Corte Costituzionale, sentenza 20 febbraio 2023 n. 25
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 206-bis, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), introdotto dall’art. 12, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 26 aprile 2016, n. 91 (Disposizioni integrative e correttive ai decreti legislativi 28 gennaio 2014, n. 7 e 8, adottate ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 244), nella parte in cui autorizza la sanità militare a imporre al personale militare la somministrazione di specifiche profilassi vaccinali, senza che esse siano previamente individuate in via legislativa.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
l.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli dubita, in riferimento all’art. 32 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 206-bis cod. ordinamento militare, disposizione introdotta dall’art. 12, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 91 del 2016.
Al comma 1, la disciplina censurata stabilisce che «[l]a Sanità militare può dichiarare indispensabile la somministrazione, secondo appositi protocolli, di specifiche profilassi vaccinali al personale militare per poterlo impiegare in particolari e individuate condizioni operative o di servizio, al fine di garantire la salute dei singoli e della collettività». Il successivo comma 2 stabilisce le modalità di adozione e i contenuti necessari di tali «protocolli sanitari», che devono essere approvati con decreto del Ministro della difesa di concerto con il Ministro della salute e «reca[re] altresì l’indicazione analitica degli adempimenti riferiti alle modalità di somministrazione dei vaccini, quali quelli di comporre il quadro anamnestico del paziente prima di iniziare le profilassi vaccinali e di registrare su apposita documentazione, anche elettronica, riferita a ciascun militare tutte le profilassi vaccinali adottate nei suoi confronti». Il comma 3, infine, precisa che, laddove «il militare da sottoporre a profilassi vaccinale rappresent[i] documentati motivi sanitari per non sottoporsi alla profilassi stessa, la valutazione di merito è rimessa alla commissione medica ospedaliera competente per territorio».
2.– Il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un ufficiale dell’Aeronautica militare, individuato per essere inviato in missione all’estero, incarico che richiedeva preliminarmente il completamento della profilassi vaccinale prevista dal «Modulo di Prevenzione Vaccinale per il Teatro Operativo prescelto». Il militare si sarebbe ripetutamente sottratto all’ordine – emesso dal suo superiore in grado – di presentarsi a tal fine presso l’infermeria del quartier generale del Comando scuole A.M.-3^ Regione aerea di Bari Palese, rendendosi, così, «non impiegabile» per la missione.
In ragione di questa condotta, il militare è imputato, ai sensi degli artt. 81, primo comma, cod. pen., 47, numero 2), e 173 cod. pen. mil. pace, del reato di disobbedienza continuata aggravata.
3.– A dire del rimettente, nel conferire alla sanità militare il potere di dichiarare indispensabili le profilassi vaccinali cui sottoporre il personale militare, l’art. 206-bis cod. ordinamento militare – che costituirebbe il «presupposto normativo» dell’ordine impartito al militare – eluderebbe la «riserva di legge statale e rinforzata» prevista dall’art. 32, secondo comma, Cost. per l’introduzione di trattamenti sanitari obbligatori.
Posta questa premessa, l’ordinanza di rimessione articola tre distinte censure.
3.1.– Con la prima, è lamentata la duplice circostanza che le profilassi vaccinali siano, da un lato, dichiarate indispensabili da apparati amministrativi del Ministero della difesa, allo scopo, dall’altro, di impiegare il militare in «particolari e individuate condizioni operative o di servizio». Con tale locuzione, l’art. 206-bis cod. ordinamento militare renderebbe evidente come «l’interesse preponderante» perseguito dal legislatore sia quello alla «pronta, sollecita ed efficace organizzazione del servizio militare» e non, come invece dovrebbe essere, unicamente la tutela della salute dei singoli e della collettività, pure evocata dalla disposizione censurata. Infatti, per quanto l’efficienza dello strumento militare rilevi ai sensi dell’art. 52 Cost., tale esigenza non potrebbe prevalere sul «fondamentale diritto individuale alla salute, comprensivo della scelta di non sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario».
