Massima
Come ogni responsabilità, anche quella dell’Amministrazione pubblica è strettamente avvinta ad una “risposta” (“respondeo”) nei confronti di chi – normalmente un privato – chiede ristoro per un comportamento assunto fuori asse rispetto al contesto ordinamentale vigente oltre che, ad un tempo, produttivo di danni; dovendosi tuttavia indagare quale sia il regime col quale si chiede ed eventualmente si ottiene il pertinente risarcimento del pregiudizio dalla parte pubblica, sulla scorta per lo più di collaudati archetipi civilistici (scolpiti, rispettivamente, all’art.1218 c.c., agli articoli 1337 e 1338 c.c., ovvero all’art.2043 c.c.) ma talvolta anche seguendo una parabola “autonoma” che appare, nondimeno, più teorica che pratica e concreta.
Crono-articolo
1865
Il 20 marzo viene varata la legge n.2248, allegato E, c.d. abolitrice del contenzioso amministrativo, che prevede agli articoli 4 e 5 la possibilità per il GO – l’unico giudice previsto dal sistema – di disapplicare il provvedimento amministrativo e di risarcire il danno, dovendosi poi la PA adeguare annullando l’atto assunto illecito/illegittimo in sede di autotutela.
1942
Il codice civile, in tema di responsabilità per l’appunto civile, conosce tradizionalmente le ipotesi di responsabilità connessa ad una obbligazione precostituita (c.d., ma in modo improprio, “contrattuale”) ex art.1218 e seguenti; le ipotesi di responsabilità aquiliana, collocantesi del tutto al di fuori da qualunque rapporto precostituito tra le parti, massime se cristallizzato in un contratto (c.d. extracontrattuale) di cui agli articoli 2043 e seguenti; le ipotesi, per chi le considererà autonome rispetto alle prime due, nelle quali un contratto non vi è, ma si tratta per giungervi, ovvero vi si giunge ma si stipula un contratto invalido (c.d. precontrattuale) ex art.1337 e 1338.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede una norma esplicitamente dedicata alla responsabilità dei pubblici dipendenti: si tratta dell’art.28, onde i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, con la precisazione che in tali casi – di diretta responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici – la responsabilità civile (e non anche penale ed amministrativa) “si estende” allo Stato e agli enti pubblici medesimi. L’art.28 è peraltro collocato nella Parte prima della Costituzione, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, chiudendone il Titolo I, dedicato ai rapporti civili; essa è funzionale a costituire un baluardo, un presidio per le libertà civili previste negli articoli precedenti, e dunque per i diritti fondamentali dei cittadini; da ciò la conseguenza onde la responsabilità civile degli enti pubblici è prevista esclusivamente laddove si verifichi una lesione di diritti soggettivi (massime se “assoluti”, come è tipico appunto dei diritti fondamentali), e non anche di interessi legittimi (salvo a voler considerare il riferimento ai “diritti” contenuto nell’art.28 come estensibile anche agli interessi legittimi, quali particolari “diritti” ovvero situazioni giuridiche soggettive). Inoltre, la Carta parla di “leggi civili” e di “responsabilità civile” della PA e dei relativi agenti, lasciando sullo sfondo la natura della ridetta responsabilità, che potrebbe qualificarsi come aquiliana, come contrattuale, ovvero di altra natura (precontrattuale, tertium genus e così via). Dal punto di vista soggettivo, è anche aperta la questione se quella dell’Ente si atteggia a responsabilità oggettiva, ovvero debba necessariamente essere presidiata da una componente (almeno) colposa, tanto del soggetto agente quanto dell’apparato cui appartiene; se si tratta di una responsabilità parallela e sussidiaria (come parrebbe evincersi dalla dicitura “si estende”) rispetto a quella dei funzionari e dei dipendenti (responsabili in prima battuta), ovvero asimmetrica (non necessariamente parallela) e solidale. Dal punto di vista processuale, importante l’art.111, ultimo comma, della Carta laddove si prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato (oltre che della Corte dei conti) il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione: questo significa che per le questioni risarcitorie da fatto illecito (teoricamente) rimesse al Consiglio di Stato (e per quelle che in seguito saranno rimesse ai Tar in primo grado) – a differenza di quanto accade per quelle civilistiche “pure” rimesse al Giudice ordinario – non esiste un terzo grado di giudizio di legittimità nomofilattico della Cassazione, ma solo un eventuale giudizio sulla giurisdizione.
1963
L’8 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1142 che, discostandosi dall’orientamento tradizionale incline a negarla recisamente, assume configurabile una responsabilità precontrattuale anche in capo alla PA in caso di ingiustificata rottura delle trattative orientate alla stipula di un contratto. Per la Corte in particolare non vale invocare né la presunzione di correttezza (e legittimità) che assisterebbe il contegno dei soggetti pubblici, né (potendo egli solo disapplicare ex art.4 della L.A.C.) la non ammissibilità di un sindacato del giudice ordinario sulle scelte discrezionali dell’Amministrazione (che si collocherebbero su di un piano diverso rispetto alla lesione dell’aspettativa alla correttezza d’azione), né – più in radice – la non configurabilità in capo al privato di un affidamento meritevole di tutela a cagione della natura pubblica delle norme che disciplinano l’attività della PA e che, proprio in quanto tali, non potrebbero ingenerare appunto, secondo la tesi tradizionale, un affidamento meritevole di tutela. Per la Corte va piuttosto seguito l’insegnamento della dottrina più illuminata, alla cui stregua un conto è valutare da parte del GO se l’organo pubblico si sia condotto da corretto amministratore, ed un altro conto è valutare se si sia condotto da corretto contraente.
1987
Il 4 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2253, che assume configurabile una responsabilità precontrattuale della PA laddove, intervenuta l’aggiudicazione di una gara ed il successivo contratto, la PA medesima impedisca in modo doloso o colposo l’attività di controllo sul contratto medesimo da parte degli organi competenti, non confezionandolo in modo formale ovvero, dopo averlo confezionato, non trasmettendolo appunto all’autorità di controllo, e così impedendogli di acquisire efficacia.
1997
Il 26 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.4673, alla cui stregua – secondo un costante orientamento pretorio – pur essendo la PA, in linea astratta e di principio, assoggettata alle regole di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c. in tema di responsabilità precontrattuale, la concreta applicazione di dette norme può tuttavia assumersi solo laddove essa proceda a selezionare il contraente giusta trattativa privata, essendo in tal caso tenuta ad ottemperare alle regole della correttezza come qualsivoglia altro operatore. Comportarsi secondo la buona fede oggettiva presuppone infatti una relazione specifica tra i protagonisti delle intavolate trattative, circostanza non predicabile al cospetto di un procedimento di selezione del contraente privato diverso appunto dalla “trattativa privata”, laddove i soggetti coinvolti sono titolari solo di interessi legittimi correlati alla procedura di evidenza pubblica ed al corretto esercizio del pertinente potere di selezione dell’interlocutore privato. Altra ipotesi in cui rileva la responsabilità precontrattuale della PA, questa volta anche al cospetto di procedure di evidenza pubblica, è quella in cui il comportamento deviante della PA rispetto al canone della correttezza e buona fede venga posto in essere quando già si sia personalizzato il rapporto tra PA e interlocutore privato, come nel caso in cui – in difetto di plausibili ragioni di pubblico interesse – la PA medesima ometta di stipulare il contratto con la ditta alfine risultata aggiudicataria. Si tratta di un orientamento pretorio, consolidato, che distingue le due fasi, rispettivamente, anteriore all’aggiudicazione (si tratta ancora di selezionare il contraente privato avvalendosi di poteri pubblicistici, non si configurano “parti” in senso tecnico né tampoco obblighi reciproci di correttezza tra le stesse, non potendosi neppure strutturalmente isolare una trattativa tra i soggetti coinvolti nella vicenda) e successiva all’aggiudicazione laddove invece, essendo stato ormai individuato un soggetto specifico quale interlocutore contrattuale della parte pubblica, il mancato perfezionamento del contratto o la mancata acquisizione di efficacia, ove imputabili alla PA, fanno scattare l’art.1337 cc. Una presa di posizione che viene tuttavia criticata da quella parte della dottrina che osserva come in realtà il procedimento (pubblicistico) di gara fa parte integrante delle trattative che conducono PA e privato alla stipula del contratto, in quanto è una sottofase nell’ambito della progressiva formazione del consenso tra le parti. Da questo punto di vista, l’evidenza pubblica va letta sia in ottica pubblicistica, come serie di atti preordinati all’aggiudicazione e poi al contratto; sia in ottica privatistica, quale strumento attraverso il quale la PA giunge alla formazione della propria volontà da far confluire nel mutuo consenso delle parti contrattuali; il bando o invito alla gara, tale in senso pubblicistico, è secondo questa opzione ermeneutica un privatistico invito ad offrire; l’offerta del privato aspirante interlocutore si configura come proposta contrattuale, e l’aggiudicazione, tale in senso pubblicistico, vale anche come accettazione della proposta del privato (o, secondo altra tesi che si affermerà, come atto che rende irrevocabile la proposta privata), e questo è il motivo per il quale il privato – che pure resta titolare dell’interesse legittimo al cospetto della gara, e della connessa tutela demolitoria – non può assumersi nel medesimo tempo privato degli strumenti di tutela privatistici, corrispondenti alla “veste” per l’appunto privata dell’evidenza pubblica, potendo in particolare attivare gli articoli 1337 e 1338 c.c., con conseguente invocazione della responsabilità risarcitoria precontrattuale della PA.
1999
Il 22 luglio esce la storica sentenza delle SSUU n.500 che si esprime in termini di responsabilità aquiliana dell’Amministrazione ex art.2043 c.c. La Corte parte dal fatto che è “ingiusto” ai sensi della ridetta norma non già solo il danno derivante dalla lesione di un diritto assoluto o di un diritto di credito, ma anche il danno inferto all’interesse legittimo, da intendersi come situazione giuridica sostanziale collegata ad un bene della vita del relativo portatore, che è ad esso sotteso. Nel momento in cui l’azione pubblica ha vulnerato l’interesse al bene della vita che è appunto sotteso all’interesse legittimo, da assumersi meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento giuridico, si assiste ad una violazione dell’art.2043 c.c. In sostanza, quando viene leso un interesse legittimo da parte dell’Amministrazione attraverso un atto illegittimo, ciò appare necessario ma non ancora sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria aquiliana: occorre anche che l’attività illegittima e colpevole dell’Amministrazione abbia leso l’interesse al bene della vita che si collega a quell’interesse legittimo, e che è interesse meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico capace di rendere il danno, per l’appunto, “ingiusto” ex art.2043 c.c. Per potersi predicare il risarcimento del danno (aquiliano) inferto all’interesse legittimo (in presenza di un atto illegittimo) occorre in primo luogo che si sia risolto in senso positivo per il privato il giudizio di spettanza in capo al medesimo del bene della vita sotteso al vantato interesse legittimo, massime in fattispecie di interesse c.d. pretensivo, con connessa necessità di un giudizio prognostico in ordine al raggiungimento del bene della vita anelato laddove la PA si fosse comportata in modo legittimo; occorre in secondo luogo che l’azione o l’omissione della PA si sia risolta, giusta nesso di causalità, in un vulnus della ridetta situazione giuridica protetta vantata dal privato; occorre infine, sul crinale soggettivo, la prova della colpa “apparato” dell’Amministrazione, secondo appunto il parametro di cui all’art.2043 c.c., il cui onere grava ancora una volta sul privato attore.
2001
Il 17 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n.1761 che si occupa del danno c.d. da perdita di chance in ipotesi di responsabilità precontrattuale della PA; per il Tar esso non è configurabile quando dall’annullamento giurisdizionale che potrebbe essere fonte appunto di responsabilità precontrattuale pubblica discenda una attività rinnovatoria che fa apparire mera evenienza il soddisfacimento dell’interesse finale del ricorrente, dacché residuano in capo alla PA margini di apprezzamento discrezionale che possono implicare l’adozione di un altro atto parimenti negativo per il privato, e tuttavia questa volta legittimo.
Il 14 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3169 secondo la quale, nel momento in cui prende avvio il procedimento amministrativo, viene ad instaurarsi tra le parti pubblica e privata un significativo “contatto” capace di implicare l’insorgenza in capo alla PA di specifici doveri, massime di natura partecipativo-procedimentale, che impongono alla PA medesima di garantire al privato la partecipazione al procedimento medesimo.
Il 6 agosto esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4239 secondo la quale – innovativamente rispetto al più tradizionale orientamento che vede nella responsabilità della PA una fattispecie riconducibile all’illecito aquiliano ex art.2043 c.c. – vanno colte talune peculiarità nella responsabilità pubblica per ingiusta lesione di interessi legittimi, potendosi scorgere l’esistenza di profili sui generis che ne consentirebbero, in taluni casi, l’accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale, essendosi più in specie osservato che la responsabilità aquiliana presuppone, di regola, una lesione dall’esterno della posizione giuridica della parte interessata, ossia derivante da condotte di soggetti non legati da una precedente relazione giuridica, mentre la vicenda procedimentale destinata a concludersi con il provvedimento che amplia la sfera giuridica del privato è caratterizzata dallo svolgimento di un complesso rapporto amministrativo, nel quale sono individuabili particolari obblighi di comportamento del soggetto pubblico. Il Collegio fa riferimento al contatto procedimentale che connota il rapporto amministrativo sostanziale tra PA e privato, e che è connotato da una costante dialettica tra le due parti e da conseguenti sviluppi istruttori: nel bacino procedimentale in cui si consuma questo contatto, si configurano obblighi di diligenza in capo alla PA – che è garante del corretto sviluppo del procedimento e della relativa, legittima (e tempestiva) conclusione – dalla cui violazione scaturisce senz’altro l’illegittimità dell’atto, ma che fa anche presumere una colpa in capo alla PA agente, la quale può tuttavia sempre dimostrare come – sulla scorta dei canoni generali di sistema – l’adempimento di tali obblighi non era dalla medesima, nel caso di specie, esigibile.
