Se già il principio fissato, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, in tema di correlazione tra accusa e sentenza impone di fare riferimento alla nozione strutturale di fatto, contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, di talché in tanto ne è ravvisabile la violazione in quanto vi sia stata una modificazione dell’imputazione che pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato, trovandosi il fatto ritenuto in sentenza, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità (…), deve rilevarsi che questa Corte/proprio in tema di reati colposi ha avuto modo di puntualizzare che la sua violazione non si esaurisce in mancanza formale di coincidenza tra l’imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì estendersi al concreto pregiudizio che ne è derivato per l’esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto, le parti si siano confrontate nel processo.
1.1 primi due motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente attesa la loro intrinseca connessione, devono ritenersi fondati. I giudici del rinvio, pur avendo tenuto conto, in conformità ai principi enucleati dalla precedente sentenza di annullamento di questa Corte, delle modifiche normative introdotte in tema di responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario che impongono di parametrare la condotta in contestazione alle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali accreditate dalla comunità scientifica, purché adeguate alle specificità del caso concreto, non hanno tuttavia correttamente individuato i parametri regolatori del caso di specie. Trattandosi di esame di natura radiologicai le linee guida applicabili non possono essere quelle prescritte per il medico che ha in carico il paziente, che certamente è chiamato a svolgere ulteriori accertamenti ove si trovi di fronte ad 4 Corte di Cassazione – copia non ufficiale un caso clinico “di sospetta emorragia subaracnoidea” al successivo fine di valutare se intervenire o meno chirurgicamente, né quelle stabilite per il neurochirurgo incaricato del trattamento di un aneurisma già individuato, anch’esse riportate dai giudici torinesi, bensì quelle vigenti in materia di radiologia diagnostica. Seppure debba ritenersi esente da vizi di violazione di legge l’individuazione della normativa applicabile, correttamente individuata, stante la successione di leggi nel tempo, nella disciplina vigente al tempo del contestato delitto in quanto più favorevole al reo, e dunque nel cd. decreto Balduzzi che, a differenza del successiva legge Gelli-Bianco, esclude la responsabilità per comportamenti connotati da negligenza o imprudenza del sanitario comunque attenutosi alle lineeguida o alle buone pratiche accreditate, va tuttavia rilevato che l’indagine primaria demandata al giudice del rinvio implicava la corretta selezione proprio delle linee guida cui rapportare la condotta tenuta in concreto dall’imputata al fine di poi valutare la configurabilità dell’addebito di negligenza o imperizia nell’eseguita refertazione. E’ infatti nell’ambito delle sue specifiche competenze professionali, nella specie di radiologa, che l’indagine doveva essere condotta, competenze ben diverse da quelle del medico di Pronto Soccorso che, invece/la sentenza impugnata ritiene esclusivamente responsabile dell’evento letale ancorché non imputato, al fine di valutare se la prevenuta si fosse o meno discostata dai parametri relativi all’esigibilità della prestazione richiestale, comprensiva non solo dell’esecuzione della tomografia encefalica, ma altresì del relativo referto, a fronte dei sintomi presentati dal paziente, la corretta individuazione dei quali soltanto avrebbe consentito di apprezzare la configurabilità della colpa e / a seguire, individuarne il grado e, ove rientrante nell’ambito della rilevanza penale, il nesso di causalità con la morte dell’uomo. L’erronea individuazione delle linee guida o comunque delle buone pratiche clinico-assistenziali ha indotto la Corte territoriale a tralasciare del tutto il profilo relativo all’omessa rappresentazione nel referto in contestazione di un’immagine non leggibile perché sfocata, così definita dalla stessa Varrone nel corso delle spontanee dichiarazioni rese innanzi al Tribunale di Ivrea o comunque non decifrabile da un medico privo, come l’imputata, delle specifiche competenze neuroradiologiche, secondo quanto emerso dagli accertamenti peritali. E’ infatti evidente come un referto attestante l’esclusione di segni o presenze anomale nel cranio del paziente, senza alcun ulteriore elemento, mai avrebbe potuto ingenerare nel sanitario del nosocomio che lo aveva preso in carico un dubbio in ordine alla possibile diagnosi di aneurisma, profilabile invece in caso di sospetta emorragia subaracnoidea, sospetto che in tanto può sorgere in quanto si ravvisino delle limitazioni alla leggibilità o all’interpretabilità degli esami, di natura più generale, già effettuati o in quanto vengano rappresentati da parte del radiologo incaricato oggettivi limiti di competenza. 