Massima
Temperie particolarmente difficili perché attraversate da contingenze e necessità del tutto inattese – come nel caso di una emergenza epidemiologica globale – possono produrre precipue ricadute in termini contrattuali, consentendo in specie a chi si trovi in una situazione di “forza” di approfittare della (per lui) favorevole congiuntura onde concludere contratti vincolando la controparte a stipulare (prestando il consenso) quando altrimenti non lo avrebbe fatto, ovvero a contrarre promettendo o erogando prestazioni tutt’affatto sproporzionate rispetto a quelle promesse o erogate, in regime di sinallagma, dal contraente che se ne avvantaggia; sono le fattispecie – che, con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, lambiscono (quando non investono) il fenomeno usurario – in cui può assumere rilievo la rescindibilità quale vizio genetico del contratto, siccome avvinto ad una situazione di emergenza della quale un soggetto approfitta a scapito di un altro, che ne risulta psicologicamente condizionato.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Il 20 marzo viene varata la legge n.2248 per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, secondo il cui all.F, art.340, l’Amministrazione appaltante e’ in diritto di rescindere il contratto, quando l’appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza, e contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate (comma 1).
In questi casi l’appaltatore avrà ragione soltanto al pagamento dei lavori eseguiti regolarmente, e sarà passibile del danno che provenisse all’Amministrazione dalla stipulazione di un nuovo contratto, o dalla esecuzione d’ufficio.
Si tratta di un potere di autotutela attribuito alla PA appaltante che corrisponde – piuttosto che ad una ”rescissione” secondo l’accezione giuridica che ne invarrà in ambito civilistico “puro” – ad una sorta di reazione unilaterale all’inadempimento della parte privata appaltatrice.
* * *
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, che – in un ambito storico economico nel quale campeggia, con foggia di “dogma”, la volontà dei contraenti – non si occupa della c.d. “ingiustizia” del contratto e, dunque, non disciplina la rescissione del contratto in via generale, ma – sulla scia del sistema romanistico – solo con riferimento specifico alla compravendita di immobili, ai sensi degli articoli 1529 e seguenti.
Che le fattispecie di rescissione siano tipiche discende già dalla disciplina degli articoli 1300-1311, dedicate alle azioni di nullità e, per l’appunto, di “rescissione” del contratto, ed in particolare dall’art.1308 alla cui stregua l’azione di rescissione per causa di lesione non si può proporre, ancorché si tratti di minori, se non nei casi e sotto le condizioni specialmente espressi nella legge (comma 1); tale azione – che “dura per 5 anni” se la legge non prevede un più breve periodo per esercitarle (art.1300, comma 1) – nei casi in cui è ammessa, non produce effetto a danno dei terzi che abbiano acquistato diritti sugli immobili anteriormente alla trascrizione della domanda di rescissione medesima (comma 2).
Con particolare riguardo alla fattispecie “tipica” di compravendita, ai sensi del ridetto art.1529 il venditore che sia stato leso oltre la metà nel giusto prezzo di un immobile ha il diritto di chiedere la rescissione della pertinente vendita, quand’anche nel contratto abbia rinunciato alla facoltà di domandare tale rescissione dichiarando di donare il di più del valore.
Stando poi al successivo art.1530, per conoscere se vi è lesione oltre la metà occorre stimare l’immobile secondo il relativo stato e valore al tempo della vendita.
La domanda non è più ammessa spirati 2 anni dal giorno della vendita in parola (art.1531, comma 1); la prova della lesione non può peraltro essere ammessa che nel caso in cui i fatti denunziati siano “bastantemente verisimili” da far presumere la lesione medesima (art.1532). La prova del valore si fa mediante perizia e la prova testimoniale non può essere ammessa se non per stabilire circostanze di fatto che la perizia non ha potuto definire (art.1533).
Ai sensi dell’art.1534, laddove l’azione di rescissione venga ammessa, il compratore ha la scelta di o di restituire la cosa acquistata o di ritenerla pagando il supplemento al giusto prezzo (e dunque, in sostanza, riconducendo il contratto ad equità). Qualora prescelga di ritenere la cosa, il compratore è poi tenuto agli interessi del supplemento dal giorno della domanda di rescissione (art.1535, comma 1), mentre se sceglie di restituire la cosa medesima e di ritirarne il prezzo, deve i frutti dal giorno della domanda (comma 2); gli interessi del prezzo che egli ha pagato sono a lui parimenti computati dal giorno della domanda, ovvero dal giorno del pagamento se non ha raccolto alcun frutto (comma 3).
