Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 24 febbraio 2025 n. 7397
PRINCIPIO DI DIRITTO
Integra il delitto di falso per induzione in atto pubblico anche in caso di falsa dichiarazione resa dal paziente al medico del pronto soccorso circa l’origine causale delle lesioni lamentate e sottoposte all’esame dei sanitari.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- 1. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito indicati.
- Preliminarmente giova osservare che nessun dubbio residua in ordine alla ricostruzione dei fatti, compiuta dai Giudici di merito con motivazione assolutamente congrua e del tutto logica;
2.1. […], il presente processo è originato dallo stralcio di un più ampio procedimento a carico di altri imputati, le cui posizioni sono state definite con rito abbreviato, che ha consentito di accertare l’esistenza di un’associazione volta alla commissione di truffe assicurative realizzate cagionando volontariamente lesioni fisiche a soggetti consenzienti, […], e simulando che le stesse fossero conseguenza di un infortunio stradale;
[…] ciò al fine di conseguire il relativo premio dalle compagnie assicurative coinvolte;
I soggetti partecipi di questo illecito sistema […] dopo avere procurato le lesioni ai loro complici, compensati con esigue somme di denaro, li accompagnavano al pronto soccorso, ove essi dichiaravano ai sanitari di avere subito un sinistro stradale, ottenendo una certificazione medica che veniva, poi, utilizzata per istruire la pratica assicurativa e riscuotere il premio;
2.2. […];
- La difesa […] ha dedotto, con il secondo motivo del ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dello stato di necessità nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma terzo, cod. pen., per avere l’imputato commesso il fatto a causa dell’altrui minaccia, attuale e assolutamente grave, sì da incidere sulla sua libertà di autodeterminazione.;
3.1. Sul punto va premesso, che il primo comma dell’art. 54 prevede che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo»;
Mentre il terzo comma stabilisce che non è punibile colui il quale agisca «in stato di necessità determinato dall’altrui minaccia»; fermo restando che, «in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo»;
Mentre nel primo caso si è in presenza di una scriminante, idonea a determinare la liceità penale del fatto (salvo l’obbligo civilistico di provvedere, ai sensi dell’art. 2045 cod. civ., alla corresponsione di un’equa indennità del soggetto a carico del quale sia stato commesso il fatto in stato di necessità);
Nella seconda ipotesi (comunemente definita di «coazione morale») si è in presenza di una scusante, che elide, sul piano soggettivo, la responsabilità dell’agente, ma non fa venire meno l’illiceità del fatto, del quale risponde l’autore della minaccia;
Tuttavia, dal momento che anche il terzo comma richiama, pure per l’ipotesi ivi prevista, la nozione di stato di necessità, si ritiene che i presupposti previsti dal primo comma debbano ricorrano anche nell’ipotesi della cd. coazione morale.
Dunque, accanto alla minaccia esercitata da un terzo, tale da frenare la libertà di autodeterminazione del soggetto coartato (coazione relativa), senza che sia necessario un totale annullamento delle facoltà volitive dell’ingiunto (coazione assoluta, rilevante ex art. 46 cod. pen.), affinché siano integrati gli estremi dello stato di necessità si richiede che il soggetto minacciato versi in una situazione di pericolo – attuale, non volontariamente cagionato e non altrimenti evitabile – e che il fatto sia commesso per effetto dell’intervenuta coazione (cfr. Sez. 3 -, n. 15654 del 02/02/2022, […]);
Coerentemente con tale impostazione, si è, quindi, affermato che «lo stato di necessità non è configurabile nel caso in cui il soggetto che lo invochi possa sottrarsi alla minaccia ricorrendo alla protezione dell’autorità, ove tale soluzione alternativa si prospetti come realmente praticabile ed efficace a neutralizzare la situazione di pericolo attuale in cui l’agente o il terzo destinatario della minaccia versa» (così Sez. 1, n. 47712 del 29/09/2022, […]; Sez. 4, n. 45139 del 28/09/2023, […]);
3.2. Tanto osservato, rileva il Collegio che i Giudici di merito abbiano correttamente escluso l’integrazione della fattispecie prevista dall’art. 54, comma terzo, cod. pen.
