Corte Costituzionale, sentenza 23 febbraio 2023, n. 26
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge della Regione Calabria 19 marzo 2004, n. 11 (Piano Regionale per la Salute 2004/2006).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.– Con ordinanza del 18 ottobre 2021 (reg. ord. n. 1 del 2022), la Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge reg. Calabria n. 11 del 2004.
La disposizione censurata stabilisce che gli incarichi di direttore sanitario e di direttore amministrativo delle aziende sanitarie regionali «hanno comunque termine ed i relativi rapporti di lavoro sono risolti di diritto, nell’ipotesi di cessazione, per revoca, decadenza, dimissioni o qualsiasi altra causa, del direttore generale».
Ad avviso del giudice a quo, questa norma lederebbe il principio del buon andamento di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., poiché pregiudicherebbe l’esigenza di assicurare con continuità l’espletamento delle funzioni affidate al direttore sanitario e a quello amministrativo, ancorando l’interruzione anticipata dei relativi rapporti alla cessazione del direttore generale e dunque prescindendo dalla sussistenza di ragioni, da valutare con le garanzie del giusto procedimento, legate alle concrete modalità di svolgimento degli incarichi.
Il denunciato meccanismo di sostanziale decadenza automatica violerebbe, inoltre, l’art. 98, primo comma, Cost., che impone ai pubblici impiegati un dovere di neutralità.
2.– Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla Regione Calabria.
Le questioni sarebbero, infatti, irrilevanti, perché il rimettente non avrebbe considerato: a) che la risoluzione di diritto del rapporto de quo sarebbe stata prevista anche in un’apposita clausola del contratto sottoscritto dal ricorrente nel processo principale, la quale avrebbe «prodotto e ormai esaurito i propri effetti», a prescindere dalla norma denunciata; b) che, analogamente a quanto stabilito dalla norma censurata, anche l’art. 14, comma 3, della legge reg. Calabria n. 13 del 2005 disporrebbe la decadenza dagli incarichi del direttore sanitario e di quello amministrativo, sebbene in caso di nomina del nuovo direttore generale; c) che i contratti del direttore sanitario e di quello amministrativo sarebbero regolati dalle norme del codice civile sui contratti di prestazione d’opera, sicché, se pure la disposizione censurata fosse espunta dall’ordinamento, la fattispecie oggetto del giudizio a quo sarebbe disciplinata da tali norme codicistiche.
2.1.– L’eccezione non è suscettibile di accoglimento, sotto alcuno dei profili in cui è articolata.
2.1.1.– I descritti rilievi della difesa regionale non possono, infatti, essere condivisi, dal momento che: a) dell’ipotizzata clausola contrattuale, il cui specifico contenuto non è stato, in ogni caso, descritto dalla Regione, non vi è cenno nell’ordinanza di rimessione, né la difesa regionale ha dedotto che essa appartenesse al thema decidendum devoluto al rimettente; b) la decadenza di cui all’art. 14, comma 3, della legge reg. Calabria n. 13 del 2005 è legata alla nomina del nuovo direttore generale, sicché si è al cospetto di una fattispecie distinta dalla risoluzione di diritto che ha dato origine al giudizio a quo; c) la Regione non ha indicato quale delle richiamate norme del codice civile disciplinerebbe tale risoluzione e comunque – se pure si volesse ritenere che intendesse fare riferimento all’art. 2227 cod. civ., che attribuisce al committente la facoltà di recesso ad nutum nei contratti di prestazione d’opera – non ha dedotto di aver fatto ricorso a tale facoltà dopo la risoluzione medesima (ciò che, a tacer d’ogni altra considerazione, si risolverebbe peraltro in un posterius che non inciderebbe sul giudizio di rilevanza).
2.1.2.– Del resto, nell’ordinanza di rimessione è chiaramente spiegato che la risoluzione di diritto del rapporto con il direttore amministrativo oggetto del processo principale è conseguita alla decadenza del direttore generale per effetto della norma denunciata; è in forza di quest’ultima, inoltre, che la sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione ha disatteso le pretese azionate dal direttore amministrativo; infine, è proprio sull’asserita illegittimità costituzionale della medesima norma che si è fondato uno dei motivi di gravame.
Poiché gli ulteriori motivi di censura della sentenza impugnata sono stati dichiarati inammissibili, è evidente che il rimettente deve fare applicazione della disposizione sospettata e che l’esito dell’odierno incidente di legittimità costituzionale influisce sulla sua decisione: tanto è sufficiente a radicare la rilevanza delle questioni sollevate, secondo il costante orientamento di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 193, n. 183, n. 167, n. 143 e n. 139 del 2022).
3.– Nel merito, è fondata la censura di violazione dell’art. 97, secondo comma, Cost.
Le sentenze n. 228 del 2011 e n. 224 del 2010 hanno puntualizzato le affermazioni della più risalente sentenza n. 233 del 2006, evocata dalla difesa della Regione Calabria, anche con riguardo alla specifica considerazione, in essa contenuta, del principio di buon andamento dell’azione amministrativa.
