Corte Costituzionale, sentenza 25 luglio 2022 n. 190
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera f), della legge della Regione Siciliana 15 aprile 2021, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2021. Legge di stabilità regionale); dell’art. 14 della 1egge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 50 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 53 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 54, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 56 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 57 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021; dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana 26 novembre 2021, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 15 aprile 2021, n. 9. Disposizioni varie);
Va invece dichiarato estinto il processo relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Alla luce di quanto esposto, considerata l’evidente connessione, vanno pertanto riuniti i giudizi inerenti ai ricorsi presentati dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.– Preliminarmente, occorre evidenziare che, con atto depositato il 20 maggio 2022, lo Stato ha annunciato la rinuncia al ricorso limitatamente all’impugnazione dell’art. 41, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, giusta delibera adottata dal Consiglio dei Ministri in data 17 maggio 2022. La difesa regionale ha accettato la rinuncia con atto depositato il successivo 26 maggio.
Pertanto, in armonia con le indicazioni della giurisprudenza costituzionale, va dichiarata l’estinzione del processo relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis (ex plurimis, sentenze n. 123 e n. 114 del 2022, n. 199 e n. 63 del 2020; ordinanza n. 23 del 2020).
3.– Occorre dunque esaminare in questa sede le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, lettera f), 14, 50, 53, 54, commi 2 e 3, 55, 56 e 57 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021 e 14 della legge reg. Siciliana n. 29 del 2021.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 5, comma 1, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, che modifica l’art. 55 della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale) e successive modificazioni, aggiungendo, dopo il comma 7, il comma 7-bis.
La disposizione impugnata stabilisce: «[a]l personale del comparto in servizio a tempo indeterminato e determinato presso l’ufficio speciale – C.U.C., oltre al trattamento accessorio di cui al comma 7 dell’articolo 16 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 e successive modificazioni è riconosciuta, a valere sul Fondo istituito con Delib. G.R. n. 387 del 24 novembre 2004, una retribuzione annua sostitutiva dei premi di cui al comma 4 dell’articolo 90 del CCRL vigente, nelle misure riconosciute dall’articolo 94 del CCRL vigente al personale del comparto in servizio presso l’UREGA. Trova, altresì, applicazione il comma 2 dell’articolo 94 del CCRL vigente».
Ad avviso del ricorrente tale disposizione, nel derogare al principio che riserva alla contrattazione collettiva il trattamento economico del personale pubblico contrattualizzato, desumibile dagli artt. 2, comma 3, e 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina della materia «ordinamento civile».
Il ricorrente afferma che, a seguito della contrattualizzazione del pubblico impiego, i principi generali fissati dalla legge statale nella materia costituiscono limiti di diritto privato fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati. Tali principi si imporrebbero anche alle Regioni a statuto speciale (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 16 del 2020 e n. 154 del 2019).
In particolare, per quanto attiene alla Regione Siciliana, l’applicazione dei predetti principi non sarebbe preclusa dalla previsione contenuta nell’art. 14, lettera q), dello statuto speciale che, pur attribuendo alla competenza legislativa esclusiva della Regione la disciplina dello stato giuridico ed economico dei dipendenti regionali, incontrerebbe – in virtù di quanto previsto dallo stesso statuto di autonomia – i limiti derivanti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (è citata la sentenza di questa Corte n. 172 del 2018) che, in quanto tali, si impongono anche alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni autonome (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 93 del 2019, n. 201 e n. 178 del 2018).
4.1.– La questione è fondata per i motivi di seguito indicati.
La disciplina del pubblico impiego, originariamente contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1957, n. 3 (Testo unico degli impiegati civili dello Stato), stabiliva che il rapporto di lavoro pubblico era costituito e gestito per atto unilaterale della pubblica amministrazione quale esercizio di un potere pubblico. In seguito, il legislatore ha avviato una profonda riforma del pubblico impiego finalizzata ad accrescere l’efficienza delle amministrazioni anche in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, a razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, a realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato e garantendo pari opportunità alle lavoratrici e ai lavoratori.
L’art 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi, i quali stabiliscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute.
Il predetto art. 45 stabilisce, in sostanza, che per l’erogazione del salario accessorio, al fine di premiare il merito e la performance dei dipendenti, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, sono destinate apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro.
La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra nella materia «ordinamento civile», attribuita in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (sentenze n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019). Ciò comporta che le Regioni non possono alterare le regole che disciplinano tali rapporti privati (ex multis, sentenza n. 282 del 2004).
Questa Corte ha inoltre ribadito, anche recentemente, che «“[l]a materia dell’ordinamento civile, riservata in via esclusiva al legislatore statale, investe la disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici e ricomprende tutte le disposizioni che incidono sulla regolazione del rapporto di lavoro (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017, n. 257 del 2016, n. 180 del 2015, n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014)” (sentenza n. 257 del 2020)» (sentenza n. 25 del 2021).
La giurisprudenza costituzionale è, altresì, costante nell’affermare che i principi desumibili dal d.lgs. n. 165 del 2001 costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. I principi desumibili da tali norme si impongono, proprio in ragione della loro rilevanza economico-sociale, anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano (in tal senso, sentenze n. 93 del 2019, n. 201 e n. 178 del 2018).
Con riguardo alla disciplina dei rapporti di lavoro pubblico e alla loro contrattualizzazione, è stato affermato da questa Corte che «i principi fissati dalla legge statale in materia “costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale […]”» (sentenza n. 154 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 232 e n. 81 del 2019, n. 234 del 2017, n. 225 e n. 77 del 2013).
Sul punto non può essere condivisa la tesi secondo cui, in forza dell’art. 14, lettera q), dello statuto, che le attribuisce la competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale, la Regione Siciliana sarebbe legittimata ad adottare la disposizione impugnata.
