interpretative, la ragion d’essere attuale e di diritto positivo dell’insindacabilità degli stessi regolamenti in sede di giudizio di legittimità costituzionale. Va di conseguenza confermata la consolidata giurisprudenza della Corte, la quale − nella sentenza n. 154 del 1985 e nelle successive ordinanze n. 444 e n. 445 del 1993 − ha escluso che essi possano essere annoverati fra gli atti aventi forza di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Se tuttavia, adesso come allora, la <em>ratio</em> dell’insindacabilità dei regolamenti parlamentari è costituita − sul piano sistematico − dalla garanzia di indipendenza delle Camere da ogni altro potere, ciò non comporta che essi siano, come nel lontano passato, fonti puramente interne. Essi sono fonti dell’ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi, alla luce dei principi e delle disposizioni costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza.</p> <p style="text-align: justify;">È su queste basi – prosegue il Collegio - che si colloca il tema dell’estensione dell’autodichia e conseguentemente della relativa legittimità. Gli artt. 64 e 72 Cost. assolvono alla funzione di definire e, al tempo stesso, di delimitare «<em>lo statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari</em>» (sentenza n. 379 del 1996). È dunque all’interno di questo statuto di garanzia che viene stabilito l’ambito di competenza riservato ai regolamenti parlamentari, avente ad oggetto l’organizzazione interna e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">In questo ambito, le vicende e i rapporti che ineriscono alle funzioni primarie delle Camere sicuramente ricadono nella competenza dei regolamenti e l’interpretazione delle relative norme regolamentari e sub-regolamentari non può che essere affidata in via esclusiva alle Camere stesse (sentenza n. 78 del 1984). Né la protezione dell’area di indipendenza e libertà parlamentare attiene soltanto all’autonomia normativa, ma si estende al momento applicativo delle stesse norme regolamentari «<em>e comporta, di necessità, la sottrazione a qualsiasi giurisdizione degli strumenti intesi a garantire il rispetto del diritto parlamentare</em>» (sentenze n. 379 del 1996 e n. 129 del 1981).</p> <p style="text-align: justify;">Se altrettanto valga per i rapporti di lavoro dei dipendenti e per i rapporti con i terzi, è questione controversa, che, in linea di principio, può dar luogo ad un conflitto fra i poteri; infatti, anche norme non sindacabili potrebbero essere fonti di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili e, d’altra parte, deve ritenersi sempre soggetto a verifica il fondamento costituzionale di un potere decisorio che limiti quello conferito dalla Costituzione ad altre autorità. L’indipendenza delle Camere non può infatti compromettere diritti fondamentali, né pregiudicare l’attuazione di principi inderogabili.</p> <p style="text-align: justify;">Come affermato dalla Corte stessa, davanti a ciò che «[…] <em>esuli dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la “</em>grande regola<em>” dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione</em>)» (sentenza n. 379 del 1996).</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, riprende il Collegio, negli ordinamenti costituzionali a noi più vicini, come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, l’autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti e sui rapporti con i terzi non è più prevista.</p> <p style="text-align: justify;">Nel nostro ordinamento è altresì significativo che molteplici decisioni della Corte, oltre che della Corte di Strasburgo, abbiano assoggettato a stretta interpretazione la stessa immunità parlamentare prevista dal primo comma dell’art. 68 Cost., riconosciuta soltanto quando sia dimostrato, secondo criteri rigorosi, il nesso funzionale fra l’opinione espressa e l’attività parlamentare, proprio per limitare l’impedimento all’accesso al giudice da parte di chi si ritenga danneggiato (<em>ex plurimis</em>, sentenze n. 313 del 2013, n. 98 del 2011, n. 137 del 2001, n. 11 e n. 10 del 2000).</p> <p style="text-align: justify;">Il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.), così come l’attuazione di principi inderogabili (art. 108 Cost.), sono assicurati dalla funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale. La sede naturale in cui trovano soluzione le questioni relative alla delimitazione degli ambiti di competenza riservati è quella del conflitto fra i poteri dello Stato: «<em>Il confine tra i due distinti valori (autonomia delle Camere, da un lato, e legalità-giurisdizione, dall’altro) è posto sotto la tutela di questa Corte, che può essere investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal potere che si ritenga leso o menomato dall’attività dell’altro</em>» (sentenza n. 379 del 1996).</p> <p style="text-align: justify;">In tale sede – conclude il Collegio - la Corte può ristabilire il confine – ove questo sia violato − tra i poteri legittimamente esercitati dalle Camere nella loro sfera di competenza e quelli che competono ad altri, così assicurando il rispetto dei limiti delle prerogative e del principio di legalità, che è alla base dello Stato di diritto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.11027 alla cui stregua la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali promossa da un dipendente pubblico il cui rapporto di lavoro sia stato privatizzato, asseritamente provocati da atti illegittimi e discriminatori dell’Amministrazione e dalla mancata osservanza del dovere gravante sul datore di lavoro di comportarsi con correttezza ed imparzialità nei confronti dei propri dipendenti, appartiene alla giurisdizione del GO, ove le pertinenti questioni concernano il periodo successivo al 30 giugno 1998, sicché il giudice avente giurisdizione al momento di realizzazione del fatto dannoso e di cessazione della permanenza conosce dell'intero arco della pretesa risarcitoria da <em>mobbing</em> (anche dunque, a rigore, del tratto temporale “<em>anteriore</em>” che sarebbe appannaggio del GA).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 giugno viene varato il decreto legge n.90, che dispone (con l'art. 2, comma 4) la modifica dell'art. 17, comma 2 della legge 195.58, onde – in tema di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo degli atti del CSM – la relativa disciplina resta dettata dal codice del processo amministrativo; nondimeno, per la tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti concernenti il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi si segue, per quanto applicabile, il rito abbreviato disciplinato dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso poi di azione di ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l'ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere, ma non si applicano i penetranti poteri in tema di ottemperanza affidati al GA dalle lettere a) e c) del comma 4 dell'articolo 114 del codice del processo amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, qui il GA, quando ordina l'ottemperanza, non può prescrivere le pertinenti modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'adozione dello stesso in luogo dell'Amministrazione (il CSM appunto), come avviene invece nella normalità dei casi; né può - nel caso di ottemperanza a sentenze non passate in giudicato o ad altri provvedimenti - determinare le modalità esecutive (assumendo inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione, provvedendo di conseguenza e tenendo conto degli effetti che ne derivano), come del pari avviene nella normalità dei casi.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 agosto esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.4105 onde, nel verificare l'integrazione della fattispecie di <em>mobbing</em> è necessario - anche in ragione della relativa indeterminatezza – attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, da apprezzare al fine di accertare, da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle relative caratteristiche di persecuzione e discriminazione) e dall’altro la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della pertinente condotta.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 agosto viene varata la legge n.114 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.90.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.549, alla cui stregua si configura come <em>mobbing</em> una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della relativa salute psicofisica.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio si concentra poi sui 3 elementi costitutivi della responsabilità della P.A. per danno da <em>mobbing</em>, affermando che ai fini della configurabilità della pertinente condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti:</p> <p style="text-align: justify;">1) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;</p> <p style="text-align: justify;">2) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;</p> <p style="text-align: justify;">3) il nesso eziologico fra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;</p> <p style="text-align: justify;">4) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, all’opposto, i comportamenti datoriali pubblici non possono essere qualificati come <em>mobbing</em>, ai fini della pronuncia risarcitoria richiesta dal dipendente, allorché risulti che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione del comportamento datoriale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1413 in tema di danno da <em>mobbing</em> nel pubblico impiego non privatizzato e onere della prova.