Massima
Temperie peculiarmente caratterizzate dal pericolo di danni alla persona – come nel caso recente della c.d. pandemia da Covid-19 – fanno impennare il rilievo della “necessità” quale contingenza capace di scriminare determinate condotte criminose che hanno l’obiettivo precipuo di neutralizzare il ridetto pericolo (talvolta imponendo “scelte tragiche”, nel cui contesto salvare taluno può implicare, consapevolmente, condannare talaltro); su diverso crinale, si atteggia via via a (scriminante) danno grave alla persona non già solo il potenziale pregiudizio c.d. “personale diretto” ma anche quello “personale-indiretto”, e – dunque – “patrimoniale” sì, ma talmente avvinto alla persona da rivelarsi capace di conculcare interessi di natura, per l’appunto, squisitamente personale, come nel caso in cui si commetta reato per fronteggiare esigenze economiche essenziali (massime di tipo abitativo).
Crono-articolo
Già l’ordinamento romano riconosce – seppure in modo a-sistematico – come in determinati casi la necessità si faccia legge, onde – laddove si debba far fronte a circostanze urgenti, improrogabili, impreviste ed imprevedibili – può essere ammessa la spendita di poteri eccezionali; il tutto viene riassunto nel noto brocardo (da taluni ricondotto al tragediografo di origine siriana Publilio Siro) onde “necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem”, ovvero “la necessità non riconosce una legge, ma diviene essa stessa la Legge”; nella versione tramandataci da Aulo Gellio (Noctes Atticae liber XVII p. XIV), il motto recita “necessitas dat legem, non ipsa accipit”, a significare ancora una volta il fatto che la necessità crea la legge, piuttosto che riconoscerla.
I Romani colgono la sostanza dello stato di necessità in particolare nell’ambito (archetipico) civilistico e, dunque, con riguardo alle possibilità di elidere la responsabilità per aver cagionato un danno (massime nelle fattispecie di danneggiamento e di abbattimento di edificio altrui) attraverso una delimitazione del requisito della iniuria in sede di esperimento della Lex Aquilia de damno; ciò muovendo dalla dottrina retorica di epoca repubblicana, con successivi affinamenti nel pensiero dei giuristi Labeone, Alfeno, Proculo e, in tarda età imperiale, Celso ed Ulpiano.
Sul crinale “pubblicistico”, si assiste nel II secolo d.C. a fattispecie in cui talune norme “amministrative”, laddove violate, non implicano punizione: è punito ad esempio sbarcare merci in taluni porti “proibiti”, e tuttavia la punizione viene esclusa nel caso di merci sbarcate “propter necessitatem adversae tempestatis”, e dunque quando lo sbarco è imposto dall’imperversare di una tempesta, come conferma un passo del Digesto attribuito a Marciano, che richiama un rescritto di Marco Aurelio Antonino e Lucio Vero.
Più tardi, in pieno dominato (III – V secolo d.C.), si assiste al fiorire – ad opera delle cancellerie imperiali – di una congerie di casi nei quali lo stato di necessità sembra operare proprio in guisa di scriminante rispetto ad autentiche fattispecie criminali: secondo Ulpiano va assunto non punibile chi (D. 48, 21, 1) – accusato di un delitto che importi la pena di morte – corrompa il delatore al fine di salvarsi la vita, giacché salvare quest’ultima ammette qualunque iniziativa, anche contra legem (disposizone confermata poi da una costituzione di Diocleziano e Massimiano del 293 d.C.); o chi (D. 27, 6, 7, 1) si finga tutore e presti l’auctoritas nei confronti del soggetto che ne abbisogna indotto da una costrizione fisica o dal timore di subirla, o chi (D. 40, 12, 16, 1), sempre indotto da costrizione fisica vera o minacciata, pur essendo libero, si sia lasciato vendere come schiavo senza avere intenzione di ingannare l’acquirente (dacché in simili ipotesi va escluso il dolo).
Ancora, la vendita di figli è normalmente punita, ma una Costituzione di Costantino del 329 d.C. la ammette se chi vende è in condizioni di indigenza e povertà (come confermato anche dal giurista Paolo). Per una costituzione di Valentiniano I e Valente (C., 11, 55, 2) non può essere imputato per corruzione il privato abitante di una provincia che dia, quand’anche solo in uso, propri beni a magistrati locali che “possunt esse terribiles” e, dunque, potrebbero in caso negativo applicargli ritorsioni.
E’ poi del 416 d.C. un provvedimento degli imperatori Onorio e Teodosio alla cui stregua, durante una invasione barbarica, i crimini commessi da cittadini romani debbono intendersi “scusati”; fattispecie nella quale lo stato di necessità sembra assurgere a canone generale in ottica scriminante.
Si registrano nondimeno, nella parabola giuridica romanistica, anche casi in cui lo stato di necessità non può in alcun modo operare: così, rammenta Ulpiano come lo stato di indigenza non possa mai scusare la prostituzione (D. 23, 2, 43, 5); sempre Ulpiano cita un rescritto dell’imperatore Adriano alla cui stregua (giusta interpretazione estensiva del senatoconsulto Silaniano), uno schiavo non può mai invocare lo stato di necessità – con particolare riguardo al tentativo di salvare la propria vita – quando si tratti di salvare (in sua vece) il proprio dominus; sulla stessa linea opera la sterilizzazione dello stato di necessità per i militari i quali non possono invocarne l’usbergo, in ottica di salvataggio della propria vita, quale scusante della fuga, della diserzione e dell’abbandono dei propri superiori in battaglia, tutti comportamenti puniti con somma severità.
Si è al cospetto di una palmare rapsodicità casistica che fonda il motto “quod non est licitum in lege, necessitas facit licitum” (ciò che per legge non è lecito, la necessità può renderlo tale) da ricondursi in realtà alla tradizione medioevale e dunque, al diritto intermedio, ed in particolare al noto canonista Graziano, onde far intendere che, in date circostanze eccezionali, un comportamento normalmente antigiuridico vede elisa – per l’appunto – tale propria e connaturata antigiuridicità.
E’ alfine la scienza giuridica continentale, ed in particolare quella tedesca dell’Ottocento, a riportare “a sistema” lo stato di necessità, dando seguito – giusta attenta elaborazione e coevo, prezioso affinamento – all’intuizione dei c.d. giusnaturalismi dell’usus modernus pandectarum e, dunque, dell’adattamento moderno dell’imponente patrimonio giuridico romanistico.
1889
Il 30 giugno viene varato il R.D. n.6133, codice Zanardelli, di impianto liberale, stando al cui art.49, non è punibile colui che ha commesso il fatto, ai sensi del n.3 del comma 1, per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo grave e imminente alla persona, al quale non aveva dato volontariamente causa e che non si poteva altrimenti evitare.
Parla di “necessità” anche il precedente n.2 del ridetto comma 1, laddove esclude la punibilità per chi ha commesso il fatto essendovi stato costretto, per l’appunto, dalla “necessità” di respingere da sé o da altri una violenza attuale o ingiusta, norma che costituisce il fondamento della c.d. legittima difesa.
1930
Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, secondo il cui art.54 non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo (comma 1); disposizione che tuttavia non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo (comma 2).
Lo stato di necessità come scriminante scatta poi anche quando è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto (criminoso) commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo (comma 3).
Importante anche l’art.59 in tema di circostanze non conosciute o erroneamente supposte, alla cui stregua, salvo che la legge disponga altrimenti, le circostanze che aggravano ovvero attenuano o escludono la pena (e, dunque, anche le scriminanti) sono valutate, rispettivamente, a carico o a favore dell’agente, anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti, secondo un canone dunque rigorosamente oggettivo (comma 1); se poi l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui (comma 2); infine, se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui; tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non e’ esclusa, quando il fatto e’ preveduto dalla legge come delitto colposo (comma 3).
Pertinente ratione materiae – con peculiare riferimento al c.d. soccorso di necessità – anche l’omissione si soccorso ex art.593, onde in talune peculiare fattispecie sussiste l’obbligo, penalmente sanzionato, di soccorrere terzi; nonché l’art.611 alla cui stregua chiunque usa violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni (comma 1), con pena aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339 (comma 2).
Ancora, significativo l’art.384 c.p. onde, in caso di commissione di taluni delitti contro l’amministrazione della giustizia, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, secondo il cui art.2045 quando chi ha compiuto il fatto (illecito) dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice (c.d. atto lecito – perché scriminato – dannoso).
1948
Viene varata la Costituzione che prevede la natura personale della responsabilità penale, cui è connessa la funzione tendenzialmente rieducativa della pena (art.27): il condannato deve percepire la pena come tendenzialmente rieducativa per la commissione di un fatto penalmente rilevante che gli viene rimproverato, circostanza da escludersi in presenza di fattispecie in cui la condotta (azione od omissione) è “necessitata” dalla circostanza di dover salvare la propria persona o quella di terzi da un pericolo grave e imminente, sempre che il soggetto agente non vi abbia dato volontariamente causa e sempre che il pericolo “necessitante” non si sia potuto altrimenti evitare.
Di rilievo, con riguardo alle c.d. esigenze abitative, l’art.42 della Carta onde – per quanto di interesse ratione materiae – la proprietà è pubblica o privata mentre i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati (comma 1); la proprietà privata – in specie – è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti (comma 2), potendo essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale (comma 3).
1962
Il 5 febbraio esce la sentenza della sezione III della Cassazione, Paradisi, alla cui stregua in tema di stato di necessità ex art.54 c.p., l’attualità del pericolo non coincide con l’imminenza del danno, dovendosi assumere piuttosto quale minaccia ragionevole di una causa prossima di danno, da valutarsi in base a tutte le circostanze di tempo e di luogo, discorrendosi di un pericolo di danno alla persona e, dunque, di potenziale vulnus a diritti di natura personale.
1975
Il 7 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.4343, Manieri, onde il concetto di pericolo attuale di danno grave alla persona va interpretato in senso restrittivo, operando la scriminante dello stato di necessità soltanto quando tale pericolo investa la vita o l’integrità fisica del soggetto agente.
Si tratta di un orientamento che tende ad escludere l’effettualità (analogica) della scriminante in ipotesi di c.d. esigenza abitativa, laddove viene in rilievo un pericolo meramente “patrimoniale”.
* * *
Il 10 ottobre esce la sentenza della sezione II della Corte di Cassazione n. 1101 onde, in tema di circolazione stradale, va negata l’operatività scriminante dello stato di necessità ex art.54 c.p. a chi cagioni un danno a terzi nell’effettuazione di una manovra di emergenza, qualora questa sia stata necessitata da un proprio precedente comportamento imprudente.
Il Collegio tende dunque ad assumere come “volontariamente” causato anche un contegno “colposo” generatore del pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale si pretenda di invocare la ridetta scriminante.
1978
*Il 30 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.7344, Raimondi, onde il concetto di pericolo attuale di danno grave alla persona va interpretato in senso restrittivo, operando la scriminante dello stato di necessità soltanto quando tale pericolo investa la vita o l’integrità fisica del soggetto agente.
Si tratta di un orientamento che tende ad escludere l’effettualità (analogica) della scriminante in ipotesi di c.d. esigenza abitativa, laddove viene in rilievo un pericolo meramente “patrimoniale”.
* * *
*Il 10 ottobre esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.379, Masetti, alla cui stregua in tema di stato di necessità ex art.54 c.p., l’attualità del pericolo non coincide con l’imminenza del danno, dovendosi assumere piuttosto quale minaccia ragionevole di una causa prossima di danno, da valutarsi in base a tutte le circostanze di tempo e di luogo, discorrendosi di un pericolo di danno alla persona e, dunque, di potenziale vulnus a diritti di natura personale.