Al contrario, la competenza regionale incontra, secondo quanto previsto dallo stesso statuto siciliano, i limiti assimilati a quelli derivanti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (così, tra l’altro, sentenza n. 172 del 2018) e, conseguentemente, quelli specificati dalle norme interposte.
La disposizione regionale, contrariamente a quanto ritiene la Regione Siciliana, interviene attribuendo indebitamente in via unilaterale al personale regionale, in servizio a tempo indeterminato e determinato presso l’ufficio speciale Centrale unica di committenza (CUC), una competenza economica in sostituzione dei premi previsti dal comma 4 dell’art. 90 del contratto collettivo regionale di lavoro (CCRL) vigente. Viene in tal modo sottratta la relativa regolamentazione alla negoziazione con le parti interessate, prerogativa riservata dalla legge statale alla contrattazione collettiva. Ne consegue l’invasione della competenza legislativa dello Stato nella materia «ordinamento civile». Anche le provvidenze accessorie – previste dall’articolo 94 del CCRL per il personale del comparto in servizio presso l’Ufficio regionale per l’espletamento di gara per l’appalto di lavori pubblici (UREGA) – che la Regione attribuisce con disposizione legislativa al personale in servizio presso l’Ufficio CUC sono riservate alla contrattazione tra le parti e, pertanto, esse non possono essere oggetto di normazione regionale. Dal che l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, altresì, impugnato l’art. 14 della 1egge reg. Siciliana n. 9 del 2021.
L’art. 14 della 1egge reg. Siciliana n. 9 del 2021 stabilisce che «1. Al personale già trasferito all’Agenzia regionale di cui all’articolo 7 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19 e successive modificazioni, per mobilità e transitato nei ruoli dell’Amministrazione regionale in applicazione dell’articolo 9, comma 2, della legge regionale 16 dicembre 2008, n. 19 e successive modificazioni è riconosciuta, con effetti economici decorrenti dal 1° gennaio 2021, l’anzianità di servizio prestato presso le amministrazioni di provenienza. Tale servizio è equiparato a servizio prestato presso l’amministrazione regionale. 2. Per le finalità di cui al comma 1 è autorizzata, per gli esercizi finanziari 2021, 2022 e 2023, la spesa annua di euro 497.242,00 (Missione 1, Programma 10, capitolo 10815 7). A decorrere dall’esercizio finanziario 2024 si provvede ai sensi del comma 1 dell’articolo 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118».
La disposizione in esame contrasterebbe con l’art. 38, comma 1, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42) in quanto, in difformità dal disposto del predetto art. 38, non provvederebbe ad indicare l’onere a regime derivante dall’applicazione del comma 1 dell’art. 14 ma rinvierebbe la quantificazione dell’onere annuo alla legge di bilancio. La violazione della norma interposta determinerebbe la lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «armonizzazione dei bilanci pubblici».
La normativa impugnata violerebbe, inoltre, il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., principio direttamente applicabile anche alle Regioni autonome in quanto rientrante fra i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico costituzionale. Difatti, essa consentirebbe agli ex dipendenti dell’Agenzia regionale rifiuti e acque della Sicilia (ARRA) il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata prima di essere assunti presso la predetta Agenzia, a prescindere dalla natura giuridica pubblica o privata dell’originario datore di lavoro e dai servizi concretamente prestati presso di esso e anche ai fini delle progressioni economiche orizzontali, introducendo, rispetto alla disciplina generale della mobilità nel pubblico impiego, un regime di favore per il suddetto personale rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici, ivi inclusi gli altri dipendenti regionali.
Infine, la disposizione impugnata violerebbe il principio di cui agli artt. 2, comma 3, e 45, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che riserva alla contrattazione collettiva il trattamento economico del personale pubblico contrattualizzato, riconoscendo agli ex dipendenti dell’ARRA un miglioramento del trattamento economico fondamentale e accessorio non contemplato dalla contrattazione collettiva. Il contrasto con le norme interposte produrrebbe la lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Il rimettente ritiene che l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata non possa essere esclusa dalla previsione di cui all’art. 14, lettera q), dello statuto di autonomia, giacché la competenza legislativa esclusiva ivi prevista in materia di stato giuridico ed economico del personale regionale incontrerebbe i limiti derivanti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, quali sono, appunto, i principi ricavabili dal testo unico del pubblico impiego.
5.1. – La questione è fondata per i motivi di seguito indicati.
La disposizione in esame è in contrasto con l’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011 perché, in difformità da quanto previsto dalla predetta norma, non indica l’onere a regime derivante dall’impugnato art. 14, rinviandone invece la quantificazione alla legge di bilancio.
La violazione della norma interposta determina la lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «armonizzazione dei bilanci pubblici». Essa, infatti prevede, per il personale già trasferito all’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque e transitato nei ruoli dell’Amministrazione regionale, il riconoscimento dell’anzianità di servizio prestato presso le amministrazioni di provenienza. Tale servizio viene così equiparato a quello prestato presso l’amministrazione regionale con effetti economici decorrenti dal 1° gennaio 2021.
In violazione del principio di copertura della spesa, il comma 2 – per gli anni dal 2021 al 2023 – autorizza una spesa annuale di euro 497.242,00 e, con decorrenza dall’esercizio finanziario 2024, stabilisce che «si provvede ai sensi del comma 1 dell’articolo 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118». Così disponendo, la norma entra in contraddizione con il richiamato art. 38 del d.lgs. n. 118 del 2011.