In particolare, la richiamata sentenza n. 224 del 2010, anche alla luce dell’evoluzione medio tempore intervenuta nella giurisprudenza costituzionale sui meccanismi di spoils system, ha voluto valorizzare maggiormente, rispetto a quel precedente del 2006, altri profili che ha ritenuto più strettamente connessi al principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Infatti, con riguardo a una normativa della Regione Lazio che prevedeva una regola che legava in modo automatico, secondo il principio simul stabunt, simul cadent, la sorte di una figura non apicale, quale il direttore amministrativo, a quella del direttore generale, ha dato risalto, da un lato, alle «esigenze dell’Amministrazione ospedaliera concernenti l’espletamento con continuità delle funzioni dirigenziali proprie del direttore amministrativo, e, dall’altro lato, alla tutela giudiziaria, costituzionalmente protetta, delle situazioni soggettive dell’interessato, inerenti alla carica».
All’interno di un contesto normativo regionale che oltretutto stabiliva «un particolare iter procedimentale di garanzia per il direttore amministrativo», la sentenza in esame ha pertanto ritenuto del tutto ingiustificata, e in fondo anche contraddittoria, l’omessa considerazione delle medesime esigenze da parte della norma censurata, che stabiliva invece un mero meccanismo di decadenza automatica.
Quest’ultimo è stato quindi ritenuto in contrasto con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97, secondo comma, Cost.
3.1.– Tali conclusioni non possono che essere ribadite anche con riferimento alla norma censurata.
Questa, facendo decorrere la cessazione degli incarichi del direttore amministrativo e di quello sanitario dalla cessazione del vecchio direttore generale, stride, ancor più sotto tale profilo, con l’esigenza di continuità dell’azione amministrativa.
Infatti, in forza della specifica modalità con cui è strutturato il principio simul stabunt, simul cadent dall’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge reg. Calabria n. 11 del 2004, l’ente risulta esposto al rischio di subire un periodo di discontinuità gestionale, in ipotesi anche prolungato, in cui il vacuum finisce addirittura per riguardare tutti i tre i direttori preposti, secondo le loro rispettive competenze, al governo dell’ente stesso.
3.2.– La norma censurata, inoltre, con l’effetto automatico che determina, «non àncora l’interruzione del rapporto di ufficio in corso a ragioni “interne” a tale rapporto» (sentenza n. 224 del 2010), legate alle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore amministrativo e di quello sanitario.
Essa, infatti, pretermette del tutto una fase valutativa dei comportamenti tenuti dall’interessato, in cui al dirigente sia consentita la possibilità di fare valere le proprie ragioni, sulla base dei risultati delle prestazioni rese e delle competenze esercitate in concreto nella gestione dei servizi amministrativi a lui affidati.
L’interruzione automatica del rapporto stabilita dalla norma censurata esclude quindi ogni possibilità di valutazione qualitativa dell’operato del direttore amministrativo e di quello sanitario.
In presenza invece di tale possibilità, il nuovo direttore generale, per fare cessare dall’incarico il direttore amministrativo e quello sanitario, sarebbe tenuto a specificare le ragioni, connesse alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali da parte dell’interessato, «idonee a fare ritenere sussistenti comportamenti di quest’ultimo suscettibili di integrare la violazione delle direttive ricevute o di determinare risultati negativi nei servizi di competenza e giustificare, dunque, il venir meno della necessaria consonanza di impostazione gestionale» (ancora, sentenza n. 228 del 2011).
Anche da questo punto di vista, quindi, l’automatismo della disciplina in discorso, con la mancata previsione di una fase procedurale che faccia dipendere «la decadenza da pregressa responsabilità del dirigente, comporta una vera e propria “discontinuità della gestione”», che, risultando priva di una motivata giustificazione, si pone in contrasto con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. (ancora, sentenza n. 224 del 2010).
3.3.– Sulla scorta delle argomentazioni che precedono, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge reg. Calabria n. 11 del 2004.
Resta assorbita l’ulteriore censura prospettata dal rimettente.
4.– Va, infine, precisato che in situazioni di commissariamento statale del servizio sanitario regionale – quale quello attualmente vigente nella Regione Calabria, di cui questa Corte «ha registrato la straordinaria lunghezza e difficoltà della gestione» (sentenza n. 228 del 2022) – quanto qui affermato, a regime, in ordine all’illegittimità costituzionale dell’automatismo della decadenza degli incarichi dei direttori sanitari e amministrativi non interferisce con la particolare prospettiva in cui, in tali contesti, viene in causa il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, e in particolare con quanto chiarito nella sentenza n. 168 del 2021, per cui il potere sostitutivo, «in situazioni estreme come quella in oggetto, non può essere certo attuato attraverso il mero avvicendamento del vertice, senza considerare l’inefficienza dell’intera struttura sulla quale tale vertice è chiamato a operare in nome dello Stato».