Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 26 settembre 2022, n. 36044
Il principio dell’affidamento è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla attività sanitaria in equipe, ovvero alle ipotesi in cui più soggetti, medici e/o paramedici, svolgono attività di cura del paziente in maniera coordinata, congiuntamente, nello stesso contesto spazio-temporale, ovvero in maniera disgiunta, in contesti temporali diversi, realizzando un fenomeno di successione nel tempo nella posizione di garanzia. Di regola, la plurisoggettività si accompagna ad una suddivisione di compiti, essendo ciascun operante specializzato in una determinata branca medica che deve trovare sbocco nella cura del paziente. Si è, quindi, sostenuto che, nell’ambito del gruppo, ciascun medico è responsabile per l’errore proprio, avente genesi nella violazione delle regole cautelari specificamente previste per il proprio settore di specializzazione, non potendo muoversi allo stesso alcun rimprovero per non aver previsto e/o non aver posto rimedio all’errore altrui causalmente collegato all’esito infausto (…). Nei casi in cui il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità
1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. 2. La Corte di Appello ha ritenuto dimostrata la responsabilità penale di entrambi gli imputati sulla base delle evidenze raccolte nel processo e delle conclusioni della perizia disposta in secondo grado e affidata ad un collegio di tre periti. Attraverso la perizia si era chiarito che: – la stenosi tracheale riscontrata in sede di autopsia doveva essere riferita alla intubazione orotracheale eseguita in occasione dell’intervento chirurgico cui F.A. era stato sottoposto in data 20 settembre (OMISSIS) presso l'(OMISSIS); – la causa della morte era stata l’occlusione completa della trachea favorita dalla concomitanza della stenosi tracheale di grado moderato-grave e l’accumulo a valle della stenosi di secrezioni mucipare secondarie alla bronchite cronica catarrale da cui F.A. era affetto; – dal filmato in atti registrato a scuola in data 19 ottobre (OMISSIS) si potevano apprezzare segni di affaticamento respiratorio: l’eloquio era frequentemente interrotto da inspirazioni rapide di durata lievemente aumentata e in ogni fase inspiratoria si percepiva un rumore continuo a tonalità aspra con le caratteristiche monofoniche di uno stridore di moderata entità, espressivo di un ostacolo al regolare flusso dell’aria nelle vie aeree superiori. Almeno da tale data, dunque, era insorto il quadro tipico della stenosi tracheale che doveva ritenersi essere rimasto costante anche nei giorni successivi, tanto che il Dott. F., medico di base che ebbe a visitare F.A. il 24 ottobre, aveva riferito a dibattimento di aver in tale occasione auscultato un respiro identico a quello documentato nel video del 19 ottobre; – al momento della visita del 20 ottobre, in presenza di una sintomatologia, quale quella documentata nel video del giorno precedente, caratterizzata da respiro rumoroso, progressiva difficoltà respiratoria e tipica tonalità della voce, i medici imputati, specialisti pediatri, avrebbero dovuto orientarsi verso il sospetto diagnostico di un restringimento delle vie aeree superiori: se è vero che, in assenza di elementi documentali che evidenziassero una storia di intubazione difficoltosa e/o prolungata, poteva risultare difficile sospettare una stenosi tracheale iatrogena, doveva comunque essere sospettata ed approfondita una ostruzione alle vie aeree superiori; i sintomi presentati dal piccolo paziente non erano sovrapponibili a quelli della tracheite, giacchè quest’ultima produce una modifica della voce di tipo differente ovvero una afonia improvvisa, mentre la stenosi produce una modifica timbrica graduale della voce che nel caso in esame era stata rilevata dai genitori i quali avevano riferito di una voce più infantile e dalla stessa S. in una dichiarazione a sua firma in atti; – l’esito favorevole del test di ossigenazione effettuato dalla dottoressa S., in presenza di una aumentata frequenza cardiaca, non era sufficiente ad escludere l’ipotesi diagnostica di stenosi delle vie aeree superiori, in quanto la situazione avrebbe dovuto essere valutata tramite emogasanalisi o comunque con la pulsossimetria durante un modesto sforzo fisico; – le condizioni del bambino in occasione della visita del 20 ottobre non erano predittive di un imminente pericolo di vita, in quanto lo stridore percepibile dal video era di intensità moderata e non vi erano altri segni clinici