L’art.1536 disciplina poi fattispecie in cui la rescissione non opera; essa – più in specie – non opera a favore del compratore (sprigionando dunque effettualità solo a favore del venditore), né opera nelle vendite fatte ai pubblici incanti.
Infine, ai sensi dell’art.1537 le regole dettate per la vendita con patto di riscatto con particolare riguardo alle fattispecie in cui più persone abbiano venduto unitamente o separatamente e a quelle in cui il venditore o il compratore abbia lasciato più eredi, si osservano anche quando si tratta dell’azione di rescissione.
La rescissione – sulla scia della tradizione romanistica – trova una disciplina anche in materia successoria, e precisamente in materia di divisione dell’eredità; più precisamente, alla stregua dell’art.1038, comma 2, essa può avere luogo quando uno dei coeredi provi di essere stato leso nella divisione oltre il quarto; la semplice omissione di un oggetto dell’eredità non dà tuttavia luogo all’azione di rescissione, ma solo ad un supplemento di divisione.
1930
Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, il cui art.644 disciplina una fattispecie di “reato-contratto” molto significativa ratione materiae per il relativo essere strutturalmente connotata da una notevole sproporzione tra le prestazioni divisate dalle parti, massime in tema di contratti di mutuo e di finanziamento, vale a dire l’usura.
Stando a tale norma chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente (circonvenzione di incapace), approfittando dello stato di bisogno di una persona, si fa da questa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurarii, e’ punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire mille a ventimila (comma 1).
Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto preveduto dalla disposizione precedente, procura ad una persona in stato di bisogno una somma di denaro o un’altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sè o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario (comma 2).
Tra gli elementi costitutivi della pertinente fattispecie di reato figura dunque, oltre alla sproporzione tra le prestazioni, l’approfittamento dello stato di bisogno da parte del soggetto attivo ai danni del soggetto passivo.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), che – a differenza del codice abrogato – disciplina la rescissione come istituto di carattere generale capace, come tale, di coinvolgere potenzialmente qualsivoglia contratto (o atto giuridico unilaterale patrimoniale).
Alla stregua dell’art.1447, disciplinante la rescissione per contratto concluso in istato di pericolo, il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata (comma 1); il giudice nel pronunciare la rescissione può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera prestata (comma 2).
Si tratta della versione “contrattuale” dello “stato di necessità” di cui all’art.2045 del medesimo codice e dell’art.54 del c.p.; il pericolo può infatti rendere necessario sul crinale “attivo” compiere atti lesivi di terzi o, sul piano passivo e per l’appunto “contrattuale”, soggiacere a condizioni negoziali inique.
Stando poi al successivo art.1448, che disciplina l’azione generale di rescissione per lesione, se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare per l’appunto (in via generale) la rescissione del contratto (comma 1); l’azione ridetta non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto (comma 2), e sempre che la lesione perduri fino al tempo in cui la domanda è proposta (comma 3).
Come eccezioni alla regola, non possono poi essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori (comma 4), mentre sono comunque salve – in materia successoria – le disposizioni relative alla rescissione della divisione, di cui agli articoli 763 e seguenti.
Alla stregua dell’art.1449 l’azione di rescissione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto; ma se il fatto costituisce reato, si applica l’ultimo comma dell’articolo 2947 e dunque il tempus di prescrizione della ridetta azione segue le sorti diacroniche “più ampie” della prescrizione del pertinente reato (comma 1); la rescindibilità del contratto non può peraltro essere opposta in via di eccezione quando l’azione è prescritta (comma 2). Si tratta di una delle fattispecie in cui il codice, ambiguo sul punto, parla di prescrizione dell’azione e non già del sottostante diritto sostanziale.
Essendo il contratto rescindibile sostanzialmente “iniquo”, il contraente contro il quale è domandata la rescissione (e che se ne è dunque avvantaggiato) può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità, ai sensi dell’art.1450; il contratto rescindibile, sul versante di chi lo ha subito, non può invece essere convalidato (art.1451), come è invece possibile al cospetto di un contatto annullabile.