3.2.– Con la seconda censura, il rimettente evidenzia come, al fine di contenere la discrezionalità amministrativa e soddisfare la riserva di legge imposta in materia, non sarebbe sufficiente prevedere che la sanità militare possa obbligare a «specifiche» profilassi indispensabili per «particolari e individuate» condizioni operative e di servizio. Limitandosi a questo, l’art. 206-bis cod. ordinamento militare avrebbe delegato all’amministrazione sanitaria militare la scelta «in punto di individuazione delle singole tipologie di trattamenti sanitari obbligatori». A prescindere dalla natura assoluta o relativa da riconoscersi alla riserva di legge in esame, la circostanza che l’art. 32, secondo comma, Cost. stabilisca che non si possa, se non per disposizione di legge, essere sottoposti a un «determinato» trattamento sanitario comporterebbe, invece, che debba essere la fonte legislativa ad individuare «ogni singola tipologia di detti trattamenti», mentre le fonti sub-legislative sarebbero abilitate ad intervenire solo con disposizioni di dettaglio tecnico-operativo.
3.3.– La terza censura, infine, sottolinea la lesione del carattere «rinforzato» della riserva di legge de qua. Confliggerebbe, infatti, con il «rispetto della persona umana» prescritto dall’art. 32 Cost. la circostanza che l’art. 206-bis cod. ordinamento militare consenta all’amministrazione militare di imporre la somministrazione anche di vaccini non ancora approvati in via definitiva da AIFA ed EMA, perché in fase sperimentale o perché provvisti di sola autorizzazione all’immissione in commercio condizionata.
4.– L’Avvocatura generale ha formulato eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza, assumendo che il giudice a quo non debba in realtà fare applicazione, né diretta né mediata, dell’art. 206-bis cod. ordinamento militare.
L’eccezione poggia sulla constatazione che elemento soggettivo del reato di disobbedienza è il dolo generico, sicché a nulla rileverebbe, rispetto alla condotta contestata, la finalità cui l’ordine – «presentarsi in infermeria» – era teso, ovverosia «completare il ciclo vaccinale». Il rimettente avrebbe invece fatto leva proprio su tale ultima circostanza per determinarsi nel senso dell’incidente di costituzionalità, non considerando, perciò, che il militare era comunque tenuto a presentarsi in infermeria. In quella sede, semmai, egli avrebbe potuto esprimere le proprie riserve.
Infatti, precisa ancora la difesa statale, gli ordini militari sono atti amministrativi unilaterali che non permettono al destinatario alcun sindacato di legittimità, con le eccezioni previste dagli artt. 1349, comma 2, cod. ordinamento militare e 729, comma 2, del d.P.R. n. 90 del 2010: disposizioni che delineano l’obbligo, rispettivamente, di disobbedire all’«ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato», e di segnalare al superiore l’ordine «non […] conforme alle norme in vigore», con il dovere di darvi seguito quando confermato.
L’eccezione non è fondata.
L’ordinanza di rimessione sostiene invero che l’imputato era stato raggiunto dall’ordine di «presentarsi in infermeria per sottoporsi alla profilassi vaccinale», e che tale ordine si richiamava espressamente al d.interm. 16 maggio 2018, cioè all’atto con il quale i Ministri della salute e della difesa, di concerto, hanno approvato la «Direttiva tecnica in materia di protocolli sanitari per la somministrazione di profilassi vaccinali al personale militare», ai sensi del censurato art. 206-bis cod. ordinamento militare.
Su queste basi, il giudice a quo argomenta che, nell’ipotesi di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata, «verrebbe a mancare il presupposto normativo per l’emissione dell’ordine», con conseguenti ricadute sulla sussistenza dell’elemento materiale e soggettivo del reato di disobbedienza contestato e dunque sul procedimento penale in corso.
Questa motivazione in punto di rilevanza è idonea a superare positivamente il vaglio di ammissibilità, spettando a questa Corte unicamente un «controllo esterno» su di essa (ex plurimis, sentenze n. 264, n. 254, n. 203 del 2022, n. 189 e n. 183 del 2021).
Risulta invero formalistica la prospettiva assunta dalla difesa erariale, secondo cui dovrebbe tenersi distinto, nel caso di specie, il contenuto immediatamente precettivo dell’ordine, consistente nel comando a recarsi in infermeria, dalla finalità cui l’ordine stesso sarebbe orientato, ovvero sottoporsi in quella sede alla vaccinazione: ben può ritenersi, in realtà, che l’uno e l’altro profilo siano elementi inscindibili della medesima fattispecie concreta.
Altrettanto formalistica, pertanto, è la conclusione che, ai fini del decidere, il rimettente non dovrebbe considerare la previsione legislativa che ha fondato il potere del superiore di disporre l’invio del militare, «per sottoporsi alla profilassi vaccinale», presso l’infermeria di corpo.