1979
*Il 07 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.947, Nabil Hasten, onde il concetto di pericolo attuale di danno grave alla persona va interpretato in senso restrittivo, operando la scriminante dello stato di necessità soltanto quando tale pericolo investa la vita o l’integrità fisica del soggetto agente.
Si tratta di un orientamento che tende ad escludere l’effettualità (analogica) della scriminante in ipotesi di c.d. esigenza abitativa, laddove viene in rilievo un pericolo meramente “patrimoniale”.
1980
Il 2 novembre esce una sentenza del Pretore di Roma, rimasta isolata, che ammette essere pregnante ai sensi dell’art.54 c.p. financo il diritto al lavoro, da assumersi quale situazione giuridica soggettiva autonomamente rilevante anche per l’interesse dell’individuo (ad essa sotteso e del pari giuridicamente significativo) all’approviggionamento dei necessari mezzi di sussistenza per sé e per la propria famiglia.
Proprio partendo da questa peculiare concezione del lavoro, e muovendo in specie dalla necessità di tutelare il diritto al lavoro degli occupati, l’imprenditore può invocare lo stato di necessità al fine di far operare la ridetta scriminante con riguardo alla perpetrata violazione della normativa tributaria, antinfortunistica, ovvero della normativa ambientale o edilizia (come nel caso di specie, di modesta sopraelevazione in assenza di concessione edilizia: reato ex art.17, lettera b, della legge 10.77) a cagione della mancanza dei mezzi economici necessari per adempiere a tutte le pertinenti prescrizioni; ciò allo scopo ultimo di scongiurare la chiusura dell’azienda e, dunque, di salvaguardare i pertinenti livelli occupazionali.
1981
Il 29 gennaio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione alla cui stregua la sussistenza di un vero e proprio stato di necessità, e dunque di una causa di esclusione della punibilità, va corredata di una prova piena e rigorosa, che grava esclusivamente sull’imputato che invoca detta causa di giustificazione.
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Il 4 dicembre esce la sentenza della sezione III della Corte di Cassazione n.10772 che muove dal presupposto onde – massime in tema di c.d. esigenza abitativa – va negata l’inevitabilità dell’occupazione di immobili altrui sul presupposto onde alla mancanza di un alloggio si può trovare rimedio, per l’appunto, “altrimenti”, dimorando temporaneamente presso parenti o amici.
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Il 24 novembre viene varata la legge n.689, recante modifiche al sistema penale e sanzioni amministrative (c.d. depenalizzazione), ai sensi del cui art.4 – rubricato cause di esclusione della responsabilità – non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa.
1982
*Il 12 febbraio esce la sentenza della sezione IV della Corte di Cassazione n.1301 onde, in tema di circolazione stradale, va negata l’operatività scriminante dello stato di necessità ex art.54 c.p. a chi cagioni un danno a terzi nell’effettuazione di una manovra di emergenza, qualora questa sia stata necessitata da un proprio precedente comportamento imprudente.
Il Collegio tende dunque ad assumere come “volontariamente” causato anche un contegno “colposo” generatore del pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale si pretende di invocare la ridetta scriminante.
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Il 10 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.9 onde l’esimente dello stato di necessità, pur essendo istituto proprio del diritto penale, trascende, per il relativo fondamento naturalistico, l’ambito specifico di quella collocazione, essendo suscettibile di trasposizione anche nella materia disciplinare.
Nel caso di specie, l’esimente in questione viene invocata dal difensore minacciato dall’imputato, il quale ha dichiarato di rinunciare ad ogni difesa; per il Collegio – che pure si pone il quesito circa l’operatività della deroga sancita dall’art. 54, secondo comma, c.p. (particolare dovere di esporsi al pericolo) – va comunque negata nel caso di specie la configurabilità di uno stato di necessità, stante come le generiche espressioni minacciose dell’imputato non abbiano avuto ad oggetto il difensore che vorrebbe avvalersi della pertinente scriminante.
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Il 13 dicembre esce la sentenza del Tribunale di Milano alla cui stregua l’equo indennizzo di cui all’art.2045 c.c. per il caso di fatto commesso in stato di necessità può essere liquidato, equitativamente appunto, in misura pari alla metà del valore del danno cagionato.
1983
*Il 17 febbraio esce la sentenza della sezione IV della Corte di Cassazione n. 1496 onde, in tema di circolazione stradale, va negata l’operatività scriminante dello stato di necessità ex art.54 c.p. a chi cagioni un danno a terzi nell’effettuazione di una manovra di emergenza, qualora questa sia stata necessitata da un proprio precedente comportamento imprudente.
Il Collegio tende dunque ad assumere come “volontariamente” causato anche un contegno “colposo” generatore del pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale si pretende di invocare la ridetta scriminante.
1985
Il 16 febbraio esce la sentenza del Tribunale di Rimini sul c.d. caso Muccioli, che si occupa del problema che concerne il c.d. soccorso di necessità in caso di difetto di consenso al soccorso da parte del terzo in pericolo, circostanza che si presenta quando occorre trattare, con finalità riabilitative o curative, un tossicodipendente che si trovi presso una comunità terapeutica che si prefigga tali fini.
Viene assunto in proposito normalmente irrilevante il consenso della vittima allorché a rischio (e, dunque, oggetto del pericolo di cui alla “situazione necessitante”) siano pertinenti diritti indisponibili, quando si configuri ad un tempo una posizione di garanzia ex art.40, comma 2, c.p. – e dunque un obbligo di impedire l’evento sfavorevole – in capo al soggetto agente.
Nella fattispecie, nondimeno, Vincenzo Muccioli, fondatore della Comunità di San Patrignano, viene condannato per sequestro di persona e maltrattamenti perpetrati nei confronti degli ospiti della comunità (c.d. “processo delle catene”), venendogli dunque negata l’operatività dell’art.54 c.p.
1986
*Il 6 dicembre esce la sentenza della sezione VI della Cassazione n.13915, Cargnelli, alla cui stregua – quanto in particolare alla necessità che il pericolo di un danno grave alla persona non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente che invoca la scriminante dello stato di necessità – deve negarsi l’operatività della ridetta scriminante al tossicodipendente che versi in crisi d’astinenza, essendosi al cospetto di una libera scelta del soggetto agente che non può imporre il sacrificio dei diritti di terzi giusta relativa azione criminosa.
1987
Il 14 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.4554 onde, a fini di configurabilità dell’esimente dello stato di necessità, occorre che l’azione delittuosa sia commessa per evitare un pericolo che abbia il carattere dell’attualità.
Questo requisito per il Collegio postula anzitutto che il pericolo sia presente quando il soggetto agisce e che sia imminente il danno che ne possa derivare, ma appunto perciò implica anche che si tratti di un pericolo che nel momento in cui il fatto criminoso viene compiuto sia già individuato e circoscritto e cioè precisamente delineato nel relativo contenuto e oggetto, nonché nei relativi effetti.
Di conseguenza non è sufficiente che l’azione delittuosa venga attuata nell’aspettativa che possano essere evitati pericoli che non abbiano i suddetti connotati e che siano invece meramente eventuali e futuri, possibili o anche probabili; al contrario, per la Corte al fine dell’applicazione della causa di giustificazione, occorre un preciso e indefettibile collegamento causale tra la necessità di sacrificare un interesse penalmente protetto e lo scopo di evitare uno specifico e determinato pericolo e l’agente dunque può andare esente da pena soltanto quando il pertinente comportamento, che altrimenti costituirebbe un’offesa criminosa, sia stato causato dalla necessità urgente di evitare un pericolo del genere indicato e con esso un danno grave alla persona già ben individuato all’atto stesso in cui si agisce.
Nel caso di specie l’esimente dello stato di necessità viene invocato in relazione al delitto di tentata violenza privata, adducendo come le informazioni che si è inteso ottenere dal soggetto passivo del reato – e dunque dalla vittima – potrebbero evitare i pericoli all’incolumità delle persone ed alla collettività nazionale, siccome riconducibili all’attività terroristica delle Brigate Rosse.
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Il 16 aprile esce la sentenza della sezione I della Cassazione n.4819 alla cui stregua – quanto in particolare alla necessità che il pericolo di un danno grave alla persona non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente che invoca la scriminante dello stato di necessità – deve negarsi l’operatività della ridetta scriminante al tossicodipendente che versi in crisi d’astinenza, essendosi al cospetto di una libera scelta del soggetto agente che non può imporre il sacrificio dei diritti di terzi giusta relativa azione criminosa.
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Il 3 giugno esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n. 4964, alla cui stregua va negato che la necessità economica, sub specie di c.d. esigenza abitativa, possa far scattare la scriminante dello stato di necessità ex art.54 c.p., la quale ultima fa riferimento al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non potendo dunque operare (neppure analogicamente) in presenza di un vulnus ad interessi tipicamente “patrimoniali”.
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Il 28 novembre esce la sentenza della Corte d’Appello di Bologna sul c.d. caso Muccioli, che si occupa del problema che concerne il c.d. soccorso di necessità in caso di difetto di consenso al soccorso da parte del terzo in pericolo, circostanza che si presenta quando occorre trattare, con finalità riabilitative o curative, un tossicodipendente che si trovi presso una comunità terapeutica che si prefigga tali fini.
Viene assunto in proposito normalmente irrilevante il difetto di consenso della vittima (terza) allorché a rischio (e, dunque, oggetto del pericolo di cui alla “situazione necessitante”) siano pertinenti diritti indisponibili, quando si configuri ad un tempo una posizione di garanzia ex art.40, comma 2, c.p. – e dunque un obbligo di impedire l’evento sfavorevole – in capo al soggetto agente.
Nella fattispecie Vincenzo Muccioli, fondatore della Comunità di San Patrignano, viene assolto in appello per sequestro di persona e maltrattamenti perpetrati nei confronti degli ospiti della comunità (c.d. “processo delle catene”), confermandosi dunque l’operatività – oltre che dell’art.50, e dunque del consenso della vittima, per quanto riguarda le modalità di segregazione non umilianti – anche dell’art.54 c.p. per quanto concerne le modalità di segregazione di tipo umiliante, escludendosi ad un tempo il profilarsi di un eccesso colposo ex art.55 c.p. per non essere il sequestro di persona, quand’anche per l’appunto a connotazione umilianti, punito a titolo di colpa.
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*Il 04 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12253, Iudicello, onde il concetto di pericolo attuale di danno grave alla persona va interpretato in senso restrittivo, operando la scriminante dello stato di necessità soltanto quando tale pericolo investa la vita o l’integrità fisica del soggetto agente.
Si tratta di un orientamento che tende ad escludere l’effettualità (analogica) della scriminante in ipotesi di c.d. esigenza abitativa, laddove viene in rilievo un pericolo meramente “patrimoniale”.
1988
*Il 13 settembre esce la sentenza della sezione IV della Corte di Cassazione n.9213 onde, in tema di circolazione stradale, va negata l’operatività scriminante dello stato di necessità ex art.54 c.p. a chi cagioni un danno a terzi nell’effettuazione di una manovra di emergenza, qualora questa sia stata necessitata da un proprio precedente comportamento imprudente.
Il Collegio tende dunque ad assumere come “volontariamente” causato anche un contegno “colposo” generatore del pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale si pretende di invocare la ridetta scriminante.