Per quanto poi concerne la posizione dei terzi sub acquirenti, ai sensi dell’art.1452, la rescissione del contratto non pregiudica i diritti acquistati dai terzi (tanto in buona quanto in mala fede), salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescissione, con un regime in parte diverso rispetto a quello che assiste la simulazione (ivi compresa la simulazione c.d. “relativa”, in cui si fa figurare una controprestazione diversa rispetto a quella realmente divisata dalle parti).
In materia successoria, ai sensi dell’art.763 la divisione può essere rescissa quando taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto (comma 1); detta rescissione è ammessa anche nel caso di divisione fatta dal testatore, quando il valore dei beni assegnati ad alcuno dei coeredi è inferiore di oltre un quarto all’entità della quota ad esso spettante (comma 2); in ogni caso, l’azione pertinente si prescrive in 2 anni dalla divisione.
Significativo, in ottica più generale, l’art.1322 c.c. rubricato “autonomia contrattuale”, secondo il cui comma 1 le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative.
Da rammentare poi come, ai sensi dell’art.1970, la transazione è contratto che non può essere impugnato in rescissione per causa di lesione (potendo invece essere rescisso per stato di pericolo).
Sul crinale del contratto di mutuo, ai sensi dell’art.1815, salvo diversa volonta’ delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante (presunzione di onerosità del mutuo: comma 1); per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’art. 1284, e se sono convenuti interessi usurari (come tali, sproporzionati), la clausola e’ nulla e gli interessi sono dovuti dal mutuatario solo nella misura legale.
Peraltro, laddove si configuri “usura” penalmente rilevante la vittima “svantaggiata”, stante il combinato disposto degli articoli 2059 c.c. e 185 c.p., può ottenere anche il risarcimento del danno c.d. “personale” (non patrimoniale).
1944
Il 23 novembre viene varato il decreto legislativo luogotenenziale n.369 che sopprime l’ordinamento corporativo; ne consegue che tra i limiti posti all’autonomia privata nel forgiare il contenuto di ciascun contratto non vi sono più le “norme corporative”, rimanendovi solo la legge.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana secondo il cui art.41 l’iniziativa economica privata è libera (comma 1), non potendosi nondimeno svolgere in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (comma 2); la legge determina poi i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (comma 3).
Ne discende la necessità di rispettare taluni canoni anche in ambito contrattuale, con particolare riguardo al contenuto di ciascun contratto siccome divisato dalle parti ed al tendenziale equilibrio tra le prestazioni che le parti medesime si obbligano ad eseguire l’una nell’interesse dell’altra.
1959
Il 15 aprile esce la sentenza della Cassazione n.1110, onde va assunta ammissibile una transazione avente ad oggetto un contratto che potrebbe essere rescisso, laddove essa tuttavia non si concretizzi in una mera rinunzia all’azione di rescissione, ma faccia piuttosto luogo ad una definizione della pertinente controversia mediante riconduzione convenzionale ad equità del sotteso rapporto contrattuale.
1960
Il 5 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.3180 alla cui stregua, nel caso di un contratto in cui il prezzo non sia stato determinato al momento della stipulazione ma sia stato fissato in epoca successiva giusta determinazione di un terzo, il termine annuale di prescrizione dell’azione di rescissione per lesione decorre da quel momento successivo, e non già dalla stipulazione del contratto come testualmente previsto dall’art.1449 c.c.
1979
Il 24 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.1227 onde – ai fini dell’ammissibilità dell’azione di rescissione per lesione di un contratto di compravendita – occorre aver riguardo, per accertare l’esistenza della lesione ultra dimidium in danno del venditore, ai prezzi correnti o mediamente ottenibili in una normale contrattazione, sicché è del tutto irrilevante che lo stesso venditore – pressato dalle difficoltà economiche e dall’urgenza di procurarsi denaro – abbia inutilmente offerto in vendita a terzi il bene compravenduto per un prezzo vile, uguale o anche inferiore a quello poi ottenuto dall’altro contraente, a nulla rilevando altresì che quei terzi non abbiano voluto o potuto approfittare dell’offerta in questione.