Non è qui in discussione la circostanza che l’art. 173 cod. pen. mil. pace richieda, quale elemento soggettivo, il dolo generico, come afferma la giurisprudenza di legittimità, secondo cui per integrare il reato in questione è sufficiente la «volontà di rifiutare di obbedire a un ordine che appaia oggettivamente attinente al servizio» (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 12 luglio 2018-22 gennaio 2019, n. 2877; analogamente, sentenze 24 aprile-9 ottobre 2014, n. 42049 e 15 maggio-6 agosto 2015, n. 34470). Così come non è in discussione il fatto che il militare possa, e anzi debba, non ottemperare a un ordine in due soli casi: laddove il comando sia manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la sua esecuzione costituisca manifestamente reato (Cass. n. 34470 del 2015; in termini, già Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 28 novembre 2013-29 gennaio 2014, n. 3969 e 13 dicembre 2011-27 gennaio 2012, n. 3339), oppure quando l’ordine non risulti conforme alle norme in vigore, ma, in quest’ultimo caso, con il dovere di darvi seguito quando esso sia confermato.
L’Avvocatura generale sottolinea che ciò implicherebbe come, al di là di queste ipotesi, il militare sia sempre tenuto a osservare l’ordine ricevuto, a prescindere da ogni valutazione sulla finalità cui questo è orientato, altrimenti incorrendo nel reato di cui all’art. 173 cod. pen. mil. di pace.
Fermo restando che, come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale (ordinanza n. 39 del 2001), deve comunque trattarsi di ordine «funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non eccedente i compiti di istituto» (analogamente, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 9 novembre 2017-15 gennaio 2018, n. 1522), ai limitati fini del giudizio sulla rilevanza delle sollevate questioni assume unicamente rilievo il fatto che la decisione assunta all’esito del processo costituzionale non implausibilmente influisca sull’esercizio della funzione giurisdizionale, quantomeno sotto il profilo del percorso argomentativo che sosterrà la decisione del processo principale (sentenze n. 247 del 2021 e n. 20 del 2016; in senso analogo, già sentenze n. 394 del 2006 e n. 148 del 1983): in effetti, in caso di accoglimento, il giudice a quo sarebbe preliminarmente chiamato a sciogliere l’interrogativo sulla sussistenza del reato in caso di disobbedienza ad un ordine fondato su una disposizione di legge dichiarata costituzionalmente illegittima.
In definitiva, pur restando fermo che al militare non è consentito in generale un sindacato sugli ordini provenienti da un superiore, non può considerarsi implausibile la valutazione operata dal rimettente, che considera pregiudiziale, per giudicare del reato di disobbedienza, la decisione sulla questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione di legge sulla quale – tanto più in questa particolare fattispecie, ove opera la riserva di legge ex art. 32 Cost. – si basa l’ordine della cui disobbedienza è causa.
5.– Il giudice a quo esamina con ampiezza, e consapevolmente esclude, la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione oggetto di censure. Sostiene il rimettente che il testo dell’art. 206-bis cod. ordinamento militare non autorizzerebbe a ritenere che il militare possa sottrarsi alla vaccinazione senza incorrere in sanzioni disciplinari o penali, e che non sarebbe possibile leggere la disposizione nel senso che dal suo rifiuto discenda unicamente l’impossibilità, per l’amministrazione militare, di impiegarlo nella specifica condizione operativa o di servizio cui era destinato.
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «l’effettivo esperimento del tentativo di una interpretazione costituzionalmente orientata – ancorché risolto dal giudice a quo con esito negativo per l’ostacolo ravvisato nella lettera della disposizione denunciata – consente di superare il vaglio di ammissibilità della questione incidentale sollevata», attenendo al merito della stessa la valutazione sulla correttezza, o meno, dell’opzione ermeneutica prescelta (ex plurimis sentenza n. 219 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 203 del 2022, n. 172 e n. 17 del 2021).
5.1.– Il rimettente muove, dunque, dal presupposto interpretativo secondo cui la disposizione censurata prevedrebbe, a carico del militare, un vero e proprio obbligo di sottoporsi a vaccinazione.
Tale presupposto risulta corretto.
Per vero, la disposizione censurata non prevede testualmente un “obbligo” di profilassi vaccinale gravante sul personale militare da inviare in missione o destinare a specifiche attività. Essa nemmeno esplicita le sanzioni derivanti dalla violazione di tale obbligo.