2002
L’8 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3796 onde la responsabilità della PA da provvedimento illegittimo (nel caso di specie, illegittima aggiudicazione a terzi di una gara) è collocabile nell’ottica civilistica obbligatoria del contatto amministrativo qualificato tra Amministrazione ed amministrato. La sentenza rammenta come la giurisprudenza amministrativa più recente (Cons. St., Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239) abbia colto alcune peculiarità della responsabilità della p.a. per ingiusta lesione di interessi legittimi, individuando l’esistenza di profili sui generis che ne consentirebbero, in taluni casi, l’accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale, essendosi più in specie osservato che la responsabilità aquiliana presuppone, di regola, una lesione dall’esterno della posizione giuridica della parte interessata, ossia derivante da condotte di soggetti non legati da una precedente relazione giuridica, mentre la vicenda procedimentale destinata a concludersi con il provvedimento che amplia la sfera giuridica del privato è caratterizzata dallo svolgimento di un complesso rapporto amministrativo, nel quale sono individuabili particolari obblighi di comportamento del soggetto pubblico. Per il Consiglio di Stato la tesi sembra assai attendibile nelle ipotesi, come quella nel caso di specie scrutinata, nelle quali, ove non avesse adottato un illegittimo provvedimento di aggiudicazione, l’Amministrazione non avrebbe potuto esimersi dall’attribuire il bonum della vita al soggetto richiedente, secondo uno schema logico assimilabile all’adempimento.
2003
Il 10 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.157, che – intervenendo nuovamente nella vicenda che ha dato luogo alla sentenza n.500/99 – conclude nel senso onde, anche se l’Amministrazione, dopo l’annullamento dell’atto per vizi formali – nell’ipotesi scandagliata, difetto di motivazione di un PRG – può nuovamente esercitare il potere ri-adottando l’atto senza il pertinente vizio formale, questo non esclude comunque che una lesione alla posizione di vantaggio già acquisita dal privato si sia prodotta giustificando una pretesa al risarcimento. Nel contesto letterale della pronuncia, nondimeno, la responsabilità della PA nei confronti del cittadino viene vista in uno spettro onde appare inadeguato il modello della responsabilità aquiliana e più consono il prototipo della responsabilità contrattuale, a cagione del “contatto” che nel procedimento si instaura tra Amministrazione ed amministrato, e del conseguente difetto di “estraneità” fra i due poli del rapporto intersoggettivo nel cui contesto viene consumato l’illecito. Per la Corte, più in specie, il contatto del cittadino con l’amministrazione appare ormai caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento nell’ambito di un rapporto che in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato, onde la lesione dell’interesse legittimo si atteggia ad inadempimento alle regole di svolgimento dell’azione amministrativa con conseguente configurazione della responsabilità assai più vicina alla responsabilità contrattuale; ciò nella misura in cui – precisa la Corte – si rivela insoddisfacente e inadatto a risolvere con coerenza i problemi applicativi dopo la sentenza Cassazione 500/99/SU, il modello, finora utilizzato, che fa capo all’art.2043 c.c. Per la Corte il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi rappresenta un eterno problema ed un connesso eterno dibattito nel quale si insinua ormai, nondimeno, il disagio di misurare il contatto tra privato e PA secondo i tradizionali canoni del principio di autorità e della connessa presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, con conseguente inadeguatezza del paradigma della responsabilità aquiliana, avendo subìto l’apparato pubblico una trasformazione in senso aziendalistico le cui principali ricadute si riscontrano proprio in tema di impostazione del problema della responsabilità della PA, dal momento che il contatto tra cittadino e parte pubblica si palesa ormai caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento della seconda nell’ambito di un rapporto che in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato. La Corte muove proprio dallo start procedimentale: da quel momento, il privato non è più un mero punto di riferimento passivo dell’azione pubblica ma piuttosto il destinatario beneficiario (creditore) di specifici obblighi pubblici ben evidenziati dal recente arresto delle SSUU n.500 del 1999, e connessi alle regole di correttezza, di imparzialità e di buona amministrazione cui l’esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, ponendosi come limiti esterni alla discrezionalità. Per la Corte, in via del tutto autonoma rispetto all’interesse al bene della vita finale, si configura l’interesse del privato al rispetto di tali regole, da intendersi quale vera essenza dell’interesse legittimo, onde la lesione dell’interesse legittimo in null’altro si risolve se non in un inadempimento alle ridette regole di svolgimento dell’azione amministrativa, facendo luogo ad una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale nella misura in cui, per la Corte, il modello finora utilizzato che fa capo all’art.2043 c.c. si rivela insoddisfacente ed inadatto a risolvere con coerenza i problemi applicativi sorti all’indomani proprio della sentenza n.500 del 1999. Ecco allora che è inadempimento della PA, che implica risarcimento del danno, già la lesione degli obblighi procedimentali, poiché è ai fatti procedimentali che si riferisce realmente l’interesse legittimo, e non già al bene della vita che, pur essendo da essi investito, resta per la Corte ai margini, quale punto di riferimento storico.
Il 20 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.204 che ribadisce, sulla scia della più recente e minoritaria giurisprudenza, la natura “contrattuale” della responsabilità pubblica, a fronte della violazione di obblighi nascenti da contatto amministrativo qualificato nell’ambito del procedimento.
Il 15 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1945, che assume come la ricostruzione della responsabilità della PA in termini di responsabilità derivante dalla violazione degli obblighi imposti a presidio dell’affidamento del privato, da assumersi meritoria laddove consente di ristorare al privato medesimo, in via equitativa, il pregiudizio subito anche nell’ipotesi in cui non si riesca a comprovare la spettanza dell’utilità finale anelata, non può di certo condurre ad un abbattimento della portata rimediale della tutela ristoratoria, precludendo sempre e comunque al privato di invocare, dimostrandolo anche con riferimento al quantum, il risarcimento del danno pieno subito per il mancato conseguimento del bene della vita, in tali ipotesi il giudice non potendo – per il Consiglio – eludere la domanda né tampoco accoglierla a prescindere dalla formulazione di un giudizio, laddove possibile, sulla certa o statisticamente probabile spettanza del bene dell’utilità finale. In sostanza, per il Consiglio di Stato accogliere la tesi della responsabilità ex art.1218 c.c. derivante dalla violazione degli obblighi procedimentali da parte dell’Amministrazione e dalla conseguente lesione dell’affidamento privato non può escludere per il privato medesimo la possibilità di provare anche la spettanza del bene della vita, con conseguente maggior consistenza del danno invocabile.
*Il 20 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Veneto n.5778 che ribadisce, sulla scia della più recente e minoritaria giurisprudenza, la natura “contrattuale” della responsabilità pubblica, a fronte della violazione di obblighi nascenti da contatto amministrativo qualificato nell’ambito del procedimento.
2005
Il 01 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.816 secondo la quale, in fattispecie di rottura ingiustificata delle trattative non assistita, come tale, da motivi idonei a sorreggerla, la PA incorre in responsabilità precontrattuale ex art.1337 c.c.: è ben vero che la PA medesima gode di discrezionalità nella selezione dell’interlocutore privato con il quale poi concludere il contratto divisato, ma l’obbligo di buona fede e correttezza e la connessa tutela dell’affidamento ingenerato nel privato medesimo con l’avvio delle trattative costituiscono un limite invalicabile (ed esterno) rispetto a tale discrezionalità.
Il 7 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.875 che si occupa della responsabilità della PA per lesione di interessi legittimi rappresentando configurabili, ad un tempo, due diversi titoli di responsabilità civile (una sorta di peculiare “cumulo”); il privato potrebbe avvalersi della responsabilità c.d. “contrattuale da contatto” ex art.1218 c.c., così avvalendosi del più favorevole regime probatorio a tale opzione avvinto, dovendo tuttavia in questo caso accontentarsi di un risarcimento esiguo, in quanto commisurato al mero danno conseguente all’inadempimento della PA a regole comportamentali (anche di natura procedimentale); o potrebbe invocare la responsabilità da fatto illecito ex art.2043 c.c., dovendo tuttavia in questo caso sostenere oneri probatori assai più rigorosi, con particolare riferimento alla spettanza del bene della vita non conseguito proprio a cagione dell’illecito aquiliano perpetrato dall’Amministrazione, con la possibilità tuttavia – in caso di raggiunta prova – di ottenere il risarcimento di un danno maggiore. Il Collegio, nel rimettere all’Adunanza Plenaria delle importanti questioni interpretative in tema di danno da ritardo, elabora una propria tripartizione per quanto riguarda tale pregiudizio (da ritardo appunto), onde si configura un danno da tardiva adozione di un provvedimento legittimo sfavorevole per il privato (che dunque ha atteso per sentirsi legittimamente dire di no dalla PA); in questa ipotesi si parla di “danno da mero ritardo”, in quanto ad essere leso è un interesse meramente procedimentale del privato istante, avente ad oggetto la tempestiva conclusione del procedimento ex art.2 della legge 241.90, senza in alcun modo considerare l’effettiva lesione del proprio interesse sostanziale al conseguimento del bene della vita (che gli è stato del resto legittimamente negato); un danno da tardiva adozione di un provvedimento legittimo favorevole per il privato (che dunque ha atteso per sentirsi dire legittimamente di si dalla PA); una danno da mancata adozione di alcun provvedimento pur richiesto al privato, e dunque un danno scaturigine del “silenzio” e dell’inerzia della PA. Per il Collegio, il danno da ritardo va più in specie ricostruito come conseguenza della violazione dell’interesse del privato istante al rispetto dei tempi di definizione della pertinente istanza siccome prescritti dalla legge nel pertinente bacino procedimentale, e ciò muovendo dalla natura “contrattuale” della responsabilità della PA, da ricondursi ad un contatto amministrativo qualificato, onde l’affidamento riposto dal privato istante nella certezza dei tempi dell’azione amministrativa appare – nella realtà economica contemporanea e secondo la moderna concezione del c.d. rapporto amministrativo – un interesse meritevole di tutela di per sé considerato, non apparendo al Collegio sufficiente relegare simile tutela alla previsione ed alla concreta azionabilità di strumenti processuali di tipo propulsivo, i quali presuppongono la sola ottica (in qualche modo “reale”) del conseguimento dell’utilità finale,e che tuttavia si palesano nel medesimo tempo assai meno appaganti con riguardo all’interesse (“obbligatorio”) del privato istante a vedere definita con cronologica certezza la propria posizione con riguardo alla specifica istanza di volta in volta spiccata nei confronti della PA e, in caso contrario, a vedersi risarcita la lesione dell’interesse a tale cronologica certezza sotteso. Il Consiglio di Stato rimette tuttavia all’Adunanza Plenaria la questione afferente al concreto atteggiarsi del danno da ritardo e, in specie, alla configurabilità di un danno da mero ritardo della PA, che abbia procrastinato il procedimento oltre i termini legalmente prescritti.
Il 14 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1047 secondo la quale – sulla scia di parte della dottrina – quella della PA si atteggia a responsabilità sui generis, non riconducibile alle categorie civilistiche tradizionali (in particolare, fatto illecito e contratto), giacché quando viene leso un interesse legittimo si è al cospetto di una peculiare figura di illecito pubblicistico direttamente connesso all’illegittimo esercizio del potere autoritativo della PA.
2006
Il 28 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2408 che, in un caso di mancata aggiudicazione di un appalto e di conseguente richiesta di risarcimento del danno da parte del pretermesso, assume doversi qualificare la responsabilità della PA aggiudicatrice come aquiliana. La conseguenza che il Consiglio di Stato ritrae è che, essendosi al cospetto di un debito di valore, la somma liquidata va rivalutata secondo gli indici Istat, muovendo dalla data di stipula del contratto da parte di chi non avrebbe dovuto stipularlo (data di liquidazione) e fino alla data di deposito della decisione che condanna la PA aggiudicatrice a risarcire il danno (dies ad quem di rivalutazione), estraendosi una obbligazione pecuniaria complessiva che è ormai debito di valuta. Il Consiglio di Stato nondimeno, al fine di scongiurare una locupletazione del creditore (l’impresa pretermessa e non aggiudicataria), assume di non dover applicare per quel medesimo torno di tempo gli interessi legali al tasso applicabile alla data (iniziale) in cui il contratto fu stipulato, in ciò discostandosi dal regime dei veri e propri crediti di valore (in cui si calcolano gli interessi sulla somma via via rivalutata); viene invece ammessa l’applicazione degli interessi legali sulla somma liquidata nella decisione – costituente ormai debito di valuta – a decorrere dalla data di deposito della decisione.
2007
*Il 21 febbraio esce la sentenza della sezione III.ter del Tar Lazio n.1527 che ribadisce, sulla scia della più recente e minoritaria giurisprudenza, la natura “contrattuale” della responsabilità pubblica, a fronte della violazione di obblighi nascenti da contatto amministrativo qualificato nell’ambito del procedimento.