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio è il lavoratore che invoca il risarcimento dei danni a dover dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale pubblico (si tratta di responsabilità c.d. “<em>contrattuale</em>”), il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non ricorrendo difatti automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non potendo prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo, siccome lagnato da parte lavoratrice.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre per il Collegio poi mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare a-reddittuale del soggetto, che alteri le relative abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della relativa personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo in simili fattispecie la prova presuntiva.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio dunque il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro pubblico non privatizzato al risarcimento del danno (anche nella relativa eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, è tenuto a fornire la relativa prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non essendo sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4394 alla cui stregua – sul crinale del rilievo da attribuirsi al fattore psicologico del datore di lavoro - la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell’enucleazione del <em>mobbing</em> medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.22269 alla cui stregua, al fine di scongiurare il frazionamento della tutela giurisdizionale, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, quando il lavoratore deduca un inadempimento unitario dell’Amministrazione, la protrazione della pertinente fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il GO anche per il periodo anteriore a tale data, che sarebbe a rigore di competenza del GA.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 novembre esce la sentenza della SSUU della Cassazione n.23459 che autorevolmente ribadisce come - al fine di scongiurare il frazionamento della tutela giurisdizionale in tema di pubblico impiego contrattualizzato - quando il lavoratore deduca un inadempimento unitario dell’Amministrazione, la protrazione della pertinente fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il GO anche per il periodo anteriore a tale data, che sarebbe a rigore di competenza del GA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 ottobre esce la sentenza della sezione IV del Consiglio di Stato n.4509 alla cui stregua ili <em>mobbing</em>, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della relativa salute psicofisica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 settembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.262, la quale dichiara – in sede di conflitto di attribuzioni – che spettava al Senato della Repubblica e al Presidente della Repubblica approvare gli atti impugnati con le ordinanze gravate, nelle parti in cui esse riservano ad organi di autodichia la decisione delle controversie di lavoro instaurate dai propri dipendenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio si pronuncia nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promossi dalle SSUU della Cassazione e sorti a seguito della deliberazione con la quale il Senato della Repubblica ha approvato gli artt. da 72 a 84 del Titolo II (Contenzioso) del Testo unico delle norme regolamentari dell’Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica e della deliberazione da parte del Presidente della Repubblica degli artt. 1 e seguenti del decreto presidenziale 24 luglio 1996, n. 81, integrato dal decreto presidenziale 9 ottobre 1996, n. 89, e modificato dal decreto presidenziale 30 dicembre 2008, n. 34.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di specie, precisa il Giudice delle Leggi, La Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza del 19 dicembre 2014, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in relazione all’approvazione, da parte del medesimo Senato, degli articoli da 72 a 84 del Titolo II (Contenzioso) del Testo unico delle norme regolamentari dell’Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">La ricorrente Cassazione a SSUU premette di essere stata investita della decisione sul ricorso proposto, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, da un dipendente del Senato, per l’annullamento della decisione, resa il 29 settembre 2011, in grado di appello, dal Consiglio di garanzia del Senato, nell’ambito di un giudizio di ottemperanza relativo ad una controversia di lavoro.</p> <p style="text-align: justify;">Osserva la Corte di cassazione che le disposizioni regolamentari ricordate, affidando ad organi interni a quel ramo del Parlamento la decisione delle controversie con l’amministrazione del Senato, che attengano allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti del Senato stesso, precluderebbero l’accesso di questi ultimi alla piena tutela giurisdizionale, così comprimendo la sfera di attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria, in violazione degli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, secondo comma, quest’ultimo in combinato disposto con la VI disposizione transitoria e finale, 108, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost.</p> <p style="text-align: justify;">Evidenziano le SSUU, in primo luogo, che la Costituzione prevede testualmente una vera e propria autodichia solo all’art. 66 Cost., a mente del quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei relativi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Ritiene, conseguentemente, che le disposizioni regolamentari del Senato – le quali, invece, riservano ad organi interni di quest’ultimo anche la decisione delle controversie con i propri dipendenti – si porrebbero in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), coniugato con il riconoscimento a tutti del diritto fondamentale di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.).</p> <p style="text-align: justify;">La ricorrente Cassazione denuncia inoltre, prosegue la Corte, la violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., il quale esclude che possano essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Tale parametro – a relativo avviso – dovrebbe essere letto congiuntamente alla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, ai sensi della quale, entro cinque anni dall’entrata in vigore di quest’ultima, si sarebbe dovuto procedere alla revisione degli organi speciali di giurisdizione all’epoca esistenti. Alla luce di tale disciplina costituzionale, la Commissione contenziosa ed il Consiglio di garanzia – previsti dalle fonti di autonomia del Senato quali giudici, rispettivamente di primo e secondo grado, delle controversie instaurate dai dipendenti nei confronti dell’amministrazione del Senato – si porrebbero, rispetto alla giurisdizione ordinaria, come giudici speciali illegittimamente istituiti dopo l’entrata in vigore della Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">Ove si individuasse un profilo di continuità rispetto all’autodichia dell’ordinamento pre-repubblicano, il difetto di revisione degli organi di autodichia del Senato determinerebbe anche la violazione dell’art. 111 Cost., che afferma il principio del giusto processo (primo comma) e la necessità che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale (secondo comma), non potendo ritenersi rispettoso di tali principi un processo che si svolga «<em>dinanzi ad un giudice incardinato in una delle parti</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Per la stessa ragione, non sarebbe soddisfatto neppure il principio dell’indipendenza dei giudici speciali, prescritto dall’art. 108, secondo comma, Cost.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre secondo le SSUU ricorrenti, prosegue la Corte, la lesione dei ricordati principi – e, in particolare, del diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale – ridonderebbe «<em>non già in un vizio di incostituzionalità, ma in lesione o turbativa del potere giurisdizionale</em>». La normativa “<em>sub-regolamentare</em>” approvata dal Senato avrebbe perciò un carattere invasivo delle attribuzioni del potere giudiziario.</p> <p style="text-align: justify;">Osserva, infine, la Corte di cassazione che «<em>il carattere chiuso e circoscritto del sistema di autodichia del Senato</em>» precluderebbe la possibilità del ricorso straordinario riconosciuto dal settimo comma dell’art. 111 Cost. Qualora si ritenesse che gli organi di autodichia del Senato siano organi speciali di giurisdizione, esistenti anche prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, e che il procedimento di revisione, prescritto dalla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, abbia avuto corso, così da soddisfare i canoni del giusto processo e quelli di terzietà, imparzialità ed indipendenza del giudice, residuerebbe comunque, a tutto concedere, la violazione degli artt. 111, settimo comma, e 3, primo comma, Cost.</p> <p style="text-align: justify;">Chiede pertanto la Cassazione ricorrente, in via subordinata, che in tale ipotesi il ricorso sia accolto, nella parte in cui le menzionate disposizioni regolamentari non consentono il ricorso in Cassazione per violazione di legge, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., contro le decisioni pronunciate dagli organi di autodichia.