indicativi di una ostruzione grave. Tuttavia, i ripetuti accessi presso la struttura ospedaliera e la storia clinica del paziente avrebbero dovuto indurre prudentemente a disporre il ricovero, anche non immediato, ma da attuare nei giorni successivi previa doverosa interazione con i genitori; – gli esami strumentali utili ai fini della corretta diagnosi erano la tomografia computerizzata (TC) e la endoscopia delle vie aeree e non vi erano controindicazioni alla luce delle condizioni cliniche del bambino alla esecuzione di detti esami; – la stenosi tracheale avrebbe dovuto essere trattata chirurgicamente in un centro clinico di elezione con percentuale di successo fra il 70 e l’85 per cento. 3. La Corte, dunque, ha ritenuto condotta esigibile da entrambi gli imputati quella di individuare i sintomi della occlusione e programmare nell’arco di pochi giorni gli esami diagnostici volti a confermare il sospetto di stenosi. Lo spiegamento della richiesta perizia e diligenza connessa alla qualifica professionale avrebbe consentito con elevata verosimiglianza, riguardata ex ante, di pervenire alla tempestiva ospedalizzazione e rimozione chirurgica della causa ostruttiva. Dalla omissione della condotta esigibile -formulazione di sospetto diagnostico generico di occlusione delle alte vie aeree, vigilanza del paziente e solleciti approfondimenti diagnostici con correlati interventi- era causalmente derivata la morte, sopraggiunta in un intervallo di tempo tale per cui avrebbe potuto essere scongiurata. 4. I ricorrenti non contestano la ricostruzione delle sentenze di merito in ordine alla causa della morte identificata dai periti nella stenosi tracheale iatrogena post intubazione in un quadro di cronica bronchite, ma articolano doglianze in punto esigibilità di una condotta differente rispetto a quella tenuta ed il solo V. anche in punto nesso causale sotto il profilo della inutilità del comportamento alternativo corretto. 5. I fatti per cui è processo sono stati posti in essere sotto la vigenza del D.L. n. 158 del 13 settembre 2012 (cd Decreto Balduzzi) convertito nella L. n. 189 del 8 gennaio 2012, a norma del quale l’esercente della professione sanitaria non è punito se, nonostante abbia rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, versi in colpa lieve. Tale disciplina, come noto, è stata sostituta dalla L. n. 24 del 8 marzo 2017 (c.d legge Gelli Bianco) che ha introdotto l’art. 590 sexies c.p. a norma del quale “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che ovviamente le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto”. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, l’abrogato D.L. n. 158 del 2012 art. 3 comma 1 si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590 sexies c.p. sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto (Sez.U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti, Rv. 27217401; sez. 4, n. 53453 del 15/11/2018, Di Marco, cit., Rv. 274499- 02; n. 23283 del 11/5/2016, Denegri, Rv. 266903). Pur facendo applicazione della normativa più favorevole, la Corte ha conseguentemente indicato le ragioni per le quali entrambe gli imputati versassero in colpa non lieve, tanto sotto il profilo della imperizia, alla luce della violazione delle buone pratiche mediche, per il notevole scollamento tra la condotta tenuta e quella esigibile, quanto tanto sotto il profilo del grado molto elevato di negligenza nella assunzione e trattazione del caso clinico. 6. Con riferimento alla posizione di S., il motivo di ricorso è manifestamente infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il percorso argomentativo adottato dalla Corte di appello è perfettamente aderente ai dati del processo e non risulta pertanto viziato da alcuna errata lettura. La difesa sostiene che gli elementi di conoscenza di S. nel momento in cui ebbe a visitare il bambino non erano tali per cui avrebbe dovuto essere formulata la diagnosi corretta. La Corte di Appello ha, invece, sottolineato come alla data del (OMISSIS) il bambino presentasse già i sintomi univoci di una ostruzione delle vie aeree superiori, e non già di una semplice tracheite: oltre alle indicazioni provenienti dai genitori, era il filmato in atti del giorno antecedente alla visita a fotografare il quadro clinico apparso a S. e a documentare i chiari segni che avrebbero dovuto orientare, necessariamente, verso il sospetto di restringimento delle vie aeree superiori, ovvero il respiro rumoroso, la difficoltà respiratoria progressiva e la tonalità della voce (totalmente differente da quella che