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Il 17 dicembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.12655 alla cui stregua ai fini della configurabilità della esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., occorre che l’esigenza di evitare il danno grave alla persona sia imperiosa e cogente, tanto da non lasciare altra scelta se non quella di ledere il diritto altrui.
1989
Il 25 febbraio esce la sentenza della sezione VI della Corte di Cassazione n.3137 che muove dal presupposto onde – massime in tema di c.d. esigenza abitativa – va negata l’inevitabilità dell’occupazione di immobili altrui sul presupposto onde alla mancanza di un alloggio si può trovare rimedio, per l’appunto, “altrimenti”, considerato come la moderna organizzazione sociale viene incontro a chi possa trovarsi in pericolo di vita con i più disparati mezzi assistenziali.
1990
Il 29 marzo esce la sentenza della sezione III della Corte di Cassazione sul c.d. caso Muccioli, che si occupa del problema che concerne il c.d. soccorso di necessità in caso di difetto di consenso al soccorso da parte del terzo in pericolo, circostanza che si presenta quando occorre trattare, con finalità riabilitative o curative, un tossicodipendente che si trovi presso una comunità terapeutica che si prefigga tali fini.
Viene assunto in proposito normalmente irrilevante il difetto di consenso della vittima allorché a rischio (e, dunque, oggetto del pericolo di cui alla “situazione necessitante”) siano pertinenti diritti indisponibili, quando si configuri ad un tempo una posizione di garanzia ex art.40, comma 2, c.p. – e dunque un obbligo di impedire l’evento sfavorevole – in capo al soggetto agente.
Nella fattispecie per Vincenzo Muccioli, fondatore della Comunità di San Patrignano, viene confermata l’assoluzione in appello per sequestro di persona e maltrattamenti perpetrati nei confronti degli ospiti della comunità (c.d. “processo delle catene”), confermandosi dunque l’operatività dell’art.54 c.p., quand’anche a titolo putativo.
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*Il 17 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7015, Sinatra, onde il concetto di pericolo attuale di danno grave alla persona va interpretato in senso restrittivo, operando la scriminante dello stato di necessità soltanto quando tale pericolo investa la vita o l’integrità fisica del soggetto agente.
Si tratta di un orientamento che tende ad escludere l’effettualità (analogica) della scriminante in ipotesi di c.d. esigenza abitativa, laddove viene in rilievo un pericolo meramente “patrimoniale”.
1994
Il 13 gennaio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.222, Aprea, alla cui stregua va accolta la tesi più garantista ed estensiva intesa ad applicare ad ampio raggio la scriminante di cui all’art.54 c.p., dovendosi assumere significativo all’uopo qualsiasi diritto inviolabile dell’uomo inteso come “persona”, coerentemente con quanto expressis verbis riconosce la Costituzione all’art.2, da intendersi come clausola generale all’uopo significativa.
1995
Il 2 marzo esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.5291 alla cui stregua – quanto in particolare alla necessità che il pericolo di un danno grave alla persona non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente che invoca la scriminante dello stato di necessità – la circostanza onde l’eventuale dissenso dalle proposte del vertice di “Cosa Nostra” avrebbe esposto il membro dissenziente ad un grave pericolo di vita non può configurare in relativo favore la scriminante appunto dello stato di necessità in ordine ai delitti la cui esecuzione venga decisa dal ridetto vertice, essendo tale situazione volontariamente causata dall’accettazione di un ruolo direttivo e deliberativo nel sodalizio criminoso.
Nel caso di specie, il Collegio si pronuncia sulla nota fattispecie della strage di Capaci del 1992.
1997
*Il 6 marzo esce la sentenza della sezione IV della Cassazione n.2140 alla cui stregua – quanto in particolare alla necessità che il pericolo di un danno grave alla persona non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente che invoca la scriminante dello stato di necessità – deve negarsi l’operatività della ridetta scriminante al tossicodipendente che versi in crisi d’astinenza, essendosi al cospetto di una libera scelta del soggetto agente che non può imporre il sacrificio dei diritti di terzi giusta relativa azione criminosa.
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Il 23 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.4903, alla cui stregua – in tema di c.d. inevitabilità altrimenti – non può essere riconosciuta la scriminante dello stato di necessità laddove il soggetto agente sia stato costretto ad un reato (che pretenderebbe scriminato) per sfuggire alle minacce di morte da parte di malavitosi, potendo in tali casi sottrarsi al pericolo facendo ricorso all’Autorità.
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Il 2 dicembre esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.11030, Guerra, che si inserisce nell’indirizzo pretorio onde – pur non potendosi astrattamente disconoscere come costituisca pericolo di danno grave alla persona la mancanza di un alloggio dignitoso (valorizzandosi all’uopo l’art.2 della Costituzione ed il necessario presidio ai diritti inviolabili dell’uomo in esso inscritto)– occorre in concreto che si tratti di pericolo attuale e non altrimenti evitabile, con la conseguenza onde, nella più parte dei casi, va negata l’operatività della scriminante ex art.54 c.p.
1998
Il 26 febbraio esce la sentenza della sezione V della Cassazione n.2415 alla cui stregua – quanto in particolare alla necessità che il pericolo di un danno grave alla persona non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente che invoca la scriminante dello stato di necessità – non può negarsi l’operatività della ridetta scriminante allorché il soggetto agente abbia dato la stura ad un mero antecedente causale della situazione di pericolo cui reagisce.
2003
Il 4 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24290 che aderisce all’orientamento pretorio orientato a fondare il c.d. diritto alla casa su talune norme della Costituzione, e segnatamente sull’art.2 in tema di diritti inviolabili dell’uomo, quali diritti fondamentali per la concreta attuazione dei quali si palesa essenzialmente strumentale proprio l’abitazione, nonché sull’art.3, comma 2, Cost., stante come la mancanza di un alloggio dignitoso finisca con il compulsare l’effettivo sviluppo della persona umana in tale norma inscritto.
Per il Collegio, ai fini del riconoscimento dell’esimente dello stato di necessità, nel concetto di danno grave “alla persona” di cui alla formulazione dell’art.54 c.p. rientrano anche tutte quelle situazioni che pongano in serio pericolo solo indirettamente l’integrità fisica, attentando direttamente a beni primari avvinti alla personalità, trai quali deve essere ricompresa anche l’esigenza abitativa.
Si tratta di una interpretazione di tipo estensivo del concetto di danno grave alla persona che si attua attraverso l’inclusione in esso dei c.d. diritti inviolabili e del vulnus ad essi inferto; si impone, nondimeno, una più attenta e penetrante indagine giudiziaria orientata a circoscrivere la sfera d’azione dell’esimente in parola ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti tutti gli altri elementi costitutivi della stessa, e dunque la necessità (di commettere reato) e l’inevitabilità del pericolo che si vuole fronteggiare, dovendosi tenere in debito conto le esigenze di tutela dei diritti dei terzi incisi dall’azione criminosa e dunque involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere vulnerati o compressi se non in presenza di situazioni eccezionali chiaramente comprovate.
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Il 01 luglio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.28325 alla cui stregua in tema di cause di giustificazione l’imputato che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente reale o putativa deve provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio.
Ne deriva che l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, i quali siano tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.
Nel caso scandagliato dalla Corte l’imputato — sottoposto agli arresti domiciliari — si è allontanato dalla propria abitazione adducendo la necessità di una visita medica urgente, dopo che il medico con cui aveva avuto un colloquio telefonico ha escluso la necessità di una visita a domicilio e successivamente lo ha visitato nel proprio studio senza prescrivergli alcuna terapia.
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Il 5 agosto esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.33076 alla cui stregua non configura l’esimente dello stato di necessità, idonea ad escludere la sussistenza del reato di evasione, la deduzione di uno stato di bisogno, quale un mal di denti, in quanto non si atteggia ad imminenza di una situazione di grave pericolo alla persona con caratteristiche di indilazionabilità e cogenza, tale da non lasciare alla persona altra alternativa che quella di violare la legge.
2004
Il 27 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.8855 onde in tema di stato di necessità (art. 54 c.p.), l’imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l’operatività dell’esimente.
Nel caso di specie il Collegio assume come la minaccia proveniente da un’organizzazione mafiosa (letteralmente: «ci sono mali discorsi per lui ed i suoi figli»), pur attestando la serietà del pericolo, non integri gli estremi di cui all’art. 54 c.p., in quanto sfornita di allegazione circa l’inevitabilità del male minacciato.
Ciò considerato che, sempre nella specie, il fatto che l’imputato per il reato di strage – estraneo alla mafia e cognato di un capomafia che gli aveva fatto pervenire la ridetta minaccia tramite il figlio – sia consapevole che la relativa famiglia, in quanto legata alla mafia, non potrebbe esonerarlo dal pericolo minacciato nel caso che egli si rifiuti di collaborare, non è evenienza che si traduce nell’inevitabilità della pertinente minaccia, posto che quest’ultima può essere scongiurata con alternative diverse e al di fuori della famiglia, per esempio con la collaborazione dello Stato.
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Il 01 aprile esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.15484 onde in tema di cause di giustificazione, incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente.
Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p., risolvendosi il dubbio sull’esistenza dell’esimente nell’assoluta mancanza di prova al riguardo.
Per la Corte va dunque annullata con rinvio la sentenza con la quale i giudici di merito abbiano assolto l’imputato dal delitto di evasione per aver agito in stato di necessità, recependo acriticamente la tesi difensiva di essersi allontanato dalla propria abitazione per il pericolo di un’infezione tetanica dovuta ad un’ematoma, senza farsi carico di verificarne la conciliabilità con la condotta tenuta dall’imputato al momento in cui è stato sorpreso dalla polizia.
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Il 19 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.23286 onde non può essere invocata l’esimente dello stato di necessità per il reato di favoreggiamento della prostituzione da parte di colui il quale abbia posto in essere la condotta criminosa adducendo di esservi stato costretto dalla mancanza di lavoro e di mezzi di sussistenza, non venendo meno in tali circostanze il connotato della spontaneità dell’azione.
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Il 20 luglio viene varata la legge n.189, che introduce nel codice penale l’art.544 bis rubricato “uccisione di animali”, alla cui stregua viene punito chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.
All’art.19 ter delle disposizioni di attuazione viene prevista tutta una serie di ipotesi in cui si configura – per presunzione – la necessità sociale di cagionare la morte dell’animale: caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, giardini zoologici, e così via.
2005
Il 28 aprile esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.16012 onde ai fini della configurabilità dell’esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.), il pericolo che ne costituisce il presupposto non deve essere cagionato dal soggetto che compie l’intervento necessitato e, quindi, deve essere indipendente dalla volontà dell’agente, con la conseguenza che questi non deve avere volontariamente o colposamente determinato la situazione pericolosa.
Non sussistono pertanto, per la Corte, gli estremi della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p. allorché la situazione di pericolo per l’integrità fisica dell’imputato sia derivata dalla scelta di compiere un furto e sia, pertanto, riconducibile alla stessa condotta illecita dell’agente che abbia provocato la reazione (nella specie, del proprietario del veicolo di cui sia stata tentata la sottrazione).
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Il 14 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.26103 alla cui stregua l’esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.) postula che l’azione sia indotta da un pericolo imminente di un danno grave alla persona e non può essere invocata per escludere la punibilità a beneficio di colui che uccide animali appartenenti a specie protette allo scopo di tutelare la vita di altro animale – del pari appartenente a specie protetta – e utilizzato come richiamo (c.d. scelta tragica).