</p> <p style="text-align: justify;">Con un ulteriore conflitto – prosegue la Corte - sollevato con ordinanza del 19 gennaio 2015 (iscritta al n. 2 del reg. confl. pot. del 2015), la Corte di cassazione, sezioni unite civili, chiede al Giudice dei conflitti di dichiarare che non spettava al Presidente della Repubblica approvare il decreto presidenziale 24 luglio 1996, n. 81, integrato dal decreto presidenziale 9 ottobre 1996, n. 89, e modificato dal decreto presidenziale 30 dicembre 2008, n. 34, i quali istituiscono e disciplinano, all’interno della Presidenza della Repubblica, gli organi competenti a decidere sui ricorsi presentati dal personale del Segretariato generale della medesima Presidenza della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">La ricorrente Cassazione riferisce di essere investita della decisione sul ricorso proposto, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., da alcuni dipendenti del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, per la cassazione della decisione resa, il 17 aprile 2012, dal Collegio d’appello della Presidenza della Repubblica, in un giudizio promosso dai medesimi dipendenti al fine di ottenere il riconoscimento di somme maturate a titolo di indennità perequativa e indennità di comando, nell’ambito del rapporto di lavoro intercorso con il Segretariato generale.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte di cassazione rileva come i predetti decreti presidenziali – in violazione degli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, secondo comma, quest’ultimo in combinato disposto con la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, 108, primo comma, e 111, primo comma, Cost. − precludano l’accesso dei dipendenti del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica alla tutela giurisdizionale comune nelle controversie di lavoro e, dunque, determinino una «<em>lesione o turbativa del potere giurisdizionale»</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Premette la ricorrente come la sussistenza di un’autodichia «<em>vera e propria</em>» in tema di controversie instaurate dai dipendenti della Presidenza della Repubblica con il medesimo organo costituzionale sia stata negata, dalla giurisdizione ordinaria, sino alla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione 17 marzo 2010, n. 6529. Quest’ultima avrebbe, invece, registrato la scelta del Presidente della Repubblica di dotarsi, a partire dal 1996, di organi interni per la decisione di tali controversie. In questa sentenza sarebbe stato evidenziato, da un lato, come tale scelta abbia un fondamento costituzionale indiretto nella potestà di autorganizzazione e nell’autonomia contabile dell’organo costituzionale e, dall’altro, come gli organi così istituiti soddisfino i requisiti richiesti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella <a href="http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-92505">causa Savino e altri contro Italia</a> (sentenza del 28 aprile 2009).</p> <p style="text-align: justify;">In tale contesto – osservano le SSUU – è successivamente intervenuta la <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0120s-14.html">sentenza n. 120 del 2014</a> della Corte, e i principi in essa affermati dovrebbero trovare applicazione anche con riguardo all’autodichia del Presidente della Repubblica in materia di controversie che attengano allo stato e alla carriera giuridica ed economica del personale di tale organo costituzionale.</p> <p style="text-align: justify;">Ad avviso delle sezioni unite, l’autodichia del Presidente della Repubblica si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) e con il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.), poiché il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale spettante a ciascun dipendente dell’organo non potrebbe risultare del tutto sacrificato, pur se posto in bilanciamento con la garanzia costituzionale di autonomia del Presidente della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Dinanzi al Giudice dei conflitti la Corte di cassazione ravvisa inoltre, nelle disposizioni impugnate, la violazione del divieto di istituzione di giudici speciali, previsto dall’art. 102, secondo comma, Cost. e dalla VI disposizione transitoria e finale, ai sensi della quale, entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, si sarebbe dovuto procedere alla revisione degli organi speciali di giurisdizione all’epoca esistenti. Assume infatti che il Collegio giudicante di primo grado ed il Collegio d’appello, quali giudici delle controversie dei dipendenti del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, previsti dai ricordati decreti presidenziali, si porrebbero, rispetto alla giurisdizione ordinaria, appunto come giudici speciali, illegittimamente istituiti dopo l’entrata in vigore della Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">In via subordinata, la ricorrente Cassazione osserva che, ove si ritenesse legittima la configurazione degli organi di giustizia interna della Presidenza della Repubblica come giudici speciali, rileverebbe comunque la preclusione dell’accesso al sindacato di legittimità nella forma del ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., e dell’art. 360, quarto comma, del codice di procedura civile, con conseguente ingiustificato trattamento differenziato (art. 3, primo comma, Cost.) dei dipendenti della Presidenza della Repubblica rispetto agli altri dipendenti pubblici. E chiede, dunque, che la Corte, accogliendo il conflitto, affermi la possibilità di esperire il ricorso straordinario per cassazione avverso le decisioni in ultimo grado, o in grado unico, degli organi di giustizia interna della Presidenza della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, i dubbi relativi alla compatibilità con la Costituzione delle disposizioni regolamentari in tema di autodichia – e soprattutto la denunciata lesione del diritto alla tutela giurisdizionale in capo ai dipendenti del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica – si risolverebbero, per le SSUU, in una invasione o turbativa del potere giurisdizionale della Corte di cassazione, la quale non potrebbe svolgere il sindacato di legittimità domandatole dai ricorrenti.</p> <p style="text-align: justify;">I ricorsi per conflitto di attribuzione, proposti dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, rispettivamente nei confronti del Senato della Repubblica e del Presidente della Repubblica, hanno entrambi – riassume la Corte - ad oggetto gli atti normativi con cui gli organi costituzionali in questione hanno disciplinato le controversie con i propri dipendenti, prevedendo che la decisione di queste sia affidata ad organi interni. Ed entrambi i ricorsi chiedono alla Corte di pronunciarsi sul fondamento e sull’esatta delimitazione dei poteri di autodichia dei due organi costituzionali. Poiché i termini dei conflitti sono largamente coincidenti, devono per la Corte essere riuniti e decisi con unica sentenza (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1981/0129s-81.html">sentenza n. 129 del 1981</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Per la Corte va <em>in primis</em> confermata, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’ammissibilità dei conflitti sollevati dalla Corte di cassazione – già dichiarata dalla Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, con le <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2015/0137o-15.html">ordinanze n. 137</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2015/0138o-15.html">n. 138 del 2015</a> – sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi.</p> <p style="text-align: justify;">Con riguardo al profilo soggettivo, chiarisce il Collegio, deve essere ribadita la legittimazione della Corte di cassazione ad essere parte di un conflitto tra poteri dello Stato, a fronte della costante giurisprudenza della Corte, che tale legittimazione riconosce ai singoli organi giurisdizionali, in quanto competenti, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle proprie funzioni, la volontà del potere cui appartengono (<em>ex </em><em>multis</em>, con specifico riferimento alla legittimazione della Corte di cassazione, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0029s-14.html">sentenze n. 29</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0024s-14.html">n. 24 del 2014</a>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0320s-13.html">n. 320 del 2013</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2011/0333s-11.html">n. 333 del 2011</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Né sussistono dubbi, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, in ordine alla qualificazione come poteri dello Stato del Senato della Repubblica (<em>ex </em><em>multis</em>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2016/0139o-16.html">ordinanza n. 139 del 2016</a>) e del Presidente della Repubblica (<em>ex </em><em>multis</em>, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0001s-13.html">sentenza n. 1 del 2013</a>).</p> <p style="text-align: justify;">L’ammissibilità dei conflitti deve poi essere confermata anche sotto il profilo oggettivo, in quanto entrambe le ordinanze prospettano un conflitto «<em>per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali</em>» (art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953).