si registra in caso di tracheite che determina subitanea afonia), sintomi che, secondo i periti, non potevano essere intermittenti, ma ormai stabilizzati e semmai sempre più ingravescenti. Così come imposto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel giudizio sulla gravità della colpa deve tenersi conto delle specifiche condizioni del soggetto agente, del suo grado di specializzazione, della situazione specifica in cui si è trovato ad operare e della natura della regola cautelare violata (Sez. 4 n. 15258 del 11/02/2020, Agnello, Rv. 279242), i giudici di merito hanno, dunque, valutato la posizione dell’imputata e i profili di c.d. personalizzazione del rimprovero. S. aveva proceduto alla visita del bambino e lo aveva preso in carico, prescrivendo terapie quali l’aerosol e ipotizzando la diagnosi di tracheite, mentre i risultati della saturazione, per la grossolanità dello strumento utilizzato, non potevano essere tranquillizzanti, anche perchè effettuati a riposo e comunque accompagnati dal dato della aumentata frequenza cardiaca: sulla base della sua specializzazione di medico pediatra in servizio presso l’ospedale e delle conoscenze che a tale specializzazione ineriscono, avendo visitato il bambino, avrebbe dovuto rilevare sintomi evidenti (ed anche piuttosto univoci), formulare (pur senza essere a conoscenza delle pregresse intubazioni) il sospetto diagnostico suindicato (quanto meno di generica ostruzione) e prescrivere accertamenti ulteriori atti a confermare il sospetto, a cui sarebbe seguito un intervento chirurgico, a quella data ancora salvifico. Da tali premesse, i giudici hanno tratto, in maniera coerente, il giudizio sulla gravità della colpa, intesa quale “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento” (Sez. 4.n. 18347 del 29/04/2021, Chiappatone, Rv. 281168). La Corte ha ravvisato tale deviazione ragguardevole sotto il profilo della imperizia, alla luce della violazione delle buone pratiche mediche, per il notevole scollamento tra la condotta tenuta e quella esigibile, ed ha ravvisato altresì un grado molto elevato di negligenza nella assunzione e trattazione del caso clinico. 7. Con riferimento alla posizione di V., i motivi sono manifestamente infondati. 7.1. In relazione al primo motivo inerente alla c.d. causalità della colpa, i giudici hanno rilevato che V. era nelle condizioni di dover comprendere la gravità delle condizioni cliniche del minore: i genitori, che per la terza volta nel giro di pochi giorni si erano presentati davanti ad un medico, gli avevano descritto i sintomi e il tipico stridore inspiratorio a quella data era già presente e stabilizzato. V. avrebbe dovuto, quindi, percepire la tipicità del rumore inspiratorio e, nella visita, procedere alla auscultazione attenta anche sotto sforzo e alla verifica del battito cardiaco; si era invece limitato ad inviare il minore ad eseguire un esame alquanto semplice e grossolano come la rilevazione dell’ossigenazione del sangue attraverso la pulsossimetria, senza verificarne gli esiti, senza confrontarsi con il medico ospedaliero al quale aveva inviato il bambino e senza trarne le conclusioni sul piano diagnostico terapeutico. Il percorso argomentativo adottato è coerente con i dati processuali e esente da censure sul piano più strettamente giuridico quanto a individuazione dei profili di colpa e della esigibilità della condotta imposta dalle buone prassi mediche e quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale fra il comportamento omesso e l’evento verificatosi. La Corte di appello ha ritenuto che V., in ragione della sua qualifica di medico pediatra di turno nel servizio di continuità assistenziale pediatrica, avendo preso in carico il bambino e avendolo visitato, avrebbe dovuto rilevare sintomi evidenti (ed anche piuttosto univoci), formulare (pur senza essere a conoscenza delle pregresse intubazioni) il sospetto diagnostico suindicato (quanto meno di generica ostruzione) e prescrivere accertamenti ulteriori atti a confermare il sospetto, a cui sarebbe seguito un intervento chirurgico, a quella data ancora salvifico. Sulla scorta delle conclusioni del collegio peritale, la Corte ha approfondito il tema della rilevanza del comportamento alternativo corretto evidenziando che gli esami che l’imputato avrebbe dovuto prescrivere avrebbero consentito di avvalorare il sospetto diagnostico e conseguentemente intervenire con un intervento chirurgico salvifico. E’, peraltro, principio ribadito nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configuri non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (Sez. 4, n. 8464 del 17/02/2022, Masone Serena, Rv 282759; Sez. 4 n. 13542 del 14/02/2013, Caracciolo, n. m.; Sez. 4, n. 10614 del 4/12/(OMISSIS), dep. 2013, Perrotta, Rv.256337; Sez.4, n. 46412 del 28/10/2008, Calò, Rv.242250). 