A tal proposito, in termini generali, va in primo luogo osservato che se il significato desumibile da una disposizione renda evidente che si è in presenza di un effettivo obbligo di vaccinazione, non è certo la mancata sua letterale menzione a sottrarre la norma che lo configuri dal necessario rispetto delle prescrizioni desumibili dall’art. 32 Cost.
In secondo luogo, sottolinea questa Corte che, laddove intenda introdurre un trattamento sanitario obbligatorio, il legislatore deve ispirarsi a chiarezza prescrittiva, con riferimento sia all’esistenza stessa dell’obbligo, sia alle conseguenze che si intendano far derivare dalla sua violazione, poiché anche queste ultime, in quanto previste, «concorrono in maniera sostanziale a conformare l’obbligo stesso e a calibrare il bilanciamento tra i diversi interessi costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 5 del 2018).
Tutto ciò posto, ne deriva, con riferimento al caso di specie, che né l’assenza testuale del termine “obbligo”, né la mancata espressa previsione delle sanzioni conseguenti alla sua violazione possono indurre a qualificare il precetto in parola solo alla stregua di un onere incombente sull’amministrazione militare.
A un simile risultato interpretativo potrebbe condurre, invero, una lettura isolata del comma 1 della disposizione censurata, ai cui sensi la sanità militare può dichiarare «indispensabile» la somministrazione al personale militare di talune profilassi vaccinali «per poterlo impiegare in particolari e individuate condizioni operative o di servizio».
La circostanza che la sanità militare, se intende utilizzare in tal modo il militare, debba così procedere è fuor di dubbio, ma è da escludere che questo soltanto sia il significato della disposizione. Infatti, il comma 3 del medesimo art. 206-bis cod. ordinamento militare stabilisce che, «[s]e il militare da sottoporre a profilassi vaccinale rappresenta documentati motivi sanitari per non sottoporsi alla profilassi stessa, la valutazione di merito è rimessa alla commissione medica ospedaliera competente per territorio». Sebbene il precetto non espliciti i possibili esiti ed effetti dell’esame rimesso alla commissione medica, la circostanza stessa di aver regolato, con espressa previsione, la sola fattispecie relativa al militare che “non può” vaccinarsi – il quale, all’evidenza, non potrà subire per ciò stesso conseguenze negative – consente di ritenere che a differente trattamento sia destinato il militare che “non vuole” vaccinarsi.
Non erra pertanto il rimettente quando afferma che proprio il contenuto normativo del comma 3 induce a concludere che al militare non è consentito sottrarsi alla vaccinazione indispensabile per l’impiego in missione, se non per «documentati motivi sanitari».
Allo stesso modo, è corretto ritenere che, avendo per l’appunto introdotto un obbligo, l’art. 206-bis cod. ordinamento militare contempla «la possibilità che [il relativo] adempimento sia oggetto di un ordine», disattendendo il quale il militare incorre nelle conseguenze normalmente previste dalle norme di un settore strutturalmente informato ai principi della gerarchia e dell’obbedienza (il giudice a quo rammenta, in proposito, quanto prevede, al punto 5.6, la direttiva tecnica introdotta con il d.interm. 16 maggio 2018, ai cui sensi il rifiuto del militare alla somministrazione, laddove non vi siano controindicazioni, deve essere «annotato e controfirmato sulla scheda vaccinale e notificato al Comandante di Corpo per i provvedimenti di competenza»).
5.2.– I lavori preparatori della norma censurata confermano, in ogni caso, che essa introduce effettivamente un obbligo.
Prima dell’entrata in vigore del censurato art. 206-bis a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 91 del 2016, la specifica profilassi vaccinale per il personale militare era stabilita dal decreto del Ministero della difesa 31 marzo 2003 (Aggiornamento delle schedule vaccinali e delle altre misure di profilassi per il personale militare). Tale atto si richiamava all’art. 132 del regio decreto 17 novembre 1932, n. 2544 (Regolamento sul servizio sanitario militare territoriale) – peraltro abrogato dall’art. 2269, comma 1, numero 70, del d.lgs. n. 66 del 2010 –, disposizione che indicava nominalmente alcune vaccinazioni «di regola praticate» (nella specie: antivaiolosa e antitifo-paratifica-antitetanica), oltre quelle «che potessero eventualmente ed in casi speciali essere ordinate».
