Corte Costituzionale, sentenza 22 luglio 2021 n. 161
Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale sanitario e sociosanitario), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g) e h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 77 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale sanitario e sociosanitario), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere g) e h), della Costituzione.
La disposizione impugnata – nello stabilire che «[l]a Regione promuove protocolli d’intesa con gli Uffici territoriali del Governo finalizzati a potenziare la presenza e la collaborazione con le Forze di polizia nei pronto soccorso e nelle strutture ritenute a più elevato rischio di violenza e assicurare un rapido intervento in loco» – realizzerebbe, secondo il ricorrente, un’indebita ingerenza in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, quali l’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera g, Cost.) e l’ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.). Essa sarebbe incompatibile con «i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia», oggetto di specifica disciplina a opera della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), mentre non potrebbe costituire oggetto di intese tra Regione e Prefettura neanche l’eventuale potenziamento delle risorse e dei presidi territoriali. La tutela dell’integrità psico-fisica degli operatori del settore sanitario e socio-sanitario, che svolgono la propria attività nei pronto soccorso e nelle strutture assimilate, del resto, non rientrerebbe tra i compiti istituzionali ordinariamente attribuiti alle strutture periferiche del Dipartimento di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208 (Regolamento per il riordino della struttura organizzativa delle articolazioni centrali e periferiche dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, a norma dell’articolo 6 della L. 31 marzo 2000, n. 78).
In definitiva, secondo il ricorrente, l’art. 4 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2020 introdurrebbe in modo unilaterale, e «con formulazione generica e poco chiara», nuovi e ulteriori «compiti o funzioni […] alle Forze di polizia che la Costituzione attribuisce esclusivamente allo Stato», con riferimento sia alla funzione di organizzazione e di gestione del personale, sia a quella di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
2.– La questione – che coinvolge inscindibilmente i due parametri di competenza sollevati, attinenti entrambi alla disciplina delle forze di polizia dello Stato, dal lato organizzativo e dal lato funzionale (sentenza n. 170 del 2019) – non è fondata.
2.1.– La disposizione impugnata, pur nella sua formulazione letterale non del tutto perspicua, si riferisce alla presenza delle forze di polizia dello Stato presso i luoghi considerati maggiormente sensibili per la sicurezza degli operatori sanitari e socio-sanitari, ed è volta a rafforzare la collaborazione tra la Regione e le medesime Forze di polizia, al fine di salvaguardare la sicurezza del personale sanitario e socio-sanitario, presso le strutture ove tale personale opera, in un contesto di particolare allarme sociale, come testimoniato da frequenti fatti di cronaca. Essa prefigura attività e forme di impiego del personale della Polizia di Stato sul territorio, al fine di potenziarle, sulla base di necessari e prodromici accordi tra la Regione e gli Uffici territoriali del Governo.
2.2.– Forme di accordo o di intesa tra Stato, Regioni ed enti locali nella materia della sicurezza sono ben presenti nel panorama normativo nazionale. Basti pensare alla legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), che prevede la collaborazione tra le forze di polizia locale e quelle della Polizia di Stato «previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità» (art. 3); o al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203, che, all’art. 12, ha demandato al Ministro dell’interno la emanazione di direttive per la realizzazione, a livello provinciale, di «piani coordinati di controllo del territorio», da attuarsi a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e dei comandi provinciali dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, con l’espressa previsione che ad essi possano partecipare, previa richiesta al sindaco, contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale.
A seguito del trasferimento alle Regioni delle funzioni di polizia amministrativa, stabilito dall’art. 161 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), l’art. 7 del d.P.C.m. 12 settembre 2000 (Individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di polizia amministrativa) ha introdotto apposite forme di collaborazione fra Stato, Regioni ed enti locali per il «perseguimento di condizioni ottimali di sicurezza delle città e del territorio extraurbano e di tutela dei diritti di sicurezza dei cittadini», e per il «potenziamento tecnico-logistico delle strutture e dei servizi di polizia amministrativa regionale e locale, nonché dei servizi integrativi di sicurezza e di tutela sociale», prevedendo specifici accordi per lo «svolgimento in forma coordinata» delle attività di rispettiva competenza, ed onerando il Ministro dell’interno di promuovere «protocolli d’intesa» volti a «conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza delle città e del territorio extraurbano».