</p> <p style="text-align: justify;">Sul punto prosegue la Corte, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, in relazione ad entrambi i conflitti, che la prospettazione della Corte di cassazione si fonderebbe su un’interpretazione errata della <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0120s-14.html">sentenza n. 120 del 2014</a> della Corte medesima. Ad avviso dell’Avvocatura, attraverso lo strumento del conflitto, non potrebbe essere posto in discussione il potere normativo mediante il quale sono istituiti gli organi di giustizia interna, ma solo – per il tramite dell’impugnazione di singoli «<em>atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili</em>» – il relativo esatto dimensionamento, il relativo corretto esercizio, la relativa proporzionalità «<em>rispetto alle prerogative di altri organi depositari dei valori del sistema (separazione dei poteri; tutela dei diritti fondamentali</em>)», nonché la «<em>rispondenza al criterio del nesso funzionale</em>», rispetto all’autonomia delle Camere e del Presidente della Repubblica, della decisione della singola controversia di lavoro assunta dagli organi interni. In caso contrario, si realizzerebbe un’indebita commistione tra i due tipi di giudizi, quello di legittimità costituzionale e quello sui conflitti tra poteri, poiché sarebbe invocata una pronuncia relativa a profili, peraltro già vagliati in sede di giudizio di legittimità costituzionale, che esulano dall’ambito oggettivo di un conflitto.</p> <p style="text-align: justify;">L’eccezione, per la Corte, non è tuttavia fondata.</p> <p style="text-align: justify;">I singoli atti applicativi della fonte di autonomia – precisa il Collegio - non sono che conseguenza della previsione contenuta in quella fonte, che attribuisce ad organi interni la decisione sulle controversie di lavoro dei dipendenti degli organi costituzionali in questione; e la ricorrente Cassazione assume lesiva della propria sfera di attribuzioni costituzionali la stessa approvazione di quelle fonti. Pertanto, oggetto di entrambi i conflitti sono tali fonti di autonomia, in quanto altererebbero, a danno delle attribuzioni della giurisdizione di legittimità, nella prospettazione della ricorrente, l’ordine costituzionale delle competenze.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la giurisprudenza della Corte, si tratta di fonti non sindacabili nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0120s-14.html">sentenze n. 120 del 2014</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1985/0154s-85.html">n. 154 del 1985</a>). Quella stessa giurisprudenza ha tuttavia riconosciuto che tali fonti sono suscettibili di dar luogo a un conflitto tra poteri se ledono la sfera di attribuzione di un altro organo costituzionale. I conflitti in esame sono pertanto ammissibili, perché la Corte di cassazione – sia pure sottolineando particolarmente l’asserita lesione, da parte degli atti impugnati, di diritti fondamentali delle parti private – lamenta che la fonte di autonomia avrebbe illegittimamente sottratto alla Corte di cassazione quote di potere giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Devono essere rigettate per la Corte anche le ulteriori eccezioni di inammissibilità prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, relative all’asserita contraddittorietà dei <em>petita</em> contenuti negli atti introduttivi. Infatti, tali asserite contraddittorietà involgono profili di merito, da apprezzare unitamente a quest’ultimo.</p> <p style="text-align: justify;">Va infine precisato per la Corte, sempre in via preliminare, che la Corte medesima, nel giudizio per conflitto tra poteri dello Stato, non è chiamata a decidere singole questioni di legittimità costituzionale di atti normativi, sollevate in relazione a specifici parametri costituzionali, bensì ad assicurare l’ordine costituzionale delle competenze tra gli organi in conflitto. Le censure mosse dalla ricorrente in relazione alla violazione di diritti individuali, ovvero in ordine alla lesione di specifici parametri costituzionali, devono essere valutate alla luce del tipo di giudizio instaurato innanzi al Collegio, preordinato, appunto, a verificare se competa al Senato della Repubblica e al Presidente della Repubblica approvare norme che attribuiscano ad organi interni la cognizione delle controversie instaurate dai propri dipendenti, sottraendole alla giurisdizione e, dunque, ledendone la sfera di attribuzione.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, pur lamentando la ricorrente Cassazione, in entrambi i ricorsi, la lesione di plurimi parametri costituzionali e, anzitutto, dell’art. 24 Cost. – essenzialmente nella prospettiva della spettanza, ai ricorrenti nei giudizi <em>a </em><em>quibus</em>, del diritto individuale di azione – ciò che conta per il Collegio, ai fini del presente giudizio per conflitto, è che la medesima ricorrente abbia avuto cura di motivare la ridondanza di tali asserite lesioni sulla propria sfera di attribuzioni costituzionali: ed è sull’allegata violazione di tale sfera che la Corte si assume chiamata a pronunciarsi.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto premesso, nel merito per la Corte entrambi i ricorsi non sono fondati.</p> <p style="text-align: justify;">L’autodichia – che viene ora in rilievo come potestà degli organi costituzionali di decidere attraverso organi interni le controversie che attengano allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei loro dipendenti, applicando la disciplina normativa che gli stessi organi si sono dati in materia – costituisce per il Collegio manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest’ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte deve tener conto della circostanza per cui l’autodichia è stata ritenuta dagli organi costituzionali chiamati in giudizio – sulla base di una risalente tradizione per le Camere, in virtù di più recenti orientamenti per il Presidente della Repubblica – una delle condizioni per il dispiegarsi della propria autonomia e, perciò, per il libero ed efficiente svolgimento delle proprie funzioni. Alla luce di tale circostanza, è dunque qui in discussione se le deroghe al diritto comune che l’autodichia implica – in particolare, la sottrazione alla giurisdizione comune delle controversie tra gli organi in questione e i loro dipendenti – violino l’ordine costituzionale delle competenze.</p> <p style="text-align: justify;">Come è noto, riprende a questo punto la Corte, l’autonomia che la Costituzione riconosce agli organi costituzionali – per quel che qui interessa, Camere e Presidente della Repubblica – si manifesta, innanzitutto, sul piano normativo. La Costituzione ne ragiona espressamente solo in riferimento alle Camere, conferendo a ciascuna di esse il potere di darsi un regolamento (art. 64 Cost.). La Corte ha tuttavia già riconosciuto che anche i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica debbono considerarsi sorretti da un implicito fondamento costituzionale, conferendo alla legge che li prevede (legge 9 agosto 1948, n. 1077, recante «<em>Determinazione dell’assegno e della dotazione del Presidente della Repubblica e istituzione del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica</em>») un carattere meramente ricognitivo (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1981/0129s-81.html">sentenza n. 129 del 1981</a>).</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza costituzionale ha inoltre avuto modo di definire i contorni dell’autonomia normativa che la Costituzione così assegna tanto alle Camere, quanto al Presidente della Repubblica. In relazione alle Camere, la Corte ha affermato che l’autonomia in parola non attiene alla sola disciplina del procedimento legislativo, per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione, ma riguarda anche l’organizzazione interna (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0120s-14.html">sentenza n. 120 del 2014</a>). In relazione al Presidente della Repubblica, essa ha evidenziato che tale organo necessita di un proprio apparato organizzativo, non solo per amministrare i beni rientranti nella dotazione presidenziale, ma anche per consentire un libero ed efficiente esercizio delle proprie funzioni, garantendo in tal modo la non dipendenza del Presidente rispetto ad altri poteri dello Stato (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1981/0129s-81.html">sentenza n. 129 del 1981</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Riferendosi ad entrambi gli organi, la Corte ha in definitiva chiarito che, attraverso la potestà normativa in parola, gli organi costituzionali in questione sono messi nella condizione di provvedere alla «<em>produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l’assetto ed il funzionamento dei loro apparati serventi</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1981/0129s-81.html">sentenza n. 129 del 1981</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Così, l’autonomia normativa logicamente investe anche gli aspetti organizzativi, ricomprendendovi ciò che riguarda il funzionamento degli apparati amministrativi “<em>serventi</em>”, che consentono agli organi costituzionali di adempiere liberamente, e in modo efficiente, alle proprie funzioni costituzionali.</p> <p style="text-align: justify;">Su questo stesso fondamento poggia la potestà, riconosciuta agli organi costituzionali, di approvare norme relative al rapporto di lavoro con i propri dipendenti: infatti, il buon esercizio delle alte funzioni costituzionali attribuite agli organi in questione dipende in misura decisiva dalle modalità con le quali è selezionato, normativamente disciplinato, organizzato e gestito il personale.