La prassi applicativa di queste regole sulla profilassi vaccinale è stata oggetto di specifico esame da parte di due Commissioni parlamentari d’inchiesta. Nella relazione finale approvata il 9 gennaio 2013, la Commissione d’inchiesta del Senato della Repubblica (istituita con delibera del 16 marzo 2010 per indagare sui casi di morte e gravi malattie che avevano colpito il personale militare impiegato sia all’estero che in particolari contesti operativi nazionali) osservava come – proprio perché non disciplinata in fonte primaria, e alla luce della riserva di legge prevista dalla Costituzione – l’imposizione di profilassi vaccinale «non [potesse] derogare al principio costituzionale della volontarietà». Ne traeva, altresì, la conseguenza che occorresse ritenere «non sanzionabile il rifiuto motivato di sottoporsi […] a pratiche vaccinali, da parte del personale militare».
Per parte sua, la relazione finale dell’ulteriore Commissione d’inchiesta successivamente istituita presso la Camera dei deputati (con delibera del 30 giugno 2015 per indagare, anch’essa, sui casi di morte e gravi malattie che avevano colpito i militari, anche in correlazione alla somministrazione di vaccini), si esprimeva criticamente, sia in riferimento alle modalità di esecuzione di tale profilassi – che in questo caso l’organo parlamentare qualificava come «obbligatoria» – sia in ordine alle valutazioni propedeutiche alla vaccinazione e alle procedure di osservazione successive alla somministrazione (in tal senso, la relazione approvata in data 7 febbraio 2018).
Nelle more del lavoro svolto da quest’ultima Commissione, è di particolare rilievo il procedimento che conduce all’approvazione del d.lgs. n. 91 del 2016, che avrebbe introdotto proprio il nuovo art. 206-bis cod. ordinamento militare, cioè la disposizione qui censurata.
Accogliendo osservazioni e richieste emerse dalle inchieste parlamentari, lo schema di decreto legislativo approvato dal Governo elevava al rango di fonte primaria la disciplina sulla profilassi vaccinale per il personale militare, prescrivendo il necessario rispetto da parte della sanità militare di protocolli sanitari, con l’obiettivo di fornire un «quadro normativo chiaro» (in questi termini, la relazione illustrativa di accompagnamento).
Inoltre, per quanto qui maggiormente rileva, l’art. 12 dello schema di decreto legislativo presentato alle Commissioni parlamentari per il relativo parere prevedeva espressamente, nella sua prima versione, a partire dalla stessa rubrica, un «obbligo» di vaccinazione. Al contempo, in questa versione era invece assente una disciplina specifica (quella che sarebbe poi stata inserita nel comma 3 della versione definitiva) sulla segnalazione, da parte del militare, di controindicazioni sanitarie al trattamento.
Nel corso dell’esame dello schema di decreto legislativo, il Presidente della Commissione d’inchiesta inviò al Presidente della Commissione difesa della Camera dei deputati una lettera in cui si prospettava l’opportunità di chiedere al Governo di sopprimere la norma «nella parte in cui si introduce l’obbligo di profilassi vaccinale del personale militare», e di provvedere «piuttosto a sancire un espresso obbligo, a carico degli organi competenti del Ministero della difesa, di svolgere, prima di iniziare le profilassi vaccinali, ulteriori adempimenti riferiti alla somministrazione di vaccini» (si veda il resoconto della seduta della Commissione difesa del 12 aprile 2016).
Dando seguito a tale richiesta, la Commissione difesa adottava un parere favorevole con condizioni, proponendo un testo con formulazione simile a quello poi effettivamente licenziato dal Governo. Veniva così espunto ogni riferimento al regime dell’«obbligo» (sia nella rubrica, sia nel comma 1), e la norma veniva al contempo integrata con il contenuto dell’attuale comma 3.
Nell’illustrare la proposta, il Presidente della Commissione difesa osservava che si era in questo modo «cercato di realizzare un punto di equilibrio tra le esigenze della Difesa di assicurare l’interesse della collettività, che impone un’adeguata profilassi sanitaria del personale militare, e il diritto del singolo a sottrarsi alle vaccinazioni, quando sussistano documentati motivi sanitari che giustifichino questa esenzione» (seduta del 19 aprile 2016).
In definitiva, i lavori preparatori confermano che del “punto di equilibrio” raggiunto in sede parlamentare fanno parte, da un lato, nonostante la sua mancata espressa menzione, l’esistenza di un obbligo vaccinale in funzione della protezione della salute collettiva e individuale, nonché in ragione delle esigenze dell’amministrazione militare, e, dall’altro, la tutela della salute del singolo in presenza di motivi sanitari che possono giustificare la sottrazione all’obbligo.