Analogamente, l’art. 1, comma 439, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», consente al Ministro dell’interno di «stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali che prevedano la contribuzione logistica, strumentale o finanziaria delle stesse regioni e degli enti locali», al fine di realizzare «programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini». Previsione, codesta, che ha trovato una specificazione normativa nell’art. 6-bis del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, in legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante nella rubrica «Accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo», il quale ha previsto il raggiungimento di detti accordi tra Ministro, Regioni ed enti locali con riguardo alle «aree interessate da insediamenti produttivi o da infrastrutture logistiche ovvero da progetti di riqualificazione e riconversione di siti industriali o commerciali dismessi o da progetti di valorizzazione dei beni di proprietà pubblica o da altre iniziative di sviluppo territoriale» (comma 1).
Con il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, in legge 18 aprile 2017, n. 48, il legislatore nazionale ha, poi, introdotto una disciplina organica della cosiddetta sicurezza integrata, da intendersi come «l’insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali», nonché da altri soggetti istituzionali, «al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali» (art. 1, comma 2). L’art. 2 del citato decreto-legge ha affidato ad apposite linee generali, da adottare con accordo sancito in sede di Conferenza unificata (su proposta del Ministro dell’interno), il compito di «coordinare, per lo svolgimento di attività di interesse comune, l’esercizio delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale», nei settori di intervento ivi indicati, tenendo conto della «necessità di migliorare la qualità della vita e del territorio e di favorire l’inclusione sociale e la riqualificazione socio-culturale delle aree interessate».
Il d.l. n. 14 del 2017 ha così contribuito a dare attuazione all’art. 118, terzo comma, Cost., prevedendo che, in attuazione delle summenzionate linee generali, Stato, Regioni e Province autonome possano concludere «specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare gli interventi a sostegno della formazione e dell’aggiornamento professionale del personale della polizia locale» (art. 3, comma 1). Le Regioni e le Province autonome possono altresì sostenere, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, «ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa» (art. 3, comma 2).
In tal senso, il menzionato decreto-legge ha disciplinato, in modo ampio e trasversale, le «forme di coordinamento» previste dall’art. 118, terzo comma, Cost., coinvolgendo gli enti regionali non solo quali terminali delle scelte compiute dallo Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, ma anche come portatori di interessi che, ancorché non direttamente afferenti alla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., sono teleologicamente connessi alla competenza esclusiva dello Stato.
Il quadro normativo statale si arricchisce ulteriormente, con specifico riguardo alla materia di cui oggi si tratta, con la legge 14 agosto 2020, n. 113 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni), che detta disposizioni per la sicurezza di coloro che esercitano le professioni sanitarie e socio sanitarie, stabilendo, tra l’altro, all’art. 7, al fine di prevenire episodi di aggressione o di violenza, che le strutture presso le quali opera il personale di cui si tratta adottino, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento.
2.3.– È alla luce di tale rinnovata declinazione legislativa del concetto di sicurezza che la giurisprudenza costituzionale ha esaminato il tema della portata dell’intervento consentito all’autonomia regionale nella materia de qua.
Questa Corte ha chiarito che «le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati dalla legge statale» (sentenza n. 88 del 2020; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 2 del 2013, n. 167 e n. 104 del 2010, n. 10 del 2008, n. 322 del 2006). Tale preclusione opera anche con riguardo alla previsione di «forme di collaborazione e di coordinamento», le quali, ove coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, «non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa», dovendo trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati (sentenze n. 170 del 2019, n. 183 del 2018 e n. 9 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 30 del 2006, n. 429 e n. 134 del 2004).