Questa Corte è ferma nel ritenere che il parametro dell’armonizzazione dei bilanci «per effetto delle strette interrelazioni tra i principi costituzionali […] è servente al coordinamento della finanza pubblica, dal momento che la sincronia delle procedure di bilancio è collegata alla programmazione finanziaria statale e alla redazione della manovra di stabilità, operazioni che presuppongono da parte dello Stato la previa conoscenza di tutti i fattori che incidono sugli equilibri complessivi e sul rispetto dei vincoli nazionali ed europei» (sentenza n. 184 del 2016). Secondo la richiamata giurisprudenza costituzionale, la mancata considerazione degli oneri a regime vale a rendere la legge costituzionalmente illegittima per mancanza di copertura non soltanto se si tratta di spese obbligatorie, ma anche se si tratta di oneri solo “ipotetici”.
In proposito, questa Corte ha osservato che «ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, sentenze n. 163 del 2020 e n. 307 del 2013). In tal senso, già l’art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) stabilisce che le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell’onere stesso e l’indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali. Anche le autonomie speciali sono tenute, difatti, a indicare la copertura finanziaria delle leggi che prevedono nuovi o maggiori oneri a carico della loro finanza e della finanza di altre amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 81, terzo comma, Cost.
5.2.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, inoltre, impugnato l’art. 50 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021 in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), Cost. per violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile» e agli artt. 14, lettera q), e 17, comma 1, lettera f), dello statuto della Regione Siciliana.
La disposizione impugnata prevede che «1. Entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Aziende del Servizio Sanitario Regionale e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia procedono ad incrementare le ore di incarico a tempo indeterminato a ciascun medico veterinario specialista ambulatoriale interno, già titolare di incarico da almeno 5 anni, per il raggiungimento di almeno trenta ore di incarico settimanali per medico-veterinario. 2. Gli incrementi di orario eccedenti la quota di almeno trenta ore settimanali di cui al comma 1 devono essere motivati e autorizzati dall’Assessorato regionale della Salute, sulla base di una preventiva ricognizione del fabbisogno delle prestazioni e delle attività programmate o programmabili, relative alla specialistica ambulatoriale veterinaria, presso ciascuna Azienda sanitaria provinciale e presso la sede dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia e possono essere attribuiti nel rispetto del vincolo dell’equilibrio economico del bilancio aziendale.3. I direttori generali delle Aziende sanitarie provinciali e dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Sicilia sulla base delle criticità riscontrate e della programmazione delle attività, compatibilmente con il titolo di specializzazione di cui all’allegato 2 dell’Accordo Collettivo Nazionale del 31 marzo 2020, in possesso di ogni medico veterinario specialista e sulla base dei criteri di valutazione, di cui all’articolo 21 comma 3, del citato Accordo Collettivo Nazionale, possono disporre una sola volta il passaggio dell’intero effettivo delle ore di incarico a branche diverse, allo scopo di ottimizzare e concentrare le risorse sulle attività prioritarie, previa formale accettazione degli interessati. 4. In caso di transito da una branca all’altra, allo specialista è riconosciuta l’anzianità di servizio già maturata. Al fine di garantire l’appropriatezza delle prestazioni, il transito ad altra branca potrà avvenire a seguito di un adeguato periodo di affiancamento. 5. Gli oneri derivanti dall’applicazione del presente articolo, quantificati in euro 7.883.103 su base annua, trovano copertura sui fondi del servizio sanitario regionale, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale».
Secondo il ricorrente, la disposizione in esame introdurrebbe una disciplina incompatibile con l’Accordo collettivo nazionale del 31 marzo 2020, che – in attuazione dell’art. 8 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) – disciplina puntualmente l’incremento orario degli specialisti ambulatoriali.
Ciò comporterebbe anche la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una irragionevole disparità di trattamento tra gli specialisti ambulatoriali che prestano servizio nella Regione Siciliana e coloro che invece operano nella restante parte del territorio nazionale.
La disposizione censurata, peraltro, non troverebbe alcuna giustificazione nelle norme statutarie della Regione Siciliana, in quanto essa non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 14, lettera q), intervenendo sul rapporto di lavoro di soggetti che non sono dipendenti della Regione. Altresì non fondato sarebbe il riferimento all’art. 17, lettera f), dello statuto, il quale prevede che la disciplina dei rapporti di lavoro può essere regolata dalla legislazione regionale «[e]ntro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato».
6.1.– La questione è fondata per i motivi di seguito indicati.
La disposizione regionale impugnata prevede opzioni incompatibili con l’Accordo collettivo nazionale 31 marzo 2020, il quale disciplina i rapporti con specialisti ambulatoriali interni, veterinari e altre professionalità sanitarie (biologi, chimici, psicologi) ambulatoriali, nel rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità che devono caratterizzare l’espletamento di questi servizi pubblici di rilevanza primaria.
Dalla lettura della norma contrattuale si evince come, in relazione alle disponibilità, l’azienda deve individuare l’avente diritto all’incremento orario nel rigoroso rispetto dei soli criteri dell’Accordo, che non possono essere modificati con legge regionale.
La disposizione impugnata prevede, invece, il requisito della previa titolarità di incarico quinquennale, del tutto assente nell’Accordo. Nel caso di specie, quindi, il legislatore regionale ha esercitato una competenza non propria, introducendo una norma incompatibile con l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, che rimette all’Accordo collettivo nazionale la disciplina dell’incremento orario degli specialisti ambulatoriali.
Sul punto, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che «[l]a disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra, infatti, nella materia “ordinamento civile” e spetta in via esclusiva al legislatore nazionale; invero, a seguito della privatizzazione, tale rapporto è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla specifica contrattazione collettiva, espressamente regolata dall’art. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) [… ] Pertanto, la legge impugnata vìola la sfera di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego» (sentenza n. 10 del 2019).
Il legislatore regionale ha quindi esercitato una competenza nella materia «ordinamento civile» riservata in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Non rileva, infatti, che l’art. 14, lettera q), dello statuto regionale assegni alla Regione Siciliana la competenza legislativa sullo stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari regionali perché è evidente che tale prerogativa deve essere rispettosa del quadro normativo statale. Pertanto l’art. 50 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021 è costituzionalmente illegittimo.