6.– Le tre distinte censure formulate dal rimettente presentano quale comune denominatore la dedotta violazione della riserva di legge prevista dall’art. 32 Cost.
Una di tali doglianze assume rilievo logicamente prioritario, e dunque potenzialmente assorbente: precisamente quella secondo cui la riserva di legge in questione non sarebbe soddisfatta, nell’ipotesi in cui il legislatore abbia delegato a fonti secondarie o ad atti amministrativi – e dunque non abbia esso stesso operato – la scelta «in punto di individuazione delle singole tipologie di trattamenti sanitari obbligatori».
Nella sostanza, si tratta di chiarire cosa significhi, nell’ambito dell’art. 32, secondo comma, Cost., l’aggettivo «determinato» che accompagna la locuzione «trattamento sanitario» e a quale fonte spetti stabilirne l’individuazione; dovendosi altresì valutare il rilievo assunto dal settore – nel caso di specie quello dell’ordinamento e della sanità militari – nel cui ambito la legge introduca un trattamento obbligatorio.
7.– La questione è fondata, nei limiti di seguito precisati.
7.1.– Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la legge impositiva di un trattamento sanitario risulta compatibile con l’art. 32 Cost. solo se, in primo luogo, tale trattamento sia «diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri»; in secondo luogo, se vi sia «la previsione che esso non incida negativamente [sul suo] stato di salute», «salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili»; infine, se in caso di «danno ulteriore», nell’ipotesi di «malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica», sia garantita un’«equa indennità» in favore del danneggiato (sentenza n. 258 del 1994; requisiti da ultimo ribaditi nelle sentenze n. 15 e n. 14 del 2023).
Nello statuire che «[n]essuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», la Costituzione ha introdotto una riserva di legge relativa (sentenza n. 258 del 1994), ma rinforzata per contenuto, stante il necessario «rispetto della persona umana» prescritto dall’ultimo periodo dell’art. 32, secondo comma, Cost. Così, mentre per i trattamenti sanitari coercibili valgono le ulteriori e più intense garanzie previste per le restrizioni alla libertà personale, tra le quali è annoverata l’osservanza di una riserva di legge assoluta, i trattamenti sanitari obbligatori trovano nella riserva relativa di cui all’art. 32 Cost. il proprio fondamento e i propri limiti.
Questa Corte ha già affermato, con riferimento alla disciplina per l’assegnazione nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che, «[q]uanto meno allorché un dato trattamento sia configurato dalla legge non soltanto come “obbligatorio” – con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi non si sottoponga spontaneamente ad esso –, ma anche come “coattivo” – potendo il suo destinatario essere costretto con la forza a sottoporvisi, sia pure entro il limite segnato dal rispetto della persona umana –, le garanzie dell’art. 32, secondo comma, Cost. debbono sommarsi a quelle dell’art. 13 Cost., che tutela in via generale la libertà personale, posta in causa in ogni caso di coercizione che abbia ad oggetto il corpo della persona (sentenza n. 238 del 1996). Con conseguente necessità che la legge preveda anche i “modi”, oltre che i “casi”, in cui un simile trattamento – che lo stesso art. 32, secondo comma, Cost. esige d’altronde sia “determinato”, e dunque descritto e disciplinato dalla legge – può essere eseguito contro la volontà del paziente» (sentenza n. 22 del 2022).
Anche alla luce di tale confronto tra trattamenti coercibili e obbligatori, emerge che l’art. 32, secondo comma, Cost. non fa ricadere sul legislatore l’obbligo di introdurre una disciplina in tutto compiuta, e che per taluni profili è consentito l’intervento di ulteriori atti normativi in funzione integrativa.
Un’attività regolatoria secondaria è dunque legittima, con riferimento ad aspetti della materia che richiedono «determinazioni […] tali da dover essere conformate a circostanze e possibilità materiali varie e variabili, e quindi non facilmente regolabili in concreto secondo generali e stabili previsioni legislative» (sentenza n. 383 del 1998, con riferimento all’art. 33 Cost.). Così come è consentito all’amministrazione adottare atti chiamati a specificare e concretizzare il complesso dei precetti normativi.
