Corte Costituzionale, sentenza 29 luglio 2024, n. 153
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2023, n. 20, recante «Disposizioni collegate alla legge di stabilità della Regione Liguria per l’anno finanziario 2024 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2024-2026)».
Va altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, limitatamente alle parole «anche con le modalità di cui al comma 1».
Va, da ultimo, dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 3, della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 47 della legge reg, Liguria n. 20 del 2023, rubricato «Disposizioni in materia di libera professione intramuraria della dirigenza sanitaria», per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost.
1.1.‒ In particolare, sul presupposto che le norme attinenti allo svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria (ALPI) devono ricondursi, in prevalenza, alla materia della tutela della salute, il ricorrente impugna, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., anzitutto, il comma 1 del citato art. 47, nella parte in cui prevede che, in via transitoria e fino al 2025, i dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario regionale (SSR) ligure che abbiano optato per l’esercizio dell’ALPI possono operare nelle strutture sanitarie private accreditate, anche parzialmente, con il SSR. Tale previsione sarebbe, infatti, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, in specie all’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, secondo cui l’ALPI deve essere esercitata in strutture ambulatoriali interne o esterne all’azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate, con le quali l’azienda stipula apposita convenzione. Ciò in linea con il principio di unicità del rapporto di lavoro dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale (SSN), sancito dall’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 e volto a evitare la nascita di un conflitto di interessi con le strutture sanitarie private accreditate, nonché a garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico stesso.
Analoghe censure di violazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute sono, poi, rivolte al comma 2 del medesimo art. 47, là dove stabilisce, in via transitoria e per ridurre le liste di attesa, che le aziende sanitarie, gli enti e gli istituti del SSR sono autorizzati, fino al 2025, ad acquisire dai propri dipendenti della dirigenza sanitaria legati da rapporto di lavoro esclusivo, in forma individuale o di équipe, prestazioni sanitarie in regime di libera professione intramuraria ai sensi della legge n. 120 del 2007 «anche con le modalità di cui al comma 1» e quindi anche presso le strutture private accreditate.
Tale previsione, infatti, si porrebbe in contrasto con l’art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992 e con le disposizioni della legge n. 120 del 2007, che non consentirebbero alle aziende del SSN di acquistare dai propri dirigenti sanitari prestazioni rese in regime di ALPI, imponendo che le medesime siano rese sulla base di una scelta diretta, da parte dell’utente, del singolo professionista cui è richiesta la prestazione, con oneri a carico dello stesso assistito. Inoltre, la possibilità per le aziende sanitarie pubbliche di acquistare prestazioni sanitarie dai propri dirigenti sanitari, in regime di libera professione intramuraria, anche presso strutture sanitarie private accreditate, reitererebbe la violazione del principio fondamentale contenuto nel citato art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, secondo cui l’ALPI può essere esercitata solo in strutture ambulatoriali interne o esterne all’azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate, con le quali l’azienda stipula apposita convenzione.
Dall’accoglimento delle richiamate questioni discenderebbe anche la declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 3 del medesimo art. 47, che attribuisce alla Giunta regionale il compito di stabilire, con propria deliberazione, i criteri e le modalità di svolgimento dell’attività libero professionale «di cui al comma 2».
1.2.‒ Il ricorrente denuncia anche la violazione della sfera di competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile, con esclusivo riferimento, tuttavia, al comma 1 del citato art. 47. Quest’ultimo, incidendo su rapporti di lavoro già sorti e determinandone, in maniera minuta e con effetti immediati, aspetti essenziali e qualificanti, realizzerebbe un’indebita sostituzione della regolamentazione dettata dalla contrattazione collettiva, cui la legge statale riserva la disciplina del rapporto di lavoro pubblico. E ciò in contrasto, in particolare, con l’art. 89, comma 1, lettera c), del CCNL 23 gennaio 2024 dell’area della sanità che stabilisce che l’esercizio dell’attività libero-professionale deve avvenire al di fuori dell’impegno di servizio e solo in strutture di altra azienda del SSN o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione con le stesse.