6.2.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri.
7.– Le questioni sugli artt. 53, 54, commi 2 e 3, e 55 riguardano la lesione della competenza statale a determinare i livelli essenziali di assistenza (LEA) ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.; dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione all’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», e successive modificazioni e integrazioni, che dispone il divieto di effettuare spese extra LEA per le Regioni in piano di rientro; dell’art. 81, terzo comma, Cost., posto che le spese in violazione dei richiamati parametri si riverbererebbero sulla copertura delle spese per le funzioni essenziali; nonché dell’art. 17, comma 1, lettera c), dello statuto siciliano, ai sensi del quale l’esercizio della competenza della Regione Siciliana dovrebbe comunque avvenire nel rispetto dei principi e degli interessi generali stabiliti dalla legge dello Stato.
7.1.– È, in via preliminare, opportuno ripercorrere, seppure in modo sintetico, le coordinate fondamentali in cui si esercitano le citate competenze.
Questa Corte ha costantemente affermato che «l’intreccio tra profili costituzionali e organizzativi comporta che la funzione sanitaria pubblica venga esercitata su due livelli di governo: quello statale, il quale definisce le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire ai cittadini – cioè i livelli essenziali di assistenza – e l’ammontare complessivo delle risorse economiche necessarie al loro finanziamento; quello regionale, cui pertiene il compito di organizzare sul territorio il rispettivo servizio e garantire l’erogazione delle prestazioni nel rispetto degli standard costituzionalmente conformi. La presenza di due livelli di governo rende necessaria la definizione di un sistema di regole che ne disciplini i rapporti di collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze. Ciò al fine di realizzare una gestione della funzione sanitaria pubblica efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini coerentemente con le regole di bilancio, le quali prevedono la separazione dei costi “necessari”, inerenti alla prestazione dei LEA, dalle altre spese sanitarie, assoggettate invece al principio della sostenibilità economica» (sentenza n. 62 del 2020), secondo quanto stabilito dall’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011.
Pertanto, se è vero che la determinazione dei LEA è un obbligo del legislatore statale, «la sua proiezione in termini di fabbisogno regionale coinvolge necessariamente le Regioni, per cui la fisiologica dialettica tra questi soggetti deve essere improntata alla leale collaborazione che, nel caso di specie, si colora della doverosa cooperazione per assicurare il migliore servizio alla collettività» (sentenza n. 62 del 2020).
La competenza esclusiva dello Stato di determinazione dei livelli essenziali non preclude, dunque, alle Regioni di erogare livelli di tutela più elevati, ossia ulteriori, rispetto a quelli da esso stabiliti, purché le risorse a ciò destinate ricevano una evidenziazione distinta rispetto a quelle afferenti ai LEA.
La facoltà di erogare livelli ulteriori rispetto ai LEA è, invece, preclusa alle Regioni sottoposte a piano di rientro, poiché – ai sensi dell’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004 – queste ultime non possono erogare prestazioni “non obbligatorie” (da ultimo, in questo senso, sentenza n. 161 del 2022). L’art. 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», stabilisce altresì che gli interventi individuati dal piano di rientro sono assolutamente obbligatori. Ne consegue che l’effettuazione di altre spese, in una condizione di risorse contingentate, pone anche il problema della congruità della copertura della spesa “necessaria” (art. 81, terzo comma, Cost.), posto che un impiego di risorse per prestazioni “non essenziali” verrebbe a ridurre corrispondentemente le risorse per quelle essenziali.
È stato, altresì, ribadito che «i predetti vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica» (da ultimo, sentenza n. 161 del 2022).
Ciò posto, è possibile affrontare nel merito le singole questioni di legittimità costituzionale.
7.2.– Lo Stato ha impugnato l’art. 53 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, che autorizza la spesa di euro 4,2 milioni per finanziare la terapia genica “Zolgensma” per il trattamento di bambini affetti da atrofia muscolare spinale (SMA) fino a 21 kg, impiegando risorse afferenti al capitolo dedicato al finanziamento dei farmaci innovativi (Missione 13, Programma 1, Capitolo 413374, finanziamento ordinario corrente per la garanzia dei LEA, cofinanziamento regionale farmaci innovativi).
La disposizione impugnata sarebbe in contrasto: tanto con il già richiamato principio di coordinamento della finanza pubblica recato dall’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004; quanto con il principio di cui all’art. 1, comma 4-bis, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536 (Misure per il contenimento della spesa farmaceutica e la rideterminazione del tetto di spesa per l’anno 1996) convertito, con modificazioni, in legge 23 dicembre 1996, n. 648, che assegna all’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) il compito di individuare i medicinali erogabili a totale carico del SSN; nonché con l’art. 17, comma 1, lettera c) dello statuto siciliano, ai sensi del quale l’esercizio della competenza della Regione Siciliana dovrebbe comunque avvenire nel rispetto dei principi e degli interessi generali stabiliti dalla legge dello Stato.
7.2.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, promossa in riferimento agli artt. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, e 81, terzo comma, Cost., è fondata per i motivi di seguito indicati.
La norma impugnata, prevedendo l’erogazione del farmaco Zolgensma per bambini di peso compreso fra i 13,5 e i 21 kg, non rispetta la determinazione dell’AIFA n. 277 del 21 marzo 2021 che ha stabilito la totale rimborsabilità dello Zolgensma, esclusivamente per il trattamento di pazienti con peso massimo di 13,5 kg.
Tale previsione assume carattere vincolante per le Regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto volto a individuare i criteri di rimborsabilità dei farmaci innovativi, ai sensi dell’art. 1, comma 4-bis, del d.l. n. 536 del 1996, come convertito.