</p> <p style="text-align: justify;">D’altra parte, l’autonomia normativa qui in questione ha un fondamento che ne rappresenta anche il confine: giacché, se è consentito agli organi costituzionali disciplinare il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non spetta invece loro, in via di principio, ricorrere alla propria potestà normativa, né per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive (si pensi, ad esempio, alle controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni degli organi costituzionali). Del resto, queste ultime controversie, pur potendo avere ad oggetto rapporti non estranei all’esercizio delle funzioni dell’organo costituzionale, non riguardano in principio questioni puramente interne ad esso e non potrebbero perciò essere sottratte alla giurisdizione comune.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza costituzionale – prosegue il Collegio - ha già riconosciuto che l’autonomia degli organi costituzionali «<em>non si esaurisce nella normazione, bensì comprende – coerentemente – il momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l’osservanza</em>» (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1981/0129s-81.html">sentenza n. 129 del 1981</a>, e, nello stesso senso, anche <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0120s-14.html">sentenze n. 120 del 2014</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1996/0379s-96.html">n. 379 del 1996</a>). Tale momento applicativo, ossia proprio l’autodichia di cui qui si discute, costituisce dunque uno svolgimento dell’autonomia normativa che la Costituzione riconosce esplicitamente o implicitamente alle Camere e al Presidente della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Tutto ciò vale necessariamente per ciò che attiene alla diretta disciplina delle funzioni costituzionali primarie attribuite agli organi di vertice del sistema: si pensi, ad esempio, alle modalità di voto nelle Camere, soggette non solo all’esaustiva capacità qualificatoria del regolamento parlamentare, con esclusione di qualunque potestà definitoria alternativa da parte del diritto comune, ma anche sottratte a poteri d’accertamento e d’interpretazione “<em>esterni</em>”, in particolare dell’autorità giudiziaria (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1996/0379s-96.html">sentenza n. 379 del 1996</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Ma ciò vale anche per l’interpretazione e l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro, in occasione di controversie che oppongano i dipendenti all’organo costituzionale (nel caso di specie, le Camere e il Presidente della Repubblica) presso il quale prestano servizio.</p> <p style="text-align: justify;">In altri termini, le Camere e il Presidente della Repubblica hanno provveduto a disciplinare, attraverso le fonti di autonomia, il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, poiché hanno ritenuto tale scelta funzionale alla più completa garanzia della propria autonomia. La conseguente riserva agli organi di autodichia dell’interpretazione e dell’applicazione di tali fonti non comporta un’alterazione dell’ordine costituzionale delle competenze e, in particolare, una lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente: costituisce, invece, il razionale completamento dell’autonomia organizzativa degli organi costituzionali in questione, in relazione ai loro apparati serventi, la cui disciplina e gestione viene in tal modo sottratta a qualunque ingerenza esterna.</p> <p style="text-align: justify;">In questa direzione va dunque sciolta la riserva esplicitamente formulata nella <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0120s-14.html">sentenza n. 120 del 2014</a> della Corte, che definiva «<em>questione controversa</em>» il confine e il fondamento dell’autodichia: in tanto quest’ultima non è lesiva di attribuzioni costituzionali altrui, in quanto (e solo in quanto) riguardi i rapporti di lavoro dei dipendenti.</p> <p style="text-align: justify;">D’altra parte, ammettere che gli organi costituzionali possano, in forza dell’autonomia loro riconosciuta, regolare da sé i rapporti con il proprio personale, per poi consentire che siano gli organi della giurisdizione comune ad interpretare ed applicare tale speciale disciplina, significherebbe dimezzare quella stessa autonomia che si è inteso garantire.</p> <p style="text-align: justify;">Gli organi di autodichia sono dunque chiamati a decidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei dipendenti in luogo dell’autorità giudiziaria “<em>comune</em>”. Ciò significa in primo luogo, chiosa la Corte, che la tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei dipendenti non è assente, come lamenta la ricorrente. A fronte di situazioni nelle quali tale tutela risultava effettivamente inesistente, la Corte ha riconosciuto, e non può che ribadire qui, che la “<em>grande regola</em>” del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei propri diritti, in quanto scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, non può conoscere eccezioni (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0238s-14.html">sentenza n. 238 del 2014</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso in esame, tuttavia, la tutela delle posizioni giuridiche dei dipendenti, nelle controversie che li oppongano all’organo costituzionale, risulta assicurata per il tramite dell’istituzione di organi interni e procedure di garanzia variamente conformate, in un contesto che al tempo stesso consente che l’interpretazione e l’applicazione della specifica normativa approvata in materia dagli organi costituzionali sia sottratta ad ingerenze esterne.</p> <p style="text-align: justify;">La tutela dei dipendenti è quindi assicurata non già attraverso un giudice speciale ex art. 102 Cost., ma mediante organi interni non appartenenti all’organizzazione giudiziaria, in tanto giustificati in quanto finalizzati alla migliore garanzia dell’autonomia dell’organo costituzionale. L’affidamento a collegi interni del compito di interpretare e applicare le norme relative al rapporto di lavoro dei dipendenti con gli organi costituzionali di cui si tratta, nonché la sottrazione delle decisioni di tali collegi al controllo della giurisdizione comune è, in definitiva, un riflesso dell’autonomia degli stessi organi costituzionali.</p> <p style="text-align: justify;">Non essendo stati poi configurati gli organi di autodichia quali giudici speciali, avverso le loro decisioni non sarebbe neppure configurabile per la Corte – come richiesto in via subordinata dalla ricorrente – il ricorso ex art. 111, settimo comma, Cost.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, ma è quel che più conta ai fini del riconoscimento dell’esistenza di una tutela effettiva, deve per il Collegio sottolinearsi la circostanza onde le fonti interne approvate dalle Camere e dal Presidente della Repubblica hanno dato vita ad organi di autodichia i quali, benché “<em>interni</em>” ed estranei all’organizzazione della giurisdizione, risultano costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialità, come del resto, in relazione alla funzione del giudicare, impongono i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3, 24, 101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella <a href="http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-92505">sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia. </a></p> <p style="text-align: justify;">In particolare, le fonti di autonomia delle Camere assicurano attualmente idonee incompatibilità, volte ad impedire che il medesimo soggetto possa contemporaneamente far parte dell’organo amministrativo che assume i provvedimenti relativi al personale (Consiglio di Presidenza del Senato e Ufficio di Presidenza della Camera) e degli organi di autodichia in primo e secondo grado. Inoltre, pur prevedendo che i componenti di tali ultimi organi siano scelti in larga parte fra i parlamentari, le medesime fonti richiedono che costoro possiedano determinate competenze tecniche, sul corretto presupposto che la loro qualificazione professionale possa favorire un esercizio indipendente della funzione (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0177s-73.html">sentenza n. 177 del 1973</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Per parte sua, il Presidente della Repubblica ha istituito organi di primo e secondo grado, composti solo da magistrati, nominati con relativo decreto, su proposta del Segretario generale, previa designazione dei Presidenti dei rispettivi organi giudiziari.</p> <p style="text-align: justify;">Né è da trascurare che, presso entrambi gli organi costituzionali, i giudizi si svolgono, in primo e in secondo grado, secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio.</p> <p style="text-align: justify;">Tutto ciò ulteriormente conferma per la Corte che la deroga alla giurisdizione qui in discussione, di cui costituisce riflesso la connessa limitazione del diritto al giudice, non si risolve in un’assenza di tutela. Tale limitazione, infatti, risulta compensata dall’esistenza di rimedi interni affidati ad organi che, pur inseriti nell’ambito delle Amministrazioni in causa, garantiscono, quanto a modalità di nomina e competenze, che la decisione delle controversie in parola sia assunta nel rispetto del principio d’imparzialità, e al tempo stesso assicurano una competenza specializzata nella decisione di controversie che presentano significativi elementi di specialità (specialità riconosciuta dalla stessa parte privata intervenuta in giudizio a sostegno dell’accoglimento del conflitto).