1.3.‒ Infine, il ricorrente impugna l’intero testo dell’art. 47, per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto, mediante l’ampliamento dell’ambito di operatività dell’ALPI per i dirigenti sanitari dipendenti dal SSR, verrebbero tradite le esigenze di uniformità sottese alla disciplina statale della libera professione intramuraria, dando luogo a una irragionevole disparità di trattamento rispetto al personale sanitario medico che opera in altre regioni.
2.‒ In via preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della Regione Liguria.
2.1.‒ In primo luogo, la Regione eccepisce l’inammissibilità della questione promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nei confronti dell’art. 47, comma 1, della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, in quanto il CCNL 23 gennaio 2024, in contrasto con il quale si porrebbe la disposizione impugnata, sarebbe stato approvato in data successiva alla sua adozione, sicché non si sarebbe potuta verificare alcuna modifica di una normativa contrattuale ancora inesistente alla data dell’entrata in vigore della disposizione impugnata.
2.1.1.‒ L’eccezione non è fondata.
L’assunto da cui muove il ricorrente è che la disposizione regionale, incidendo su rapporti di lavoro pubblico già sorti, determinandone in maniera minuta e con effetti immediati aspetti essenziali e qualificanti, abbia invaso la sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina di tali rapporti. La questione è, pertanto, promossa sul presupposto che la Regione, in ogni caso, non avrebbe potuto dettare una disciplina in una materia riservata al legislatore statale e da quest’ultimo demandata in via esclusiva alla contrattazione collettiva. Una tale censura sussiste, quindi, a prescindere dall’asserito specifico contrasto con l’art. 89, comma 1, lettera c), del CCNL siglato il 23 gennaio 2024, e rende pertanto superfluo l’accertamento dell’anteriorità della sottoscrizione del medesimo contratto collettivo rispetto all’entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2023. Peraltro, il contratto in discorso ha solo sostituito il precedente CCNL siglato nel 2019, che, sul punto, già dettava, in specie all’art. 115, una disciplina peraltro coincidente.
In ogni caso, la pretesa inidoneità della norma del contratto collettivo a fungere da parametro interposto ratione temporis, ai fini della valutazione della lesione della sfera di competenza legislativa statale esclusiva, assume rilievo, non già ai fini dell’ammissibilità della questione, ma ai fini del merito, considerato che «l’eventuale “inconferenza del parametro indicato dal ricorrente rispetto al contenuto sostanziale della doglianza costituisce motivo di non fondatezza della questione (sentenze n. 132 del 2021 e n. 286 del 2019)” (di recente sentenze n. 163 e n. 53 del 2023), sicché l’eccezione attiene al merito e non al rito» (sentenza n. 69 del 2024).
2.2.‒ La Regione Liguria eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della censura rivolta al comma 2 dell’art. 47 della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alla materia della tutela della salute, per difetto di specificità e di motivazione. Il ricorrente, oltre a indicare come parametro interposto un intero atto normativo (le disposizioni della legge n. 120 del 2007), sfuggendo all’onere di puntuale individuazione dei parametri interposti, nemmeno spiegherebbe quale sia il principio fondamentale asseritamente leso, che da tali norme sarebbe desumibile.
2.2.1.‒ L’eccezione è priva di fondamento.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, «nei giudizi in via principale il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione e di presentare una motivazione non meramente assertiva, che indichi le ragioni del contrasto con i parametri evocati, attraverso una sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (tra le molte, sentenze n. 57 del 2023, n. 135 e n. 119 del 2022). Tale onere si estende anche all’individuazione delle specifiche disposizioni statali interposte che si assumono violate (tra le molte, sentenze n. 58 del 2023 e n. 279 del 2020)» (sentenza n. 82 del 2024).
Nella specie, il richiamato onere è stato assolto, sebbene succintamente.
Infatti, il ricorrente ravvisa anzitutto nell’art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, in specie nel comma 2 – rispetto al quale le disposizioni della legge n. 120 del 2007 sarebbero solo specificative – il principio dell’esclusione della possibilità per le aziende del SSN di acquistare prestazioni di propri dirigenti sanitari rese in regime di ALPI, desumendolo dalla previsione che la libera professione intramuraria è caratterizzata dalla scelta diretta, da parte dell’utente, del singolo professionista cui viene richiesta la prestazione, con oneri a carico dell’assistito.