*Il 5 novembre esce la sentenza della sezione III.ter del Tar Lazio n.10852 che ribadisce, sulla scia della più recente e minoritaria giurisprudenza, la natura “contrattuale” della responsabilità pubblica, a fronte della violazione di obblighi nascenti da contatto amministrativo qualificato nell’ambito del procedimento.
Il 13 dicembre viene varato il Trattato di Lisbona, che rappresenta l’ultimo Trattato che fino ad ora ha inciso sull’originario trattato della CEE del 1957 (dopo il trattato di Fusione del 1965, l’Atto Unico Europeo del 1986, il trattato di Maastricht del 1992, il trattato di Amsterdam del 1997, il trattato di Nizza del 2001), e che cambia nome al Trattato medesimo da “Trattato per la Fondazione dell’Unione Europea” (nome dato dal trattato di Maastricht del 1992) a “Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea”, meglio noto con l’acronimo di TFUE.
2008
Il 12 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.11656, che si occupa della responsabilità precontrattuale della PA. Per la Corte, laddove nella fase formativa di un negozio giuridico la PA violi il dovere di lealtà e correttezza, essa fa luogo ad un comportamento che non salvaguarda l’affidamento dell’interlocutore privato, e ciò quand’anche non vi sia dolosa malafede, ma semplice comportamento colposo, senza l’intenzione di arrecare al privato un pregiudizio; in questi casi l’aspettativa alla conclusione del contratto, e la connessa fiducia che ne discende, vengono frustrate dal contegno pubblico (illecito), con insorgenza di obbligo risarcitorio.
Il 6 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2680 che si occupa del danno risarcibile – con riguardo al mero interesse negativo – in caso di responsabilità precontrattuale della PA, identificandolo nel danno emergente relativo al rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative orientate alla conclusione di un contratto mai concluso, e nel lucro cessante, quale pregiudizio connesso alla perdita (laddove provata) di ulteriori occasioni di stipulazione con altri contraenti impedite da trattative poi, per l’appunto, interrotte dalla PA. Si deve invece escludere il ristoro dell’interesse “positivo”, collegato alla stipulazione ed esecuzione di un contratto che non ha mai trovato luogo.
Il 2 agosto viene varata la legge n.130, che ratifica il Trattato di Lisbona del dicembre 2007.
2009
Il 7 settembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5245 che si occupa di una ipotesi di autotutela su atti procedimentali di gara, assumendo configurabile una responsabilità precontrattuale della PA; in simili fattispecie, il privato vulnerato non si duole della lesione di un bene della vita, con particolare riferimento – nelle gare – alla c.d. spettanza del contratto messo a gara, ma della lesione della propria libertà di autodeterminazione negoziale a causa di trattative in vista di un contratto che, per ragioni che non gli sono imputabili, si è dispiegata secondo modalità scorrette suscitando in capo a lui un incolpevole affidamento in ordine alla favorevole conclusione della fase pubblicistica compendiantesi nella gara. Questo tipo di responsabilità precontrattuale connessa all’autotutela può configurarsi sia nel caso in cui l’autotutela rimuova atti illegittimi (annullamento), sia anche nel caso di intervento di secondo grado su atti assunti ex post inopportuni rispetto all’interesse pubblico perseguito, giusta revoca degli atti medesimi, da assumersi dunque validi ed efficaci nel momento in cui la revoca interviene. Più in particolare può intervenire la revoca tanto dell’atto di indizione della gara quanto della successiva aggiudicazione della gara medesima per essersi palesate – dopo diversi anni dall’espletamento della gara in parola – esigenze di ampia revisione del progetto da realizzare; altra ipotesi di possibile revoca è quella del mutamento delle condizioni tale da rendere impossibile la realizzazione dell’opera messa a gara; scatta invece l’annullamento quando la PA abbia annullato d’ufficio gli atti di gara a causa di un vizio che essa ha rilevato solo dopo aver aggiudicato la competizione in via definitiva, pur potendolo rilevare già in incipit della divisata procedura competitiva; infine, una ipotesi (abbastanza frequente) è quella in cui la PA aggiudicatrice revochi l’aggiudicazione o comunque si rifiuti di stipulare il contratto adducendo a giustificazione la mancanza dei fondi necessari ad onorare il contratto medesimo. Per il Consiglio, più nel dettaglio, si configura una responsabilità precontrattuale della PA ai sensi dell’art.1337 c.c. laddove – con riguardo ad un appalto di servizi – l’Amministrazione dapprima aggiudichi definitivamente la gara e poi revochi l’aggiudicazione medesima a causa di una diversa valutazione degli interessi pubblici collegata, nondimeno, a delle colpevoli carenze gestionali presenti sin dal momento della indizione della gara con il pertinente bando, e ciò quand’anche il provvedimento di revoca si palesi legittimo dal punto di vista pubblicistico. Una fattispecie simile, ma non sovrapponibile, dissodata dal Consiglio di Stato è quella in cui la PA aggiudicatrice si avvalga in via tempestiva e motivata della facoltà, esplicitamente prevista nel bando di gara, di non procedere all’aggiudicazione dell’appalto per ragioni di interesse pubblico che implichino variazione degli obiettivi perseguiti: in questa ipotesi, nessuna responsabilità precontrattuale della PA può configurarsi perché non è a propria volta configurabile alcun contegno lesivo di un affidamento dei concorrenti alla gara; il Consiglio di Stato precisa tuttavia come anche in tale ultima ipotesi la responsabilità precontrattuale non si configura solo laddove la PA, sulla scorta della clausola del bando di gara, non aggiudichi, e non anche laddove proceda ad aggiudicare e poi revochi l’aggiudicazione (in questo caso potendo invece affiorare un affidamento incolpevole del concorrente che sia stato reso aggiudicatario pur in presenza di condizioni sopravvenute che imponevano di non procedere all’aggiudicazione).
Il 01 dicembre entra in vigore il Trattato di Lisbona del 2007, ed in particolare – con esso – il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, TFUE, il cui art.340, paragrafo 2, disciplina la responsabilità (extracontrattuale) dell’Unione Europea, onde l’Unione medesima deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue Istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni. Ferma restando dunque la necessaria presenza di un illecito, del nesso di causalità e del danno che ne è derivato alla vittima, la norma (che pure richiama i principi generali comuni ai diritti degli Stati membri) non fa alcun riferimento esplicito all’elemento soggettivo per il soggetto agente, assumendo (secondo la tesi più accreditata) la responsabilità “oggettiva” dell’Unione per fatto delle proprie Istituzioni e dei propri agenti, senza che rilevino né il dolo né la colpa.
2010
Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, il cui articolo 30 sembra – dalla terminologia nel complesso impiegata – abbracciare la tesi tradizionale della responsabilità aquiliana della PA. Secondo il comma 1 infatti l’azione di condanna verso la PA può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al medesimo articolo, anche in via autonoma, mentre stando al comma 2 può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno “ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’attivita’ amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, con evidente richiamo alla terminologia sull’ingiustizia del danno di cui all’art.2043 c.c.. Nei casi di giurisdizione esclusiva – prosegue la norma – può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi e, sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica, con ulteriore richiamo ad una norma, l’art.2058 c.c. appunto, inserita tra le norme sul fatto illecito extracontrattuale. Dopo aver previsto al comma 3 che la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi e’ proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e’ verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo, il legislatore del codice afferma che, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, con un richiamo in questo caso – seppure implicito – all’art.1227 c.c. in tema di responsabilità c.d. “contrattuale” che, tuttavia, è a propria volta richiamato in tema, di responsabilità aquiliana, dall’art.2056 c.c.. Anche al comma 4 – onde per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 (120 giorni) non decorre fintanto che perdura l’inadempimento, iniziando tuttavia comunque a decorrere (in caso appunto di silenzio c.d. inadempimento) dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere – il riferimento al dolo e alla colpa riportano all’art.2043 c.c., mentre il riferimento all’inadempimento sembra riferirsi all’art.1218 c.c. e dunque alla natura “contrattuale” della responsabilità pubblica da silenzio (omesso provvedimento) illegittimo, ma solo nel particolare caso in cui per l’appunto la PA abbia omesso di pronunciarsi sull’istanza del privato, cagionandogli un danno. La norma prosegue (comma 5) affermando come nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza; e precisando (comma 6) che di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo. La presenza – sia nelle ipotesi di azione risarcitoria autonoma che di azione risarcitoria agganciata all’azione demolitoria (di annullamento) – di un termine decadenziale di 120 giorni (seppure con diversa decorrenza) fa grandemente scemare l’importanza fino a questo momento assunta dalla questione del termine prescrizionale applicabile, decennale se si sottopone la responsabilità della PA all’egida precettiva dell’art.1218 c.c., e quinquennale se invece la norma di riferimento è l’art.2043 c.c.
Il 30 settembre esce la importante sentenza della Corte di Giustizia UE in causa C-314/09, Stadt Graz, chiamata a stabilire se una norma nazionale che subordini il diritto ad ottenere un risarcimento per violazione della disciplina europea sugli appalti pubblici da parte di una PA aggiudicatrice al carattere colpevole (“colposo”) della violazione medesima sia o meno in frizione con la direttiva 89/665/CEE del 21 dicembre 1989, ovvero con la c.d. “Direttiva ricorsi”, come modificata dalla successiva direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007, laddove essa prevede norme di (mera) armonizzazione, lasciando così agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nella relativa applicazione. La Corte muove dalla circostanza pacifica onde è lasciato appunto all’autonomia procedurale degli Stati membri stabilire come si articolano, tra le altre, le azioni intese ad ottenere un risarcimento dei danni ai soggetti lesi da un provvedimento illegittimo in materia di appalti pubblici, ciascun ordinamento nazionale potendo quindi prevedere un proprio modello di azione risarcitoria; nondimeno, la discrezionalità lasciata agli Stati membri non può comunque per la Corte contrastare con le finalità e con il contesto generale della Direttiva mentovata, né con i principi di equivalenza e di effettività finalizzati, come noto, ad assicurare l’uniforme applicazione della disciplina in tutto il territorio dell’Unione, l’obiettivo della Direttiva medesima compendiandosi sostanzialmente nel garantire l’esistenza di mezzi di ricorso efficaci ed il più possibile celeri contro le decisioni prese dalle PA aggiudicatrici in violazione della normativa sugli appalti pubblici. In sostanza, l’efficacia e la celerità sono le due condizioni per la corretta attuazione della Direttiva ricorsi negli ordinamenti nazionali, non potendosi pretermettere, su altro crinale, i principi che presidiano alla tutela della concorrenza nel delicato settore degli appalti pubblici. Muovendo da queste premesse la Corte ribadisce in modo vieppiù esplicito la propria giurisprudenza sulla questione sottopostale (già in precedenza abbozzata), assumendo espressis verbis il rimedio risarcitorio siccome forgiato dal singolo Stato membro effettivo soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non venga subordinata all’accertamento di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice: in buona sostanza, la PA aggiudicatrice risponde a titolo di responsabilità oggettiva. Peraltro, consentire alla PA aggiudicatrice la prova contraria, ovvero la possibilità di superare quella che si atteggerebbe a mera presunzione di colpevolezza, può per la Corte implicare che il concorrente alla gara pregiudicato dalla decisione pubblica illegittima venga privato del diritto ad ottenere un risarcimento, anche in considerazione della lunghezza dei tempi che possono rendersi necessari proprio per l’accertamento del carattere colpevole della violazione violata.
2011
Il 5 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5002 che si occupa del dovere di diligenza dell’Amministrazione nell’ambito delle gare al fine di scongiurare una responsabilità precontrattuale nei confronti di chi partecipa alla competizione; più in specie, gli obblighi di correttezza e buona fede impongono alla PA che bandisca una procedura di evidenza pubblica di informare in modo dettagliato e tempestivo i partecipanti in modo da salvaguardarne la rispettiva posizione, laddove si profilino eventi tali da imporre una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico alla gara, che si atteggino in guisa tale da lasciare ipotizzare la revoca dei pertinenti atti; in tal modo, si impedisce che tra i partecipanti si consolidi un pericoloso affidamento sulla conclusione di una gara che è invece incerto possa concretamente giungere ad una fine giusta aggiudicazione al miglior offerente, fermo restando che più avanza il procedimento di gara, più consistente è da assumersi l’affidamento ingenerato nei concorrenti in ordine alla relativa, fisiologica conclusione.
Il 21 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.24438 che si occupa della responsabilità della PA in tema di appalti pubblici onde, pur non potendosi essa tout court qualificare contrattuale, si atteggia nondimeno a decisamente simile a tale modello, scaturendo dal contatto tra le future parti di un contratto; contatto nel cui contesto uno dei protagonisti, la PA committente, perpetra delle scorrettezze, con connessa non assimililabilità alla fattispecie aquiliana e rilevanza, piuttosto, dell’art.1218 c.c.
2012
Il 7 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.662 che – caratterizzandosi per una maggiore apertura in termini di tutela del privato rispetto all’indirizzo più tradizionale e maggioritario – assume configurabile una responsabilità precontrattuale della PA che abbia bandito una gara anche prima che si pervenga all’aggiudicazione del pertinente appalto, dovendo gli enti pubblici, come i soggetti privati, osservare puntualmente le regole ed i principi della correttezza e della buona fede anche (e già) in seno al bacino procedimentale di selezione dell’interlocutore privato; sin da momento in cui la PA entra in contatto con la pluralità dei potenziali contraenti, poiché da quel momento vengono ad instaurarsi trattative multiple o parallele con essi, funzionali alla costituzione di un futuro rapporto giuridico contrattuale, anche se manca la prova del diritto all’aggiudicazione da parte del singolo partecipante, questo non esclude a priori al configurabilità per l’appunto di una responsabilità precontrattuale pubblica.