1982
Il 09 dicembre esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.6723 alla cui stregua, dal punto di vista soggettivo, quando si parla di approfittamento dello stato di bisogno della controparte si deve aver riguardo al consapevole proposito di una parte di avvantaggiarsi, per l’appunto, a danno dell’altra; si tratta per il Collegio di un elemento che non deve essere fatto oggetto di una prova specifica da parte di chi agisce in rescissione, dovendosi ritenere implicito nella consapevolezza (elemento rappresentativo) dello stato di bisogno altrui.
1986
Il 26 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2166 alla cui stregua, ai fini della rescissione del contratto di compravendita per lesione a norma dell’art. 1448 c.c., lo stato di bisogno va riconosciuto allorché il venditore si trovi, anche per cause transitorie, in obiettive difficoltà economiche cagionate da temporanea mancanza di denaro liquido, in quanto aventi riflesso sulla libertà di contrattazione del soggetto e, quindi, suscettibili di determinarlo con rapporto di causa ad effetto, ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla sua prestazione.
1988
Il 03 agosto esce la sentenza della Sezione I della Cassazione n.4807 alla cui stregua perché un contratto sia rescindibile per lesione occorre che lo stato di difficoltà economica della parte svantaggiata abbia spiegato efficacia causale sospingendo il contraente a stipulare a condizioni inique.
Si è dunque al cospetto di quella che (massime in ambito penalistico) viene considerata come “causalità psichica”.
* * *
*Il 06 dicembre esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.6630 alla cui stregua, dal punto di vista soggettivo, quando si parla di approfittamento dello stato di bisogno della controparte si deve aver riguardo al consapevole proposito di una parte di avvantaggiarsi, per l’appunto, a danno dell’altra; si tratta per il Collegio di un elemento che non deve essere fatto oggetto di una prova specifica da parte di chi agisce in rescissione, dovendosi ritenere implicito nella consapevolezza (elemento rappresentativo) dello stato di bisogno altrui.
1989
Il 30 marzo esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.1553 alla cui stregua, dal punto di vista soggettivo, quando si parla di approfittamento dello stato di bisogno della controparte si deve aver riguardo al consapevole proposito di una parte di avvantaggiarsi, per l’appunto, a danno dell’altra; si tratta per il Collegio di un elemento che non deve essere fatto oggetto di una prova specifica da parte di chi agisce in rescissione, dovendosi ritenere implicito nella consapevolezza (elemento rappresentativo) dello stato di bisogno altrui.
Sempre sul crinale della prova in giudizio dei requisiti che legittimano l’azione in rescissione, per il Collegio occorre fare riferimento – in guisa quasi “gerarchica” – ai tre presupposti previsti dal codice civile, onde un valore preminente va attribuito alla sproporzione tra le prestazioni reciproche rispetto da un lato allo stato di bisogno dello svantaggiato e, dall’altro, all’approfittamento di chi si avvantaggia; ciò nel senso onde una volta constatata la ridetta sproporzione tra le prestazioni reciproche – il giudice di merito può ritrarne significativi elementi di presunzione, utilizzabili ai fini del proprio convincimento in ordine ad un consapevole approfittamento per lucro di una parte ai danni dell’altra.
1991
Il 25 maggio esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.5922 alla cui stregua, in tema di riduzione del contratto rescindibile ad equità, ex art.1450 c.c., l’offerta pertinente può consistere anche in una generica dichiarazione della parte legittimata (il contrante avvantaggiato) di voler ricondurre, per l’appunto, il contratto ad equità, con rimessione al giudice della determinazione esatta delle modifiche.
* * *
Il 07 giugno esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.6452 che assume compatibile con la figura del contratto aleatorio l’eventuale insistenza dell’alea su un solo contraente (c.d. aleatorietà unilaterale); la Corte scandaglia una fattispecie di contratto di compravendita in cui – con apposita clausola – le parti hanno stabilito la rivalutazione automatica del prezzo ancora dovuto con riguardo al cambio della lira italiana con una valuta straniera.
Nell’occasione la Corte riafferma anche che, ai sensi dell’art.1448 c.c., ai contratti aleatori non si applica la disciplina della rescissione del contratto.