2006
L’11 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.16056 alla cui stregua in tema di cause di giustificazione, lo stato di bisogno economico non è idoneo ad integrare la scriminante dello stato di necessità in relazione al reato di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del contrassegno della SIAE, atteso che alle esigenze degli indigenti e dei bisognosi si può provvedere con la moderna organizzazione sociale per mezzo degli istituti di assistenza.
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Il 26 luglio esce la sentenza della VII sezione della Cassazione n.26143 onde l’esimente dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di indigenza connesso alla situazione socio-economica qualora ad essa possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti.
Per la Corte va dunque negata la configurabilità dell’esimente in questione nel caso di vendita illegale di supporti audiovisivi da parte di un cittadino extra-comunitario.
2007
Il 24 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.35423 onde va esclusa la configurabilità dell’esimente dello stato di necessità in relazione ad un addebito di omicidio colposo elevato a carico di soggetto il quale, nel darsi alla fuga alla guida di un’autovettura, onde sottrarsi ad una carica della polizia nei confronti dei partecipanti (tra i quali egli è ricompreso) nel corso di una manifestazione di piazza degenerata in atti di violenza, investe un pedone cagionandone la morte.
2008
Il 25 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4060 onde perché sussista la scriminante dello stato di necessità, prevista dall’art. 54 c.p., occorre che sia configurabile un rapporto di proporzionalità tra l’effettivo pericolo prospettato e il fatto commesso dall’imputato.
In applicazione di tale principio, per il Collegio va esclusa la operatività della scriminante nel caso della strage di Sant’Anna di Stazzema, rilevando che non vi era prova che il rifiuto di partecipare all’eccidio avrebbe avuto come inevitabile conseguenza l’uccisione di chi non aveva obbedito all’ordine; la possibile prospettiva di punizioni disciplinari e di misure coercitive di altro tipo – per la Corte – non poteva nel caso di specie integrare l’esimente de qua in quanto – nel rapporto di misura tra i beni in conflitto – difettava ictu oculi il suddetto requisito della proporzionalità.
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Il 7 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.38229 onde il rifiuto opposto da taluno alla richiesta, da parte di un ufficiale o agente di polizia, di dichiarare le proprie generalità ne legittima l’accompagnamento coattivo presso gli uffici di polizia e giustifica l’uso di un mezzo di coazione fisica, come la forza muscolare, ove a tale accompagnamento venga opposta resistenza, anche meramente passiva, l’uso della forza dovendo tuttavia per il Collegio essere rigorosamente proporzionato al tipo ed al grado della resistenza opposta.
2010
Il 31 marzo esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.12615 alla cui stregua non può invocare l’esimente dello stato di necessità, nemmeno nella forma putativa, colui che sottragga il proprio figlio minore, affidato all’altro genitore, per impedire che lo stesso venga sottoposto ad una operazione chirurgica di cui teme la pericolosità e la superfluità, atteso che egli ha il potere di evitare l’esecuzione dell’intervento negando il consenso alla relativa realizzazione.
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L’8 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.26159 onde, ai fini dell’integrazione dell’esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.), è necessario che il pericolo di un danno grave alla persona sia attuale ed imminente o, comunque, idoneo a fare sorgere nell’autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in siffatto stato, non essendo all’uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto.
Precisa ancora il Collegio come si debba trattare di un pericolo non altrimenti evitabile ed al riguardo l’operatività della scriminante non può “scattare” sulla base di fatti sforniti di riscontri oggettivi e accertati in via presuntiva.
Nella specie, per la Corte va esclusa l’esimente di cui all’art. 54 c.p. – nei confronti dell’imputato del reato di cui all’art. 605 c.p., il quale abbia rapito, prelevandola a forza dalla propria abitazione con corde e manette per trasportarla in un diverso domicilio (lasciandola ivi permanere per quattro giorni), una ragazza al fine di sottrarla alla dipendenza dalla cocaina.
Ciò in ragione degli articoli 32 e 13, comma quarto, Cost., che vietano rispettivamente i trattamenti sanitari obbligatori e le violenze fisiche o morali sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
2011
Il 30 marzo esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.13134 alla cui stregua non rileva, quale elemento dello stato di necessità a giustificazione della condotta di favoreggiamento personale, il generico timore di future rappresaglie contro la propria persona da parte di chi beneficia del favoreggiamento ridetto.
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Il 4 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8724 alla cui stregua l’illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni della vita o dell’integrità fisica, nella compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo.
Per la Corte va esclusa, nel caso di specie, la ricorrenza della scriminante de qua, essendo stato accertato che la necessità di occupazione illecita di un edificio residenziale pubblico al fine di occuparlo con la compagna minorenne in stato di gravidanza, invocata dall’imputato, avrebbe potuto esse soddisfatta con la richiesta di ausilio ai servizi sociali e alle altre istituzioni pubbliche di assistenza, la cui indisponibilità, nel caso di specie, non è stata neanche allegata.
2012
Il 9 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9265 onde lo stato di necessità ex art.54 c.p., nella specifica e limitata ipotesi dell’occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio, non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, dacché il requisito del pericolo “attuale” richiesto dalla norma pertinente presuppone indefettibilmente che, nel momento in cui il soggetto agente opera contra ius commettendo il reato che si pretende scriminato al fine di scongiurare un danno grave alla persona, il pericolo che si intende fronteggiare sia imminente e, come tale, ben individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio.
Vanno pertanto escluse per il Collegio tutte quelle situazioni di pericolo a carattere non contingente, e come tali connotate da una sorta di cronicità che le fa inevitabilmente protrarre nel tempo.
Viene in rilievo il diritto di proprietà del soggetto che subisce l’occupazione, onde si impone una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.54 c.p., alla luce dell’art.42 Cost., non potendosi che pervenire ad una pertinente nozione in grado di conciliare l’attualità del pericolo che si intende scongiurare con l’esigenza di tutela del ridetto diritto di proprietà del terzo, che non può subire una compressione duratura nel tempo dacché, in caso contrario, si verificherebbe di fatto un’ipotesi di esproprio senza indennizzo o, comunque, un’alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale.
Si assiste dunque da parte della Corte ad un bilanciamento tra l’ampliamento progressivamente riconosciuto del novero di beni la cui lesione implica danno “personale”, da un lato, ed un del pari progressivo contingentamento della sfera di operatività dello stato di necessità, applicabile nei soli casi in cui si presentino in modo certo ed indiscutibile i requisiti della necessità (di commettere il reato scriminato) e della inevitabilità altrimenti del pericolo che si intende fronteggiare, stante l’eccezionalità che sola giustifica il conculcamento eventuale di diritti di terzi incolpevoli.
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Il 16 maggio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.18711 onde in tema di cause di giustificazione, l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.
Va dunque assunta corretta per il Collegio la condanna di due coniugi, dei relativi genitori e di due parroci i quali, in concorso tra loro, hanno rifiutato di consegnare una bambina bielorussa ai responsabili dell’organizzazione che doveva curarne il rimpatrio, per evitare alla minorenne un trauma psicologico nel timore che, una volta tornata in Bielorussia, la stessa avrebbe subito violenze di cui aveva già narrato di essere restata vittima prima dell’affidamento temporaneo in Italia.
2013
Il 3 maggio esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.19147 alla cui stregua l’illecita occupazione di un bene immobile è da assumersi scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano per tutto il tempo dell’illecita occupazione gli elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta criminosa e l’inevitabilità del pericolo che si intende fronteggiare con essa.
Nella specie, in cui gli imputati hanno stabilmente occupato un immobile trasformandolo nella propria residenza abituale, la Corte afferma che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell’occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa.
2014
Il 5 giugno esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.23532, che si pronuncia in una fattispecie in cui un imprenditore ha invocato la c.d. “necessità lavorativa” (in sostanza, la necessità di salvaguardare i posti di lavoro dei propri dipendenti) onde richiedere l’applicazione dell’art.54 c.p. in rapporto a perpetrati reati fiscali e previdenziali (come nel classico caso dell’omesso versamento delle ritenute ex art.10 bis e dell’omesso versamento dell’Iva ex art.10-ter del decreto legislativo 74.00).
Per il Collegio, va esclusa l’efficacia scriminante delle tre ipotesi che in modo ricorrente vengono presentate dagli imprenditori al fine di giustificare l’omesso versamento di ritenute e contributi, ovvero: a) la necessità di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti, anche al fine di non ricorrere, in alternativa, a dei licenziamenti; b) la necessità di pagare i debiti ai propri fornitori, onde scongiurare il fallimento della propria impresa; c) la necessità di far fronte alla mancata riscossione di crediti vantati e documentati, sovente anche nei confronti dello Stato.
Per quanto riguarda la necessità di pagare in via prioritaria le retribuzioni ai propri dipendenti, la Corte rammenta come l’art.54 spieghi efficacia scriminante nei confronti di chi alleghi e provi la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, espressione quest’ultima (“danno grave alla persona”) che pacificamente va riferita, nelle intenzioni del legislatore, ai soli beni morali e materiali che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano, quali la vita, l’integrità fisica (compreso il diritto alla salute), la libertà morale e sessuale, il nome, l’onore; non anche, tuttavia, quei beni che – pur essendo costituzionalmente rilevanti – contribuiscono al completamento e allo sviluppo della persona umana.
Non può negarsi per il Collegio che il diritto al lavoro sia costituzionalmente presidiato, né che il lavoro in sé contribuisca alla formazione ed allo sviluppo della persona umana, ma la pertinente perdita non può intendersi compendiare un danno grave alla persona ex art.54 c.p.
Né, prosegue la Corte, l’imprenditore può invocare a propria scusante la necessità di pagare altri creditori diversi dallo Stato (che è il creditore delle ritenute e dei versamenti omessi), con particolare riguardo ai fornitori, al fine di scongiurare il fallimento dell’impresa di volta in volta considerata; deve infatti tenersi conto che il fallimento potrebbe essere richiesto dallo stesso Erario, in veste di creditore insoddisfatto; in ogni caso, scongiurare il fallimento non compendia la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, siccome richiesto dall’art.54 c.p.
Parimenti, nessuna significatività può assumere per la Corte il fatto che l’imprenditore considerato vanti verso terzi – Stato compreso – crediti che non sia riuscito ad esigere, stante come la compensazione tra debiti tributari (verso lo Stato, appunto) e controcrediti del contribuente sia oggetto di casi tassativamente previsti dalla legge al di fuori dei quali si versa nel normale rischio privatistico di impresa non idoneo, di per sé, ad obliterare le obbligazioni di stampo pubblicistico nei confronti dello Stato.
Si tratta di una presa di posizione che – precisa il Collegio – proprio laddove esclude l’operatività dell’art.54 c.p., non è incompatibile con quanto affermato dalla sezione III della Corte con la sentenza n.5467 del 5 dicembre 2013, onde non può essere escluso che, in astratto, siano possibili casi nei quali possa invocarsi –su diverso crinale – l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, occorrendo tuttavia, perché ciò in concreto si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non già solo l’aspetto della non imputabilità – a chi abbia omesso il versamento – della crisi economica che ha investito l’azienda o la pertinente persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto, ivi compreso il ricorso al credito bancario.
2015
Il 5 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9655 alla cui stregua in tema di illecita occupazione di un alloggio popolare, lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto più che l’edilizia popolare è destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti attraverso procedure pubbliche e regolamentate.
Per la Corte va dunque esclusa nel caso di specie la sussistenza della scriminante invocata dal ricorrente in ragione dello stato di gravidanza del relativo coniuge, dovendosi assumere del pari irrilevante la circostanza che il precedente assegnatario dell’immobile lo abbia liberato in favore dell’imputato, spettando tale funzione all’ente pubblico preposto.