Questa Corte ha però già precisato che il carattere relativo di una riserva di legge «non relega […] la legge sullo sfondo»: quest’ultima non può ridursi ad una prescrizione normativa «in bianco», senza che risultino definiti contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini (sentenza n. 5 del 2021, che richiama la sentenza n. 115 del 2011).
7.2.– Nella materia dei trattamenti sanitari obbligatori, va qui aggiunto, l’esigenza che risultino circoscritti contenuti e modi dell’intervento normativo sub-legislativo e dell’azione amministrativa è presidiata dalla Costituzione con particolare intensità. Infatti, l’art. 32, secondo comma, Cost. stabilisce testualmente che a poter essere imposto «per disposizione legislativa» è «un determinato» trattamento sanitario.
I lavori della Assemblea costituente mostrano che l’aggettivo «determinato» non compariva nella proposta adottata dalla Commissione per la Costituzione, differentemente formulata: «[n]essun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per legge» (testo del Progetto di Costituzione elaborato all’esito della seduta del 28 gennaio 1947 e presentato il successivo 31 gennaio). Fu per effetto di un emendamento presentato nel plenum dell’Assemblea che si ritenne di modificare la struttura della disposizione e, per quanto più conta, di introdurre il termine «determinato». Nell’intendimento del suo promotore (primo firmatario, on. Caronia), ne sarebbe derivata una formulazione «più precisa» (seduta del 24 aprile 1947).
Ciò posto, è certo che la “determinazione” del trattamento non è scelta delegabile a fonti sub-legislative, trattandosi della individuazione stessa della misura sanitaria che si intende imporre, e dunque di un contenuto normativo essenziale della disciplina.
L’interrogativo da sciogliere, con particolare riferimento alle profilassi vaccinali oggetto dell’odierno giudizio, è, però, quale sia il grado di “precisione” richiesto al legislatore: se sia sufficiente, come prevede l’attuale testo dell’art. 206-bis cod. ordinamento militare, l’indicazione della generica “tipologia” di trattamento imposta – una profilassi vaccinale – accompagnata dalla previsione di criteri che orientano l’amministrazione nella selezione dei vaccini che dovranno essere effettivamente somministrati obbligatoriamente; oppure se sia indispensabile che la legge stessa specifichi anche il vaccino esigibile, e dunque la patologia, o le patologie, che quel vaccino sia indirizzato a prevenire e contrastare.
Ora, la previsione di un obbligo di profilassi vaccinale che non specifichi per quale scopo (ovvero per prevenire l’infezione da quale malattia) la somministrazione è pretesa non può che rendere “indeterminato” il trattamento sanitario imposto, e dunque vanificato quel carattere di precisione che la stessa Assemblea costituente ha inteso imprimere nella riserva di legge ex art. 32 Cost.
D’altra parte, lo stesso legislatore, quando ha voluto introdurre obblighi vaccinali – da ultimo anche con l’assoggettamento di alcune categorie professionali, compreso il personale del comparto difesa, e degli ultracinquantenni, alla vaccinazione obbligatoria contro l’infezione da COVID-19 (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023) – lo ha fatto mediante l’individuazione del vaccino relativo alla patologia che si intende contrastare.
7.3.– È anzitutto attraverso l’indicazione, così intesa, dello specifico vaccino, a realizzarsi, ad opera del legislatore, il bilanciamento, presupposto dall’art. 32, secondo comma, Cost., tra libera determinazione individuale e tutela della salute collettiva: decidere da quale specifica patologia si intenda difendere la collettività ricorrendo a questo trattamento è il primo, indispensabile passaggio nell’ambito del percorso che il legislatore compie, assumendosene la responsabilità, verso l’obbligo vaccinale, e garantisce altresì la necessaria conoscibilità del trattamento imposto. Correlativamente, questa stessa indicazione è essenziale per consentire, nella sede del giudizio di legittimità costituzionale sulle leggi, il sindacato di non irragionevolezza della scelta legislativa.
Sono proprio il livello di gravità della specifica patologia e la sua capacità di diffondersi, insieme al grado di sicurezza della relativa profilassi vaccinale, a costituire gli essenziali elementi che entrano a far parte del giudizio di questa Corte. Infatti, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la discrezionalità legislativa nell’imposizione degli obblighi vaccinali deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023, n. 5 del 2018 e n. 282 del 2002). Inoltre, proprio a fronte della scelta del vaccino, questa Corte è nelle condizioni di valutare la non irragionevolezza e la non sproporzionalità dell’introduzione dell’obbligo e delle specifiche conseguenze che il legislatore abbia voluto accostare alla sua violazione.