*Il 25 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4236 secondo la quale, in fattispecie di rottura ingiustificata delle trattative non assistita, come tale, da motivi idonei a sorreggerla, la PA incorre in responsabilità precontrattuale ex art.1337 c.c.: è ben vero che la PA medesima gode di discrezionalità nella selezione dell’interlocutore privato con il quale poi concludere il contratto divisato, ma l’obbligo di buona fede e correttezza e la connessa tutela dell’affidamento ingenerato nel privato medesimo con l’avvio delle trattative costituiscono un limite invalicabile (ed esterno) rispetto a tale discrezionalità.
L’8 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5686 onde, in materia di appalti pubblici, non può in alcun modo gravare sul ricorrente danneggiato l’onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo sia conseguenza di una colpa dell’Amministrazione, la quale ultima a propria volta non può in ogni caso sottrarsi – per il Collegio – all’obbligo di risarcire i danni cagionati dal relativo provvedimento illegittimo adducendo l’inesistenza a proprio carico di elementi di dolo o di colpa. Il Consiglio richiama la regola europea vigente in materia di risarcimento dei danno per illegittimità accertate in materia di appalti pubblici, allorché siano stati adottati provvedimenti lesivi di interessi legittimi, affiorando in simili fattispecie una responsabilità dalla natura né contrattuale né tampoco extracontrattuale, quanto piuttosto oggettiva e come tale sottratta ad ogni possibile esimente, derivando essa da un principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore appunto degli appalti pubblici. Peraltro si tratta di un canone la cui egida precettiva – per il Consiglio – non può essere circoscritta ai soli appalti comunitari, dovendo piuttosto assumersi estesa, quale principio generale di diritto comunitario in materia di effettività della tutela, a tutto il settore degli appalti pubblici laddove i principi di diritto comunitario hanno diretta rilevanza ed incidenza, stante anche il richiamo esplicito che ad essi viene fatto dal codice degli appalti vigente. Viene peraltro citata la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia, 5 marzo 1996, C-46/93 e C-48/93; 14 ottobre 2004, C-275/03; e soprattutto 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz) che in materia di appalti pubblici si è sempre di più orientata proprio nel senso di configurare una responsabilità oggettiva della PA aggiudicatrice, come tale sottratta ad ogni possibile esimente e a qualsivoglia possibile prova contraria in termini di esclusione della colpevolezza.
2013
Il 01 febbraio 2013 esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.633 che afferma la configurabilità di una responsabilità precontrattuale della PA: si tratta di fattispecie in cui la PA non va responsabile per violazione di norme di diritto pubblico che ne disciplinano l’agere autoritativo, quanto piuttosto dalla violazione delle ordinarie e comuni regole di correttezza che gravano normalmente anche sul privato che partecipa alle trattative contrattuali, primo fra tutti l’obbligo di buona fede oggettiva di cui all’art.1337 c.c. Sono ipotesi nelle quali, pur al cospetto di un atto amministrativo legittimo in sede di autotutela, resta sullo sfondo il comportamento (civilisticamente) scorretto della PA, la quale, nel caso di specie, lascia il privato che sia risultato aggiudicatario provvisorio della gara in una situazione di diuturna incertezza, fino a negargli alfine il bene della vita cui anelava e con riguardo al quale aveva maturato un affidamento tutelabile.
Il 27 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3521 che ribadisce – sulla scia di parte della dottrina – come quella della PA si atteggi a responsabilità sui generis, non riconducibile alle categorie civilistiche tradizionali (in particolare, fatto illecito e contratto), giacché quando viene leso un interesse legittimo si è al cospetto di una peculiare figura di illecito pubblicistico direttamente connesso all’illegittimo esercizio del potere autoritativo della PA.
L’11 luglio esce la sentenza della IV sezione del Tar Catania n.2005 che si occupa del c.d. danno emergente legato all’interesse negativo in ipotesi di responsabilità precontrattuale della PA, identificandolo nel diritto al ristoro di tutte le spese sostenute dalla parte privata connesse allo svolgimento di trattative che sono state poi interrotte dalla parte pubblica, come le spese di viaggio, quelle di studio, di ricerca o simili.
Il 15 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3831 onde, in ipotesi di revoca della procedura contrattuale, il fatto che non sia ancora intervenuta l’aggiudicazione a coronare la fase di scelta dell’interlocutore privato non può valere di per sé sola ad escludere una responsabilità precontrattuale della PA che procede a tale revoca, dovendosi piuttosto procedere in concreto ad uno scandaglio della condotta che essa ha tenuto alla luce del noto canone – di diritto comune – della correttezza e buona fede nelle trattative; resta fermo peraltro per il Consiglio che il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura di evidenza pubblica nel momento in cui interviene la revoca, poiché si riflette sulla consistenza dell’affidamento ravvisabile nei relativi partecipanti, lascia affiorare significatività anche sul piano appunto del diritto comune al fine di verificare se la domanda risarcitoria per responsabilità contrattuale sia concretamente fondata.
Il 20 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3579 che abbraccia la tradizionale tesi della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale (anche ovviamente nel caso in cui una delle parti sia la PA.).
2014
Il 16 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.142, che abbraccia la tesi della natura precontrattuale della responsabilità della PA: in sostanza si tratta di una responsabilità “da comportamento” (“pre-provvedimento”) e non già “da provvedimento”, onde non rileva se il provvedimento finale sia legittimo o illegittimo, rilevando piuttosto il contegno violativo dei doveri di correttezza e buona fede perpetrato ex parte publica, in modo analogo a quanto accade ai sensi dell’art.1337 c.c. nella responsabilità connessa alle trattative pre-contrattuali. Occorre dunque guardare al comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione in vista del provvedimento (ad esempio, di aggiudicazione, e dell’eventuale futuro contratto, ad esempio, di appalto), e non già alla legittimità o meno del provvedimento medesimo.
Il 31 gennaio esce la sentenza delle III sezione del Consiglio di Stato n.467, che si occupa della responsabilità precontrattuale della PA. Per il Consiglio, laddove nella fase formativa di un negozio giuridico la PA violi il dovere di lealtà e correttezza, essa fa luogo ad un comportamento che non salvaguarda l’affidamento dell’interlocutore privato, e ciò quand’anche non vi sia dolosa malafede, ma semplice comportamento colposo, senza l’intenzione di arrecare al privato un pregiudizio; in questi casi l’aspettativa alla conclusione del contratto, e la connessa fiducia che ne discende, vengono frustrate dal contegno pubblico (illecito), con insorgenza di obbligo risarcitorio.
Il 20 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.790, che si occupa di una ipotesi di revoca legittima di una gara che configura, ad un tempo, responsabilità precontrattuale della PA. La revoca è legittima in quanto va tutelato l’interesse pubblico a non stipulare un contratto che non è più rispondente al ridetto interesse pubblico; nondimeno, detta revoca degli atti di gara e della conseguente aggiudicazione impinge su affidamenti ingenerati nella parte privata aggiudicataria. Per il Consiglio di Stato, invero, durante la gara l’impresa si trova a confidare dapprima (ante aggiudicazione) sulla possibilità di divenire controparte contrattuale e dipoi (ad aggiudicazione intervenuta), più concretamente, sulla disponibilità di un titolo che le consente di giungere al divisato contratto.
*Il 29 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2792 che ribadisce – sulla scia di parte della dottrina – come quella della PA si atteggi a responsabilità sui generis, non riconducibile alle categorie civilistiche tradizionali (in particolare, fatto illecito e contratto), giacché quando viene leso un interesse legittimo si è al cospetto di una peculiare figura di illecito pubblicistico direttamente connesso all’illegittimo esercizio del potere autoritativo della PA.
*Il 3 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.15260 che – caratterizzandosi anch’essa per una maggiore apertura in termini di tutela del privato rispetto all’indirizzo più tradizionale e maggioritario – assume configurabile una responsabilità precontrattuale della PA che abbia bandito una gara anche prima che si pervenga all’aggiudicazione del pertinente appalto, dovendo gli enti pubblici, come i soggetti privati, osservare puntualmente le regole ed i principi della correttezza e della buona fede anche (e già) in seno al bacino procedimentale di selezione dell’interlocutore privato; sin da momento in cui la PA entra in contatto con la pluralità dei potenziali contraenti, poiché da quel momento vengono ad instaurarsi trattative multiple o parallele con essi, funzionali alla costituzione di un futuro rapporto giuridico contrattuale, anche se manca la prova del diritto all’aggiudicazione da parte del singolo partecipante, questo non esclude a priori al configurabilità per l’appunto di una responsabilità precontrattuale pubblica.
Il 15 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4674 che si occupa del danno risarcibile – con riguardo al mero interesse negativo – in caso di responsabilità precontrattuale della PA, identificandolo nel danno emergente relativo al rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative orientate alla conclusione di un contratto mai concluso, e nel lucro cessante, quale pregiudizio connesso alla perdita (laddove provata) di ulteriori occasioni di stipulazione con altri contraenti impedite da trattative poi, per l’appunto, interrotte dalla PA. Si deve invece escludere il ristoro dell’interesse “positivo”, collegato alla stipulazione ed esecuzione di un contratto che non ha mai trovato luogo.
2015
Il 6 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1142, che ribadisce la tesi della natura precontrattuale della responsabilità della PA: in sostanza si tratta di una responsabilità “da comportamento” (“pre-provvedimento”) e non già “da provvedimento”, onde non rileva se il provvedimento finale sia legittimo o illegittimo, rilevando piuttosto il contegno violativo dei doveri di correttezza e buona fede perpetrato ex parte publica, in modo analogo a quanto accade ai sensi dell’art.1337 c.c. nella responsabilità connessa alle trattative pre-contrattuali. Occorre dunque guardare al comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione in vista del provvedimento (ad esempio, di aggiudicazione, e dell’eventuale futuro contratto, ad esempio, di appalto), e non già alla legittimità o meno del provvedimento medesimo. Il Consiglio di Stato si sofferma poi sul momento in cui può configurarsi in capo al privato concorrente alla gara un affidamento meritevole di tutela, negando che tale momento coincida con l’aggiudicazione provvisoria, che si configura quale atto meramente interinale come tale incapace, per l’appunto, di far sorgere alcun affidamento in capo al destinatario con riguardo al buon esito per lui della gara. Laddove pertanto la procedura (per intervento della PA) si arresti in una fase in cui è già intervenuta l’aggiudicazione provvisoria, ma non ancora quella definitiva, quest’ultima soltanto atteggiandosi a provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, difettano per il Consiglio di Stato persino i presupposti per parlare di una revoca in senso tecnico, con conseguente diniego financo del riconoscimento al privato del diritto all’indennizzo ex art.21 quinquies della legge 241.90.
Il 14 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1864, che ribadisce la tesi della natura precontrattuale della responsabilità della PA: in sostanza si tratta di una responsabilità “da comportamento” (“pre-provvedimento”) e non già “da provvedimento”, onde non rileva se il provvedimento finale sia legittimo o illegittimo, rilevando piuttosto il contegno violativo dei doveri di correttezza e buona fede perpetrato ex parte publica, in modo analogo a quanto accade ai sensi dell’art.1337 c.c. nella responsabilità connessa alle trattative pre-contrattuali. Occorre dunque guardare al comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione in vista del provvedimento (ad esempio, di aggiudicazione, e dell’eventuale futuro contratto, ad esempio, di appalto), e non già alla legittimità o meno del provvedimento medesimo. Per il Consiglio, nondimeno, solo laddove sia intervenuta aggiudicazione definitiva – e non anche meramente provvisoria – si configura il presupposto per poter esperire una azione risarcitoria ai sensi dell’art.30 del c.p.a. a titolo di responsabilità precontrattuale della PA.
Il 12 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.9636, che ribadisce la tesi della natura precontrattuale della responsabilità della PA: in sostanza si tratta di una responsabilità “da comportamento” e non già “da provvedimento”, onde non rileva se il provvedimento finale sia legittimo o illegittimo, rilevando piuttosto il contegno violativo dei doveri di correttezza e buona fede perpetrato ex parte publica, in modo analogo a quanto accade ai sensi dell’art.1337 c.c. nella responsabilità connessa alle trattative pre-contrattuali. Occorre dunque guardare al comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione in vista del provvedimento (ad esempio, di aggiudicazione, e dell’eventuale futuro contratto, ad esempio, di appalto), e non già alla legittimità o meno del provvedimento medesimo. La Corte si sofferma anche sull’art. 1338 c.c. laddove pone a carico di una delle parti l’obbligo specifico di informare l’altra parte dell’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto, facendo salva la facoltà della parte obbligata di dimostrare che l’altra parte aveva confidato nella suddetta validità o efficacia “non senza sua colpa“, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della relativa posizione sociale o professionale. L’art.1338 c.c. rileva, nel caso di specie, in quanto si è al cospetto di una ipotesi di mancata registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto ministeriale che approva un contratto di appalto, e delle conseguenze pregiudizievoli che ne discendono per la controparte privata: poiché in difetto della registrazione il contratto non è efficace e non è eseguibile, il privato non può spiccare azione di risoluzione per inadempimento della PA, permanendo in capo ad esso la possibilità di agire esclusivamente per il riconoscimento appunto della responsabilità precontrattuale della PA medesima, appuntandosi proprio sull’art.1338 c.c. per avere egli incolpevolmente confidato nella validità del contratto in parola, dal che discende la responsabilità della PA appaltante che non si è astenuta dalla stipulazione di un contratto che sapeva (o doveva sapere) essere invalido.