E proprio sulla base delle indicazioni e del perimetro degli interventi delle autonomie locali disegnato dalla illustrata cornice normativa statuale, la sentenza n. 285 del 2019 ha giudicato non fondata la questione di legittimità costituzionale, promossa dallo Stato in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., della normativa di cui alla legge della Regione Basilicata 30 novembre 2018, n. 45 (Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto della criminalità e per la promozione della cultura e della legalità e di un sistema integrato di sicurezza nell’ambito del territorio regionale), che attribuiva alla Regione il compito di promuovere iniziative formative, informative e culturali, nonché interventi, realizzati anche in collaborazione con le forze dell’ordine, a seguito di apposita stipula d’intesa, di assistenza di tipo materiale e psicologico, utili a prevenire e contrastare i reati che colpiscono la popolazione anziana, con particolare riferimento ai delitti contro il patrimonio mediante frode. In quella occasione, la Corte ha affermato che la semplice previsione della possibilità di una intesa con le forze di polizia non comporta alcuna interferenza con la competenza esclusiva dello Stato in materia di sicurezza, una volta esclusa la pretesa di un coinvolgimento necessario delle stesse. In proposito è stato richiamato il precedente della Corte in materia di bullismo e cyber-bullismo (sentenza n. 116 del 2019), in cui la non fondatezza della questione allora sollevata era stata motivata, tra l’altro, con riferimento alla natura meramente facoltativa della partecipazione dei rappresentanti statali all’apposito tavolo di coordinamento, partecipazione comunque subordinata alla previa intesa con gli enti di appartenenza.
Con la stessa sentenza n. 285 del 2019, è stata dichiarata non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale di altra disposizione della medesima legge reg. Basilicata n. 45 del 2018, che prevede che la Regione, al fine di assicurare un adeguato controllo del territorio mediante un più efficiente svolgimento delle funzioni di polizia locale, promuove, previa intesa con gli enti locali interessati, il potenziamento delle attività di vigilanza nelle aree più soggette a rischio di esposizione ad attività criminose. Al riguardo, questa Corte, dopo aver sottolineato che l’eventuale assegnazione di compiti attinenti alla pubblica sicurezza non può essere decisa unilateralmente dalla Regione, pena l’invasione della competenza esclusiva dello Stato a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., ha ritenuto facoltizzata la Regione a promuovere il potenziamento delle attività di vigilanza purché nell’ambito dei piani predisposti dal Ministro dell’interno.
Nella medesima direzione la sentenza n. 177 del 2020 ha giudicato conforme a Costituzione una norma della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza), che dispone che nell’attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalità in materia di tutela dell’ambiente, connessi o derivanti da attività criminose di tipo organizzato o mafioso, la Regione promuove la conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con le autorità statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale, le associazioni di imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni di volontariato e le associazioni ambientalistiche individuate secondo le procedure di legge. Anche in tale occasione questa Corte ha chiarito che la Regione ha inteso limitarsi all’affiancamento agli organi statali nel perseguimento del fine di combattere la criminalità nei settori ambientale e sanitario, e che le disposizioni che prevedono la promozione di accordi tra Regione ed autorità statali hanno valore programmatico.
Non si discosta da tali precedenti la sentenza n. 236 del 2020, nella quale la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34 (Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità), è fondata piuttosto sulla sostanziale rivendicazione, operata da quella legge, di una specifica competenza regionale all’attività istituzionale di prevenzione generale dei reati e controllo del territorio, che costituisce il nucleo centrale della funzione di pubblica sicurezza, riconducibile a materia di esclusiva competenza statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.; nonché sulla pretesa della Regione di disciplinare forme di coordinamento fra Stato ed enti locali in materia di ordine pubblico e sicurezza, con il sostegno della stessa Regione, in una materia in cui l’intervento del legislatore regionale è ammissibile solo nel rispetto delle procedure e dei limiti sostanziali stabiliti dal legislatore statale ai sensi dell’art. 118, terzo comma, Cost.
2.4.– Nel caso all’attuale esame, la disposizione impugnata non disciplina, in modo unilaterale, le forme di collaborazione e di coordinamento con le forze di polizia dello Stato – che pure mira a instaurare – ma, al contrario, le inquadra entro una cornice pattizia che mantiene salvi e integri i compiti e le attribuzioni dell’amministrazione di pubblica sicurezza.