Quanto, poi, alla possibilità che tali prestazioni vengano erogate dai dirigenti sanitari presso le strutture sanitarie accreditate, il ricorrente ne ravvisa il contrasto con le stesse disposizioni interposte, puntualmente evocate in riferimento alla questione promossa nei confronti del comma 1 del medesimo art. 47 della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, cui il medesimo rinvia.
3.‒ Si può, ora, passare all’esame del merito delle singole questioni.
3.1.‒ Come già anticipato, il ricorrente impugna, anzitutto, il comma 1 dell’art 47 della citata legge regionale, che consente ai dirigenti sanitari in rapporto esclusivo con il SSR, di svolgere l’attività libero-professionale intramuraria nelle strutture sanitarie private accreditate, anche parzialmente, con il SSR.
3.1.1.‒ La questione è fondata.
3.1.2.‒ Preliminarmente, occorre ricordare che questa Corte ha ripetutamente affermato che la disciplina dell’ALPI dei dirigenti sanitari, pur incidendo su una pluralità di ambiti, deve essere ascritta, in via prevalente, alla materia della tutela della salute (più di recente, sentenze n. 98 del 2023 e n. 170 del 2020).
Tale riconduzione si giustifica in considerazione della stretta inerenza della richiamata disciplina «con l’organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all’utenza» (sentenza n. 54 del 2015), a loro volta «condizionate […] dalla capacità, dalla professionalità e dall’impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi e, segnatamente, di coloro che rivestono una posizione apicale […] (così la sentenza n. 371 del 2008. Negli stessi termini, da ultimo, sentenza n. 301 del 2013)» (ancora sentenza n. 54 del 2015). Proprio in considerazione del fatto che le disposizioni che disciplinano l’attività intramuraria «rappresentano un elemento fra i più caratterizzanti nella disciplina del rapporto fra personale sanitario ed utenti del servizio sanitario, nonché della stessa organizzazione sanitaria» (sentenza n. 50 del 2007), alcune di esse costituiscono principi fondamentali, espressivi delle esigenze di uniforme trattamento sul territorio nazionale, vincolanti dunque per tutte le regioni.
Ciò risulta dimostrato dall’evoluzione normativa della materia.
Sin dall’istituzione del SSN, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), si era, infatti, previsto, per il dirigente medico che avesse optato per il regime del tempo pieno, il diritto all’esercizio dell’attività libero-professionale, tuttavia solo nell’ambito dei servizi e delle strutture dell’unità sanitaria locale (art. 47, terzo comma, numero 4, come attuato dall’art. 35, comma 2, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n.761, recante «Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali»), proprio sull’assunto che tale possibilità accrescesse l’esperienza e la competenza del medico nell’interesse degli utenti e della collettività.
Con l’introduzione dell’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, è stato affermato il principio di unicità del rapporto di lavoro dei dirigenti medici con il SSN, ma se ne è riconosciuta la compatibilità con l’attività libero-professionale «purché espletat[a] fuori dall’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale».
I successivi interventi del legislatore, dalla riforma di cui al d.lgs. n. 502 del 1992, alle previsioni introdotte dall’art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), hanno confermato il principio di esclusività del rapporto di lavoro con il SSN e l’incompatibilità fra attività libero-professionale extramuraria e intramuraria, insieme al riconoscimento e all’incentivo di quest’ultima, sia nell’interesse del medico, abilitato a svolgere, a certe condizioni, la libera professione, sia per consentire al paziente la scelta del medico di fiducia. È, infatti, proprio al fine di rendere possibile l’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici, con un rapporto di lavoro esclusivo con il SSN, che è stata introdotta, in via transitoria, in considerazione della carenza degli spazi disponibili, la possibilità di un’ALPI “allargata”, e si è consentito al direttore generale, «fino alla realizzazione di proprie idonee strutture e spazi distinti per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria in regime di ricovero ed ambulatoriale», di «assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall’azienda spazi sostitutivi», includendovi anche gli studi professionali privati, ma con l’espressa esclusione delle strutture sanitarie private accreditate, che l’art. 1, comma 5, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) ha equiparato alle strutture sanitarie private convenzionate.