</p> <p style="text-align: justify;">Si può quindi affermare per il Collegio che gli organi di autodichia sono chiamati a dirimere, in posizione <em>super </em><em>partes</em>, controversie tra l’amministrazione dell’organo costituzionale e i relativi dipendenti secondo moduli procedimentali di carattere giurisdizionale, e dunque a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie in cui siano coinvolte le posizioni giuridiche soggettive dei dipendenti. Non a caso, la Corte ha già riconosciuto che il carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività degli organi di autodichia, posti in posizione d’indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (<a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2017/0231s-17.html">sentenza n. 213 del 2017</a>; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/2001/0376s-01.html">sentenze n. 376 del 2001</a> e <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1971/0012s-71.html">n. 12 del 1971</a>).</p> <p style="text-align: justify;">Per tutto quanto affermato, l’approvazione, da parte del Senato della Repubblica e del Presidente della Repubblica, degli atti normativi impugnati non ha determinato una lesione della sfera di attribuzioni della ricorrente Corte di cassazione, sezioni unite civili. Vanno perciò per la Corte rigettati i ricorsi per conflitto da questa proposti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.8986 che registra (prendendone atto) come con la sopravvenuta sentenza 13 dicembre 2017, n. 262, la Corte costituzionale abbia respinto due ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati dalle Sezioni Unite stesse, rispettivamente, nei confronti del Senato della Repubblica e della Presidenza della Repubblica, in relazione alle norme che istituiscono e disciplinano gli organi di autodichia competenti a decidere sui ricorsi riguardanti i rapporti di lavoro dei dipendenti del Senato e del Segretariato generale della medesima Presidenza della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;">La Corte costituzionale è pervenuta a tale conclusione – rammenta il Collegio - sul principale argomento onde l'autodichia - intesa come potestà degli organi costituzionali di decidere attraverso organi interni le controversie che attengano allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei loro dipendenti, applicando la disciplina normativa che gli stessi organi si sono dati in materia - costituisce manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest'ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale; la Corte costituzionale ha escluso che i suddetti collegi interni siano da configurare quali giudici speciali ex art. 102 Cost. e che, pertanto, avverso le loro decisioni non è ipotizzabile il ricorso ex art. 111, settimo comma, Cost., specificando che la sottrazione di tale controllo della giurisdizione comune è, in definitiva, un riflesso dell'autonomia degli stessi organi costituzionali in cui gli organi dell'autodichia sono inseriti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.7220 che – in sede di regolamento preventivo di giurisdizione – si pronuncia in tema di vitalizi degli ex deputati, giurisdizione, autodichia e legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale</p> <p style="text-align: justify;">Per il Collegio, conformemente alle conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, deve essere dichiarato nel caso di specie il difetto assoluto di giurisdizione. La questione – si rammenta in <em>incipit</em> - è stata già esaminata dalle Sezioni Unite, le quali, nelle ordinanze del 8/7/2019, n. 18265 e 18266 e, da ultimo, del 21/1/2020, n. 1720, - alle cui motivazioni si rinvia in quanto integralmente condivise, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. cod.proc.civ. -, hanno espresso il seguente principio di diritto: «<em>Le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari - istituto riconducibile alla normativa di "</em>diritto singolare<em>" che si riferisce al Parlamento e ai suoi membri a presidio della peculiare posizione di autonomia riconosciuta dagli artt. 64, comma 1, 66 e 68 Cost. - spettano alla cognizione degli organi di autodichia, i quali, pur essendo "</em>interni<em>" all'organo costituzionale di appartenenza ed estranei all'organizzazione della giurisdizione (sicché non rientrano nel novero dei giudici speciali di cui all'art. 102 Cost. e i loro provvedimenti non sono soggetti al sindacato di legittimità previsto dall'art. 111, comma 7, Cost.), tuttavia svolgono un'attività obiettivamente giurisdizionale, che (...) li legittima a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Al principio di diritto su enunciato la Corte rammenta di essere pervenuta prendendo le mosse dalle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017. In particolare, nella sentenza n. 262 del 2017, il Giudice delle leggi ha delineato il concetto di autodichia, quale manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, e ne ha tracciato gli elementi caratterizzanti. Ha così precisato che:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) i collegi dell'autodichia, benché siano "<em>interni</em>" all'organo costituzionale di appartenenza e quindi estranei all'organizzazione della giurisdizione, sono tuttavia tenuti al rispetto della «<em>grande regola</em>» del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei diritti, essendo questa una scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, che non può conoscere eccezioni (Corte cost., sentenza n. 238 del 2014);</li> <li>b) i suddetti collegi, in seguito alle ultime modifiche, sono costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza e imparzialità e sono quindi chiamati a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie loro attribuite come impongono, in relazione alla funzione del giudicare, i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3, 24, 101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte europea dei diritti dell'uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia;</li> <li>c) presso la Camera dei Deputati e presso il Senato della Repubblica le controversie in argomento si svolgono, in primo e in secondo grado, secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio;</li> <li>d) è da escludere, quindi, che tali collegi siano stati configurati quali giudici speciali ex art. 102 Cost., sicché avverso le loro decisioni non è neppure ipotizzabile il ricorso ex art. 111, settimo comma, Cost., essendo la sottrazione delle decisioni stesse al controllo della giurisdizione comune, in definitiva, un riflesso dell'autonomia degli organi costituzionali in cui sono inseriti;</li> <li>e) il carattere oggettivamente giurisdizionale dell'attività degli organi di autodichia, posti in posizione d'indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971) (così, per tutte: Cass. Sez. Un., 4/5/2018, n. 10775).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">In questa prospettiva, prosegue il Collegio, l'attribuzione della decisione sulla presente controversia agli organi di autodichia del Parlamento deve considerarsi pacifica (Corte Cost. n. n. 262/2017 cit.).</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, occorre precisare per la Corte che gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all'indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico (v. pure parere del Consiglio di Stato del 3/8/2018, n. 2016, reso sulla presente riforma).</p> <p style="text-align: justify;">Essi, invero, hanno sempre assunto nella disciplina costituzionale e ordinaria connotazioni distinte, quanto a presupposti e finalità, da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (Corte cost., sentenza n. 289 del 1994 e, nello stesso senso: Cass. 1/10/2010, n. 20538; Cass. 20/6/2012, n. 10177; Cass. 10/2/2017, n. 3589).</p> <p style="text-align: justify;">La loro attribuzione ai membri del Parlamento, a norma dell'art.69 Cost., è finalizzata a garantire il libero svolgimento del mandato: in particolare, si è sottolineato che, così come l'assenza di emolumento disincentiverebbe l'accesso al mandato parlamentare o il suo pieno e libero svolgimento, rispetto all'esercizio di altra attività lavorativa remunerativa, allo stesso modo, l'assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un'attività lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale.</p> <p style="text-align: justify;">Si è così affermato – prosegue la Corte - che il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell'indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato, nel senso che la relativa corresponsione è sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all'accesso alla cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell'attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l'indipendenza (così sempre Cass. Sez.Un. n. 18266/2019, cit.).</p> <p style="text-align: justify;">Questa assimilazione non è esclusa dal rilievo che la disciplina dei due istituti è rinvenibile in fonti differenti, - visto che solo per l'indennità è prevista la riserva di legge -, essendo indubbio che entrambi gli istituti rientrano nell'ambito della normativa «<em>da qualificare come di diritto singolare</em>» che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare loro riconosciuta dagli artt. 64, comma 1°, 66 e 68 Cost. (Corte cost., sentenze n. 66 del 1964 e n. 24 del 1968 nonché sentenza n. 379 del 1996).</p> <p style="text-align: justify;">Quanto alla possibilità che la disciplina degli assegni vitalizi sia dettata da un regolamento della Camera, chiosa ancora il Collegio, essa deve ritenersi consentita in assenza di una preclusiva riserva, sia pur relativa, di legge, di fatto scolpita con esclusivo riferimento alla sola "indennità" parlamentare (art. 69 Cost.): come si legge nel citato parere del Consiglio di Stato, che ha tratto argomenti anche dalla sentenza n. 289/1994 dalla Corte costituzionale, «<em>la materia risulta, in sostanza, assoggettata ad un regime di ordinaria e potenziale concorrenza tra lo strumento legislativo e quello regolamentare il quale, di per sé, non impone ma neppure preclude - alla luce di valutazioni di ordine essenzialmente politico-istituzionale - l'integrale opzione (funzionalmente autonomistica e storicamente avallata) per il regolamento interno. In definitiva, la scelta della fonte normativa deve ritenersi - nel quadro delle esposte coordinate - rimessa all'apprezzamento della Camera richiedente</em>».