* * *
Il 05 settembre esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.9374 alla cui stregua – dal punto di vista del fondamento sistematico – la rescissione del contratto va riguardata quale rimedio autonomo rispetto ad altri previsti dal codice civile (e, segnatamente, rispetto all’invalidità del contratto, massime sub specie di annullabilità) compendiandosi in una fattispecie complessa con elementi multipli tutti rilevanti e significativi (stato di pericolo, stato di bisogno, approfittamento di una parte a danno dell’altra, iniquità), senza che possa attribuirsi ad alcuno di essi un rilievo maggiore degli altri (come fa, ad esempio, l’opzione ermeneutica tesa a valorizzare la formazione viziata della volontà di una delle parti).
1992
Il 13 marzo esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.3055 alla cui stregua in presenza di un contratto la cui efficacia sia sottoposta a condizione sospensiva, il termine annuale di prescrizione dell’azione di rescissione non decorre – ex art.1449 c.c. – dalla data della stipulazione di tale contratto ma dal giorno in cui si verifica la condizione.
Tale soluzione si ricava per la Corte dal collegamento tra gli artt. 1447 e 1448 c.c. e la regola generale di cui all’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal momento in cui il pertinente diritto può essere fatto valere.
Vagliando una fattispecie di compravendita sottoposta a condizione sospensiva, la Corte chiarisce che – producendosi l’effetto traslativo del diritto di proprietà sul bene compravenduto solo con l’avveramento della condizione sospensiva ed essendo a tale effetto legata, sul piano eziologico, la concretezza ed attualità di quella lesione patrimoniale che è presupposto di esperibilità medesima del rimedio rescissorio – si deve concludere che solo con il verificarsi della condizione in parola la parte che di detto rimedio intenda avvalersi potrà (concretamente) azionare il proprio diritto e dunque solo dalla data corrispondente inizierà a decorrere il termine di prescrizione dell’azione (di rescissione) pertinente.
* * *
L’8 giugno viene varato il decreto legge n.306, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.
* * *
Il 7 agosto viene varata la legge n.356, che converte in legge con modificazioni il decreto legge n.306 e, con l’inserimento del relativo art.11 quinquies, modifica l’art.644 c.p. in materia di usura, inasprendo le pene e prevedendo, con un nuovo comma 3, che le pene medesime sono aumentate da un terzo alla metà se i fatti di cui ai commi precedenti sono commessi nell’esercizio di un’attività professionale o di intermediazione finanziaria.
Viene contestualmente introdotto nel codice penale un nuovo art.644 bis, prevedendosi la fattispecie penale di usura impropria alla cui stregua chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 644, approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge un’attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari, e’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni (comma 1), alla stessa pena soggiacendo anche chi, fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dal comma precedente, procura ad una persona che svolge un’attività imprenditoriale o professionale e che versa in condizioni di difficoltà economica o finanziaria una somma di denaro o un’altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario (comma 2), con pene inasprite se i fatti criminosi in parola sono commessi, a propria volta, nell’esercizio di un’attività professionale o di intermediazione finanziaria (comma 3).
1994
*Il 28 giugno esce la sentenza della Sezione I della Cassazione n.6204 alla cui stregua, dal punto di vista soggettivo, quando si parla di approfittamento dello stato di bisogno della controparte si deve aver riguardo al consapevole proposito di una parte di avvantaggiarsi, per l’appunto, a danno dell’altra; si tratta per il Collegio di un elemento che non deve essere fatto oggetto di una prova specifica da parte di chi agisce in rescissione, dovendosi ritenere implicito nella consapevolezza (elemento rappresentativo) dello stato di bisogno altrui.
1995
*Il 01 marzo esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.2347 alla cui stregua – dal punto di vista del fondamento sistematico – la rescissione del contratto va riguardata quale rimedio autonomo rispetto ad altri previsti dal codice civile (e, segnatamente, rispetto all’invalidità del contratto, massime sub specie di annullabilità) compendiandosi in una fattispecie complessa con elementi multipli tutti rilevanti e significativi (stato di pericolo, stato di bisogno, approfittamento di una parte a danno dell’altra, iniquità), senza che possa attribuirsi ad alcuno di essi un rilievo maggiore degli altri (come fa, ad esempio, l’opzione ermeneutica tesa a valorizzare la formazione viziata della volontà di una delle parti).