Il 10 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5611 che ribadisce – sulla scia di parte della dottrina – la giurisprudenza minoritaria (proprio della sezione VI) onde – anche dopo l’avvento dell’art.30 del codice del processo amministrativo (che sembra propendere per la natura aquiliana dell’illecito pubblico) – in realtà quella della PA si atteggia a responsabilità sui generis, non riconducibile alle categorie civilistiche tradizionali (in particolare, fatto illecito e contratto), giacché quando viene leso un interesse legittimo si è al cospetto di una peculiare figura di illecito pubblicistico direttamente connesso all’illegittimo esercizio del potere autoritativo della PA. Resta tuttavia necessario accertare tanto l’elemento oggettivo (comportamento materiale lesivo di un interesse legittimo, e come tale arrecante – sulla scorta del nesso di causalità – un danno “ingiusto”) quanto l’elemento soggettivo della colpa, intesa come rimproverabilità del contegno pubblico dannoso.
2016
Il 5 febbraio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.2327, che si occupa della responsabilità precontrattuale della PA, con particolare riguardo alla violazione da parte della stessa degli obblighi informativi che su di essa gravano, tenendo tuttavia anche conto della eventuale colpa del privato: la questione è infatti quella dell’affidamento incolpevole (o colpevole) di un contraente nella validità ed efficacia del rapporto assicurativo con la Pubblica Amministrazione (nel caso di specie, l’Inps). La Corte muove dall’art.1338 c.c. che impone ad una parte l’obbligo specifico di informare l’altra delle cause di invalidità o di inefficacia del contratto che si va a stipulare, potendo tuttavia la parte obbligata provare che l’altra parte ha confidato in tale validità o efficacia versando a propria volta in colpa (non senza colpa), stante la relativa posizione sociale e professionale e le specifiche circostanze di fatto presenti. Per la Corte la ratio dell’art.1338 c.c. è quella di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra parti che non sono in condizioni di parità, come avviene (o può avvenire) proprio nei rapporti con l’Amministrazione, dovendosi tuttavia indagare in ordine alla reale scusabilità dell’affidamento dell’altro contraente alla luce della conoscibilità delle circostanza di fatto cui si ricollega la pertinente invalidità. Entrando nel caso di specie, per la Corte, in applicazione dell’istituto della responsabilità precontrattuale per carenza di informazione da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti della controparte, deve reputarsi che, in ragione del carattere generale delle norme in tema di individuazione dei caratteri della subordinazione, note alla generalità dei consociati, e, altresì, della peculiare posizione di socio di maggioranza rivestita dall’interessato nella struttura sociale (s.r.l.) in relazione alla quale vanta il rapporto di subordinazione (in realtà insussistente), il ricorrente non possa addossare alla controparte il danno che è conseguenza del proprio comportamento (nel caso di specie, l’INPS aveva disconosciuto ex post la natura subordinata del rapporto di lavoro con la s.r.l. in capo a chi ne era stato per l’appunto socio di maggioranza e amministratore unico). Ciò alla luce del principio generale desumibile dall’art. 1227, comma 1, c.c. in forza del quale non può sorgere un obbligo risarcitorio nei confronti di un soggetto che versi in colpa, perché a conoscenza della causa che ha determinato l’invalidità o l’inefficacia del rapporto. La Corte rammenta in proposito il principio affermato da Cass. I, n. 9636 del 2015, onde l’art. 1338 c.c. pone a carico di una delle parti l’obbligo specifico di informare l’altra parte dell’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto, salva la facoltà della parte obbligata di dimostrare che l’altra parte aveva confidato nella suddetta validità o efficacia “non senza sua colpa“, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della relativa posizione sociale o professionale. La principale funzione dell’art. 1338 c.c., prosegue la Corte, è infatti quella di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra le parti che non sono su un piano di parità, come avviene nei rapporti con la Pubblica Amministrazione: da ciò la necessità di indagare sulla scusabilità dell’affidamento del contraente alla luce della conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità. La Corte conclude pertanto con il principio di diritto onde in sede di accertamento riguardo all’affidamento incolpevole di un contraente nella validità ed efficacia del rapporto assicurativo con la Pubblica Amministrazione – al fine di escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima, a norma dell’art. 1338 c.c. – il giudice di merito deve verificare in concreto se l’invalidità o inefficacia del rapporto assicurativo fosse conoscibile dal privato, tenuto conto della univocità dell’interpretazione della norma e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità.
Il 6 aprile esce la sentenza della III sezione del Tar Lombardia n.650 che – giudicando sul noto caso Englaro – assume la responsabilità della PA per lesione di interessi legittimi catalogabile in un tertium genus, atteggiandosi a responsabilità, per l’appunto, sui generis rispetto alle tradizionali categorie civilistiche. Nel caso di specie il ricorrente – sia in proprio che come tutore della figlia – ha invocato il danno patrimoniale e quello personale discendenti dagli atti amministrativi della Regione a suo tempo annullati dal Tar Lombardia medesimo con sentenza poi confermata dal Consiglio di Stato nel 2014 e dunque passata in giudicato: intervenute delle sentenze definitive della Corte d’Appello di Milano e della Cassazione recanti delle prescrizioni per la Regione, a tali prescrizioni la Regione non ha dato seguito piuttosto frapponendovisi e così dando l’abbrivio ai ricorsi innanzi al GA e, alfine, alla richiesta risarcitoria di che trattasi. In sostanza, il Tar condanna la Regione a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali per la decisione di impedire l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano nel 2008, in seguito alla pronuncia della Cassazione del 2007: una volta ottenuto l’annullamento del provvedimento della Regione con il quale la Direzione Generale Sanità aveva negato la possibilità di accesso a una struttura regionale per ottenere il distacco del sondino naso-gastrico che alimentava e idratava artificialmente la figlia del ricorrente (la sentenza definitiva è quella del Consiglio di Stato, Sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460), viene spiccato ulteriore ricorso per chiedere la condanna della Regione Lombardia appunto al risarcimento dei danni, ricorso che trova conforto presso il Tar il quale sottolinea come il provvedimento a suo tempo impugnato abbia illegittimamente vulnerato il diritto costituzionale a rifiutare le cure, come peraltro rilevato dal Tribunale amministrativo stesso e, in sede d’appello, dal Consiglio di Stato, onde correttamente il padre della destinataria dei provvedimenti, sia in proprio che in qualità di relativo tutore, passata in giudicato la pronuncia del Consiglio di Stato, invoca la condanna della Regione al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dal provvedimento illegittimo. In via preliminare, il Tar rileva l’inammissibilità dell’azione proposta dal ricorrente in qualità di tutore della figlia, la legittimazione ad agire essendo venuta meno medio tempore con il decesso della figlia stessa; viene invece assunta configurabile la legittimazione ad agire in nome e per conto proprio presentata dal padre medesimo, il cui ricorso nel merito, viene ritenuto fondato configurandosi tutti gli elementi costituitivi della (speciale) responsabilità della PA: in primo luogo il fatto lesivo pubblico e la relativa ingiustizia, stante l’impedimento frapposto provvedimentalmente dalla Regione – con decreto del 9 luglio 2008 – a dare seguito all’autorizzazione ad interrompere la nutrizione e l’idratazione artificiali rilasciata dalla Corte di Appello di Milano (a valle della pronuncia di Cassazione n. 21748/2007); sussiste poi l’elemento soggettivo, stante come il decreto della Corte d’Appello di Milano del 2008 contenesse l’ordine di eseguire la prestazione, cui ha fatto seguito il deliberato rifiuto della Regione, concretizzatosi anche nell’adozione di un apposito provvedimento da parte della Direzione Generale della Sanità regionale in frizione con il disposto della sentenza civile. Per il Tar è da assumersi acclarato anche il nesso di causalità, e ciò in quanto l’inottemperanza della PA regionale al giudicato civile prima, ed a quello amministrativo poi, ha determinato la protrazione di uno stato vegetativo permanente in capo al soggetto interessato e contro la relativa volontà, con tutte le conseguenze che ne sono derivate.
Il 15 aprile esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.1532 alla cui stregua, affinché possa assumersi integrata una responsabilità precontrattuale della PA, sono necessari dei presupposti che si identificano in particolare nella riconoscibilità di trattative intercorse tra le parti, nel raggiungimento da parte delle ridette trattative di uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del divisato contratto, nell’interruzione non giustificata delle trattative da parte del soggetto assunto responsabile; a ciò va aggiunta la necessità, secondo il Consiglio, che – presa a parametro l’ordinaria diligenza richiedibile in ipotesi simili – non sussistano con riguardo a chi invoca la responsabilità della controparte fatti idonei ad escluderne il ragionevole affidamento in ordine alla concreta conclusione del contratto.
Il 21 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1599 che, collocandosi nel solco della maggioritaria giurisprudenza, torna ad affermare che una responsabilità precontrattuale della PA è connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto, non potendo come tale che riguardare fatti svoltisi in tale fase (c.d. trattative); detta responsabilità precontrattuale non è dunque configurabile in una fase che sia anteriore alla scelta del contraente, e dunque nella fase della relativa selezione a mezzo gara, laddove gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti, per l’appunto, ad una gara e possono vantare solo un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri da parte della PA aggiudicatrice. Nella fattispecie nondimeno, tutt’affatto peculiare, per il Consiglio non si configura una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione a cagione di una revoca della gara intervenuta prima della scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, e dunque in una fase (decisamente di start) in cui nessun affidamento può assumersi ragionevolmente sorto in capo ai partecipanti, quand’anche questi abbiano avuto notizia della revoca solo dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ovvero dopo la concreta presentazione di tali offerte.
Il 12 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.14188 che assume maturi i tempi per discostarsi dall’orientamento classico facente perno sulla natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, che non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, e – tuttavia – singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie, che non alla prima. Prese le mosse da un doveroso excursus storico/giuridico, la Corte rappresenta che nel ‘900 si è definitivamente consolidata la tesi di una forma di responsabilità che si colloca “ai confini tra contratto e torto“, in quanto radicata in un “contatto sociale” tra le parti che, in quanto capace di dare adito ad un reciproco affidamento dei contraenti, è “qualificato” dall’obbligo di “buona fede” e dai correlati “obblighi di informazione e di protezione”. In tali circostanze, prosegue la Corte, il rapporto obbligatorio si connota non già per la presenza di tradizionali obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì di (nuovi) obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale. Da queste considerazioni, che la Corte evidenzia essere state ormai ampiamente acquisite dalla giurisprudenza, discende che l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi “culpa in contrahendo” solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti. La conclusione è che la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra nel corso delle trattative – in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) precedenti rispetto a quelli che deriveranno dal contratto (se ed allorquando verrà concluso), e non già del generico dovere del neminem laedere – non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale, con ogni conseguenza quanto al termine prescrizionale e all’onere della prova.
2017
Il 7 novembre esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n.479 che in primo luogo richiama il contenuto precettivo dell’art. 21 quinquies della L. n. 241 del 1990 onde – laddove la revoca del provvedimento comporti pregiudizi in danno dei soggetti che ne siano direttamente interessati – l’Amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro “indennizzo”; se viene revocato un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea e ciò impinga su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dalla PA agli interessati è parametrato al solo “danno emergente” (e non anche, dunque, al lucro cessante); ancora, in sede di liquidazione dell’indennizzo per la revoca occorre tener conto tanto dell’eventuale conoscenza o conoscibilità, da parte dei contraenti, della contrarietà all’interesse pubblico dell’atto amministrativo oggetto di revoca, quanto dell’eventuale concorso dei contraenti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico. Per il Consiglio di Giustizia, che ne ritrae una prima importante conclusione, si tratta dunque di un caso di responsabilità oggettiva della PA per fatto lecito derivante da provvedimento legittimo. Peraltro, prosegue il Collegio, anche laddove si tratti di revoca legittima di una gara di appalto, spetta alla ditta aggiudicataria un indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies della L. n. 241 del 1990 la cui concreta misura, trattandosi di beneficio riparatorio, è intesa a coprire solamente il c.d. “danno emergente” e dunque a reintegrare il destinatario del provvedimento di revoca (già beneficiario del provvedimento revocato) dei soli costi sopportati ai fini di negoziare con l’Amministrazione (dunque: le spese di partecipazione alla gara e di redazione del progetto) e per adempiere ad obblighi od oneri eventualmente legati alla fase precontrattuale; la pronuncia lascia dunque intendere che laddove la revoca sia illegittima o comunque si configuri anche una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, va risarcita al partecipante alla gara anche la componente di lucro cessante nell’ambito del c.d. interesse negativo, vale a dire massime le chance di utile partecipazione ad altre competizioni o comunque di utilizzo delle risorse per altri proficui impieghi. Il Collegio afferma poi che ai fini della liquidazione dell’ indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies della L. n. 241 del 1990 (e cioè per la specifica determinazione del ‘quantum debetur’ a valle della intervenuta revoca), può farsi ricorso al ‘metodo’ introdotto dall’art. 34 del codice del processo amministrativo – come rielaborato ed adattato alle concrete necessità processuali dalla giurisprudenza – ordinando all’interessato di presentare all’Amministrazione entro 60 giorni dalla comunicazione in via amministrativa (o dalla notifica ad istanza di parte, se precedente) della sentenza una nota delle spese e dei costi affrontati; ed all’Amministrazione di formulare, previa verifica della documentazione pervenutale ed entro 60 giorni dall’avvenuta ricezione della stessa, una “proposta indennitaria” per le poste precedentemente indicate (spese di partecipazione alla gara, spese progettuali e spese per eventuali oneri connessi alla fase precontrattuale).