La Regione Siciliana, trovandosi in fase di “programma di consolidamento e sviluppo”, non può erogare prestazioni sanitarie “extra-LEA”, e la disposizione di cui all’art. 53, erodendo le risorse necessarie al finanziamento esclusivo delle prestazioni essenziali, determina conseguentemente e congiuntamente la violazione degli artt. 81, terzo comma, e 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost.
Questa Corte ha affermato che la vincolatività del Programma operativo di consolidamento e sviluppo è da considerarsi espressione del principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio di coordinamento della finanza pubblica, poiché esso è adottato per la prosecuzione del piano di rientro (sentenza n. 130 del 2020).
Deve peraltro osservarsi che, nella presente fattispecie, a fronte della peculiare natura del farmaco in questione, non può non valere quanto questa Corte ha chiarito, ossia che «un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati» (sentenza n. 8 del 2011; nonché, in tal senso, sentenze n. 338 del 2003, n. 26 del 2002 e n. 185 del 1988).
Tali considerazioni, unitamente a quanto già affermato, determinano l’illegittimità costituzionale dell’art. 53 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021.
7.2.2.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione.
7.3.– È poi impugnato l’art. 54, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, il quale prevede, al comma 2, l’esclusione dalla partecipazione al costo dell’accertamento di «eventuali rischi procreativi attraverso lo screening prenatale per la diagnosi di trisomie 13, 18 e 21 “Non Invasive Prenatal Test”, test del DNA fetale circolante su sangue materno, effettuato presso i centri regionali» per le donne residenti nella Regione Siciliana. Il successivo comma 3 stabilisce che, al fine di adeguare le strutture e gli impianti tecnologici operativi e strumentali finalizzati ad assicurare l’offerta dello screening prenatale, è autorizzata una spesa a carico del sistema sanitario nazionale pari a euro quattro milioni.
Il ricorrente sostiene che tali indagini diagnostiche, non essendo attualmente inserite nell’elenco di cui all’Allegato 10/C al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), rappresenterebbero un livello di assistenza ulteriore, che la Regione non potrebbe erogare, ai sensi degli accordi sottoscritti con il piano di rientro, dal che si determinerebbe la lesione dell’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., in relazione al principio di coordinamento della finanza pubblica recato dall’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004; nonché dell’art. 17, comma 1, lettera c) dello statuto siciliano, ai sensi del quale l’esercizio della competenza della Regione Siciliana dovrebbe comunque avvenire nel rispetto dei principi e degli interessi generali stabiliti dalla legge dello Stato. Sarebbe altresì violato l’art. 81, terzo comma, Cost., non solo per sottrazione di risorse dal fondo per l’erogazione dei LEA, ma anche perché non vi sarebbe alcuna indicazione sulla copertura finanziaria di tali test, posto che le risorse stanziate nel comma 3 dell’art. 54 sarebbero funzionali al solo adeguamento degli impianti.
7.3.1.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 54, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, sollevate in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., in relazione all’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, sono fondate.
Posto che l’Allegato 10/C – correttamente individuato dal ricorrente – rappresenta la fonte che determina le prestazioni specialistiche esenti rientranti nella diagnostica prenatale e che tale elenco non comprende il cosiddetto NIPT test, si deve ribadire che la prestazione individuata dalla norma impugnata rappresenta un livello ulteriore di prestazioni, erogabili dalle Regioni a carico del sistema sanitario regionale a condizione che non si trovino in piano di rientro o, comunque sia, non siano sottoposte a misure di monitoraggio equiparabili a tale piano (da ultimo, sentenza n. 161 del 2022).
La fondatezza della questione in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., determina altresì la lesione degli artt. 81, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, in conseguenza dell’erosione delle risorse disponibili afferenti al capitolo relativo ai LEA, per il finanziamento dei macchinari; nonché per la copertura delle ulteriori prestazioni che comunque la Regione intenderebbe erogare, non essendo quantificato l’onere relativo. Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 7 del 2021.
7.3.2.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso.
7.4.– È impugnato l’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021 in riferimento agli artt. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost. nonché in riferimento all’art. 17, lettera c), dello statuto di autonomia.
L’art. 55 autorizza l’Assessore alla salute a consentire la prescrivibilità dei farmaci antinfiammatori non-steroidei in fascia A, in deroga ai vincoli previsti dalla nota AIFA 66, per tutte le pazienti della Regione Siciliana affette da endometriosi, in possesso del codice di esenzione 063; e pone l’onere di tale spesa a carico del fondo sanitario regionale relativo al finanziamento del sistema sanitario, missione 13, Programma 1, Capitolo 413374 (finanziamento ordinario corrente per la garanzia dei LEA, fondo farmaci innovativi).
L’Avvocatura generale dello Stato afferma che la competenza a definire le malattie e le condizioni che danno diritto all’esenzione spetta al legislatore statale, che l’avrebbe esercitata con il decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124 (Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni, a norma dell’articolo 59, comma 50, della L. 27 dicembre 1997, n. 449).
L’elenco delle malattie croniche esenti sarebbe stato poi ridefinito e aggiornato dal già richiamato d.P.C.m. 12 gennaio 2017, che avrebbe ricompreso, nell’allegato 8, l’endometriosi, codice 063, ma tale esenzione si riferirebbe esclusivamente alle prestazioni di specialistica ambulatoriale e non si estenderebbe ai farmaci.
Al contrario, i farmaci classificati in fascia A (ossia gratuiti per gli assistiti) sarebbero esclusivamente quelli definiti dalle note AIFA, nel caso di specie, «Nota 66», che non comprenderebbe la malattia cronica in questione fra quelle ammesse all’erogazione dei farmaci antinfiammatori non steroidei a carico del SSN.
7.4.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021 è fondata per i motivi di seguito indicati.