7.2 In relazione al secondo motivo (inerente la mancata considerazione del ragionevolmente affidamento operato da V. sul corretto operato dei medici che nei giorni precedenti avevano visitato il bambino e formulato la diagnosi di bronchite e dell’assenza di ragioni per le quali egli si sarebbe dovuto discostare da tale diagnosi), si osserva che il principio dell’affidamento è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla attività sanitaria in equipe, ovvero alle ipotesi in cui più soggetti, medici e/o paramedici, svolgono attività di cura del paziente in maniera coordinata, congiuntamente, nello stesso contesto spazio-temporale, ovvero in maniera disgiunta, in contesti temporali diversi, realizzando un fenomeno di successione nel tempo nella posizione di garanzia. Di regola, la plurisoggettività si accompagna ad una suddivisione di compiti, essendo ciascun operante specializzato in una determinata branca medica che deve trovare sbocco nella cura del paziente. Si è, quindi, sostenuto che, nell’ambito del gruppo, ciascun medico è responsabile per l’errore proprio, avente genesi nella violazione delle regole cautelari specificamente previste per il proprio settore di specializzazione, non potendo muoversi allo stesso alcun rimprovero per non aver previsto e/o non aver posto rimedio all’errore altrui causalmente collegato all’esito infausto (Sez. 4, n. 27314 del 20/04/2017, Puglisi, Rv. 270189 secondo cui “In tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in equipe, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui”). Nei casi in cui il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità (Sez. 4 n. del 12/05/2021, Sonaglioni, Rv. 281487). Nel caso all’esame, non vi era stata un’azione in equipe, bensì interventi distinti e svincolati l’uno dall’altro da parte di più sanitari. Nessun rilievo, pertanto, potevano assumere, ai fini della valutazione della condotta di V., le diagnosi formulate da altri medici che prima di lui erano intervenuti. La Corte ha puntualizzato, in ogni caso, che le condizioni del bambino al 20 ottobre erano certamente peggiorate rispetto ai giorni precedenti e che a quella data, come dimostrato dal filmato del giorno 19, i sintomi tipici della ostruzione delle vie aeree superiori erano ormai conclamati, sicchè le situazioni di fatto valutate dai diversi sanitari che avevano avuto modo di visitare il bambino non erano comunque equiparabili. 7.3. In relazione al terzo motivo, inerente alla causalità, si osserva che per l’esistenza del nesso di causa, in base al disposto degli artt. 40 e 41 c.p., occorrono due elementi: il primo, positivo, secondo il quale la condotta umana deve aver posto una condizione dell’evento; il secondo, negativo, per cui il risultato non deve essere conseguenza dell’intervento di fattori eccezionali. In particolare, quando si tratta di condotte omissive, il primo elemento si rivela nella regola cautelare violata, se l’evento rappresenta la concretizzazione del rischio creato con un non facere da colui che riveste la posizione di garanzia. L’evento è causalmente riconducibile all’omissione qualora, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, sia conseguenza certa o altamente probabile del mancato rispetto della regola cautelare violata. Il ricorso alle cognizioni scientifiche, nello studio degli eventi che si verificano in ambito sanitario, soddisfa i principi di tassatività e di certezza giuridica in quanto consente di imputare all’uomo un evento che può essere scientificamente considerato conseguenza della sua azione od omissione. Si è a tal fine sostenuto che in tema di reati colposi omissivi, la condotta alternativa diligente ha funzione preventiva e non deve assicurare “ex ante” alcuna certezza di evitare l’evento, purchè sia certo che una condotta appropriata abbia significative probabilità di evitarlo (Sez. 4, n. 17491 del 29/03/2019, Azienda U.L.S.S., Rv. 275875). Il giudizio controfattuale mediante il quale si riconduce l’evento a una condotta omissiva, seguendo il ragionamento logico per cui il nesso causale sussiste solo nel caso in cui il comportamento alternativo corretto avrebbe avuto efficacia salvifica, è un giudizio ipotetico che si si serve di categorie logiche, scientifiche, esperienziali. 