Il 17 novembre esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n.491 che si occupa di una fattispecie di revoca (illegittima) di un procedimento di gara, disposta dalla PA in ragione dell’asserita mancanza – o sopravvenuta mancanza – di copertura finanziaria, peraltro indimostrata; della riscontrata partecipazione di un solo ed unico operatore economico in qualità di promotore (procedura aperta di project financing per l’affidamento del servizio integrato inerente la gestione, l’esercizio, la manutenzione ordinaria, straordinaria e programmata degli impianti di pubblica illuminazione e degli impianti semaforici di un Comune), nonostante fosse stata ex ante prevista l’aggiudicazione anche in presenza di un solo soggetto rimasto in gara; nonché della denunciata, eccessiva durata della concessione, nonostante detta durata fosse anch’essa ben nota fin dall’inizio della procedura in parola. Per il Collegio è necessario che l’obbligo di motivare la revoca sia assolto dalla PA con la massima diligenza e la più analitica puntualità, non soltanto perché al momento della revoca il destinatario ha – di regola – già beneficiato degli effetti, per lui favorevoli, dell’azione amministrativa o ha comunque riposto affidamento sulle aspettative indotte da quest’ultima, ma anche perché non deve affiorare la sensazione onde l’Amministrazione è libera di modificare ad libitum (unilateralmente ed arbitrariamente) i rapporti negoziali (contrattuali o precontrattuali), così palesando di operare in un sistema fondato sul principio autoritario. Il Collegio, nel caso di specie, dichiara illegittima la revoca di una procedura di gara che è stata disposta sulla base di una “motivazione apparente”, palesandosi fondata su di un complesso di argomentazioni formali, pleonastiche e ridondanti, inidonee come tali ad illustrare le specifiche ragioni sulle quali si dovrebbe fondare la determinazione di revocare una gara già espletata, per giunta quando essa è ormai completata.
Il 21 novembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.27543 che, nel dichiarare la Regione (o la Provincia) responsabile per i sinistri cagionati a persone o cose da animali selvatici, assume nondimeno che l’azione volta al ristoro del danno ha natura risarcitoria e non dispensa il danneggiato dalla prova della colpa ex art. 2043 c.c., alla cui stregua il danneggiato dalla fauna selvatica è appunto gravato dall’onere di provare non solo il danno ma anche il concreto comportamento colposo ascrivibile all’Ente tenuto al controllo della fauna; viene richiamata la pronuncia della III sezione n.24895.05 onde, in tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico: in detta fattispecie la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva rinvenuto detto comportamento nella circostanza che nella zona, densamente popolata di animali selvatici, non fosse stato installato alcun avvertimento per segnalare il pericolo, inducendo così l’utente della strada a prestare la massima attenzione, onde procedere con la necessaria prudenza; vengono richiamati altresì i precedenti della medesima sezione n. 7080.06 e della I sezione n. 9276.14, oltre alla pronuncia 27673.08 in tema di dimostrazione di aver messo in atto ogni possibile cautela al fine di evitare il danno.
Il 24 novembre esce l’ordinanza della III sezione del Consiglio di Stato n.5492 che rimette all’Adunanza Plenaria due questioni importanti: in primo luogo, se la responsabilità precontrattuale della PA sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire prima della relativa individuazione, e dunque nella fase pubblicistica in cui gli aspiranti alla posizione di contraenti si atteggiano a meri partecipanti ad una gara potendo come tali vantare solo un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri dell’Amministrazione; quindi se, in caso di risposta affermativa a tale primo quesito, detta responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’Amministrazione che precede la pubblicazione del bando di gara, laddove la PA ha fatto in modo che il bando venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuta, o dovesse essere conosciuta, l’assenza dei relativi, indefettibili presupposti, ovvero se essa debba estendersi a qualsiasi comportamento anche successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, laddove la PA ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione.
Il 28 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 6135 che, ribadisce l’orientamento secondo cui, in tema di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione di una gara di appalto, all’impresa danneggiata è dovuto l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto, sia – ove provato – il danno c.d. curriculare, ovvero il pregiudizio subito a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto.
2018
Il 2 gennaio esce la sentenza della Vi sezione del Consiglio di Stato n. 12 in tema di danno da ritardo. Preliminarmente, rileva il Collegio che l’intervenuto riconoscimento, da parte dell’amministrazione, di aver pronunciato in ritardo su alcune istanze non comporta, per ciò solo, l’affermazione della sua responsabilità per danni, dovendo il privato dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico. In particolare, il Consiglio di Stato richiama la propria giurisprudenza sull’applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c. onde l’omessa attivazione da parte dell’interessato degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della riduzione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, in una logica che vede l’omessa attivazione dei rimedi di tutela non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile
L’11 gennaio esce la sentenza non definitiva della V sezione del Consiglio di Stato n. 118 che rimette all’Adunanza Plenaria la questione se, in caso di affidamento diretto, senza gara, di un appalto, spetti il risarcimento danni per equivalente derivante da perdita di chance ad una impresa concorrente che avrebbe che potuto concorrere quale operatore del settore economico.
Il 16 febbraio esce la sentenza della I sezione del TAR Veneto n. 184 in tema di project financing. In tale campo, non è configurabile di regola la responsabilità precontrattuale della PA e cioè la violazione del dovere di correttezza negoziale, nel caso in cui l’Amministrazione eserciti il proprio potere di revoca dell’approvazione del progetto; né in tal caso è configurabile un affidamento tutelabile da parte del promotore circa il consolidamento della propria posizione, con la conseguenza che l’abbandono del progetto da parte della prima non integra in capo al proponente alcuna pretesa risarcitoria e nemmeno indennitaria. Inoltre, la disciplina generale di cui all’art. 21 quinquies è inapplicabile alla materia del project financing, in quanto per tale materia vige una disciplina speciale che regolamenta espressamente il diritto al rimborso delle spese per la predisposizione del progetto, riconoscendo tale diritto solo a conclusione della gara, nel caso in cui il promotore non risulti aggiudicatario; ed inoltre, in quanto la dichiarazione di pubblico interesse di un progetto spontaneamente presentato dal promotore non è un atto durevole, ovvero attributivo in maniera definitiva di un vantaggio, ma meramente ed eventualmente prodromico alla indizione di una gara
Il 27 febbraio esce la sentenza della I sezione del TAR Sicilia-Catania n. 466 onde ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della l. n. 241/1990, nel caso di legittima revoca della procedura di gara pubblica, l’aggiudicataria ha diritto al pagamento dell’indennizzo ivi previsto, da ragguagliare in via equitativa alle spese relative alle attività preliminari che l’impresa ha posto in essere sulla base del convincimento che l’affare sarebbe andato a buon fine sino alla conclusione del contratto. Tale indennizzo, prosegue il TAR, deve essere commisurato al solo danno emergente e, dunque, ai costi sostenuti fino al momento della revoca, sia per la partecipazione alla gara, sia per le lavorazioni preliminari eventualmente effettuate, con esclusione di qualsiasi altro pregiudizio dichiarato dall’impresa, senza peraltro che l’importo debba necessariamente coincidere con l’effettivo esborso sopportato, potendo esso essere equitativamente liquidato.
Il 9 marzo esce la sentenza delle SU n. 5788 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui rientra nella giurisdizione del GO l’azione di risarcimento dei danni proposta dall’impresa appaltatrice nei confronti della PA allorché la pretesa oggetto del contendere riguardi le modalità di adempimento del contratto concluso tra le parti, a seguito di aggiudicazione della relativa procedura, e sia stato lamentato il grave inadempimento della PA rispetto agli obblighi contrattualmente assunti, nonché la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.
Il 6 marzo esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 1409 in tema di risarcimento del danno derivante dall’adozione di informative antimafia. Ricorda il Collegio che la colpa dell’amministrazione ai fini del riconoscimento del risarcimento dev’essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle relative misure; andrà, in particolare, riconosciuto il dovuto rilievo alla portata della regola di azione, alla quale devono rispondere i Prefetti nell’esercizio della potestà in questione, che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione. Non può dimenticarsi, infatti, che il risarcimento del danno dovuto per lesione di interessi legittimi non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione.
Il 13 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1603 che esclude la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità precontrattuale della PA nel caso in cui il privato lamenti il mancato definitivo conferimento, da parte dell’amministrazione, di determinato lavoro ove l’originaria deliberazione adottata dall’Ente locale configuri una mera dichiarazione di intenti e sia sottoposta a condizione sospensiva, nonché non sia stata seguita da vincoli negoziali di sorta tra le parti. Una simile deliberazione, infatti, difetta dei presupposti minimi previsti dagli artt. 1337 e 1338 c.c., trattandosi di provvedimento non idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento sul conferimento dell’incarico.
Il 26 marzo esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 1882 che, in tema di mancato rispetto del termine di stipula del contratto dopo che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva, ritiene non inquadrabile tra le ipotesi di c.d “responsabilità precontrattuale ex lege” il mero mancato rispetto di detto termine. Secondo il Consiglio, infatti, le conseguenze che derivano in via diretta da tale ritardo della PA sono, da un lato, la facoltà dell’aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto e, dall’altro, il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo.
Il 24 aprile esce la sentenza della II sezione del TAR Piemonte n. 482 in tema di conseguenze risarcitorie dovute alla revoca della gara a causa di grave vizio progettuale imputabile alla stazione appaltante. In tale ipotesi è fondata la domanda risarcitoria proposta da parte dell’aggiudicataria provvisoria nei limiti della cosiddetta responsabilità precontrattuale per culpa in contrahendo di cui all’art. 1337 c.c., e quindi nei limiti del c.d. “interesse negativo” della parte ricorrente a non investire inutilmente tempo e risorse economiche per partecipare ad una gara d’appalto viziata ab origine da carenze progettuali imputabili alla stessa stazione appaltante, con conseguente risarcibilità dei (soli) danni consistenti nelle spese di partecipazione alla gara e nel mancato conseguimento di altre favorevoli occasioni contrattuali. A tale voce di danno va aggiunta quella relativa alla perdita di altre favorevoli occasioni contrattuali, quanto meno in relazione al periodo intercorrente tra la data dell’aggiudicazione provvisoria e quella della revoca della procedura di gara, periodo nel quale è verosimile che la società ricorrente, confidando nella imminente aggiudicazione della gara, abbia omesso di prendere parte ad altre procedure di gara, con conseguente perdita delle relative chance di aggiudicazione.
Il 4 maggio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 in materia di responsabilità precontrattuale della PA. In particolare, analizzando un caso sorto in materia di gare, il Consesso afferma come l’attuale portata del dovere di correttezza è oggi tale da prescindere dall’esistenza di una formale “trattativa” e, a maggior ragione, dall’ulteriore requisito che tale trattativa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto. Ciò che il dovere di correttezza mira a tutelare non è, infatti, la conclusione del contratto, ma la libertà di autodeterminazione negoziale: tant’è che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il relativo danno risarcibile non è mai commisurato alle utilità che sarebbero derivate dal contratto sfumato, ma al c.d. interesse negativo (l’interesse appunto a non subire indebite interferenze nell’esercizio della libertà negoziale) o, eventualmente, in casi particolari, al c.d. interesse positivo virtuale (la differenza tra l’utilità economica ricavabile dal contratto effettivamente concluso e il diverso più e più vantaggioso contratto che sarebbe stato concluso in assenza dell’altrui scorrettezza). Le tesi – chiosa il Consiglio – che il dovere di correttezza non sia diretto solo a favorire l’utile conclusione della trattativa (con un contratto valido) trova conferma nell’orientamento accolto dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 19 dicembre 2017, n. 26725, che ha ritenuto configurabile la c.d. responsabilità precontrattuale da contratto valido ma svantaggioso. È il caso in cui il comportamento sleale non ha reso la trattativa inutile (perché il contratto è stato validamente concluso), ma il contraente che ha subito la scorrettezza (ad es. una reticenza informativa antidoverosa), lamenta che a causa di tale slealtà ha concluso un contratto (valido ma) economicamente pregiudizievole. Scendendo poi nella materia del procedimento amministrativo (e del procedimento di evidenza pubblica in particolare), regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano, dunque, in sequenza temporale (prime le une e poi le altre o anche le altre). Operano, al contrario, in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. In particolare, nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento; di conseguenza, la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. In conclusione, afferma l’Organo giudicante, affinché nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione. La dottrina ha attenzionato la presente pronuncia in quanto al di là delle risposte fornite alle questioni che le erano state sottoposte, l’Aduanza Plenaria avrebbe aperto alla possibilità di configurare la lesione dell’affidamento incolpevole da parte dell’autorità amministrativa anche al di fuori della procedura per l’aggiudicazione dei contratti pubblici.