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Il 7 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.40270 onde è configurabile la causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 54 cod. pen.) nei confronti di soggetto straniero, ridotto in condizione di schiavitù e obbligato a prostituirsi, il quale sia costretto a commettere il reato di atti osceni in luogo pubblico per il timore che, in caso di disobbedienza, possa essere esposta a pericolo la vita o l’incolumità fisica dei relativi familiari.
Per la Corte la condizione di “asservimento“, collegata a ripetute condotte di costrizione mediante violenza e minaccia ed al permanere dello sfruttamento nei relativi confronti, impedisce al soggetto di sottrarsi all’esercizio della prostituzione con le modalità, anche pubblicamente oscene, imposte dagli sfruttatori o dal cliente occasionale, precludendogli altresì di rivolgersi alle Forze dell’Ordine o anche solo di collaborare all’attività di polizia.
2016
Il 29 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.35590 onde l’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti.
Nel caso di specie, si verte in ipotesi di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del contrassegno SIAE da parte di cittadino extracomunitario, laddove per la Corte va negata la configurabilità dell’esimente, osservando che alle esigenze delle persone indigenti è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale.
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Il 28 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.50329 alla cui stregua in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, la nozione di “necessità” che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali di cui all’art. 544 bis cod. pen. comprende non soltanto lo stato di necessità previsto dall’art. 54 cod. pen., ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile.
Il caso scandagliato dalla Corte afferisce all’uccisione di un alano da parte dell’imputato per tutelare la propria incolumità e quella del proprio cane di piccola taglia, aggredito e morso poco prima.
2017
Il 27 gennaio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.4114 onde, in tema di cause di giustificazione, l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.
Per la Corte va dunque assunta immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la configurazione della scriminante putativa dello stato di necessità nei riguardi di un’imputata che aveva abbandonato il domicilio coniugale con figli minori adducendo il timore di condotte violente dell’ex compagno, sul presupposto che la fuga non costituiva l’unica soluzione possibile – potendosi chiedere l’intervento dei servizi sociali – e che tale fuga è stata reiterata anche quando l’imputata si è trovata assieme ai figli presso una comunità, in situazione protetta.
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Il 31 agosto esce la sentenza della sezione feriale della Cassazione n.39884 onde, in linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente, va assunta non invocabile, nel caso di specie, la causa di giustificazione dello stato di necessità, ex art. 54 c.p. stante la non ricorrenza – anche nell’ipotesi di condotta mossa da asserito stato di bisogno economico – dei requisiti di operatività della norma.
Per il Collegio manca, più in specie, l’attualità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo che si intende fronteggiare, dacché l’energia elettrica va qualificata quale bene non indispensabile alla vita; il bilanciamento di interessi sottesi al ragionamento giudiziale deve seguire, per la Corte, le logiche proprie del giudizio penale, pur tenendosi conto della nuova visione dei beni pubblici in termini funzionali, ossia di quei beni comuni che – per loro natura – realizzano interessi della collettività ed esprimono utilità funzionali all’esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona.
2018
Il 23 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.38593 che scandaglia una fattispecie in tema di omesso versamento dell’Iva, giustificata dal ricorrente con la crisi del mercato immobiliare e con i problemi finanziari della società da lui rappresentata.
Per il Collegio il principio della non esigibilità di una condotta diversa da parte del soggetto agente – sia che lo si voglia ricollegare alla ratio della colpevolezza, riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui «umanamente» pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla ratio dell’antigiuridicità riferendolo per l’appunto a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente di uniformare la condotta al precetto penale – non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate.
Ciò in quanto per il Collegio le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’analogia iuris.
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Il 01 marzo esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.4834 onde, in tema di esclusione della responsabilità per violazioni amministrative, affinché ricorra, ai sensi dell’art. 4 l. n. 689 del 1981, l’esimente dello stato di necessità, occorre – in conformità a quanto disposto dall’art. 54 c.p. – che sussista un’effettiva situazione di pericolo imminente di un grave danno alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea convinzione, provocata da circostanze oggettive, di trovarsi in tale situazione.
Ne consegue per il Collegio che detta esimente non è invocabile quando la situazione di pericolo riguardi un animale, sicché va cassata la sentenza del giudice di merito che abbia assunto l’applicabilità dell’esimente in relazione alla necessità, addotta dal trasgressore, di raggiungere rapidamente un cane gravemente malato, per somministrargli, in qualità di veterinario, cure urgenti.
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Il 26 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.49672 onde, in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, la nozione di «necessità» che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali di cui all’art. 544-bis c.p. comprende non soltanto lo stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p., ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile.
Nel caso di specie, la Corte esclude che ricorra la condizione di necessità nell’uccisione da parte dell’imputato di un cane, essendo l’animale già in fuga dal pollaio ove aveva catturato, dopo averne ucciso altre, una gallina che serrava tra i denti.
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Il 14 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 53386 alla cui stregua, ai fini della sussistenza della causa di giustificazione dello stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, ai sensi dell’art. 54, 3° comma, c.p., è sufficiente una prospettazione verbale di conseguenze sfavorevoli, caratterizzata – rispetto al contesto in cui si inserisce – da connotati di serietà, gravità e consistenza tali da determinare un’azione imposta dall’esigenza di salvare l’autore immediato dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, senza che sia necessaria la costante presenza del soggetto da cui la minaccia promana.
La Corte scandaglia una fattispecie relativa ad un imputato che, condannato per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione, si duole del mancato riconoscimento dello stato di necessità in relazione alle minacce di morte rivoltegli da un compartecipe, annullando con rinvio la sentenza impugnata e specificando che, ai fini della valutazione del requisito della proporzione tra il «fatto» ed il «pericolo», di cui al 1° comma dell’art. 54, deve aversi riguardo all’oggetto della minaccia (nel caso di specie, la morte) e non alla condotta minacciosa, la quale, di per sé, sarebbe sempre meno grave del reato commesso.
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Il 20 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 50497 in tema di responsabilità medica, onde la contenzione del paziente psichiatrico non costituisce una pratica terapeutica o diagnostica legittimata ai sensi dell’art. 32 cost., ma si atteggia piuttosto a mero presidio cautelare utilizzabile in via eccezionale qualora ricorra lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., ossia il pericolo di un danno grave alla persona, che si presenti come attuale ed imminente, non altrimenti evitabile, sulla base di fatti oggettivamente riscontrati che il sanitario è tenuto ad indicare nella cartella clinica.
Il Collegio precisa in proposito che l’uso della contenzione in assenza dei presupposti di cui all’art. 54 c.p. costituisce un’illegittima privazione della libertà personale ed integra gli estremi del delitto di cui all’art. 605 c.p..
Ai fini della sussistenza dello stato di necessità, idoneo a escludere la responsabilità per il delitto di sequestro di persona in capo ai medici e agli infermieri che abbiano posto o mantenuto un paziente psichiatrico in regime di contenzione, occorre per il Collegio accertare in modo rigoroso che: 1) la contenzione non sia stata applicata in via precauzionale; 2) gli imputati abbiano monitorato costantemente il paziente, dando conto in modo fedele delle relative condizioni nella cartella clinica; 3) non fosse possibile salvaguardare la salute del paziente con metodi alternativi; 4) detto presidio sia stato applicato nei limiti dello stretto necessario, verificando se fosse sufficiente il blocco di alcuni arti.
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Il 20 novembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 53939 in tema di favoreggiamento personale, onde la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all’onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto abbia agito per evitare un’accusa penale a carico del congiunto.
La Corte precisa in proposito che l’art. 384 c.p. prevede – a differenza dell’art.54 c.p. – una causa di esclusione della colpevolezza e non dell’antigiuridicità della condotta, in quanto rende inesigibile un comportamento conforme alle norme indicate al 1° comma di tale norma.
2019
Il 22 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.27705 alla cui stregua, in tema di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore, il motivo plausibile e giustificato che può costituire valida causa di esclusione della colpevolezza è solo quello che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, sia stato comunque determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla.
Per la Corte, nella fattispecie va escluso che costituisca valida causa di esclusione della colpevolezza il consenso dei figli minori in affido condiviso ad essere condotti in un paese straniero da uno dei genitori, contro la volontà dell’altro.
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Il 24 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.12619 onde, in tema di stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., l’imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione della pena, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude per il Collegio l’operatività dell’esimente ridetta.
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Il 22 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.18864 alla cui stregua, in tema di violenza sessuale, il medico, nell’esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito il relativo consenso, esplicito e informato, o se sussistono i presupposti dello stato di necessità e deve, inoltre, immediatamente fermarsi in caso di dissenso del predetto.
Per la Corte nel caso di specie va annullata con rinvio la decisione con la quale sia stata esclusa la sussistenza del dolo nell’agire di un medico, attribuendo rilevanza all’errore dell’imputato che aveva reputato non necessario il consenso delle pazienti ad una manovra incidente sulla propria sfera sessuale.
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Il 28 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 28910 che afferma non configurabile la scriminante dello stato di necessità in relazione al reato di bancarotta preferenziale nel caso in cui i soci amministratori effettuino pagamenti nei confronti di taluni creditori, che sappiano essere membri di una organizzazione criminale di stampo ‘ndranghetistico e da cui temano ritorsioni violente per il mancato soddisfacimento delle loro pretese, qualora essi abbiano volontariamente e consapevolmente creato una situazione di pericolo per l’impresa, rivolgendosi agli stessi.
Nella parte pertinente ratione materiae le SSUU rilevano come – con riferimento proprio al mancato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 54 cod. pen. – entrambe le conformi sentenze di merito abbiano rimarcato che nel compimento degli atti volti a soddisfare i creditori preferiti non ne erano ravvisabili i presupposti applicativi, atteso che gli imputati avevano volontariamente richiesto l’intervento mediante forniture di merci e sostegno finanziario di esponenti della locale criminalità organizzata nella consapevolezza della loro caratura criminale ed al di fuori di ogni costrizione e si erano esposti alle prevedibili richieste di rientro delle esposizioni debitorie, che erano state loro espresse con modalità intimidatorie e tipicamente mafiose.
La scelta effettuata per libera determinazione di coinvolgere nelle vicende societarie personaggi militanti in formazioni ‘ndranghetistiche in luogo di ricorrere ad altri canali di finanziamento, per il Collegio, ha creato le condizioni del pericolo di ritorsioni violente in dipendenza del mancato soddisfacimento delle pretese di siffatti finanziatori, che in modo logico e coerente con il compendio probatorio ed intercettativo è stato collegato ad una situazione che gli imputati avevano di loro iniziativa cagionato e che avrebbe potuto essere evitata, rivolgendosi prima ad altri interlocutori e denunciando successivamente le minacce ricevute.
Ed anche la pretesa finalità di evitare il fallimento della società, accedendo a finanziamenti a tassi usurari, è stata svalutata come inidonea ed insufficiente a giustificare le condotte illecite compiute, poiché il ricorso a personaggi del calibro del X , del Y e del Z o loro consorti era avvenuto deliberatamente da parte degli imputati senza esplorare soluzioni alternative, secondo quanto deducibile dalle loro conversazioni intercettate.
La soluzione così come motivata è per la Corte corretta sul piano giuridico, dacché l’esimente di cui all’art. 54 cod. pen. – sebbene sia configurabile quando il danno grave ed attuale alla persona sia minacciato non già solo alla vita o all’integrità fisica, ma anche nei confronti di altri beni attinenti alla personalità, quali, ad esempio, la libertà, il pudore, l’onore, il decoro – richiede che il pericolo non sia stato determinato per volontà o per colpa del soggetto minacciato ed altresì che la necessità di contravvenire alla legge non sia altrimenti evitabile col ricorso ad altri rimedi, privi di disvalore penale.