</p> <p style="text-align: justify;">L'assimilazione e, in un certo senso, la derivazione dell'assegno vitalizio dall'indennità parlamentare escludono che, rispetto alle controversie relative al diritto all'assegno vitalizio dell'ex parlamentare e alla relativa entità, l'ex parlamentare possa essere considerato "<em>soggetto terzo</em>" sol perché la sua carica è cessata.</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva che le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell'indennità parlamentare e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari non possono che essere decise – per il Collegio - dagli organi dell'autodichia, la cui previsione risponde alla medesima finalità di garantire la particolare autonomia del Parlamento e quindi rientra nell'ambito della suindicata normativa di "<em>diritto singolare</em>".</p> <p style="text-align: justify;">L'esistenza di una sfera di autonomia speciale garantita alle Camere in cui va inserita anche l'autodichia in oggetto, non esclude la legittimazione degli organi di autodichia a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (Corte cost., sentenza n. 213 del 2017).</p> <p style="text-align: justify;">Neppure può convenirsi – chiosa ancora la Corte - con gli assunti del ricorrente circa la mancanza di indipendenza e imparzialità degli organi dell'autodichia, ove si consideri che, a partire dai Decreti Presidenziali nn. 81 ed 89 del 1996, la Camera dei deputati si è dotata di una struttura decisionale di autodichia che assicura il rispetto dei principi di precostituzione, imparzialità e indipendenza dei collegi previsti per la risoluzione delle controversie, in conformità con quanto previsto dagli artt. 25, 104, 107 e 108 Cost. e dall'art. 6 CEDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU resa nel caso Savino e altri contro Italia (Cass. Sez. Un. 17/3/2010, n. 6529).</p> <p style="text-align: justify;">Infine, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2017, tutto questo «<em>ulteriormente conferma che la deroga alla giurisdizione qui in discussione, di cui costituisce riflesso la connessa limitazione del diritto al giudice, non si risolve in un'assenza di tutela, in quanto tale limitazione risulta compensata dall'esistenza di rimedi interni affidati ad organi che, pur inseriti nell'ambito delle amministrazioni in causa, garantiscono, quanto a modalità di nomina e competenze, che la decisione delle controversie in parola sia assunta nel rispetto del principio d'imparzialità, e al tempo stesso assicurano una competenza specializzata nella decisione di controversie che presentano significativi elementi di specialità</em>».</p> <p style="text-align: justify;">Queste considerazioni, per la Corte da un lato confermano la carenza assoluta di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria a conoscere della presente controversia; dall'altro escludono la sussistenza dei presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 25211 che torna sula questione della giurisdizione sulle controversie relative all’entità del trattamento di reversibilità del vitalizio originariamente erogato ad un ex parlamentare defunto.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, viene ricordato che in tre recenti decisioni delle stesse Sezioni Unite, in materia di riduzione dell’entità dei vitalizi degli ex parlamentari (Cass. SU n. 18265 e n-. 18266 del 2019 e n. 1720 del 2020), è stato fra l’altro precisato che: a) la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha specificato che per autodichia si intende, comunemente, la capacità di una istituzione - ed in particolar modo degli organi costituzionali che siano già muniti di autonomia organizzativa e contabile - di decidere direttamente, con giudizio dei propri organi, ogni controversia attinente all’esercizio delle proprie funzioni senza che istituzioni giurisdizionali esterne possano esercitare sui relativi atti controlli e sindacati di sorta, applicando la disciplina normativa che gli stessi organi si sono dati nelle materie trattate; b) come sottolineato nelle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, l’autodichia costituisce manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest’ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale; c) vi sono ipotesi di autodichia che trovano diretto fondamento nella Costituzione cui si accompagna la speculare carenza assoluta di giurisdizione dei giudici ordinari ed amministrativi - come quella prevista dall’art. 66 della Carta in base al quale ciascuna Camera ha il potere di giudicare dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità - mentre per altre forme di autodichia il fondamento nella Costituzione è solo indiretto, come accade per la giurisdizione domestica nelle controversie di impiego dei dipendenti del Parlamento, della quale entrambe le Camere si sono munite nell’esercizio del potere regolamentare loro attribuito dall’art. 64 Cost., comma 1, adottando per il funzionamento di tale giurisdizione interna regolamenti minori; d) gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all’indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico; e) tale indennità, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego, essendosi sottolineato che la sua attribuzione ai membri del Parlamento, a norma dell’art. 69 Cost., è finalizzata a garantire il libero svolgimento del mandato; f) in particolare, il principio enunciato dall’art. 69 Cost. - "I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge" che rappresenta un ribaltamento della formula adottata dallo Statuto albertino, deve essere considerato come una delle garanzie di effettività per i collegati principi della libertà di scelta dei propri rappresentati da parte degli elettori (art. 48 Cost.), dell’accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.) e del libero esercizio delle funzioni del parlamentare senza vincolo di mandato (art. 67 Cost.); g) in altre parole, dal suddetto collegamento tra indennità parlamentare e assegno vitalizio si desume che così come l’assenza di emolumento disincentiverebbe l’accesso al mandato parlamentare o il suo pieno e libero svolgimento, rispetto all’esercizio di altra attività lavorativa remunerativa; allo stesso modo l’assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un’attività lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale; h) pertanto, se il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato - sebbene esso non trovi specifica menzione nella Costituzione, a differenza dell’indennità prevista nell’art. 69 Cost. - può dirsi che la sua corresponsione sia sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell’attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza, come del resto accade in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, viene evidenziato che nelle richiamate sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017 sono state escluse dall’autodichia le controversie che riguardino direttamente o indirettamente "soggetti terzi".</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, è stato affermato (sentenza n. 120 del 2014) come secondo la giurisprudenza costituzionale, davanti a ciò che "(...) esuli dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la "grande regola" dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 Cost.)".</p> <p style="text-align: justify;">I citati precedenti delle Sezioni Unite hanno affermato che:</p> <p style="text-align: justify;">- anche se la disciplina sostanziale dell’indennità parlamentare e dell’assegno vitalizio è rinvenibile in fonti differenti, visto che solo per l’indennità è prevista la riserva di legge (che tuttora trova riscontro nella L. 31 ottobre 1965, n. 1261), è indubbio che entrambi gli istituti rientrino nell’ambito della normativa "da qualificare come di diritto singolare" che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare loro riconosciuta dall’art. 64 Cost., comma 1, artt. 66 e 68 Cost.;</p> <p style="text-align: justify;">- l’anzidetta derivazione dell’assegno vitalizio dall’indennità parlamentare esclude che rispetto alle controversie relative al diritto all’assegno vitalizio dell’ex parlamentare e alla relativa entità l’ex parlamentare possa essere considerato "soggetto terzo" solo perché la sua carica è cessata.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, dal combinato disposto dell’art. 12, comma 3, lett. f) e d) del Regolamento generale con l’art. 1 del Regolamento per la tutela giurisdizionale non concernente i dipendenti si desume che le controversie relative a diritti di "soggetti esterni" alla Camera rientrano nell’autodichia solo se esse si riferiscono ad atti di organizzazione della Camera stessa (appalti di lavori, servizi, forniture oppure concorsi), mentre non vi rientrano se hanno ad oggetto un "trattamento economico" di un soggetto esterno alla Camera.