7.4.1.2.– Occorre preliminarmente precisare – per quanto la memoria regionale non si soffermi sul punto – che la norma interposta evocata dallo Stato – il d.lgs. n. 124 del 1998 – deve ritenersi implicitamente abrogata. L’art. 5 del menzionato decreto legislativo, infatti, rimandava a distinti regolamenti del Ministero della sanità l’individuazione delle malattie croniche. In ossequio a tale norma, era stato adottato il decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329, recante «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 29 aprile 1998, n. 124», che rappresentava la fonte di individuazione di tali patologie prima del citato d.P.C.m. del 2017.
Tale imprecisione, peraltro, non mina l’ammissibilità del ricorso, posto che, contestualmente, l’Avvocatura generale dello Stato ha correttamente individuato la nota 66 dell’AIFA come fonte vigente per la prescrizione a carico del SSN dei farmaci antinfiammatori non-steroidei, al cui interno non compare la malattia cronica in questione. Peraltro, l’Allegato 8 al d.P.C.m. 12 gennaio 2017, individuato dalla difesa regionale come la fonte per l’elenco vigente delle patologie croniche, è riferito alle prestazioni erogabili a carico del SSN e non ai farmaci, come rappresentato anche dall’Avvocatura generale.
7.4.2.– Ciò posto, la norma impugnata, nell’attribuire all’Assessore per la salute della Regione Siciliana il potere di autorizzare la prescrizione di farmaci antinfiammatori non-steroidei a carico del Servizio sanitario nazionale per patologie non incluse nell’elenco di cui alla richiamata nota AIFA, rappresenta un livello ulteriore di assistenza sanitaria, erogabile dalle Regioni con oneri a carico del bilancio regionale ad una duplice condizione: l’assenza del piano di rientro, la separata evidenziazione nel bilancio regionale.
Trovandosi la Regione in vigenza del piano di monitoraggio, la sottrazione di risorse dal capitolo vincolato all’erogazione dei LEA per destinarle a prestazioni non rientranti nei relativi elenchi, determina la violazione della competenza esclusiva dello Stato a fissare i LEA, nonché dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e di tutela della salute, adottati dallo Stato con le richiamate norme interposte, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Dal che consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021.
7.4.3. – Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso.
8.– Lo Stato ha impugnato altresì l’art. 56 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, laddove assegna all’ufficio della Rete mediterranea per la salute degli animali (REMESA) con sede in Palermo, presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia, un contributo pari a euro 250 mila, per l’esercizio finanziario 2021, per lo svolgimento di attività istituzionale, ponendo i relativi oneri a carico «delle risorse destinate al finanziamento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale».
Il ricorrente si duole della scelta di finanziare la sede palermitana del REMESA mediante la decurtazione di risorse del Fondo sanitario nazionale, già destinate, per la quota spettante, al funzionamento e alle funzioni istituzionali ordinarie dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia, giusta delibera CIPE 14 maggio 2020, n. 20 «Fondo sanitario nazionale – Riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale», ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 (Tabella B – delibera CIPE). Dal che è dedotta la lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nelle materie della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica, in relazione alla norma interposta di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, ai sensi del quale il Fondo sanitario nazionale è ripartito dal CIPE «su proposta del Ministro della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome».
8.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 56 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021, sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., nelle materie «coordinamento della finanza pubblica» e «tutela della salute», è fondata per i motivi di seguito indicati.
Occorre preliminarmente ricostruire il contesto normativo di riferimento, tanto degli istituti zooprofilattici sperimentali (d’ora innanzi: IZS), quanto del REMESA, nonché i profili costituzionali del Fondo sanitario nazionale, nella quota vincolata agli IZS.
Gli IZS sono enti che fanno parte del SSN e, per le funzioni che svolgono (si pensi a quelle di tutela igienico-sanitaria e di sicurezza veterinaria: sentenza n. 173 del 2014), intersecano diversi ambiti materiali, sui quali insistono, al contempo, competenze legislative esclusive statali e concorrenti (quali la profilassi internazionale, la tutela della salute, la prevenzione e la ricerca). Lo stesso riparto delle funzioni amministrative correlate al funzionamento degli IZS, peraltro, denota tale commistione di competenze, posto che non sono state oggetto di devoluzione completa alle Regioni, permanendo in capo al Governo quelle relative all’esercizio delle competenze legislative esclusive (da ultimo, sentenza n. 234 del 2021).
Per quanto di interesse nel presente giudizio, il sistema di finanziamento degli IZS riflette tale concorrenza di competenze. In quanto quota vincolata del Fondo sanitario nazionale, anche il fondo per gli IZS viene istituito con legge statale, ma la sua quantificazione e, soprattutto, la sua ripartizione prevedono una fase concertativa con la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
La norma regionale impugnata prevede di destinare all’ufficio palermitano del REMESA la somma di euro 250 mila, mediante impiego delle risorse «destinate al finanziamento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale».
La delibera CIPE 14 maggio 2020, n. 20 (Fondo sanitario nazionale 2020 – Riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale) è stata adottata previa acquisizione di diverse intese in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sancite rispettivamente nelle sedute del 31 marzo 2020 (rep. atti n. 55/CSR e 57/CSR) e dell’8 aprile 2020 (rep. atti n. 60/CSR), sulla proposta del Ministro della salute concernente il riparto delle risorse complessivamente disponibili per il finanziamento del SSN per l’anno 2020, nonché per la ripartizione delle quote premiali per il medesimo anno.
Più precisamente, la Tabella B, contenuta nell’Allegato 2 alla menzionata delibera CIPE del 14 maggio 2020, titolata «FSN 2020 – riparto tra le Regioni di alcune poste a destinazione vincolata o per attività non rendicontate dalle aziende sanitarie delle disponibilità finanziarie per il servizio sanitario nazionale», individua, fra gli enti destinatari delle menzionate risorse vincolate, da un lato «Regioni e Province autonome», dall’altro gli «Istituti Zooprofilattici Sperimentali».