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale La deriva imboccata dai giudici del rinvio si riflette, del resto, anche sul piano strettamente motivazionale, del tutto inconferente risultando il rilievo che individua, a fronte della mancata rappresentazione della non nitidezza dell’immagine della TAC, nella mancanza di preparazione specifica della radiologa e nella conseguente ritenuta inesigibilità di una condotta alternativa l’impossibilità dell’insorgenza di un sospetto da parte di costei sulla presenza di segni di un sanguinamento in corso nella zona cranica ispezionata: l’addebito che avrebbe dovuto costituire oggetto di accertamento sul piano della negligenza o dell’imperizia era se nell’impossibilità di lettura della TAC ! , fosse licenziabile un referto attestante l’assenza di segni di una emorragia cerebrale, senza rappresentare la necessità di un approfondimento diagnostico. Né può ritenersi, come adombra la difesa dell’imputata, che siffatto addebito esulasse dalla contestazione su cui si è incardinato il processo: dal momento che l’addebito mosso all’imputata era, secondo la testuale formulazione del capo di imputazione, quello della colposa omessa rappresentazione nel referto “che l’accertamento diagnostico aveva evidenziato a carico del paziente l’esistenza di lesioni encefaliche, edema cerebrale e sanguinamento intracranico che dovevano consigliare quantomeno un approfondimento diagnostico mediante consulenza neuroradiologica”, non può non ritenersi ivi compresa la mancata evidenziazione di margini di incertezza, anche soltanto riferita alle proprie capacità di lettura correlate alla sua competenza, di un’immagine radiologica che la stessa imputata ha definito sfocata e sulla quale si era pertanto svolto il contraddittorio, avendo anche il perito affermato che “l’indagine mostrò l’evento emorragico in modo sfumato”, dato questo che la stessa sentenza impugnata qualifica come pacifico (cfr. pag. 10). Se già il principio fissato, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, in tema di correlazione tra accusa e sentenza impone di fare riferimento alla nozione strutturale di “fatto”, contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, di talché in tanto ne è ravvisabile la violazione in quanto vi sia stata una modificazione dell’imputazione che pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato, trovandosi il fatto ritenuto in sentenza, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 4497 del 16/12/2015, Addio, Rv. 265946; Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011, Rv. 251081), deve rilevarsi che questa Corte/proprio in tema di reati col • ha avuto modo di puntualizzare che la sua violazione non si esaurisce vmancanza formale di coincidenza tra l’imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì estendersi al concreto pregiudizio che ne è derivato per l’esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto 6 A– e Corte di Cassazione – copia non ufficiale operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo (Sez. 4, Sentenza n. 32899 del 08/01/2021, PG c. Castaldo, Rv. 281997 – 09). 3. Quanto al terzo motivo relativo all’intervenuta prescrizione del reato, deve rilevarsi la carenza di interesse in capo alla ricorrente alla suddetta doglianza posto che, anche in caso di prescrizione del delitto, la Corte territoriale avrebbe dovuto comunque svolgere, in applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., il giudizio sul fatto che sarebbe dunque pur sempre approdato, all’esito, alla medesima conclusione di non illiceità. In conclusione, configurando la corretta individuazione delle linee guida cui la radiologa avrebbe dovuto conformarsi, un accertamento pregiudiziale che preclude la possibilità di ogni ulteriore sindacato di questa Corte, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente agli effetti civili, demandandosi al giudice competente per valore in grado di appello il giudizio, unitamente alla liquidazione delle spese processuali relative alla presente fase di legittimità
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 6 febbraio 2023, n. 4903