2.5.– Come anche di recente ribadito da questa Corte, del resto, la Regione ben può «sollecitare lo Stato», «affinché questo ricalibri la distribuzione della forza pubblica sul territorio», e ciò a maggior ragione «[n]ell’ambito della rinnovata strategia istituzionale volta a garantire la sicurezza integrata» (sentenza n. 285 del 2019, punto 9.3. del Considerato in diritto), quale definita e disciplinata dal decreto-legge n. 14 del 2007.
In particolare, va ricordato che i protocolli d’intesa previsti dalla disposizione regionale impugnata si collocano nel quadro generale degli specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata – che lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono concludere, a norma del richiamato art. 3 del d.l. n. 14 del 2017, in attuazione delle linee generali fissate, ai sensi dell’art. 2 dello stesso decreto-legge, su proposta del Ministro dell’interno, con accordo sancito in sede di Conferenza unificata – nella misura in cui consentono, proprio secondo le indicazioni provenienti dalla fonte statale, di individuare «specifici obiettivi per l’incremento dei servizi di controllo del territorio e per la sua valorizzazione» (art. 7, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017), anche mediante, eventualmente, l’impiego di «software di analisi video per il monitoraggio attivo con invio di allarmi automatici a centrali delle forze di polizia» (art. 7, comma 1-bis, del d.l. n. 14 del 2017), ossia di strumenti in grado di garantire, come precisa la norma regionale, un rapido intervento in loco delle forze di polizia.
Conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, anche nella presente fattispecie può dunque affermarsi che i previsti protocolli d’intesa tra la Regione e gli Uffici territoriali di Governo «trovano fondamento nella legge statale» (sentenza n. 104 del 2010, punto 5 del Considerato in diritto; analogamente, anche sentenza n. 454 del 2007, punto 2.2. del Considerato in diritto).
2.6.– Del resto, l’adesione a detti protocolli aventi ad oggetto la presenza e la collaborazione delle forze di polizia si pone per l’amministrazione dello Stato come mera facoltà, e non certo come obbligo. Fintanto che quei protocolli non saranno sottoscritti, nessun comportamento o prestazione sono imposti alle Prefetture e alle Questure, rimanendo esse libere di addivenire alla conclusione degli accordi con la Regione, nell’esercizio delle proprie prerogative di organizzazione e di dislocazione sul territorio delle forze di polizia, in conformità alle previsioni della legge n. 121 del 1981 e del regolamento di cui al d.P.R. n. 208 del 2001.
2.7.– Né alcun argomento in contrario può desumersi dalla formulazione dell’art. 1 della legge regionale in esame, il quale – come pure evidenziato dal ricorrente – assicura il «rispetto della normativa statale in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro» (laddove indica la finalità della legge regionale di «prevenire e contrastare ogni forma di violenza ai danni di operatori dei settori sanitario e sociosanitario»), ma omette di richiamare espressamente la normativa statale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e di ordine pubblico e sicurezza. Non è infatti possibile desumere, da tale mancato richiamo, la volontà del legislatore regionale di non rispettare le prerogative dello Stato in tali ambiti, soprattutto in una fattispecie come quella in esame, in relazione alla quale la Regione non dispone di alcuna competenza legislativa (sentenza n. 278 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto).
3.– Deve pertanto concludersi che l’art. 4 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2020 non invade indebitamente le prerogative dello Stato in ordine alla disciplina delle forze di polizia, né dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa e del personale, né sotto il profilo funzionale della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. Le forme facoltative di collaborazione con la Regione discendono direttamente dalle previsioni generali della legge statale sulla sicurezza integrata, prima richiamate, e si mantengono nell’ambito delle «precondizioni per un più efficace esercizio delle classiche funzioni di ordine pubblico, per migliorare il contesto sociale e territoriale di riferimento» (sentenza n. 285 del 2019, punto 2.5. del Considerato in diritto).