La menzionata delibera CIPE del 14 maggio 2020 destina, dunque, complessivamente all’IZS della Sicilia la somma di euro 23.230.071, di cui euro 22.236.637 sono vincolati al funzionamento dell’IZS, come riportato anche nel ricorso statale (il restante, la minima parte, per gli oneri contrattuali del personale IZS degli anni precedenti).
Va in proposito considerato che dai bilanci dell’IZS, come desumibile dalle memorie dell’Avvocatura generale dello Stato, emerge che le uniche risorse regionali (sia nel bilancio 2021, sia in quello 2022) sono costituite dal contributo di poco più di un milione di euro che, tuttavia, è qualificato come vincolato ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge della Regione Siciliana 13 gennaio 2015, n. 3 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2015. Disposizioni finanziarie urgenti. Disposizioni in materia di armonizzazione dei bilanci). Per il resto, a parte la voce dei «contributi da altri soggetti pubblici», i contributi in conto esercizio provengono formalmente dal bilancio regionale, ma quale quota del FSN assegnata alla Sicilia per essere espressamente destinata al funzionamento dell’IZS (sentenza n. 156 del 2021).
Il doppio vincolo di destinazione che la quota – definita, appunto, “vincolata” – del FSN imprime alle risorse volte al funzionamento degli IZS conferma che la norma impugnata – la quale destina tali risorse a un soggetto diverso – l’Ufficio palermitano del REMESA – e per uno scopo diverso – attività istituzionali di tale ente – si pone in contrasto con i vincoli di destinazione stabiliti dal legislatore statale e viola, pertanto, l’art. 117, terzo comma, Cost.
Benché tale fondo insista su molteplici ambiti materiali di competenza anche regionale, l’esercizio della competenza da parte dello Stato a definire l’importo e la destinazione di tali risorse si impone anche alle Regioni, le cui attribuzioni costituzionali vengono comunque garantite e preservate mediante il loro diretto coinvolgimento con l’acquisizione dell’intesa in Conferenza Stato-Regioni.
Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 56 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021.
9.– È, infine, impugnato l’art. 57, che autorizza l’Assessorato regionale dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea, anche tramite propri enti strumentali, ad avviare progetti innovativi, «pure nelle forme del partenariato con le società presenti sul territorio nazionale», al dichiarato fine di sopperire alle richieste derivanti dal rapporto di fabbisogno accertato dalle autorità sanitarie nazionali di produzione di “cannabis terapeutica”, finalizzati a loro volta ad avviare le procedure previste dall’art. 17, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
Secondo il ricorrente tale disposizione, laddove autorizza l’Assessorato ragionale ad avviare progetti sulla cannabis terapeutica, violerebbe la competenza amministrativa assegnata allo Stato dall’art. 17, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, che avrebbe attribuito al livello centrale le funzioni amministrative in materia di autorizzazione alla coltivazione di cannabis a scopo terapeutico, al fine di garantire un adeguato livello unitario di tutela della salute su tutto il territorio nazionale. Sarebbero pertanto violati non solo il principio di adeguatezza di cui all’art. 118, primo comma, Cost., ma anche lo stesso diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., alla cui uniforme tutela è funzionale l’attribuzione delle competenze amministrative in materia di cannabis in capo allo Stato.
9.1– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021 è fondata per i motivi di seguito indicati.
Ai sensi dell’art. 17 del richiamato d.P.R. n. 309 del 1990, «[c]hiunque intenda coltivare, produrre, fabbricare, impiegare, importare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio sostanze stupefacenti o psicotrope, comprese nelle tabelle di cui all’articolo 14 deve munirsi dell’autorizzazione del Ministero della sanità».
L’Ufficio centrale stupefacenti del Ministero della salute, dunque, esercita competenze amministrative relative all’impiego di sostanze stupefacenti a fini medici, posto che tali funzioni sono state espressamente escluse dalla devoluzione alle Regioni ai sensi dell’art. 112, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Ciò considerato, deve ricordarsi che questa Corte è già stata chiamata a valutare norme regionali assimilabili a quella odierna e ha chiarito che la disciplina autorizzatoria statale in materia di coltivazione di stupefacenti «rientra tra i principi fondamentali in materia di tutela della salute, essendo posta a garanzia di un diritto fondamentale della persona» (sentenza n. 141 del 2013).
L’autorizzazione ex lege dell’Assessorato all’agricoltura per l’avvio di progetti sperimentali è assimilabile a una sorta di “autorizzazione preventiva”, che però, in questo ambito, esula dalle competenze regionali, come già affermato con la richiamata sentenza.
A sostegno della fondatezza della questione, deve altresì osservarsi che ad oggi esistono numerose norme di altre Regioni, le quali autorizzano la Giunta a stipulare convenzioni con centri già autorizzati. La norma siciliana, invece, con una formulazione del tutto peculiare, autorizza la Giunta ad avviare progetti con istituti privi di autorizzazione, posto che tali progetti sarebbero poi funzionali all’ottenimento delle autorizzazioni statali previste dall’art. 17 del d.P.R. n. 390 del 1990.
Dalla stessa formulazione della disposizione regionale impugnata, peraltro, si evince che tali progetti, una volta avviati, mediante il coinvolgimento dell’Assessorato per l’agricoltura, potrebbero non ricevere mai l’autorizzazione statale, eppure, ciononostante, potrebbero proseguire ad interim, di fatto eludendo o aggirando la competenza del Ministero della salute. Del resto, per presentare domanda di autorizzazione al Ministero della salute, occorre essere già in possesso dell’accordo di conferimento con una officina farmaceutica già autorizzata, e la mancanza di questo requisito determina, di per sé, l’esclusione dalla procedura autorizzativa.