Con l’ulteriore riforma di cui al decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), il legislatore ha, poi, introdotto nuove disposizioni nel d.lgs. n. 502 del 1992 (in specie, all’art. 15-quinquies) che hanno definito le uniche modalità di esercizio dell’attività professionale compatibili con il rapporto di lavoro esclusivo con il SSN. Queste ultime sono state individuate, non solo al fine della «salvaguardia delle esigenze del servizio e della prevalenza dei volumi orari di attività necessari per i compiti istituzionali», nonché del rispetto dei «piani di attività previsti dalla programmazione regionale e aziendale» (comma 3) ai fini istituzionali e nell’assicurazione dei relativi volumi prestazionali, ma anche ribadendo la necessità dello svolgimento dell’ALPI solo all’interno delle strutture aziendali o, previa convenzione, in strutture di altra azienda del SSN o di altre strutture sanitarie purché non accreditate.
Successivamente, il legislatore statale è intervenuto a prorogare l’autorizzazione all’utilizzazione degli studi professionali privati, «in caso di carenza di strutture e spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento delle attività libero-professionali in regime ambulatoriale, limitatamente alle medesime attività» (art. 15-quinquies, comma 10, del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 254 del 2000), sempre, tuttavia, nel rispetto delle richiamate regole, comprensive dell’esclusione dello svolgimento dell’ALPI nelle strutture private accreditate. Il termine è stato ulteriormente rinviato, dapprima fino al 31 luglio 2005, per effetto dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 23 aprile 2003, n. 89 (Proroga dei termini relativi all’attività professionale dei medici e finanziamento di particolari terapie oncologiche ed ematiche, nonché delle transazioni con soggetti danneggiati da emoderivati infetti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 giugno 2003, n. 141, poi, fino al 31 luglio 2006, con l’art. 1-quinquies del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 87 (Disposizioni urgenti per il prezzo dei farmaci non rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, nonché in materia di confezioni di prodotti farmaceutici e di attività libero-professionale intramuraria), convertito, con modificazioni, nella legge 26 luglio 2005, n. 149. Infine, è stato collegato alla data del «completamento da parte dell’azienda sanitaria di appartenenza degli interventi strutturali necessari ad assicurare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria e comunque entro il 31 luglio 2007» (art. 22-bis, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006, come convertito).
In questo contesto di ripetute proroghe si colloca l’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, evocato dal ricorrente come norma interposta e originariamente adottato – come si legge nei lavori preparatori – in vista della imminente scadenza del termine posto all’utilizzazione degli studi professionali privati e in assenza del previsto completamento degli interventi strutturali da parte delle aziende sanitarie del SSN. Ciò con l’obiettivo, da un lato, di accelerare il definitivo passaggio della dirigenza sanitaria del SSN al regime ordinario dell’ALPI (comma 2 del medesimo art. 1), in modo da assicurare che tale attività fosse «fortemente integrata all’interno del Servizio sanitario e non rappresenta[sse] una sorta di anomalia per aggirare, da parte di chi può, ostacoli all’accesso alle prestazioni» istituzionali, con il rischio di incidere sulla parità di accesso ai trattamenti e di generare situazioni di confusione sui percorsi (così nel resoconto della seduta del 17 aprile 2007, relativo all’approvazione del documento conclusivo della «Indagine conoscitiva sull’esercizio della libera professione medica intramuraria, con particolare riferimento alle implicazioni sulle liste di attesa e alle disparità nell’accesso ai servizi sanitari pubblici» presso la XII Commissione permanente – igiene e sanità del Senato). Dall’altro, al fine di precisare ulteriormente le regole per il corretto svolgimento dell’ALPI – finalizzata a consentire all’utente la possibilità di optare per un medico di fiducia, in grado di fornire la propria qualificata prestazione in tempi adeguati e in ambienti idonei – anche presso studi medici o strutture private, comunque sempre non accreditate, ancora in via transitoria, entro un termine, di nuovo più volte prorogato, e poi, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera b), del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, ulteriormente rinviato e subordinato alla realizzazione di una ricognizione straordinaria degli spazi utilizzabili, affidata alle regioni.