E’ pacifico in atti che l’imputato avesse ricevuto delle gravi minacce, anche in ospedale, perché mantenesse l’impegno di dichiarare il falso sulla origine delle lesioni, […];
E non pare contestabile[…], che l’intensità delle minacce fosse tale da condizionare pesantemente la volontà dell’imputato, inducendolo a mantenere fede all’accordo illecito con i suoi complici;
Tuttavia, […], le sentenze di merito hanno ritenuto che le condizioni del ricovero di C.V. non fossero certamente tali da precludergli la possibilità di richiedere l’intervento dell’autorità, a cominciare dalle Forze di polizia del drappello ospedaliero, sicché il pericolo era altrimenti evitabile;
[…].
- A un differente approdo deve, invece, pervenirsi con riferimento alla configurabilità del delitto contestato ai due imputati, sostanzialmente identico sul piano dello svolgimento dei fatti e della qualificazione giuridica. […];
4.1. Va premesso che l’art. 479 cod. pen. sanziona il fatto del pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che il fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto e destinato a provare la verità.
Nel caso in esame, il falso, materialmente realizzato dal sanitario che aveva redatto il referto, sarebbe stato in realtà integrato da ciascuno degli imputati attraverso le dichiarazioni mendaci che avrebbero indotto in errore il pubblico ufficiale, secondo lo schema delineato dall’art. 48 cod. pen., a mente del quale le disposizioni in materia di errore sul fatto che costituisce il reato si applicano anche se esso è determinato dall’altrui inganno;
Ma, in tal caso, «del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo»;
Lo schema normativo risultante dalla combinazione degli articoli indicati viene, così, a configurare una fattispecie particolare di falsità ideologica, che vede capovolto il normale rapporto tra falso e inganno, in quanto è il secondo a precedere il primo;
In questi casi, infatti, un soggetto (autore immediato), indotto in errore da altri (autore mediato), si forma ed esterna una falsa rappresentazione della realtà, dando corpo agli estremi oggettivi di un delitto di falso ideologico, di cui non risponde per mancanza di dolo, ma che viene addebitato all’autore dell’inganno;
E poiché, sovente, lo stesso inganno consiste di una falsa dichiarazione compiuta dall’autore mediato e supposta vera dall’autore immediato, ne consegue che questa peculiare fattispecie richiede una falsità, (quella commessa dall’autore mediato), che sia causa di un’altra falsità, quella commessa, inconsapevolmente, dall’autore immediato (per questa ricostruzione v. Sez. 5, n. 17810 del 07/04/2022, […]; per il richiamo all’operatività dell’art. 48 cod. pen., cfr. Sez. 5, n. 11597 del 12/02/2010, […] – 01; Sez. 5, n. 40785 del 11/07/2013, […]);
Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, dunque, «stante il rapporto di causa-effetto quel fatto attestato dal privato, quale presupposto dell’emanazione dell’atto del pubblico ufficiale, e il contenuto dispositivo di quest’ultimo e stante, altresì la stretta connessione logica tra l’uno e l’altro, la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicché la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus, sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità;
Si configurano perciò, anche sotto il profilo naturalistico, due condotte riconducibili AL decipiens: una prima condotta consistente nella redazione della falsa attestazione e una seconda concretatasi nell’induzione in errore del pubblico ufficiale mediante la produzione della stessa ai fini dell’integrazione di un presupposto dell’atto pubblico emanato, con conseguente configurabilità del concorso materiale tra i due reati legati anche da connessione teleologica» (Sez. U., 28/06/2007, n. 35488, […]);
4.2. Orbene, nel caso esaminato, è pacifico che il sanitario, nell’atto di redigere il referto, fosse un pubblico ufficiale nell’esercizio di un potere certificativo e che l’atto redatto avesse natura pubblica fidefacente. E parimenti non contestabile, né in effetti contestato, è la circostanza che le lesioni refertate fossero effettivamente esistenti nonché che l’eziologia delle stesse fosse differente da quella riferita dai due pazienti e riportata nel certificato medico;
In particolare, quanto al primo profilo va ribadito che il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., dovendo rientrare nella relativa nozione non soltanto i documenti redatti da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell’esercizio delle loro funzioni, per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 17089 del 17/02/2022, […] – 01; Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, […] – 01; Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep. 2019, […] – 01; Sez. 5, n. 9358 del 24/04/1998, […]);