Tali considerazioni confermano il contrasto della norma siciliana impugnata con i parametri evocati, poiché la lesione della competenza amministrativa statale in materia autorizzatoria, determina la violazione dell’attribuzione allo Stato delle competenze amministrative per il diritto alla salute, funzionale ad assicurarne una migliore tutela (così, sentenza n. 141 del 2013). Dal che l’illegittimità costituzionale dell’art. 57 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2021.
10.– Con successivo ricorso n. 8 del 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 29 del 2021.
Tale articolo stabilisce «1. Per il rilancio dell’economia della Sicilia mediante il ripristino dei flussi turistici post pandemia Covid, al fine di assicurare la fruizione dei luoghi della cultura, ai sensi dell’articolo 9, comma 7, lettera e) del CCRL vigente è autorizzata per l’esercizio finanziario 2021 l’ulteriore spesa per il trattamento accessorio del personale a tempo indeterminato utilizzato per interventi di sicurezza e di vigilanza nei luoghi della cultura, pari a complessivi euro 1.061.600,00, di cui euro 193.600,00 quali oneri sociali a carico dell’amministrazione regionale ed euro 68.000,00 quale imposta regionale sulle attività produttive (I.R.A.P.) da versare (Missione 5, programma 2). 2. Agli oneri di cui al presente articolo si fa fronte mediante corrispondente riduzione della Missione 9, programma 5, capitolo 150032».
Afferma il ricorrente che la norma impugnata, autorizzando, per l’esercizio finanziario 2021, un’ulteriore spesa per il trattamento accessorio del personale utilizzato per interventi di sicurezza e di vigilanza nei luoghi della cultura, si porrebbe in contrasto con il divieto previsto dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», in ordine al superamento del limite dell’ammontare complessivo, riferito all’anno 2016, delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche.
La riduzione del trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, costituirebbe una delle condizioni contenute nel «Piano di rientro della Regione Siciliana del disavanzo in attuazione dell’Accordo Stato-Regione sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Presidente della Regione Siciliana il 14 gennaio 2021» (quest’ultimo denominato «Accordo tra Stato e Regione Siciliana per il Ripiano decennale del disavanzo»).
La disposizione regionale in esame, prevedendo di destinare un maggiore importo per il trattamento accessorio del personale a tempo indeterminato utilizzato per interventi di sicurezza e di vigilanza nei luoghi della cultura, pari a complessivi euro 1.061.600,00, oltre a costituire un’ingiustificata violazione del precetto normativo imposto dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, pregiudicherebbe il raggiungimento dell’obiettivo di rientro previsto nel Piano che, ai sensi dell’art. 6 della legge della Regione Siciliana 15 aprile 2021, n. 10 (Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2021-2023), in attuazione dell’art. 7 del decreto legislativo 27 dicembre 2019, n. 158 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Siciliana in materia di armonizzazione dei sistemi contabili, dei conti giudiziali e dei controlli), è allegato alla legge di approvazione del bilancio di previsione della Regione.
Conseguentemente, asserisce il ricorrente, la norma regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali nella materia «coordinamento della finanza pubblica», proprio in relazione alla norma interposta di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 158 del 2019, confliggendo anche con l’art. 81 Cost. e con le norme fondamentali e i criteri stabiliti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), in particolare con l’art. 9 di detta legge, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 221 del 2013, n. 217 e n. 215 del 2012).
10.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 29 del 2021 è fondata per i motivi di seguito indicati.
L’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 prevede che, al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione operi la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione. Il medesimo art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017 prevede altresì che, «al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016».
La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 è norma che pone un limite generale al trattamento economico del personale pubblico e ha natura di principio di coordinamento della finanza pubblica, essendo tale spesa una delle più frequenti e rilevanti cause di disavanzo pubblico (sentenze n. 212 e n. 20 del 2021, n. 191 del 2017, n. 218 del 2015 e n. 215 del 2012).
La Regione non può quindi effettuare integrazioni e incrementi che andrebbero in senso opposto all’armonizzazione che ispira la predetta norma interposta.
La previsione di maggiori oneri da destinare ai trattamenti economici del personale a tempo indeterminato per interventi di sicurezza e di vigilanza nei luoghi della cultura, pertanto, si pone in netto contrasto con gli obiettivi di finanza pubblica, oltre che con lo specifico obiettivo di riduzione della spesa per il personale, che la Regione si è prefissata in accordo con lo Stato, come recepito anche nel «Piano di rientro della Regione Siciliana del disavanzo in attuazione dell’Accordo Stato-Regione sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Presidente della Regione Siciliana il 14 gennaio 2021» (quest’ultimo denominato «Accordo tra Stato e Regione Siciliana per il Ripiano decennale del disavanzo»). Detto piano costituisce allegato alla legge di approvazione del bilancio di previsione della Regione, ai sensi dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 10 del 2021, in attuazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 158 del 2019.
L’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 29 del 2021, autorizzando una spesa che supera il limite stabilito dall’indicato art. 23, comma 2, della normativa statale, si pone quindi in contrasto con le misure volte ad assicurare l’invarianza della spesa di personale e, di conseguenza, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in particolare con i principi fondamentali nella materia «coordinamento della finanza pubblica».
La riduzione del trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, rappresenta una delle condizioni contenute nel richiamato piano di rientro. La disposizione regionale, destinando, invece, un maggiore importo per il trattamento accessorio del personale a tempo indeterminato utilizzato per interventi di sicurezza e di vigilanza nei luoghi della cultura, pari a complessivi euro 1.061.600,00, si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali nella materia «coordinamento della finanza pubblica», in relazione alle norme interposte.
Alla luce delle esposte argomentazioni, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 29 del 2021.
10.2.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione proposti dal Presidente del Consiglio.