La puntuale disciplina dell’ALPI dettata a seguito della richiamata novella conferma la precedente impostazione del legislatore statale, sia là dove ha circondato di precisi limiti lo svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete, sia nella parte in cui ha riconosciuto alle regioni la facoltà di autorizzare l’azienda sanitaria, «ove ne sia adeguatamente dimostrata la necessità e nel limite delle risorse disponibili, ad acquisire, tramite l’acquisto o la locazione […] spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari», ma solo «presso strutture sanitarie autorizzate non accreditate, nonché tramite la stipula di convenzioni con altri soggetti pubblici». Il dato letterale della disposizione, nel fare espresso riferimento alle sole «strutture sanitarie autorizzate non accreditate», esclude altresì – di contro a quanto sostenuto dalla difesa regionale – la possibilità di interpretare la medesima nel senso di ricondurre le strutture sanitarie private accreditate nel novero degli «altri soggetti pubblici», presso cui le Regioni sono autorizzate a reperire spazi adeguati all’esercizio dell’ALPI. Tali regole hanno solo integrato e specificato quanto già previsto dall’art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992 (come successivamente modificato), in ordine alle uniche modalità consentite di svolgimento dell’ALPI compatibili con il rapporto di lavoro esclusivo con il SSR, recepite e attuate in sede di contrattazione collettiva, relativa, fra l’altro, all’area della dirigenza sanitaria, già nel CCNL siglato l’8 giugno 2000 (artt. 54 e 55), e, successivamente, sia nel CCNL siglato il 19 dicembre 2019 relativo al triennio 2016-2018 (artt. 114 e 115), sia nel recente CCNL siglato il 23 gennaio2024 e inerente al triennio 2019/2021 (artt. 88 e 89).
3.1.3.‒ Dall’appena richiamata evoluzione normativa del settore è agevole rilevare che il legislatore statale ha individuato alcuni tratti caratterizzanti della disciplina dell’attività intramuraria, che sono rimasti immutati nel tempo e che la giurisprudenza costituzionale ha già avuto occasione di qualificare come principi fondamentali della materia della tutela della salute.
In particolare, proprio con riferimento alla disciplina dettata dall’art. 1 della legge n. 120 del 2007, questa Corte ha affermato che essa ‒ in quanto «volta ad assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete possibilità di svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria, l’opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto di lavoro esclusivo (sentenza n. 371 del 2008)» (sentenza n. 54 del 2015) ‒ è espressione del medesimo principio fondamentale cui è riconducibile la prevista opzione.
Tale disciplina rappresenta, in altri termini, un corollario del principio di esclusività del rapporto di lavoro del personale medico con il SSN, già sancito dall’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, con cui il legislatore «ha inteso garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico», evitando che «“potesse spiegare effetti negativi il contemporaneo esercizio da parte del medico dipendente di attività professionale presso strutture convenzionate” (sentenza n. 457 del 1993)» (sentenza n. 238 del 2018).
Da tempo si è avuto modo di rilevare che la scelta del legislatore statale di subordinare l’attività libero-professionale intramuraria a una serie di condizioni di tempo e di luogo ‒ con assoluta esclusione dell’esercizio della medesima all’interno di strutture private convenzionate (oggi: accreditate) con il Servizio sanitario nazionale ‒ costituisce, da un lato, espressione dell’ampia accezione in cui è stato declinato il suddetto principio di esclusività (sentenza n. 457 del 1993) e, dall’altro, della particolare natura di tali strutture: entrambi elementi che rendono non irragionevole la scelta di politica sanitaria effettuata dal legislatore statale. Le citate istituzioni sanitarie private (convenzionate e/o accreditate), infatti, «svolgono una funzione integrativa e sussidiaria della stessa rete sanitaria pubblica» (sentenza n. 238 del 2018), che le differenzia da quelle non convenzionate (oggi, non accreditate) (sentenza n. 457 del 1993) e che impone «che il medico che già presta la sua attività in rapporto esclusivo con il SSN non possa, contemporaneamente, operare anche presso una struttura privata convenzionata» (oggi accreditata) (ancora, sentenza n. 238 del 2018), anche solo nell’espletamento dell’ALPI, onde evitare il «pericolo di incrinamento della funzione ausiliaria che […] sono chiamate a svolgere» (sentenza n. 457 del 1993). Funzione ausiliaria oggi, per certi versi, ulteriormente valorizzata dalla stretta connessione sussistente fra il rilascio dell’accreditamento e la valutazione della funzionalità dei requisiti posseduti dalla struttura sanitaria privata rispetto agli obiettivi della programmazione sanitaria (sentenza n. 113 del 2022), insieme alla verifica del rispetto delle incompatibilità previste dalla normativa vigente in materia di rapporto di lavoro del personale del SSN (art. 1, comma 19, della legge n. 662 del 1996).