* * *
Il 30 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6050, alla cui stregua la disposizione dell’art. 1449 c.c., per la quale il termine annuale di prescrizione dell’azione di rescissione decorre dalla data di conclusione del pertinente contratto, deve essere coordinata con la regola generale che fa decorrere ogni termine di prescrizione solo dal momento in cui il diritto “prescrivendo” può essere fatto valere (art. 2935 c.c.).
Tale norma non è quindi applicabile ai contratti sottoposti a condizione sospensiva, per i quali il termine annuale di prescrizione dell’azione di rescissione – essendo questa esperibile solo in presenza dei presupposti previsti dall’art. 1447 c.c. (per il contratto concluso in stato di pericolo) e dall’art. 1448 c.c. (per l’ordinaria azione di rescissione) – può farsi decorrere solo dalla data in cui si è verificato l’evento (condizionante) dal quale dipendono gli effetti del contratto e, in specie per la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo, dalla concreta operatività delle condizioni inique che, con l’azione di rescissione, si vogliono rimuovere.
1996
Il 7 marzo viene varata la legge n.108 in tema di usura che, oltre ad incidere profondamente sulla fattispecie penalistica di cui all’art.644 c.p., lambisce anche in modo significativo quella civilistica di cui all’art.1815, comma 2, c.c., onde se nel mutuo sono convenuti interessi usurari la clausola pertinente e’ nulla e non sono dovuti da parte del mutuatario “strozzato” interessi al mutuante usuraio (a differenza del regime precedente, in cui gli interessi venivano ricondotti al tasso legale).
Si tratta di una novella che – attribuendo una tutela dichiarativa di nullità – finisce con il restringere il campo della tutela costitutiva di rescissione alle sole fattispecie di c.d. usura “reale”, dove la sproporzione usuraria non si compendia in “interessi”, ma in vantaggi usurari di diversa foggia.
Sul crinale penale, nella nuova formulazione chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni (comma 1), alla stessa pena soggiacendo anche chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario (comma 2).
E’ la legge (comma 3) a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari; sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria; per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene peraltro conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito (comma 4).
Alla stregua del nuovo comma 5 le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari: 3) se il reato e’ commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno; 4) se il reato e’ commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale; 5) se il reato e’ commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui e’ cessata l’esecuzione.
L’approfittamento dello stato di bisogno diviene dunque una circostanza aggravante “generalizzata” della fattispecie base (applicabile anche a chi non opera nel campo dell’intermediazione finanziaria); fattispecie base per il realizzarsi della quale è invece sufficiente in capo al soggetto attivo la (mera) consapevolezza dell’oggettivo carattere usurario delle prestazioni a proprio vantaggio.
Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di usura previsti dal nuovo art.644, e’ sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni (comma 6).
Viene introdotto anche un art.644-ter alla cui stregua la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale, con contestuale abrogazione dell’art.644 bis in tema di c.d. usura impropria.
1998
Il 19 agosto esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.8200 onde per stato di bisogno deve intendersi una condizione oggettiva di carenza di mezzi patrimoniali in capo alla parte svantaggiata dal contratto rescindibile.
La pronuncia si colloca nel solco della giurisprudenza alla cui stregua, al fine di applicare l’art.1448 (rescissione per lesione), occorre che il bene o la prestazione cui anela la parte svantaggiata (e della quale controparte approfitta) non sia “indispensabile”, diversamente versandosi in ipotesi di necessità e, dunque, di stato di pericolo siccome disciplinato dal precedente art.1447 c.c., con conseguente inapplicabilità del ridetto art.1448 c.c.
1999
Il 22 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3984 alla cui stregua, a norma dell’art. 1970 c.c., la transazione non può essere impugnata per causa di lesione, in quanto la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, essendo rimessa all’autonomia negoziale delle parti.
Né può per il Collegio ovviarsi a tale preclusione dopo che nel giudizio di primo grado si sia proposta domanda di rescissione, trasformandola, in appello, in domanda di annullamento della transazione per temerarietà della pretesa di una delle parti (che di tale temerarietà sia stata consapevole) ex art. 1971 c.c., in quanto, in tal modo, si dedurrebbe un rimedio basato su di un petitum ed una causa petendi diversi da quelli prospettati in primo grado, con conseguente inammissibilità della domanda ex art. 345 c.p.c.
2000
Il 23 novembre esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.15139 che scandaglia la fattispecie di contratto preliminare stipulato in stato di bisogno ovvero in stato di pericolo.