Va richiamato in termini adesivi, per il Collegio, il principio di diritto, che in riferimento alle situazioni di decozione dell’impresa, si è articolato nei seguenti termini: «Non sussiste la scriminante dello stato di necessità in relazione al reato di bancarotta qualora i soci amministratori distraggano i beni appartenenti alla società per destinarli a creditori che pratichino interessi usurari qualora essi abbiano volontariamente e consapevolmente creato una situazione di pericolo per l’impresa, non ricorrendo, in tal caso, né il requisito del generarsi del pericolo per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, né il requisito della sua inevitabilità con altri mezzi». (Sez. 5, n. 10542 del 31/10/2014, dep. 2015, Rocca, Rv. 262726; in termini conformi Sez. 2, n. 19714 del 14/04/2015, Moccardi, Rv. 263533).
Con argomentazioni pienamente condivise, prosegue la Corte, si è affermato che l’intento di proseguire l’attività ed impedire il tracollo non giustificano la scelta dell’imprenditore di ricercare e fare ricorso ad ulteriori canali di finanziamento a carattere illecito, che, indebitando ulteriormente l’impresa, lo espongano a pressanti ed altrettanto illecite pretese, per tacitare le quali sia poi indotto ad effettuare pagamenti preferenziali non consentiti dalla legge e certamente non giustificabili per la causazione volontaria, ad opera dell’imprenditore medesimo, della situazione che il pericolo ha generato e del pericolo, sin dall’inizio della intera operazione, cui ha esposto le ragioni degli altri creditori.
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Il 28 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.49148 in tema di delitto di tratta di persone, onde la situazione di necessità di cui all’art. 601, 1° comma, c.p. coincide con la «posizione di vulnerabilità» di cui alla direttiva comunitaria 2012/29/Ue e al d.leg. n. 24 del 2014 e deve essere intesa come qualsiasi situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale della persona offesa, idonea a condizionarne la volontà personale e che non consente altra scelta effettiva di vita, se non cedere all’abuso di cui è vittima e non è, pertanto, identificabile nello stato di necessità, cui fa riferimento l’art. 54 c.p., ma va correlata, piuttosto, alla nozione di «stato di bisogno» di cui all’art. 644, 5° comma, n. 3, c.p., dettato in tema di usura aggravata.
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Il 17 giugno esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.16155 onde, in tema di sanzioni amministrative, l’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 4 l. n. 689 del 1981, in applicazione degli art. 54 e 59 c.p., presuppone la sussistenza di un’effettiva situazione di pericolo imminente di un grave danno alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea convinzione, provocata da concrete circostanze oggettive, di trovarsi in tale situazione.
Il Collegio nel caso di specie conferma la sentenza di merito che ha negato la sussistenza dello stato di necessità invocato sulla base del mero convincimento soggettivo da parte del trasgressore che la madre versasse in condizioni di pericolo.
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Il 16 ottobre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.2241 alla cui stregua, in tema di cause di giustificazione, l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.
Nel caso di specie la Corte – in relazione all’omicidio colposo commesso dall’imputato mentre, in automobile, trasportava la moglie in ospedale, causandone la morte in un incidente stradale per la velocità tenuta – ha assunto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva riconosciuto la scriminante putativa dello stato di necessità avendo la vittima iniziato il travaglio del parto con una complicanza per la quale i medici avevano raccomandato l’immediato ricovero.
2020
Il 27 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.10694 alla cui stregua l’abusiva occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo
Ne consegue per la Corte che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa.
Più nel dettaglio la sentenza impugnata – per la Corte – ha riconosciuto la scriminante dello stato di necessità senza evidenziare alcuno degli elementi riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte medesima come necessari per la configurazione della scriminante ridetta.
Premesso che nel caso in esame non si verte in materia di edilizia residenziale pubblica, trattandosi, invece, dell’occupazione di una villetta sottoposta a custodia in un procedimento di esecuzione immobiliare, deve, comunque, rilevarsi per il Collegio che, secondo la consolidata e condivisibile giurisprudenza della Corte di legittimità, l’illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., sempre che ricorrano, però, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo (Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, Sottoferro e altri, Rv. 253035), elementi in alcun modo evidenziati nella sentenza impugnata, se non con un generico riferimento alli “esigenza di un alloggio” da parte del R. e della T..
In tal modo – prosegue il Collegio – la sentenza impugnata non si è conformata alla giurisprudenza della Corte che, nel riconoscere un’interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona, mediante l’inclusione dei diritti inviolabili, impone, però, una più attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione della esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità ed della inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate (Sez. 2, n. 24290 del 19/03/2003, PG in proc. Bocchino, Rv. 225447) ed ha, altresì, evidenziato che lo stato di necessità può essere invocato solo per fronteggiare un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa (Sez. 2, n. 9655 del 16/01/2015, Cannalire, Rv. 263296).
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L’11 maggio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.14407, in tema di evasione dalla detenzione domiciliare alla cui stregua, a mente dell’art. 54 cod. pen., la causa di giustificazione dello “stato di necessità” postula la sussistenza di una situazione di pericolo di danno grave alla persona per evitare il quale non possa ricorrersi ad altro mezzo che all’azione illecita: deve dunque trattarsi d’una necessità assoluta che, nell’incombenza del pericolo, costringa inevitabilmente l’agente all’anzidetta azione, quale unica via di salvezza per la propria o l’altrui persona.
A tali coordinate ermeneutiche – precisa il Collegio – si è orientata nel caso di specie la Corte territoriale nell’escludere la ravvisabilità dell’invocata scriminante dello stato di necessità, là dove ha evidenziato come la decisione dell’imputato di abbandonare il domicilio coatto non dipese dall’esigenza insuperabile di scongiurare il pericolo di un danno grave alla persona, non potendosi una situazione siffatta ravvisare nella mera esigenza di spostare l’auto che la convivente non era in grado di guidare personalmente a causa del relativo stato di gravidanza, così da liberare il passo del veicolo di un terzo.
Risulta di tutta evidenza come l’intervento dell’imputato fosse volto a risolvere un banale problema di viabilità, di per sé avulso da rischi per l’incolumità personale o la vita dell’agente o di terzi, per di più ovviabile anche da parte di altra persona.
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Il 9 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 35024 che richiama il consolidato orientamento secondo cui ai fini della configurazione della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p., nel concetto di “danno grave alla persona”, in armonia con quanto stabilito dall’art. 2 della Costituzione, possano farsi rientrare anche alcune situazioni che minacciano solo indirettamente l’integrità fisica dell’agente, ovvero che, ancor più in generale, attentano alla complessa sfera dei beni attinenti alla personalità morale di esso, tra le quali ben possono rientrare anche quelle connesse all’esigenza di ottenere un alloggio, ovvero di soddisfare uno dei bisogni primari della persona, nel rispetto dei principi costituzionali che riguardano i diritti fondamentali della persona umana.
Tale interpretazione estensiva del concetto di “danno grave alla persona”, mediante l’inclusione dei diritti inviolabili, impone, tuttavia, una attenta e penetrante indagine, diretta a circoscrivere la sfera di azione della causa di giustificazione ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità della condotta antigiuridica e della inevitabilità del pericolo, tenuto anche conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate.
In particolare, l’occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari può essere scriminata ex art. 54 c.p. solo in presenza del pericolo attuale di un danno grave alla persona, non coincidendo la predetta causa di giustificazione dello stato di necessità con l’esigenza dell’agente di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi: ne deriva che l’abusiva occupazione di un bene immobile può risultare scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo, e quindi che la causa di giustificazione de qua può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva le proprie esigenze abitative.
Naturalmente, quanto all’onere probatorio, anche per questa causa di giustificazione vale la regola dettata in generale dall’art. 530, comma 3, c.p.p., a norma del quale, se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione, ovvero vi è dubbio sull’esistenza di essa, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione: l’imputato è, pertanto, gravato da un mero onere di allegazione, soddisfatto il quale, l’onere della prova “negativa” quanto alla configurabilità della causa di giustificazione (la cui configurabilità sia stata specificamente allegata dall’imputato) incombe, secondo i principi generali, sulla pubblica accusa.
Questioni intriganti
Cosa occorre rammentare in generale sullo stato di necessità?
- si tratta dell’ultima scriminante “tipica” prevista dal codice penale e, dunque, di una scriminante “limite” o “di chiusura”;
- occorre che il fatto sia commesso dal soggetto agente “sotto costrizione”;
- deve esservi stato “costretto” dalla necessità di salvare sé o un terzo;
- il salvataggio deve essere avvenuto siccome costretto dal pericolo attuale di un danno grave alla persona;
- il pericolo oggetto di salvataggio non deve essere stato volontariamente causato dal soggetto agente, né deve essere stato altrimenti evitabile;
- infine, il fatto (criminoso) commesso deve essere proporzionato al pericolo dal quale il soggetto agente salva la persona propria o quella del terzo;
- a differenza di quanto accade nella legittima difesa (art.52 c.p.), è previsto per chi subisce un fatto inadempimento reato commesso dal soggetto agente in stato di necessità un equo indennizzo di natura civile (liberamente valutato dal giudice), ai sensi e per gli effetti di cui all’art.2045 c.c.: chi subisce l’azione criminosa vede infatti vulnerato un proprio interesse giuridicamente rilevante senza aver partecipato alla creazione del pericolo dal quale il soggetto agente in stato di necessità è costretto a salvarsi (a differenza, per l’appunto, della fattispecie di legittima difesa),
- quanto alla natura dello “stato di necessità”, si contendono il campo varie tesi: h.1) si tratta di una causa di giustificazione: è la tesi “oggettiva” abbracciata dal codice penale, che esclude la punizione sulla scorta della (per l’appunto) oggettiva comparazione degli interessi in gioco, vale a dire quello sacrificato di chi subisce il fatto inadempimento reato e quello “salvato” del soggetto agente o del terzo protetto; che il nostro Legislatore penale abbia fatto una scelta di natura fondamentalmente “oggettiva” deriva tanto dal fatto che lo stato di necessità scatta anche quando si soccorra un terzo (con evidente scemare della prospettiva, tipicamente individualistica, della “inesigibilità”), quanto dalla circostanza onde, ai sensi dell’art.59 c.p., le scriminanti vengono imputate al soggetto attivo secondo un canone rigorosamente “oggettivo”; h.2) si tratta di una c.d. “scusante”; è la tesi soggettiva abbracciata in altri sistemi giuridici, laddove campeggia il concetto di inesigibilità da parte del soggetto agente di una condotta diversa da quella in concreto tenuta e compendiante un fatto inadempimento reato; h.3) si tratta, in modo ancipite, di una causa di giustificazione e di una scusante; su questo crinale, si valorizzano tanto gli elementi oggettivi quanto quelli soggettivi che impongono, nelle fattispecie di costrizione per necessità, di non punire il soggetto agente al cospetto di una condotta soggettivamente inesigibile e per giunta orientata al presidio di un interesse che deve prevalere su quello – sacrificato – della vittima del commesso reato;
- in tema di “limiti” allo stato di necessità, vi sono settori – oggetto di ampia ed autonoma disciplina – nel cui contesto la dottrina assume tale scriminante non operativa; è il caso: i.1) dell’attività medico chirurgica: non è ammesso, invocando lo stato di necessità, operare un trapianto (non autorizzato) dal soggetto X per la necessità di salvare il soggetto Y; i.2) dell’attività pubblicistica, e segnatamente in ambito processuale: non è ammesso, invocando lo stato di necessità, ricorrere alla violenza inquisitoria nei confronti del soggetto X per scongiurare la protrazione di (anche) gravi reati da parte di chicchessia;
- non mancano circostanze in cui lo stato di necessità affiora dall’esigenza di risolvere un c.d. conflitto di doveri gravante in capo al soggetto agente: in sostanza, questi si trova dinanzi a due o più doveri giuridicamente rilevanti da adempiere, il seguito dato ad uno di essi implicando giocoforza l’inosservanza dell’altro o degli altri; si profila talvolta – massime in ambito medico – una vera e propria “scelta tragica”, come nel caso di richiesta contemporanea di mezzi terapeutici (macchinari per rianimazione; organi da trapiantare) da parte di uno o più pazienti, particolarmente significativa in presenza di epidemie o pandemie: in questi casi, secondo la dottrina più accreditata, il criterio da seguire è quello della maggiore idoneità clinica al singolo trattamento (ventilazione; rianimazione; trapianto: solo in questo prisma potrebbe essere significativa l’età) e, in caso di pari idoneità clinica, quello della maggiore urgenza ovvero, ancora, della priorità temporale della pertinente richiesta da parte del paziente.