Ne consegue che il divieto di svolgimento dell’ALPI presso strutture sanitarie private accreditate, che si trae dall’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, letto alla luce del complessivo e risalente quadro di riferimento normativo statale, costituisce un «principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni ed i sistemi sanitari delle Regioni e delle Province autonome in ordine a un profilo qualificante del rapporto tra sanità ed utenti» (sentenza n. 371 del 2008).
Né si ravvisa la sopravvenuta irragionevolezza di tale principio – come sostenuto dalla difesa regionale – a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 3-quater del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, che ha espressamente previsto una deroga, per gli operatori delle professioni sanitarie, al principio di esclusività del rapporto di lavoro con il SSN (di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991). In specie, si è riconosciuta ai citati operatori delle professioni sanitarie la possibilità di svolgere prestazioni al di fuori dell’orario di servizio, anche se sulla base di un’apposita autorizzazione da parte del vertice dell’amministrazione di appartenenza «al fine di garantire prioritariamente le esigenze organizzative del Servizio sanitario nazionale nonché di verificare il rispetto della normativa sull’orario di lavoro».
Tale disciplina – originariamente adottata per fronteggiare la situazione di emergenza generata dalla pandemia da Covid-19 e poi prorogata fino al 2025 – riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro con il SSN degli operatori delle professioni sanitarie, che soggiace a un regime differente rispetto a quello dei medici e dei dirigenti sanitari, e a cui non si applica, né si è mai applicata, la disciplina relativa all’ALPI (come affermato nella sentenza n. 54 del 2015). Si tratta, all’evidenza, di discipline non comparabili in quanto relative a situazioni non omogenee e il cui distinto ambito di operatività, pertanto, è sufficiente a non scalfire la natura di principio fondamentale del divieto dello svolgimento dell’ALPI dei dirigenti sanitari presso le strutture sanitarie private accreditate.
Ne consegue che non sussistono i presupposti prospettati dalla difesa regionale in ordine alla richiesta di autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007.
3.1.4.‒ A fronte di un’espressa esclusione della possibilità di svolgimento dell’ALPI presso strutture private accreditate ribadita con chiarezza e in modo costante dalla legislazione statale, si deve, infine, rilevare che il legislatore ligure, con l’art. 47, comma 1, della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, ha adottato una previsione – peraltro ambigua nella sua formulazione testuale (ove si prevede che nelle strutture sanitarie private accreditate «possono operare i dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario regionale che abbiano optato per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria») – della cui portata derogatoria rispetto alla normativa statale di principio aveva consapevolezza. Ciò emerge dai lavori preparatori, in specie dalla relazione illustrativa dell’emendamento, che si è poi tradotto nel citato articolo, presentato dalla Giunta regionale in sede di approvazione del disegno di legge regionale. Nella relazione si legge, infatti, che la disposizione in esame, dichiaratamente volta a consentire alle «strutture private accreditate, anche parzialmente, con il Servizio sanitario regionale, di avvalersi dell’operato dei dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale che abbiano optato per il regime di attività libero professionale intramuraria», costituisce una delle «soluzioni straordinarie, ancorché temporanee», imposte dall’«attuale situazione di arretrato nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, che si è venuta a creare a seguito dell’emergenza Covid-19», adottate «in parziale deroga al vigente quadro normativo nazionale».