L’11 settembre esce la sentenza del TAR Calabria n. 528 che, in tema di risarcimento del danno da perdita di chance, riconosce, in caso di affidamento diretto di un appalto senza gara, la tutela conseguibile per l’operatore del settore come in forma specifica, consistente nella reintegrazione della chance per effetto della pronuncia di annullamento degli atti impugnati e nel conseguente effetto conformativo che impone all’Amministrazione di bandire una procedura aperta per l’affidamento dell’appalto. Diversamente, secondo il Tribunale, il ristoro per equivalente della chance di aggiudicazione resta precluso dall’assorbente rilievo che l’impresa asseritamente danneggiata non può certo dimostrare, per il solo fatto di operare nel settore dell’appalto illegittimamente sottratto al mercato, di aver perduto, quale diretta conseguenza dell’invalida assegnazione del contratto ad altra impresa, una occasione concreta di aggiudicarsi quell’appalto o, in altri, termini che, se l’Amministrazione lo avesse messo a gara, se lo sarebbe aggiudicato.
Il 4 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 24198 che condanna la PA al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, massime quando questo abbia ad oggetto la tutela di un diritto riconosciuto dalla costituzione o dalla CEDU, come nel caso del diritto di proprietà, tutelato dall’art. 41 Cost. e dagli artt. 6 CEDU ed 1 del Primo Protocollo addizionale CEDU. La Corte ha quindi riconosciuto come colposa la condotta dell’Amministrazione dell’Interno che, a fronte dell’ordine di sgombero di un immobile abusivamente occupato vi aut clam, trascuri per sei anni di dare attuazione al provvedimento di sequestro con contestuale ordine di sgombero, impartito dalla Procura della Repubblica.
Il 10 ottobre esce la sentenza della II sezione del TAR Piemonte n. 1100 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui il riconoscimento di tale voce di danno presuppone una rilevante probabilità del risultato utile, non identificabile nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, bensì nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile, se non addirittura – secondo più restrittivi indirizzi – la prova certa di una probabilità di successo almeno pari al cinquanta per cento.
Il 12 ottobre esce la sentenza della II sezione del TAR Lombardia n. 2267 onde rientra nella giurisdizione del GO l’azione risarcitoria promossa in via riconvenzionale dall’amministrazione con la quale quest’ultima faccia valere la responsabilità precontrattuale del privato per i danni da essa sofferti in conseguenza del coinvolgimento in trattative rivelatesi inutili, avendo partecipato ad una gara senza verificare, alla stregua di elementi che dovevano già essere conosciuti o conoscibili, la propria possibilità di impegnarsi contrattualmente.
Il 6 novembre esce la sentenza della I sezione del TAR Lombardia n. 2501 che ritiene fondata la domanda risarcitoria dei danni dovuti dalla revoca in autotutela di una procedura aperta per l’affidamento di un appalto di lavori nel caso in cui l’autotutela sia stata esercitata con esclusivo riferimento alla necessità di contenere la spesa. Secondo i giudici, infatti, l’interesse pubblico non è sopravvenuto, in ragione di eventi successivamente intervenuti aventi carattere di imprevedibilità, né tampoco è emerso successivamente, atteso che la effettiva consistenza dei lavori e delle spese relative non potevano non esser note alla stazione appaltante anche al momento della pubblicazione del bando; con la conseguenza che sussiste la culpa in contrahendo, la violazione delle regole di buone fede e correttezza da parte della P.A., nonché la relativa responsabilità precontrattuale
Il 9 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 28798 che ribadisce il percorso logiche che deve seguire il giudice nel valutare la responsabilità extracontrattuale della PA. L’indagine del giudicante dovrà quindi riguardare, nell’ordine: a) accertamento della sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, tale essendo l’interesse indifferentemente tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), dell’interesse legittimo (funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, la cui lesione rileva ai fini in esame) o dell’interesse di altro tipo, pur se non immediato oggetto di tutela in quanto dall’ordinamento preso in considerazione a fini diversi da quelli risarcitori (e quindi comunque non qualificabile come interesse di mero fatto); c) accertare sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva od omissiva) della PA; d) stabilire se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della PA, non trovando al riguardo applicazione il principio secondo cui la colpa della struttura pubblica dovrebbe considerarsi sussistente “in re ipsa” in caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo.
2019
Il 14 gennaio esce la sentenza del TAR Calabria n. 17 che, in tema di risarcimento del danno per equivalente, aderisce all’orientamento che ritiene applicabile la disposizione in tema di recesso unilaterale della PA dal contratto di appalto di opere pubbliche, recepita dall’art. 134 D.lgs. n. 163 del 2006, valevole quale criterio generale di quantificazione del margine di profitto dell’appaltatore nei contratti con l’Amministrazione, la quale consente alle Amministrazioni pubbliche una liquidazione forfetaria del danno subito dall’esecutore, nel caso di risoluzione anticipata, nella misura del 10% del compenso pattuito. Tale somma andrà poi dimezzata se il ricorrente non riuscirà a dimostrare di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, il cui onere grava sul privato, è da ritenere che l’impresa possa ragionevolmente aver riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi
In pari data esce la sentenza della I sezione del TAR Emilia Romagna n. 3 che, in tema di risarcimento del danno da perdita di chance, si sofferma sull’onere probatorio in capo al privato ed afferma che l’accoglimento del ricorso avverso una delibera di conferimento di un incarico di consulenza legale ed assistenza ad un Avvocato non comporta il risarcimento dei danni ove il ricorrente non abbia comprovato la sussistenza di un danno, limitandosi ad affermare la spettanza dell’incarico sostenendo la superiorità del proprio profilo curriculare rispetto a quello del controinteressato, allegando valutazioni soggettive prive di alcun principio di prova e senza considerare che alla selezione hanno partecipato altri candidati i cui profili non hanno formato oggetto di rilievo. Invero, ricorda il TAR, il riconoscimento di tale voce di danno presuppone una rilevante probabilità del risultato utile, non identificabile nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, bensì nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile, se non addirittura – secondo più restrittivi indirizzi – la prova certa di una probabilità di successo almeno pari al cinquanta per cento.
Questioni intriganti
Sul piano dell’imputazione, quanti prototipi di responsabilità della PA sono, per grandi linee, ipotizzabili?
- un modello nel cui contesto la PA (Stato o ente pubblico) risponde a titolo di responsabilità indiretta di tipo oggettivo, analoga a quella dei padroni o committenti per fatto dei propri operatori ex 1218 c.c. (a titolo contrattuale) e 2049 c.c. (a titolo aquiliano): si tratta del modello abbracciato dal sistema UE e dall’ordinamento tedesco, e maggiormente calibrato sulla responsabilità dell’Ente pubblico per il quale il soggetto agisce;
- un modello nel cui contesto la PA (Stato o ente pubblico) risponde a titolo di responsabilità indiretta soltanto entro certi limiti e “per estensione”, laddove la responsabilità civile è in primo luogo del dipendente pubblico che ha commesso il fatto illecito: si tratta del modello abbracciato dagli ordinamenti anglosassoni, e maggiormente calibrato sulla responsabilità del soggetto che agisce, piuttosto che su quella dell’Ente presso il quale è incardinato.
Che cosa sottende – sul crinale soggettivo – l’art.28 della Costituzione in tema di responsabilità civile della PA?
- prima opzione di tipo letterale: è il funzionario ed il dipendente ad essere direttamente responsabile, mentre quella dell’Ente pubblico è una responsabilità solo parallela-sussidiaria, stante l’espressione usata dai costituenti onde la responsabilità civile “si estende” allo Stato e agli enti pubblici; in sostanza, solo laddove si accerti una personale responsabilità di chi ha concretamente agito per l’Ente pubblico, è predicabile una parallela responsabilità civile dell’Ente medesimo, che tuttavia può essere citato ed escusso solo laddove il patrimonio della persona fisica direttamente responsabile si riveli incapiente;
- seconda opzione di tipo storico-sistematico, concretamente invalsa: poiché già a far tempo da prima della Costituzione, in presenza di un comportamento illecito di un funzionario o dipendente pubblico, la responsabilità civile dell’ente pubblico di appartenenza – al quale il primo è avvinto da un rapporto organico – è stata assunta diretta, e non già “per estensione”, proprio perché chi agisce viene visto come mero strumento dell’Ente pubblico, la responsabilità civile dell’ente pubblico va assunta potenzialmente asimmetrica (non parallela: l’Ente pubblico può rispondere anche se non risponde il dipendente o il funzionario) e, quando parallela, solidale, e non già sussidiaria, potendo dunque il cittadino che abbia subito danno dal fatto illecito rivolgersi indifferentemente tanto al funzionario o dipendente, quanto all’Ente pubblico di appartenenza.
Quali opzioni ermeneutiche si contendono il campo in tema di natura giuridica della responsabilità civile della PA?
- è aquiliana (o extracontrattuale): è la posizione tradizionalmente maggioritaria della dottrina e della giurisprudenza, alla cui stregua si applica l’art.2043 c.c. ed il regime ivi previsto dell’illecito aquiliano, e ciò perché – ancor prima che possano essere invocate le regole che presidiano un determinato procedimento amministrativo – la PA deve assumersi in caso di illecito violare il canone del neminem laedere, da intendersi in senso generale ed assolutizzante; allorché si violano interessi legittimi, a differenza di quando si vulnerano diritti soggettivi, la condotta illecita della PA si presenta – stando a questa opzione ermeneutica – in modo oggettivo, stanti le peculiari esigenze di tutela riconnesse a questa tipologia di situazione giuridica soggettiva, onde appare maggiormente coerente anche dal punto di vista strutturale il modello aquiliano della responsabilità della PA e le regole che ne presidiano l’accertamento; ciò in quanto – prima ancora che assumano significanza le regole che impongono, in termini soggettivi, una condotta corretta nei confronti dell’interlocutore privato e che concretamente avvincono, per l’appunto, la PA al singolo privato coinvolto nello specifico procedimento amministrativo, e dunque prima ancora che si riscontri un contegno illecito (come tale, scorretto) tra due parti, pubblica e privata, in concreto individuate e poste in contatto tra loro attraverso il procedimento che le coinvolge (massime quando esso proceda ad istanza di parte, ma anche quando tragga abbrivio da una iniziativa d’ufficio della PA) – rileva sul piano più astratto e generale la violazione perpetrata dall’Amministrazione di principi generali e di norme imperative che impongono a quest’ultima di tutelare gli interessi pubblici e, (solo) per il relativo tramite, gli interessi privati che di volta in volta si calano nel singolo procedimento amministrativo concretamente inteso; in sostanza, la PA deve prima di tutto comportarsi correttamente erga omnes, perseguendo ex lege la soddisfazione di interessi pubblici, e poi, a cascata, comportarsi correttamente con il singolo interlocutore privato coinvolto nello specifico procedimento amministrativo, laddove quegli fa valere il proprio interesse privato che assume compatibile con l’interesse pubblico; onde, laddove riconosciuta responsabile, essa lo è in forza dell’art.2043 c.c. ancor prima che in forza dell’art.1218 c.c. o di qualunque altra norma che già presupponga un rapporto specifico e concreto con la parte privata; trattandosi di responsabilità aquiliana, il privato attore dovrà sempre provare il fatto (non tanto doloso, trattandosi in questo caso di responsabilità del solo soggetto agente per recisione del rapporto organico, quanto piuttosto) colposo dell’Amministrazione intesa come “apparato”, il nesso di causalità ed il danno inferto al bene della vita “preteso” dal privato e non raggiunto a cagione appunto della illegittimità/illiceità del pubblico operato;