Cosa si intende per “situazione necessitante” e cosa occorre rammentare in proposito?
- essa rileva sul crinale c.d. “strutturale” dello stato di necessità;
- si compendia nel pericolo di un danno grave alla persona;
- poiché qui il fatto inadempimento reato scriminato ha come vittima non già qualcuno che ha aggredito il soggetto agente, quanto piuttosto un terzo (“innocente”), il pericolo può concernere solo diritti di tipo “personale” e dunque può solo avere ad oggetto un danno grave “alla persona”, e non anche beni o comunque diritti meramente patrimoniali;
- rientrano certamente nei diritti personali che – se trovantisi in pericolo – giustificano l’azione criminosa del soggetto agente in stato di necessità tanto la vita quanto l’integrità fisica;
- secondo una tendenza più recente della dottrina e della giurisprudenza vi rientrerebbero anche diritti “personali” connessi all’onore, alla riservatezza, alla libertà sessuale;
- talvolta anche una potenziale compromissione, quand’anche meramente strumentale ed indiretta, del diritto alla salute (o di altri diritti inviolabili della persona) può giustificare l’invocazione dell’art.54 c.p., come – stando alla giurisprudenza meno remota – sovente accade in tema di esigenze economiche, specie se connesse all’abitazione, con riguardo a reati come l’occupazione abusiva di immobili altrui;
- la “situazione necessitante”, e dunque il pericolo di un danno grave alla persona, può anche concernere un soggetto terzo, diverso dal soggetto agente con modalità criminose: si parla in proposito di c.d. soccorso di necessità; in simili evenienze, la scriminante opera solo se non sia configurabile un autonomo obbligo di soccorso ex art.593 c.p. (in tal caso, potendo scattare la diversa scriminante dell’adempimento del dovere ex art.51 c.p.); stando poi ad una tradizionale opzione dottrinale che valorizza il requisito della “costrizione” (“…costretto dalla necessità di salvare sé o altri…”), il c.d. “intervento soccorritore” a beneficio di un terzo non è sempre ammesso, presupponendo esso che tra il soggetto agente con modalità criminose ed il terzo soccorso si configuri un peculiare rapporto di tipo personale e soggettivo (come nel caso di parenti, affini o comunque familiari), ed al di fuori di queste ipotesi ammettendosi l’operatività della scriminante dello stato di necessità solo allorché – sul crinale oggettivo – si debba presidiare (giusta azione criminosa non punibile) un interesse di gran lunga superiore a quello che, nel medesimo tempo, viene sacrificato con contegno penalmente rilevante; altro problema che concerne il c.d. soccorso di necessità è l’eventuale difetto di consenso al soccorso da parte del terzo in pericolo, come sovente accade quando occorra trattare, con finalità riabilitative o curative, un tossicodipendente che si trovi presso una comunità terapeutica prefiggentesi tali fini, ovvero quanto occorra alimentare detenuti che abbiano deciso di abbandonarsi ad uno sciopero della fame: da questo punto di vista, si assume normalmente irrilevante il consenso della vittima allorché a rischio (e, dunque, oggetto del pericolo di cui alla “situazione necessitante”) siano pertinenti diritti indisponibili, massime allorché si configuri contemporaneamente una posizione di garanzia ex art.40, comma 2, c.p. – e dunque un obbligo di impedire l’evento sfavorevole – in capo al soggetto agente;
- occorre reagire ad un pericolo “attuale”: un pericolo solo potenziale o comunque futuro può essere contraddetto con strumenti leciti (se del caso, messi a disposizione dalle Istituzioni), senza commettere un reato e, come tale, non scrimina, in misura equivalente a quanto accade nella legittima difesa ex art.52 c.p.; peraltro, poiché l’obiettivo è quello di scongiurare un vulnus a diritti di natura personale, talvolta se non si agisce con sufficiente anticipo la situazione diviene irrimediabile, onde l’attualità del pericolo va declinata anche sotto questo profilo, ammettendosi in talune ipotesi la scriminabilità di condotte criminose orientate appunto a scongiurare il precipitare della situazione per la propria o per l’altrui persona;
- se il pericolo che caratterizza la “situazione necessitante” giunge da un animale, o comunque da una forza naturale, nulla quaestio; se esso giunge da un essere umano, “aggressore” occorre distinguere: i.1) si reagisce contro l’aggressore: se chi è posto in pericolo è l’aggredito, ed è questi a reagire, si tratta in realtà di legittima difesa; i.2) si reagisce contro un terzo diverso dall’aggressore: si configura lo stato di necessità;
- il pericolo ridetto deve poi essere non volontariamente causato dal soggetto agente che lo invoca in senso scriminante (“da lui”); su questo crinale, la dottrina è univoca nel ritenere come la non volontarietà si riferisca solo alla situazione della quale la minaccia di danno alla persona affiora come immediato e diretto precipitato, senza che possa pretendersi la non volontarietà, del pari, di situazioni (assai) anteriori nel tempo; in sostanza, non può escludersi l’applicazione dell’art.54 in presenza di una eventuale, “remota interferenza” della volontà dell’agente sul processo eziologico che ha condotto al pericolo cui si intende reagire, dovendosi scrupolosamente osservare il canone della c.d. “causalità efficiente”; più problematica è invece la fattispecie allorché il pericolo sia da attribuirsi ad un contegno colposo di chi vi reagisce; si giustappongono sul punto due tesi: j.1) l’avverbio “volontariamente” fa pensare ad ipotesi di pericolo quale “evento” cagionato con dolo, quanto meno eventuale (tesi recessiva); j.2) se ci si riferisce alla “condotta”, anche quella colposa ingenerante pericolo è, ex art.42 c.p., cosciente e volontaria, seppure – per l’appunto – colposa, onde è “volontariamente” causato anche un pericolo che sia scaturigine di un contegno colposo del soggetto agente che invoca la scriminante, come affiora anche dalla più generale ratio “restrittiva” del limite all’operatività della scriminante medesima, il cui scopo è quello di limitare l’aggressione ad interessi altrui per difendere la propria persona;
- allorché il pericolo di un danno grave alla persona sia stato volontariamente causato non già dal soggetto agente che invoca la scriminante (non, dunque, “da lui” ex art.54 c.p.) quanto piuttosto dal terzo soccorso, si contendono il campo 2 diverse tesi in dottrina: k.1) la scriminante opera in ogni caso, stante appunto il palmare tenore testuale dell’art.54 c.p. onde solo dal soggetto agente che commette un fatto inadempimento reato il pericolo attuale di un danno alla persona (del terzo) “non deve essere stato volontariamente causato”; k.2) la scriminante non opera, dacché proprio sulla scorta della “proporzione tra sacrifici”, non si può far soccombere l’interesse giuridicamente rilevante di una vittima innocente rispetto a quello di chi ha cagionato un pericolo attuale di danno alla propria persona ed invoca il soccorso di necessità;
- secondo parte minoritaria della dottrina, anche la c.d. “inevitabilità altrimenti” del pericolo rientra nella sfera strutturale della c.d. “situazione necessitante”; non manca chi invece, maggioritariamente, la riconduce alla c.d. azione lesiva necessitata.
Cosa si intende per “azione lesiva necessitata” e cosa occorre rammentare in proposito?
- anch’essa rileva sul crinale c.d. “strutturale” dello stato di necessità;
- si compendia nell’azione criminosa “necessitata” perché imposta dal pericolo al quale il soggetto agente intende reagire al fine di fronteggiarlo e così scongiurare un danno grave alla persona propria o altrui;
- la dottrina più accreditata vi annette la c.d. “inevitabilità altrimenti” del pericolo attuale di danno grave alla persona che si intende scongiurare, dacché in opposta ipotesi esso potrebbe dribblarsi operando, per l’appunto, “altrimenti” piuttosto che commettendo reato, onde la pertinente azione lesiva appare in ultima analisi, in simili fattispecie, “non necessitata”;
- la scriminante opera allora – conformemente alla rigorosa giurisprudenza sul punto – solo allorché il soggetto agente non abbia altra alternativa rispetto alla commissione del reato per il quale invoca la scriminante medesima, stante la cogenza e la indilazionabilità della cornice fattuale che fa da sfondo alla concreta vicenda di pertinenza;
- in sostanza, avviluppata in modo talvolta inestricabile tanto alla costrizione quanto alla necessità dell’azione lesiva – che appartengono alla c.d. “situazione necessitante” – si colloca proprio l’azione lesiva necessitata nella relativa foggia di inevitabilità altrimenti: si può ricorrere da parte del soggetto agente ad un comportamento criminoso scriminato solo allorché non vi siano alternative lecite o, in ogni caso, meno dannose rispetto a quella scaturente dalla commissione del reato che si pretende di scriminare; tra queste alternative, per la dottrina più accreditata, vi è anche la fuga, che è dunque preferibile alla commissione del reato facendolo assumere “non necessitato”, esclusa la sola ipotesi in cui la ridetta fuga sia idonea ad esporre il soggetto agente o il terzo “soccorso” ad un pregiudizio maggiore rispetto a quello indotto nella vittima del reato “scriminando”.
Cosa occorre rammentare in tema di “proporzione”?