8.– A fronte di tutto quanto sin qui detto, il comma 1 della disposizione censurata stabilisce che la sanità militare dichiara indispensabile la sottoposizione del militare a «specifiche» profilassi vaccinali, per destinarlo a «particolari e individuate condizioni operative o di servizio», ma non predetermina i vaccini che possono essere imposti al militare, ovverosia le patologie che si intende contrastare.
Così facendo, l’art. 206-bis, comma 1, cod. ordinamento militare non adempie alla necessità che sia «determinato», come richiede l’art. 32, secondo comma, Cost., il trattamento sanitario da imporre.
Non sfugge a questa Corte che al legislatore, esattamente come consente la riserva di legge relativa prescritta dalla disposizione costituzionale in esame, è permesso modulare il proprio intervento normativo tenendo conto della sussistenza di particolari esigenze di flessibilità connesse allo specifico contesto nel quale l’obbligo vaccinale è introdotto.
Questo aspetto è particolarmente evidente nel caso della profilassi destinata al personale militare. Tale personale può infatti essere impiegato in molteplici scenari operativi, in Italia e all’estero, dunque in destinazioni e contesti connotati, ciascuno, da un proprio, e peraltro variabile, rischio epidemiologico, da valutarsi anche alla stregua delle concrete modalità di svolgimento e di durata della missione, nonché delle attività che essa richiede.
In un simile contesto, da un lato, l’esigenza costituzionale di “determinazione” del trattamento deve essere soddisfatta dalla fonte primaria, quanto meno nella forma dell’elenco dei vaccini cui il militare può essere obbligatoriamente sottoposto, ai fini sopra indicati.
Dall’altro, la ricordata esigenza di flessibilità reclama, sia l’intervento di atti normativi subordinati che, entro la cornice dell’elenco fissato in legge, specifichino – in base a criteri a loro volta legislativamente previsti – i parametri da osservarsi per selezionare i vaccini a seconda delle diverse condizioni di impiego; sia l’intervento puntuale dell’amministrazione, che, in base a questo quadro normativo, stabilisca concretamente, di volta in volta, quale profilassi imporre al militare. Ciò nell’ambito di una discrezionalità da esercitarsi sulla base di valutazioni soggette al sindacato di attendibilità tecnico-scientifica esperibile dall’autorità giurisdizionale (tra le recenti, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 5 dicembre 2022, n. 10648 e sezione sesta, sentenza 5 dicembre 2022, n. 10624).
La disposizione censurata non si sottrae al compito di orientare la sanità militare nel senso appena indicato, giacché precisa, al comma 1, che le profilassi vaccinali, secondo appositi protocolli, devono essere funzionali a impiegare il personale militare «in particolari e individuate condizioni operative o di servizio, al fine di garantire la salute dei singoli e della collettività»; e, al comma 2, specifica analiticamente il contenuto dei citati protocolli, con particolare riguardo alle modalità di somministrazione dei vaccini (mentre il comma 3 esprime un contenuto di garanzia per il militare quanto alla verifica dei motivi sanitari che possono ostare alla vaccinazione, significato che il comma mantiene anche all’esito dell’odierno giudizio).
Si sottrae, tuttavia, come detto, al compito essenziale di fornire determinatezza all’obbligo vaccinale che intende introdurre, omettendo di individuare, quantomeno, l’elenco dei vaccini che possono essere resi obbligatori alla luce delle diverse condizioni di impiego del personale militare.
Per questo, l’art. 206-bis, comma 1, cod. ordinamento militare è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui autorizza la sanità militare a imporre al personale militare la somministrazione di specifiche profilassi vaccinali, senza che esse siano previamente individuate in via legislativa.
Spetta naturalmente allo stesso legislatore, in ragione della fisiologica evoluzione del dato medico-scientifico e del variare dello stesso rischio epidemiologico che connota i molteplici contesti in cui può essere impiegato il personale militare, l’onere di aggiornare, quando necessario, il catalogo dei vaccini potenzialmente obbligatori.
Fino a quando il legislatore non avrà provveduto al compito di fornire determinatezza al trattamento sanitario imposto nei termini qui indicati, resta dunque inteso che, all’esito della presente pronuncia, il comma 1 dell’art. 206-bis cod. ordinamento militare non può fondare un obbligo vaccinale per il militare.
9.– Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura evocati dal rimettente.