Sono atti pubblici, quindi, anche gli atti interni e quelli preparatori di una fattispecie documentale complessa, e relative alla dimostrazione di stati, qualità personali o fatti che siano nella diretta conoscenza dell’interessato dichiarante, compreso il possesso di requisiti per ottenere un determinato beneficio (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, […]);
4.3. Tanto premesso, osserva nondimeno il Collegio che il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente viene integrato, come detto, quando il pubblico ufficiale, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che il fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto e destinato a provare la verità;
Dunque, esso presuppone, per quanto di rilievo in questa sede (essendo le restanti ipotesi del tutto eccentriche ai fatti oggetto del presente giudizio), che la falsa rappresentazione della realtà riguardi un contenuto dell’atto che quest’ultimo sia diretto ad attestare con fede privilegiata;
Ciò ricorre, ai sensi degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., in relazione alla provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché ai fatti appartenenti all’attività compiuta dal pubblico ufficiale o caduti (come nel caso delle dichiarazioni di terzi) sotto la sua percezione sensoriale, destinati ab initio alla prova ossia precostituiti a garanzia della pubblica fede e, dunque, ad assumere anche un rilievo giuridico esterno rispetto alla mera indicazione sanitaria o terapeutica (così Sez. 5, n. 7921 del 16/01/2007, […]; Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, […], quest’ultima relativa a casi di referti medici attestanti traumi da falsi sinistri stradali per consentire lucro a danno delle compagnie assicuratrici, ma in cui i sanitari che li redigevano erano consapevoli della falsità di quanto attestato);
E, tra essi, rientra certamente la diagnosi, che pur costituendo un’attività valutativa, può essere certamente oggetto di una falsa attestazione, secondo quanto ormai ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 12401 del 01/12/2010, dep. 2011, […]);
Si è, infatti, affermato, proprio con riferimento alle diagnosi e alle valutazioni compiute dal medico, che anche tali giudizi di valore, al pari degli enunciati in fatto, possono essere non veritieri; sicché, nell’ambito di contesti che implicano l’accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata perizia possono non solo configurarsi come false, ma posso rientrare altresì nella categoria della falsità ideologica che allochi il giudizio e faccia riferimento a criteri predeterminati, in modo da rappresentare la realtà al pari di una descrizione o di una costatazione, sicché è ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni ([…]);
Tuttavia, nel caso in esame, la falsa rappresentazione non riguarda l’esistenza e consistenza delle lesioni, né la compatibilità del trauma con le dichiarazioni del paziente, che le sentenze non hanno messo in dubbio, né tantomeno il fatto storico che i pazienti avessero reso le dichiarazioni indicate nel referto, anch’esse, a quanto emerge dal testo dei provvedimenti, riportate in maniera fedele;
Essa, al contrario, concerne il dato relativo all’eziologia del trauma, certamente non rientrante nel potere certificativo del medico;
In proposito, la casistica giurisprudenziale ha condivisibilmente ritenuto integrato il delitto previsto dall’art. 479 cod. pen. nel caso del soggetto che, lamentando patologie inesistenti, tragga in inganno i sanitari sulla veridicità di quanto viene loro esposto, inducendoli a redigere certificati medici che, in quanto riportanti sintomi idonei a fondare una diagnosi errata, devono ritenersi ideologicamente falsi ([…]);
Si determinerebbe, diversamente opinando, una distorsione della relazione terapeutica, non più fondata sulla reciproca fiducia, ma sul pregiudizio del medico circa l’attendibilità delle esternazioni del paziente, ossia proprio di quelle dichiarazioni che devono orientare il sanitario nel corretto espletamento delle proprie funzioni;
Ma, si ribadisce, come del resto condivisibilmente ritenuto, […], il caso qui in rilievo presenta caratteri affatto diversi, atteso che la circostanza falsa riferita dai pazienti non ricadeva nell’ambito dell’accertamento diagnostico e, dunque, del potere certificativo del medico, che su tale accadimento non aveva, all’evidenza, alcun potere di verifica o controllo, alla cui esistenza corrisponde, invece, la responsabilità per avere falsamente attestato ciò che il pubblico ufficiale aveva il dovere di controllare;