Appare, pertanto, evidente che il legislatore regionale, con la citata disposizione, nel consentire, sia pure «[i]n via transitoria» e comunque «fino all’anno 2025», ai dirigenti sanitari in rapporto esclusivo con il SSR, che abbiano optato per l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria, di operare nelle strutture sanitarie private accreditate, anche parzialmente, con il Servizio sanitario regionale, ha inteso disattendere il divieto di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, nonché il connesso principio di esclusività del rapporto di lavoro del dirigente sanitario con il servizio sanitario pubblico, violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
3.1.5.‒ Resta, quindi, assorbita la censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
3.2.‒ Anche il comma 2 dell’art. 47 della legge reg. Liguria n. 20 del 2023 è impugnato per violazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, nella parte in cui autorizza, in via transitoria e per ridurre le liste di attesa, in ogni caso fino al 2025, le aziende sanitarie, gli enti e gli istituti del SSR, ad acquisire dai propri dirigenti sanitari in rapporto di lavoro esclusivo, in forma individuale o di équipe, prestazioni sanitarie in regime di libera professione intramuraria ai sensi della legge n. 120 del 2007 «anche con le modalità di cui al comma 1» e quindi anche presso le strutture private accreditate.
Tale previsione – secondo il ricorrente – sarebbe costituzionalmente illegittima sotto due distinti profili. Anzitutto, in quanto si porrebbe in contrasto con l’art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, e con le disposizioni della legge n. 120 del 2007, che, all’opposto, non consentirebbero alle aziende del SSN di acquistare prestazioni, rese in regime di libera professione intramuraria, dai propri dirigenti sanitari, richiedendo che esse siano rese solo ove vi sia una scelta diretta, da parte dell’utente, del singolo professionista cui è richiesta la prestazione, con oneri a carico dello stesso assistito. Sarebbe, inoltre, violato, anche in tal caso, il principio fondamentale di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, per effetto della previsione della possibilità che le prestazioni libero professionali rese in regime di intramoenia, acquistate dall’azienda sanitaria dai propri dirigenti, siano effettuate anche presso le strutture private accreditate.
3.2.1.‒ La questione è fondata solo in relazione al secondo profilo di censura indicato dal ricorrente.
3.2.2.‒ Il preteso contrasto con l’art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, risulta, infatti, smentito dalla circostanza che la «partecipazione ai proventi di attività professionali, richieste a pagamento da terzi all’azienda, quando le predette attività siano svolte al di fuori dell’impegno di servizio e consentano la riduzione dei tempi di attesa, secondo programmi predisposti dall’azienda stessa, sentite le équipes dei servizi interessati» ‒ menzionata alla lettera d) del medesimo articolo fra le tipologie di esercizio dell’attività professionale compatibili con il rapporto di lavoro esclusivo ‒ è stata successivamente ritenuta compatibile con un’integrazione della sua portata applicativa di segno opposto a quanto sostenuto dal ricorrente.
Sulla base di un espresso rinvio, operato dall’art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998, a un atto di indirizzo e coordinamento chiamato a definire le «misure atte a garantire la progressiva riduzione delle liste d’attesa per le attività istituzionali», l’art. 2, comma 5, del d.P.C.m. 27 marzo 2000 ha, infatti, espressamente ricondotto all’appena richiamato art. 15-quinquies, comma 2, lettera d) «anche le prestazioni richieste, ad integrazione delle attività istituzionali, dalle aziende ai propri dirigenti allo scopo di ridurre le liste di attesa o di acquisire prestazioni aggiuntive soprattutto in presenza di carenza di organico, in accordo con le équipes interessate» pur se «esclusivamente per le discipline che hanno una limitata possibilità di esercizio della libera professione intramuraria». In seguito, tale previsione è stata confermata dai CCNL di area che, a partire da quello siglato l’8 giugno 2000, hanno espressamente ritenuto equiparate alle prestazioni inerenti ad attività libero-professionali, a pagamento, richieste da terzi all’azienda, per cui il dirigente medico partecipa ai proventi, le cosiddette prestazioni aggiuntive e cioè «le prestazioni richieste, in via eccezionale e temporanea, ad integrazione dell’attività istituzionale, dalle aziende ai propri dirigenti allo scopo di ridurre le liste di attesa o di acquisire prestazioni aggiuntive, soprattutto in presenza di carenza di organico ed impossibilità anche momentanea di coprire i relativi posti con personale in possesso dei requisiti di legge, in accordo con le équipes interessate e nel rispetto delle direttive regionali in materia» (art. 55, comma 2, CCNL 8 giugno 2000; analogamente art. 115, comma 2, CCNL siglato il 19 dicembre 2019 e art. 89, comma 2, CCNL sottoscritto il 23 gennaio 2024).