7.3.1. I giudici di appello hanno ancorato il giudizio controfattuale alle conclusioni dei periti, evidenziando che gli esami volti a confermare il doveroso sospetto diagnostico avrebbero potuto essere effettuati in tempi brevi, nell’arco di una giornata, presso lo stesso Ospedale di (OMISSIS), e che l’intervento chirurgico di rimozione della stenosi in un centro pediatrico con esperienza nel settore (presenti in varie città italiane), sarebbe stato praticabile, tenuto conto delle condizioni del paziente, e altresì salvifico con alto grado di razionalità logica, sicchè poteva dirsi che la morte, intervenuta a distanza di cinque giorni rispetto alla condotta incriminata, sarebbe stata evitata dal comportamento alternativo corretto. 7.4. In relazione al quarto motivo, inerente alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, si osserva che i giudici di merito si sono soffermati sulla violazione della regola cautelare e sulla prevedibilità in concreto dell’evento verificatosi ed hanno motivato sia in relazione all’omissione della diagnosi differenziale di occlusione tracheale e alla mancata prescrizione degli accertamenti volti a confermare detta diagnosi, sia in relazione alla prevedibilità della morte quale conseguenza del mancato trattamento chirurgico della patologia. Per contro la assoluzione del Dott. F., medico di base che ebbe a visitare il bambino il giorno prima del decesso, è stata motivata sul rilievo che, essendo stato egli chiamato in causa solo poche ore prima della morte, non era ipotizzabile una efficienza causale della condotta alternativa da lui esigibile, oltre che sul rilievo per cui egli aveva comunque invitato i genitori a prendere contatto con gli specialisti che avevano operato il piccolo. 7.5. In relazione al quinto motivo, inerentgla mancata motivazione in ordine alla gradazione della colpa ed alla mancata valorizzazione delle conclusioni dei consulenti di parte, si osserva che il percorso argomentativo adottato dai giudici di merito appare congruo e immune da censure. Sotto il primo profilo già si è osservato che la Corte, pur facendo applicazione della normativa del c.d. decreto Balduzzi più favorevole, ha indicato le ragioni per le quali V. (al pari di S.) versasse in colpa non lieve, tanto sotto il profilo della imperizia, alla luce della violazione delle buone pratiche mediche, per il notevole scollamento tra la condotta tenuta e quella esigibile, quanto sotto il profilo del grado molto elevato di negligenza nella assunzione e trattazione del caso clinico. Il giudizio sulla gradazione della colpa è stato formulato, così come imposto dalla giurisprudenza di legittimità (si richiama la già citata Sez. 4 n. 15258 del 11/02/2020, Agnello, Rv. 279242), tenendo conto delle condizioni del soggetto agente e del suo grado di specializzazione, della situazione ambientale in cui il professionista si è trovato ad operare e del quadro patologico emerso nel corso della visita ed ha portato a concludere che si fosse verificata nel caso di specie quella marcata divaricazione rispetto all’agire appropriato che vale a connotare la colpa come grave. Sotto il secondo profilo, si osserva che la giurisprudenza di legittimità, nell’esaminare i rapporti tra la decisione del giudice e le determinazioni derivanti dalla perizia d’ufficio, ha affermato che il giudice ha piena libertà di apprezzamento delle risultanze della perizia ma che, al contempo, tale libertà è temperata dall’obbligo di motivazione. In presenza di tesì scientifiche contrapposte, l’adesione alle conclusioni del perito d’ufficio può ritenersi adeguatamente motivata ove il giudice ne indichi l’attendibilità, mostrando di non aver ignorato le conclusioni dei consulenti tecnici di parte (Sez.6, n. 5749 del 09/01/2014, Homm, Rv. 25863001; Sez.1, n. 25183 del 17/02/2009, Panini, Rv. 24379101). Nel caso in esame la Corte di Appello ha dato ampio conto dei profili di attendibilità delle conclusione del collegio peritale, rimarcando il rigore e le precisione delle risposte fornite agli articolati quesiti formulati, ed ha altresì evidenziato che le conclusioni dei consulenti di parte non avevano confutato i risultati peritali, ma si erano piuttosto concentrate su aspetti parziali, senza riuscire a offrire una plausibile spiegazione scientifica delle scarne scelte terapeutiche adottate da V. e delle omissioni contestate. 8. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonchè in solido alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili F.E., M.A. e M.R.F., G.A., Fa.An. e M.A. che si liquidano come da dispositivo.