4.4. Non ignora il Collegio che secondo alcune pronunce di legittimità integra il delitto di falso per induzione in atto pubblico anche in caso di falsa dichiarazione resa dal paziente al medico del pronto soccorso circa l’origine causale delle lesioni lamentate e sottoposte all’esame dei sanitari;
In particolare, si è ritenuto che anche la dichiarazione sull’origine delle lesioni rientri nel contributo informativo apportato dal paziente, assolvendo alla specifica funzione di orientare il medico nelle sue valutazioni diagnostiche e terapeutiche delle quali egli dà atto nel referto;
[…] quindi, essa rientri nella funzione certificatrice del referto in quanto attinente a fatti storici antecedenti e rilevante ai fini dell’accertamento delle lesioni, alla determinazione della loro natura e tipologia e, conseguentemente, alla scelta delle cure appropriate;
[…] il medico, per espletare correttamente la sua attività, deve instaurare un «dialogo collaborativo» con il paziente funzionale a realizzare la cd. alleanza terapeutica, anche al fine di disporre i necessari e più appropriati accertamenti diagnostici, per poi formulare una corretta diagnosi obiettiva e prescrivere una terapia adeguata (in questi termini Sez. 5, n. 37971 del 20/06/2017, […]; aderiscono a tale indirizzo, nella giurisprudenza più recente, Sez. 5, n. 17810 del 07/04/2022, […], relativa al caso di un lavoratore infortunato che, su istigazione del datore di lavoro, aveva dichiarato al medico del pronto soccorso di essersi procurato la lesione a causa di una caduta accidentale nella propria abitazione anziché di un infortunio sul posto di lavoro, si da impedire l’avvio delle relative procedure, nonché Sez. 5, n. 24813 del 9/02/2023, […], in cui l’imputato aveva falsamente dichiarato al medico del pronto soccorso di aver subito una lesione alla caviglia in seguito ad un sinistro stradale mai verificatosi);
Osserva, nondimeno, il Collegio che non è, qui, in discussione la circostanza che il paziente sia tenuto, in ragione del necessario rapporto collaborativo con il sanitario, a rendere dichiarazioni vere in sede di anamnesi, onde orientare correttamente il medico su origine e natura della malattia nonché sui relativi interventi terapeutici, quanto se possa configurarsi un falso in atto pubblico in presenza di una dichiarazione mendace, riportata in un atto pubblico come il referto medico, ma a cui quello stesso atto non sia idoneo ad attribuire fede privilegiata, secondo la previsione dell’art. 479 cod. pen. più sopra richiamata;
Se, infatti, la norma incriminatrice sanziona le condotte con cui l’agente «attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità», deve corrispondentemente ritenersi che non sia idonea a integrare la fattispecie incriminatrice una condotta come quella ascritta agli odierni imputati;
Infatti, se può condividersi la rilevanza, ai fini dell’integrazione del delitto de quo, della falsa rappresentazione di una sintomatologia, che costituisce il presupposto per la diagnosi, ad altra conclusione deve pervenirsi in relazione all’origine del trauma, salvo che se ne dimostri la sua indispensabile rilevanza ai fini dell’inquadramento patologico e terapeutico (ove quest’ultimo rilevi, ad esempio, sulla certificazione della durata dello stato di malattia).
- Consegue alle considerazioni che precedono che il delitto contestato non può, nella specie, ritenersi sussistente, dovendo condividersi il rilievo, formulato dalla Difesa e disatteso in sede di merito, secondo cui i fatti, […], avrebbero potuto essere qualificati ai sensi dell’art. 642, secondo comma, cod. pen., che punisce la condotta di colui il quale, al fine di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, cagiona a sé stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro; delitto per il quale, in relazione alla posizione degli odierni imputati, nel caso di specie manca la querela richiesta;
Viceversa, la sentenza impugnata ha correttamente escluso la riconducibilità delle condotte ascritte agli imputati all’ipotesi di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico prevista dall’;
Detta fattispecie, infatti, ricorre sussiste qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente ([…]);
- Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere accolti, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
- Ai sensi dell’art. 52, d.lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento sarà necessario omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.