- è da inadempimento di obbligo precostituito, scaturito da contatto sociale qualificato, dovendo dunque il debitore inadempiente (la PA) provare – sul crinale soggettivo – il difetto di colpa ed ancor prima l’assenza di nesso di causalità tra il proprio comportamento e l’illecito, da intendersi come inadempimento ai sensi dell’1218 c.c.; la PA ed il privato – stando a questa diversa tesi – non sono due perfetti “sconosciuti”, reciprocamente estranei, e non può dunque predicarsi la responsabilità “del passante” tipica dell’illecito aquiliano; più e meglio di quanto accade nelle trattative precontrattuali, in cui le parti contraenti fanno reciproco affidamento ciascuna sul comportamento corretto ed in buona fede del proprio interlocutore, la PA ed il privato si trovano avvinti da una relazione qualificata nell’ambito del bacino procedimentale nel quale interloquiscono tra loro, e che vede la PA tenuta a comportarsi certamente in buona fede (come del resto il privato), ma anche – ed in modo assai più pregnante e significativo – secondo i canoni scolpiti nella legge 241.90, con particolare riguardo ai principi di efficacia, economicità, efficienza, trasparenza, non aggravamento e così via (si pensi in particolare all’art.1 della legge 241.90); il procedimento è allora la sede del “contatto qualificato” – o comunque di un rapporto giuridico (quand’anche non “obbligatorio”) – tra PA e interlocutore privato, che è un contatto “diverso” da privato a privato e dunque “personalizzato”, come dimostra la nomina di un responsabile del procedimento da un lato, e la congerie degli istituti partecipativi (comunicazione di avvio della sequenza procedimentale, dei motivi eventualmente ostativi all’accoglimento dell’istanza, possibili accordi etc.), dall’altro; la dottrina che abbraccia questa opzione ermeneutica non esclude in senso assoluto il rilievo dell’art.2043 c.c., ma ne limita la concreta operatività alle tradizionali ipotesi in cui siano lesi diritti soggettivi (e non già interessi legittimi) del privato, come nelle fattispecie (di incontro/scontro occasionale tra PA danneggiante e privato danneggiato) in cui l’azione pubblica non sia espressione della funzione amministrativa, atteggiandosi piuttosto a mera attività materiale (omessa manutenzione di strade pubbliche; incidenti stradali; danni da fauna selvatica; carenza di potere e vie di fatto occupatorie di suoli privati e così via); quando invece ad essere violati sono interessi legittimi, il rapporto tra la PA e l’interlocutore privato, mediato dal procedimento, lungi dall’atteggiarsi a meramente occasionale, viene assunto “specifico e differenziato”, capace come tale di generare specifici obblighi di comportamento in capo alle parti, ed in particolare in capo alla PA agente, che va responsabile ex art.1218 c.c. in caso di inadempimento a tali obblighi comportamentali; muovendo dalla configurabilità di fonti atipiche di obbligazione ex art.1173 c.c. (“qualunque altro atto o fatto idoneo a produrle” e non riconducibile né al contratto, né al fatto illecito, con conseguente natura “aperta” del catalogo delle ridette fonti) secondo parte della dottrina peraltro si è al cospetto – stante l’assenza di una prestazione della PA ben identificabile – di una fattispecie di rapporto obbligatorio “senza obbligo primario di prestazione” ma con “obbligo di protezione” della controparte (privata), quale figura di confine tra il contratto e l’illecito extracontrattuale (c.d. torto); proprio la configurabilità di obblighi “senza prestazione” (e di inadempimento ad obblighi sorti in un contesto di contatto amministrativo qualificato) sgancia il diritto al risarcimento del danno vantato dal privato dall’anelito ad un concreto bene della vita assunto vulnerato, per assumerlo predicabile anche al cospetto della mera violazione da parte dell’Amministrazione di obblighi meramente “strumentali” e procedimentali, già idonei a ledere l’aspettativa ad un contegno pubblico corretto che matura nel privato medesimo (affidamento obiettivo) all’interno del bacino procedimentale, lasciandosi così sullo sfondo la lesione dell’interesse finale al bene della vita, onde la prognosi di spettanza di tale bene della vita passa in secondo piano ai fini del risarcimento del danno così declinato (anche se va rammentato che, pur tutelandosi interessi privati, assunti lesi, che appaiono solo indirettamente e strumentalmente avvinti all’interesse al bene della vita, attraverso la lesione dei primi si vulnera in ogni caso anche il secondo, come nell’ipotesi del ritardo procedimentale, che si atteggia a violazione dell’obbligo di concludere il procedimento nel tempo prescritto dalla legge e, ad un tempo, nell’eventualità positiva, a ritardo nel conseguimento del connesso bene della vita); in sostanza, come fa notare la dottrina più critica, proprio la lesione dell’interesse legittimo – nel cui contesto, a differenza di quanto accade con i diritti soggettivi, non è certo ed incondizionato il raggiungimento del bene della vita sottostante, necessitandosi la mediata valutazione di relativa compatibilità con l’interesse pubblico – appare paradossalmente capace di far luogo a risarcimento del danno financo laddove si ledano interessi strumentali avvinti certo all’interesse finale al bene della vita, ma non identificantisi con esso; si tratta di una opzione ermeneutica che tuttavia asseconda tendenze ordinamentali orientate a mettere al centro la figura dell’obbligazione anche quando una delle parti sia pubblica e persegua un interesse pubblico, come dimostrano talune norme quali l’art.117 del c.p.a. che (sulla scia dell’art.2 della legge 205.00) impone alla PA di concludere il procedimento in modo espresso sanzionando il c.d. silenzio-inadempimento, con particolare riguardo alle ipotesi in cui esso muova da istanze del privato, laddove peraltro – in determinati casi – si configura financo la fattispecie penale dell’omissione o del rifiuto di atti d’ufficio ex art.328 c.p.; dal punto di vista del regime applicabile, mentre la risarcibilità dei soli danni prevedibili ex art.1225 c.c. è più favorevole all’Amministrazione (stante la difficoltà di configurare un illecito “doloso” della PA medesima che non interrompa il nesso organico con chi agisce per essa), non lo è stata – fino all’avvento dell’art.30 del c.p.a. – la disciplina della prescrizione, dovendosi assumere applicabile il termine decennale ordinario in luogo del termine di 5 anni previsto per le fattispecie di illecito aquiliano; dal punto di vista degli accessori al credito risarcitorio, sia in tema di dies a quo di decorrenza degli interessi (essi decorrono dalla domanda, e non dalla commissione del fatto illecito come nell’ipotesi dell’art.2043), sia in tema di rapporto tra interessi e rivalutazione monetaria (quest’ultima ottenibile solo a valle di prova del maggior danno subito dal creditore ex art.1224 c.c., senza possibilità di un cumulo attraverso l’applicazione degli interessi sulla somma via via rivalutata, come invece accadrebbe in ipotesi di illecito aquiliano), appare più favorevole alla PA (e meno favorevole al privato) la tesi in parola; le critiche della dottrina a tale opzione ermeneutica si appuntano massime, come detto, sulla rilevanza che viene da essa attribuita agli interessi procedimentali, che da un lato appaiono evanescenti in termini di concreta quantificazione dei danni che il privato subisce per effetto del relativo inadempimento; dall’altro – identificandosi essi sovente (ma non in tutte le declinazioni di questa tesi) quale reale ubi consistam dell’interesse legittimo (con marginalizzazione dell’interesse al bene della vita) – sembrano riproporre la ormai anacronistica visione dell’interesse legittimo medesimo quale pretesa (non già ad un bene della vita, quanto piuttosto) alla mera legittimità dell’azione pubblica; infine, proprio in forza della marginalizzazione dell’interesse al bene della vita, e di connessa valorizzazione in termini risarcitori della mera lesione di interessi strumentali e procedimentali, potrebbe configurarsi il paradosso di un “pari risarcimento” in capo a chi non ha ottenuto il bene della vita che pure gli spettava ed in capo a chi, pur non avendo legittimamente ottenuto il bene della vita (che non gli spettava) ottiene tuttavia un eguale ristoro a valle della violazione per l’appunto di interessi meramente strumentali, a prescindere dunque dall’utilitas anelata;
- è – quando collegata alla stipula “a valle” di un contratto, come nella classica ipotesi delle gare o dei concorsi – precontrattuale, e dunque analoga a quella che si configura nel corso del procedimento funzionale ad un contratto, collocandosi in questa ipotesi nella fase procedimentale funzionale ad un atto, che è appunto il provvedimento amministrativo (e che sovente è proprio la base di un successivo contratto, come nell’ipotesi dell’aggiudicazione rispetto al contratto di appalto); in tali casi le parti debbono entrambe comportarsi secondo buona fede, e tale obbligo incombe ovviamente anche sulla parte pubblica; da questo punto di vista, non rileva la legittimità o la illegittimità del provvedimento, quanto piuttosto l’illiceità del comportamento tenuto dalla PA nel corso della fase procedimentale, atteggiandosi dunque a responsabilità “da comportamento”, e non già “da provvedimento”, onde potrebbe ben darsi un comportamento “a monte” illecito pur a fronte di un atto “a valle” legittimo; in questi casi, si ripropone il dibattito privatistico sulla natura di tale responsabilità, aquiliana, “contrattuale” ovvero “sui generis”; le fattispecie in cui, in senso diacronico, è possibile riscontrare una responsabilità precontrattuale della PA sono fondamentalmente: c.1) l’ipotesi di ingiustificato recesso dalle trattative della PA; c.2) la fattispecie di revoca – ancorché legittima – della gara da parte della PA; c.3) l’ipotesi della mancata stipula del contratto con l’aggiudicatario per causa imputabile alla PA; c.4) la fattispecie della mancata registrazione di un contratto già stipulato per causa imputabile alla PA; laddove la responsabilità della PA abbia natura “precontrattuale”, il danno risarcibile è limitato al ristoro del mero interesse “negativo” (non coinvolgente come tale l’inadempimento degli obblighi sorti da un contratto che non è mai stato stipulato), sia sul versante del danno emergente (ad esempio le spese di partecipazione alla procedura e di elaborazione dell’offerta), sia sul crinale del lucro cessante (perdita, laddove provata, di ulteriori occasioni di stipulazione);
- è sui generis, non ricadendo in nessuna delle altre categorie del precedente elenco, e mutuandone ciascuno dei regimi alla bisogna; si tratta di una responsabilità contraddistinta dall’illegittimo esercizio del pubblico potere amministrativo; ciò che rende peculiare questo genere “terzo” di responsabilità in capo alla PA è il maturare dell’illecito nel bacino procedimentale, nel corso dell’esercizio del potere amministrativo, laddove la PA – stante il principio di legalità – è tenuta a rispettare determinate regole di natura tanto sostanziale quanto procedimentale che ne disciplinano la precipua azione nell’interesse pubblico e dalla cui violazione deriva per l’appunto un illecito che è diverso tanto dall’inadempimento ad una obbligazione discendente da negozio o comunque da contratto, quanto dal fatto illecito discendente da un comportamento materiale che cagioni danno ingiusto a persone o cose, vulnerando diritti o altre situazioni soggettive che il relativo portatore vede tutelate erga omnes secondo lo schema dell’illecito aquiliano; occorre considerare che sovente chi fa valere la responsabilità della PA invocando il risarcimento dei danni, contestualmente invoca anche tutela demolitoria impugnando un provvedimento amministrativo e chiedendone l’annullamento (ovvero la declaratoria di nullità), con la conseguenza onde – non configurando la responsabilità come “speciale” e riconducendola ai noti e collaudati schemi civilistici – si rischia che il Giudice Amministrativo finisca col sovrapporre proprie valutazioni rispetto a quelle riservate alla PA, finendo con il sostituirsi ad essa, stante la evidente connessione tra giudizio di legittimità sull’atto e giudizio di responsabilità sul comportamento pubblico; peraltro, con specifico riguardo alla fattispecie disciplinata dall’1218 c.c. (c.d. responsabilità “contrattuale”) per questa opzione ermeneutica si è al cospetto da un lato di un diritto di credito e dall’altro di un obbligo di prestazione (o di protezione) in capo al debitore, mentre nella diversa ipotesi di responsabilità della PA connessa ad un procedimento e ad un provvedimento si ha da un lato un interesse legittimo (o un diritto soggettivo in ipotesi di giurisdizione esclusiva) e dall’altro un potere pubblico esercitato per l’appunto nel procedimento; si tratta di una tesi che è tuttavia criticata da chi la ritiene pleonastica, dovendosi in ogni caso giungere – pur al cospetto di una sbandierata “specialità” – ad individuare una concreta disciplina applicabile a tale responsabilità pubblica, con inevitabile riflusso sui classici modelli “contrattuale” e/o aquiliano, per giunta con l’aggravante di lasciare eccessivo spazio a soluzioni “pretorie” non assistite dalla necessaria omogeneità (sostanzialmente “soggettive”); peraltro, e scendendo al concreto, ogni qual volta la giurisprudenza parla di natura “speciale” della responsabilità della PA, si rifà alle categorie dell’illecito aquiliano richiedendo l’accertamento di tutti i relativi presupposti di configurabilità (comportamento lesivo di un interesse legittimo, nesso di causalità, danno ingiusto proprio perché il contegno pubblico è lesivo di un interesse legittimo, colpa), così sostanzialmente finendo col “confluire” nella tesi più accreditata che assume operativo l’art.2043 c.c.;
- è oggettiva, come dimostra la specifica materia degli appalti pubblici, secondo anche la giurisprudenza sovranazionale, con interpretazione estensibile a tutte le ipotesi di responsabilità della PA; assumere la responsabilità come “oggettiva” in ogni caso (e non soltanto nella materia degli appalti pubblici) significa “colorare” in senso positivo e caratterizzante proprio la “specialità” della responsabilità pubblica connessa al procedimento ed al provvedimento; tale tesi tuttavia viene criticata da chi assume la responsabilità oggettiva della PA propria solo della materia degli appalti pubblici (sulla scia della normativa e della giurisprudenza sovranazionali), e come tale non estensibile a tutte le altre ipotesi di responsabilità civile, laddove è comunque richiesta (con regime probatorio più o meno rigoroso per il privato attore) la prova della colpa pubblica o dell’assenza di colpa (con onere in questo secondo caso incombente sulla PA convenuta).
In vista di un contratto “a valle” cui alfine non si giunga, quanti modelli di responsabilità precontrattuale della PA si configurano in dottrina?
- responsabilità precontrattuale spuria o “atecnica”, a valle della quale si configurano provvedimenti illegittimi: anche se dal punto di vista “ambientale” la fattispecie di responsabilità sembra in qualche modo richiamare le trattative che precedono il contratto (per tale motivo assumendo la foggia di “precontrattuale”), si tratta solo di una evocazione di stampo “cronologico” e ciò in quanto alla fine, dinanzi ad un atto illegittimo (che impedisce di giungere al divisato contratto), quello che rileva è la violazione delle norme e l’abuso dei poteri di tipo pubblicistico, e non già la violazione delle norme che presiedono ai corretti rapporti interprivati (la prima violazione assorbendo in qualche modo la seconda);
- responsabilità precontrattuale pura o “tecnica”, a valle della quale si configurano provvedimenti legittimi: qui non si riscontra nessuna lesione delle norme che presiedono all’esercizio autoritativo del potere, quanto piuttosto proprio (e solo) una violazione delle disposizioni che regolano i rapporti interprivati a monte di un contratto, e che richiedono – ai sensi degli articoli 1337 e 1338 del codice civile – di preservare il diritto soggettivo dell’interlocutore privato alla autodeterminazione negoziale (con conseguente piena riproponibilità del dibattito privatistico in ordine alla natura contrattuale, aquiliana o “terza e sui generis” di tale responsabilità).