- è una relazione che deve necessariamente intercorrere, a fini scriminanti, tra pericolo che si intende fronteggiare e fatto criminoso che occorre per annullarlo;
- il pericolo deve necessariamente investire un diritto personale (a differenza di quanto accade nella legittima difesa, dove si può reagire anche all’aggressione perpetrata nei confronti di beni patrimoniali), onde la reazione criminosa deve essere giocoforza proporzionata in ottica di prevalenza – o quanto meno di equivalenza – tra bene (personale) minacciato e bene aggredito;
- ciò – sul crinale statico – anche allorché l’interesse conculcato con il reato che si pretende di scriminare sia anch’esso di natura personale, onde non è ammesso uccidere più persone per salvare una sola vita, ovvero uccidere una persona (e, dunque, conculcarne l’interesse alla vita) per difendere l’onore dell’aggredito (e, dunque, salvaguardare un interesse personale di minor rango);
- non è mancato, nondimeno, chi ha assunto semplicistico un mero confronto tra interessi siccome “staticamente” inteso, proponendo di integrare il rapporto di proporzione con un profilo dinamico che tenga conto dei rischi corsi da ciascuno degli interessi di volta in volta considerati, sulla scorta di un accertamento da operare ponendosi ex ante; in sostanza, secondo questa più complessa prospettiva, abbracciata da parte della dottrina, un giudizio “completo” di proporzione deve tenere conto in modo globale del “fatto”, verificando il concreto disvalore dell’azione compiuta, i mezzi utilizzati, gli interessi coinvolti, il grado di pericolo che li ha minacciati e così via; su questo crinale, può essere assunto proporzionato un crimine orientato ad evitare una probabilissima e più o meno certa lesione personale, quand’anche crei un irrilevante pericolo per la vita o l’integrità fisica del soggetto aggredito;
- proprio la circostanza che il pericolo non deve essere altrimenti evitabile spiega, a livello di ratio, perché la scriminante dello stato di necessità non si applichi a chi “lavora” nel pericolo e, dunque, a chi ha un particolare dovere di esporsi al pericolo stesso, come nel caso – in ambito privato – di guide alpine o bagnini, o in ambito pubblico, di vigili del fuoco, di militari in genere, di comandanti di navi e aeromobili e così via; tali soggetti non possono aggredire interessi altrui commettendo un fatto inadempimento reato per salvare la propria persona da un pericolo che rientra nella propria attività ordinaria, a meno che si tratti di un pericolo diverso da quello che sono “istituzionalmente” tenuti, ciascuno, a fronteggiare, ovvero si tratti di salvaguardare un interesse personale proprio molto superiore all’interesse conculcato giusta condotta criminosa che si assume scriminata; l’art.54 c.p. si assume invece operante anche per queste categorie di soggetti allorché il fatto inadempimento reato venga (da essi) commesso non già per proteggere propri interessi personali, quanto piuttosto per salvaguardare interessi personali di un terzo e, dunque, nelle fattispecie di c.d. soccorso di necessità. Un fattispecie peculiare è quella in cui è un terzo ad intervenire per soccorrere chi sia istituzionalmente esposto ad un pericolo, giustapponendosi 2 tesi: e.1) la condotta del terzo non può assumersi scriminata, per la stessa ragione per la quale non potrebbe assumersi scriminata quella del soggetto “soccorso”, che ha un particolare dovere di esporsi a pericolo, circostanza capace di sottrarre forza scriminante al reato commesso dal soccorritore per “salvarlo” da quel pericolo; 2) la condotta del terzo può assumersi scriminata, in quanto egli non ha un particolare dovere di esporsi al pericolo e può intervenire “a difesa” di chi ha quel dovere, anche a costo di ledere interessi “altri”, seppure sempre in un quadro di indefettibile proporzionalità tra gli interessi, rispettivamente, (personale) salvato e altrui sacrificato; chi abbraccia questa opzione ermeneutica, coerentemente ammette che possa essere scriminato il reato di chi intervenga per “salvare” un terzo che ha cagionato un pericolo alla propria persona, ravvisando identità di ratio tra il cagionare il ridetto pericolo ed il dovere di esporvisi.
Cosa accade quando lo stato di necessità è stato determinato dall’altrui minaccia?
- si versa nelle tradizionali ipotesi di costringimento psichico o coazione morale determinata per l’appunto dall’altrui minaccia, che fa paventare un pericolo di danno grave alla persona;
- si è al cospetto di una forma di concorso di persone che vede punito del reato commesso solo chi ha posto in essere la minaccia (peraltro, in concorso con l’art.611 c.p., che punisce proprio la violenza o minaccia esercitata per costringere il minacciato a commettere un reato); non già anche il pertinente autore materiale, ovvero il soggetto minacciato che ha posto in essere la fattispecie criminosa sotto coazione morale del minacciante, il quale beneficia invece della scriminante di cui all’art.54 c.p.;
- la scriminante ridetta (o, secondo una diversa tesi, la “scusante”) opera peraltro sempre che la minaccia non sia evitabile con mezzi leciti, primo fra tutti il ricorso all’Autorità.
E’ possibile applicare analogicamente “in bonam partem” l’art.54 c.p. e se si, in quali fattispecie?
- l’analogia opera in bonam partem solo se la norma da estendere analogicamente ha delle maglie “aperte” che, sul crinale strutturale, consentono tale estensione;
- nel caso dello stato di necessità, laddove il pericolo investa interessi patrimoniali del soggetto agente, l’estensione analogica non è ammessa ex se, operando l’art.54 c.p. solo in presenza di diritti ed interessi “personali” o, addirittura, “personalissimi” sotto attacco, che si ha la “necessità” di difendere;
- quando tuttavia si parla di pericolo di “danno grave alla persona” il concetto può essere: c.1) conchiuso ed inteso in senso assai restrittivo (danno grave alla vita, all’integrità psico fisica e così via); c.2) più esteso, ricomprendendo anche il danno grave ad interessi di natura morale, sempre legati alla persona (danno grave all’onore e così via); c.3) decisamente più “allargato”, avvincendo anche interessi patrimoniali così rilevanti da essere intimamente connessi alla persona ed alla dignità che essa esprime (danno grave alla “persona” intesa come soggetto che deve godere di un livello patrimoniale “basic” al di sotto del quale viene svilito il concetto stesso, per l’appunto, di “persona”): su quest’ultimo crinale, particolarmente rilevante si è palesato in dottrina e giurisprudenza tutto quanto gravita attorno all’esigenza abitativa e, dunque, alla necessità di poter fruire di un alloggio, di un “tetto” sotto il quale vivere da soli o con la propria famiglia o con i propri affetti, laddove il “patrimonio” appare strettamente avvinto alla “persona” di chi deve fruirne;
- proprio con riguardo alle fattispecie di esigenza abitativa e di connesso “stato di bisogno economico abitativo”, si è posto il problema di verificare se sia analogicamente applicabile l’art.54 c.p. a fattispecie contravvenzionali in materia edilizia ovvero delittuose contro il patrimonio (tipico il caso della invasione od occupazione di terreni o edifici altrui);
- su questo crinale, in una prima fase si registra in giurisprudenza una duplice presa di posizione: e.1) nella giurisprudenza di merito si registra una maggiore propensione ad applicare la scriminante dello stato di necessità anche ad ipotesi di bisogno economico abitativo; e.2) nella giurisprudenza della Cassazione, si registra all’opposto un orientamento più rigorista orientato a maggior valorizzazione, in senso restrittivo, del pericolo di “danno grave alla persona”, massime con riguarda al requisito dell’attualità del ridetto pericolo e al requisito della c.d. inevitabilità-altrimenti del pericolo stesso (pur non mancando più recenti aperture intese a maggiormente valorizzare le esigenze abitative in ottica scriminante);
- successivamente, anche sulla base delle sollecitazioni della dottrina, finiscono per fronteggiarsi due opposte opzioni ermeneutiche: f.1) quella più rigorista, che assume applicabile l’art.54 c.p. solo allorché il pericolo attuale di danno grave investa interessi personalissimi; lo dimostrerebbe l’art.384 c.p. e la causa di non punibilità ivi prevista in tema di reati contro l’amministrazione della giustizia che, proprio laddove attribuisce esplicita rilevanza ad interessi personali “altri” come libertà ed onore, trova senso solo se tali beni (per giunta, ex se strettamente personali e non patrimoniali) siano al di fuori dell’usbergo precettivo di cui all’art.54 c.p. (tesi più remota e ormai recessiva); f.2) quella più garantista, tesa ad allargare l’ambito di operatività dell’art.54 c.p. proprio in forza della pertinente “generalizzazione” che la contraddistingue, al cospetto di un pericolo attuale ed inevitabile e purché vi sia proporzione tra interesse sacrificato e interesse salvaguardato da chi invoca la scriminante; trattasi peraltro di requisiti non menzionati dall’art.384 c.p.,che presenta un ben più ristretto ambito di applicazione coinvolgendo solo la commissione di taluni delitti contro l’amministrazione della giustizia e scattando solo in presenza della necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto (non, dunque, qualunque terzo) da un nocumento grave nella libertà e nell’onore; per giunta, è lo stesso art.2 della Costituzione, laddove prevede il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo inteso come “persona”, ad imporre un allargamento della operatività dell’art.54 c.p., anche nell’ottica del c.d. dovere di solidarietà del pari ivi inscritto, da leggersi in combinato disposto con il principio di eguaglianza sostanziale e di connesso “sviluppo della persona umana” di cui all’art.3, comma 2, Cost.; all’espansione del concetto di “danno alla persona” che ne risulta fa tuttavia da contraltare, in giurisprudenza, il maggior rigore con il quale vengono accertati e valutati il requisito della necessità e quello della c.d. “inevitabilità altrimenti”, anche al fine di leggere l’art.54 c.p. in modo costituzionalmente coerente con la tutela della proprietà privata di cui all’art.42 Cost. (tesi più recente ed ormai prevalente);
- dottrina più realista e “concreta” – nel porsi alla ricerca di soluzioni alternative (rispetto alla commissione del reato che si pretenderebbe scriminato) “davvero” percorribili da parte del soggetto agente e capaci di “realmente” sterilizzare il pericolo che quegli intende fronteggiare – ha criticato proprio l’atteggiamento particolarmente rigoroso della giurisprudenza in tema di accertamento del requisito della “inevitabilità altrimenti”, sovente apoditticamente escluso facendo appello alla possibilità di ricorrere agli strumenti del c.d. welfare state, quando non addirittura a parenti ed amici; in un prisma ermeneutico maggiormente garantista, può piuttosto assumersi “davvero altrimenti evitabile” il pericolo solo quando il bene o interesse che ne subisce la minaccia abbia una praticabile alternativa che gli garantisca identiche chance di soddisfazione (o tutela) rispetto a quelle ritraibili dalla condotta criminosa che si pretende di scriminare; allorché dunque non vi sia pari efficacia – in ottica di tutela dell’interesse in pericolo – tra l’alternativa lecita (meno efficace) e quella illecita scriminanda ex art.54 c.p. (più efficace), occorre una maggiore flessibilità nel valutare il requisito della c.d. inevitabilità altrimenti, che va fatto oggetto di uno scandaglio a carattere “relativo” e non “assoluto”, nella sostanza riconducibile al concetto di “proporzione” (tipico della legittima difesa);
- tanto più rilevante, ad esempio, è il bene del terzo compromesso – anche in rapporto alla gravità del fatto inadempimento reato commesso ed alla minor rilevanza del bene che si intende salvaguardare dal pericolo – tanto più rigido deve atteggiarsi il criterio di concreta valutazione della c.d. “inevitabilità altrimenti” ridetta; scendendo dal generale al particolare, in quest’ottica una costruzione abusiva eretta da chi magari ha anche, seppure in modo non immediato, altre chance abitative in una zona che risulti sottoposta a vincolo paesaggistico (e, dunque, pregnantemente tutelata) richiede una valutazione assai rigorosa del requisito ridetto; circostanza non parimenti predicabile – all’opposto – per chi realizzi una baracca abusiva in una zona (da tempo) degradata della città, magari già oggetto di per sé di diffuso abusivismo edilizio ad opera di terzi (contegno a scarsa portata offensiva), per scongiurare il pericolo che derivi a sé e ai propri familiari minori (titolari, come tali, di pregnanti interessi “personali”) dalla pressante esigenza abitativa in modo più rapido ed efficace rispetto all’avviare la procedura di richiesta in assegnazione di alloggio di edilizia economica e popolare (condotta alternativa lecita, ma più farraginosa e ragionevolmente meno efficace).