La disposizione regionale impugnata ‒ là dove consente, «[i]n via transitoria» e comunque solo «fino all’anno 2025», alle aziende sanitarie, enti e istituti del SSR di acquisire dai propri sanitari prestazioni in regime di ALPI «[a]l fine di ridurre le liste di attesa», e quindi con riferimento all’attività istituzionale ‒ è, pertanto, in linea con la normativa statale, che viene erroneamente interpretata dal ricorrente.
3.2.3.‒ Diverso esito si delinea, invece, riguardo al denunciato contrasto con l’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, della previsione della possibilità che le prestazioni acquistate dall’azienda sanitaria dai propri dirigenti sanitari in regime di ALPI siano effettuate presso strutture sanitarie accreditate.
Tornano in rilievo gli argomenti già richiamati a proposito del comma 1 del medesimo art. 47, che rivelano il contrasto di tale disposizione con il principio di esclusività del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale, di cui il divieto di svolgere attività libero-professionale presso le strutture private accreditate costituisce corollario. Contrasto, nella specie, reso ancor più evidente dall’intima contraddittorietà che si svela fra l’esigenza di ovviare alla carenza di organico delle aziende sanitarie e di ridurre le liste di attesa – che è alla base della previsione della possibilità di acquistare prestazioni aggiuntive in regime libero-professionale dai propri dirigenti sanitari oltre l’orario di servizio, in vista dell’obiettivo ultimo di garantire l’erogazione delle prestazioni istituzionali da parte dell’azienda sanitaria – e la possibilità, accordata ai medesimi dirigenti, di operare, non presso l’azienda sanitaria stessa, ma presso le strutture private accreditate.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, limitatamente alle parole «anche con le modalità di cui al comma 1».
3.3.‒ Dall’accoglimento solo parziale delle censure di illegittimità costituzionale rivolte al comma 2 dell’impugnato art. 47 della legge reg. Liguria n. 20 del 2023, deriva il rigetto delle censure rivolte, solo in via derivata, al comma 3 del medesimo articolo.
Quest’ultimo, infatti, là dove attribuisce alla Giunta regionale il compito di stabilire, con propria deliberazione, i criteri e le modalità di svolgimento dell’attività libero-professionale «di cui al comma 2», nonché «la valorizzazione economica dell’attività libero professionale da corrispondere, a prestazione, ai professionisti», a seguito della caducazione, non dell’intero comma 2, ma della sola previsione della possibilità di svolgere, presso le strutture sanitarie private accreditate, le prestazioni libero-professionali rese dai dirigenti sanitari in regime di ALPI, acquistate dall’azienda sanitaria stessa, non perde il suo oggetto. Lungi dall’essere travolto per effetto dei vizi che affliggono il comma precedente, esso conserva un suo, sebbene più limitato, ambito di applicazione, compatibile con la facoltà, accordata alla Regione, di autorizzare, al ricorrere delle condizioni indicate dal legislatore statale, l’acquisto da parte delle aziende sanitarie delle prestazioni aggiuntive dai propri dirigenti sanitari e di disciplinare, nel rispetto dei principi fissati dal legislatore statale, criteri e modalità di svolgimento di tale attività.
3.4.‒ Occorre, infine, rilevare che la censura rivolta all’intero art. 47 della legge reg. Liguria n. 20 del 2023 in riferimento all’art. 3 Cost., non si configura quale questione di legittimità costituzionale autonoma, ma costituisce una mera specificazione delle questioni promosse in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost.
La denunciata illegittima disparità di trattamento – fra i dirigenti sanitari della Regione Liguria e i dirigenti sanitari delle altre regioni – che, in tesi, discenderebbe dalle disposizioni regionali impugnate, risulta, infatti, una mera conseguenza della pretesa violazione, da parte delle medesime disposizioni, dei principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di tutela della salute e/o delle norme statali in materia di ordinamento civile, che, nel disegno costituzionale, sono precisamente volte a garantire le esigenze di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale, e che, in questo caso, sarebbero sottese alla disciplina della libera professione intramuraria.