</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, tali norme regolamentari vanno lette insieme con la della L. n. 1261 del 1965, artt. 1 e 8 (Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento) da cui si desume: a) anzitutto, in via preliminare, i fondi per la corresponsione dell’indennità parlamentare - e quindi per gli assegni vitalizi e per i conseguenti trattamenti di riversibilità - vengono presi dall’appannaggio annuo che le Camere hanno a disposizione e la loro quantificazione spetta ai Consigli di Presidenza di Camera e Senato, tenendo conto di quanto disposto dalla L. n. 1261 del 1965, art. 1 cit., secondo cui: "L’indennità spettante ai membri del Parlamento a norma dell’art. 69 della Costituzione per garantire il libero svolgimento del mandato è regolata dalla presente legge ed è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere determinano l’ammontare di dette quote in misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate"; b) pertanto, non sono stabiliti degli importi precisi per l’indennità parlamentare (e per gli altri suindicati trattamenti che da essa derivano) ma solo dei tetti massimi; c) l’INPS non ha alcuna competenza e alcun rapporto con i vitalizi dei parlamentari e i trattamenti di riversibilità conseguenti; d) l’assegno di reversibilità del vitalizio ha una disciplina propria, diversa da quella dei trattamenti di reversibilità in genere.</p> <p style="text-align: justify;">La derivazione degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari dall’indennità parlamentare comporta che le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura di tali assegni vitalizi, al pari di quelle relative all’indennità parlamentare, non possano che essere decise dagli organi dell’autodichia, la cui previsione risponde alla indicata finalità di garantire la particolare autonomia del Parlamento e quindi rientra nell’ambito della suindicata normativa di "diritto singolare", la cui applicazione consente il superamento anche del principio dell’unicità della giurisdizione, in base al quale il giudice ordinario è dotato della giurisdizione generale e i giudici speciali previsti dalla Costituzione operano in via meramente derogatoria e sulla base di previsioni legislative.</p> <p style="text-align: justify;">In base ai medesimi principi, anche per le controversie nelle quali si discute esclusivamente l’entità dell’assegno di riversibilità del vitalizio originariamente erogato all’ex parlamentare (poi deceduto) non può che affermarsi l’esistenza dell’autodichia, in quanto non è in contestazione un autonomo "trattamento economico" di un soggetto esterno alla Camera - cui fa riferimento la disciplina regolamentare citata dalla ricorrente - ma è in discussione la consistenza di un trattamento che deriva dall’assegno vitalizio dell’ex parlamentare e che, quindi, sia pure in seconda battuta, deriva anch’esso dall’indennità parlamentare a questi corrisposta durante il mandato.</p> <p style="text-align: justify;">Quindi, al pari dell’indennità e dell’assegno vitalizio anche il trattamento di riversibilità in oggetto rientra nell’ambito del "diritto singolare" riconosciuto dalla nostra Costituzione al Parlamento nazionale e ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare di indipendenza e autonomia loro attribuita dall’art. 64 Cost., comma 1, artt. 66 e 68 Cost..</p> <p style="text-align: justify;">Ciò risulta confermato anche dal fatto che la relativa disciplina è del tutto peculiare e che ne prevede la corresponsione a carico del fondo in dotazione del Parlamento stesso, fondo la cui esistenza rappresenta un ulteriore - significativo - elemento dell’anzidetto "diritto singolare".</p> <p style="text-align: justify;">Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: "le controversie relative all’entità del trattamento di reversibilità del vitalizio originariamente erogato ad un ex parlamentare defunto, spettano alla cognizione degli organi di autodichia della Camera di appartenenza dell’ex parlamentare al pari di quelle concernenti gli assegni vitalizi, in quanto il suddetto trattamento ha sempre la sua fonte nell’indennità di carica goduta dal parlamentare in relazione all’esercizio del proprio mandato. I suddetti organi svolgono un’attività obiettivamente giurisdizionale, che, per un verso, li legittima a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio, mentre, per altro verso, comporta l’ammissibilità di uno strumento di carattere non impugnatorio qual è il regolamento preventivo di giurisdizione".</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le controversie che fanno eccezione alla normale giurisdizione esclusiva del GA in materia di c.d. impiego pubblico non privatizzato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>le controversie in tema di pensioni pubbliche, affidate alla giurisdizione (esclusiva) della Corte dei conti;</li> <li>le controversie in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, affidate alla giurisdizione esclusiva delle SSUU della Cassazione;</li> <li>le controversie in tema di repressione della condotta antisindacale c.d. monooffensiva (che dunque vulnera il solo sindacalista), affidata alla giurisdizione esclusiva del GO;</li> <li>le controversie instaurate da dipendenti di organi a rilevanza costituzionale, soggette alla giurisdizione “<em>domestica</em>” dei ridetti organi costituzionali (c.d. autodichia: Camere, Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale); per dipendenti si intendono anche gli aspiranti tali che impugnino gli atti di un concorso bandito dai ridetti organi costituzionali; trattandosi, nondimeno, di fattispecie eccezionale, l’autodichia non può applicarsi oltre i casi tassativamente scolpiti dalle norme (e dai principi) che la prevedono, onde si ritiene che appartengano all’autorità giudiziaria le controversie che involgano, ad esempio, il parlamentare ed un relativo collaboratore.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dei rapporti tra pubblico impiego “<em>non privatizzato</em>”, condotta antisindacale e giurisdizione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="300"> <li>occorre muovere dalla c.d. condotta antisindacale, prevista dall’art.28 del c.d. Statuto dei lavoratori (legge 300.70) ed applicabile – ai sensi dell’art.37 – agli enti pubblici economici ed agli altri enti pubblici, senza tuttavia un riferimento esplicito ai pubblici dipendenti, con particolare riguardo a quelli “<em>non privatizzati</em>”;</li> <li>specie in relazione a questi ultimi, prevale comunque la tesi della giurisdizione del GO, sulla scorta delle prese di posizione, rispettivamente, della Corte costituzionale n.2003 e delle SSUU della Cassazione nel 2010.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dei rapporti tra pubblico impiego “<em>non privatizzato</em>”, danno da <em>mobbing</em> e giurisdizione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="165"> <li>l’art.63, comma 4, del decreto legislativo 165.01 attribuisce al GA la giurisdizione esclusiva tutte le controversie in tema di rapporto di lavoro non privatizzato di cui al precedente art.3, ivi comprese quelle afferenti ai c.d. “<em>diritti patrimoniali connessi</em>”;</li> <li>ciò fa ritenere alla giurisprudenza che, in caso di <em>mobbing</em> pubblico e di pertinente richiesta risarcitoria da parte del lavoratore, la giurisdizione spetti per l’appunto, in via esclusiva, al GA;</li> <li>si configurano come <em>mobbing</em> un insieme di condotte del datore di lavoro (nel caso di specie, pubblico) protratte nel tempo e connotate da un intento persecutorio ai danni del prestatore di lavoro, palesandosi orientate alla relativa emarginazione;</li> <li>tali condotte rilevano in sé, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali ovvero dalla violazione di specifiche norme poste a tutela del lavoratore subordinato;</li> <li>in presenza di <em>mobbing</em>, il <em>vulnus</em> al bene del prestatore di volta in volta protetto va riscontrato giusta valutazione globale e complessiva dei singoli episodi che vengono portati allo scandaglio del giudice ed assunti lesivi;</li> <li>la condotta datoriale appare così, per caratteristiche oggettive palesate, offensiva del prestatore sulla scorta della relativa durata nel tempo e della relativa sistematicità;</li> <li>dal punto di vista della giurisdizione, si contendono il campo 2 orientamenti: g.1) la giurisdizione è sempre, in via esclusiva, del GA, tanto quando il danno da <em>mobbing</em> discenda da responsabilità “<em>contrattuale</em>” della PA datoriale, quanto nell’ipotesi in cui si tratti di responsabilità aquiliana (orientamento minoritario); g.2) la giurisdizione appartiene, in via esclusiva, al GA, solo quando il danno da <em>mobbing</em> discenda da responsabilità “<em>contrattuale</em>” della PA datoriale, mentre nell’ipotesi in cui si tratti di responsabilità aquiliana la giurisdizione spetta al GO (orientamento dominante);</li> <li>una fattispecie particolare – che costituisce tuttavia una sorta di “<em>ossimoro</em>” logico – è quella del possibile cumulo di responsabilità aquiliana e contrattuale onde, in particolari situazioni, la prima concorrerebbe con la seconda; in queste fattispecie, se da un lato si configura una responsabilità “<em>contrattuale</em>” della PA datoriale, dall’altro – pur non potendosi conseguentemente assumere il pertinente rapporto di lavoro quale mera occasione per la condotta vessatoria di superiori o di colleghi nei confronti della vittima (che in queste ipotesi è appunto assimilabile ad un “<em>terzo</em>”, potendo come tale agire ex art.2043 c.c.) – la responsabilità aquiliana potrebbe comunque (cumulativamente) scattare in presenza di una <em>culpa in vigilando</em> dell’Amministrazione che, pur consapevole della ridetta situazione di vessazione ed ostilità, nulla abbia fatto per porre ad essa fine.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>