Per il Collegio, ove la parte legittimata a domandare la rescissione sia stata convenuta in giudizio ex art. 2932 c.c., va individuato nel promovimento della ridetta azione ex art. 2932 c.c. il momento del concretizzarsi della lesione; in tal caso, la parte legittimata può chiedere in via riconvenzionale la rescissione, anche ove sia decorso un anno dalla stipulazione del contratto preliminare, in quanto il termine di prescrizione annuale dell’azione di rescissione ex art.1449 c.c. decorre, in questo caso, dalla data appunto in cui è stata proposta l’azione ex art. 2932 c.c.
2003
Il 3 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5139, che muove dalla non impugnabilità della transazione per causa di lesione, di cui all’art. 1970 c.c. (“La transazione non può essere impugnata per causa di lesione”), ricondotta dalla migliore dottrina alla ratio onde la validità dell’accordo transattivo prescinde dall’equilibrio delle soluzioni concordate tra le parti mediante le reciproche concessioni.
Parimenti per il Collegio, che segue sul punto la prevalente giurisprudenza, se fosse possibile agire per ottenere la rescissione della transazione per lesione, si frustrerebbe la finalità stessa del pertinente contratto, onde il carattere commutativo della transazione non è escluso da un eventuale squilibrio economico delle prestazioni cui ciascuna si è obbligata in vista della definizione di tutti i possibili contrasti, non essendo richiesto un rapporto di equivalenza fra “datum” e “retentum“.
* * *
Il 19 agosto esce la sentenza della Sezione Lavoro della Cassazione n.12116 alla cui stregua i tre requisiti richiesti per esperire l’azione di rescissione per lesione (stato di bisogno, approfittamento e lesione) devono assumersi tutti necessari, senza graduazione alcuna tra loro, e devono essere contestualmente presenti, non intercorrendo tra loro alcun rapporto di subordinazione o di precedenza.
Ne consegue per il Collegio che la mancata dimostrazione in giudizio dell’esistenza di uno dei requisiti rende superflua l’indagine circa la sussistenza degli altri due requisiti e la domanda di rescissione deve essere senz’altro respinta.
* * *
Il 22 dicembre esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.19625 che – inserendosi in un collaudato, pertinente orientamento pretorio – ribadisce come l’attore in rescissione debba provare che la controparte, all’atto della stipulazione del contratto, aveva non già solo la piena consapevolezza dell’altrui stato di bisogno, ma anche l’intento di approfittare della situazione pertinente con ingiusto vantaggio per sé.
Per il Collegio, l’elemento soggettivo della rescissione va ravvisato non tanto nella mera coscienza dello stato di bisogno altrui quanto piuttosto, e più propriamente, nel consapevole proposito di una parte d’avvantaggiarsi dello stato di bisogno dell’altra.
2004
Il 01 aprile esce la sentenza della Sezione I della Cassazione n.6370 che si colloca nel solco della giurisprudenza alla cui stregua, al fine di applicare l’art.1448 (rescissione per lesione), occorre che il bene o la prestazione cui anela la parte svantaggiata (e della quale controparte approfitta) non sia “indispensabile”, diversamente versandosi in ipotesi di necessità e, dunque, di stato di pericolo siccome disciplinato dal precedente art.1447 c.c., con conseguente inapplicabilità del ridetto art.1448 c.c.
Per il Collegio, con peculiare riferimento alla stato di stato di bisogno, occorre precisare che esso non coincide con l’assoluta indigenza o con una pressante esigenza di denaro, ma deve tuttavia assumersi come ricorrenza, anche se contingente, di una situazione di difficoltà economica che si riflette non solo sulla situazione psicologica del contraente, di modo da indurlo (c.d. causalità psichica) ad una meno avveduta cautela derivante da una minorata libertà di contrattazione, ma anche sul relativo patrimonio, sì da determinare, in rapporto di causa ed effetto, una situazione di lesione ingiusta del medesimo in conseguenza della sproporzione tra la prestazione eseguita e quella ottenuta.
* * *
*L’08 giugno esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.10815 onde per stato di bisogno deve intendersi una condizione oggettiva di carenza di mezzi patrimoniali in capo alla parte svantaggiata dal contratto rescindibile.
2006
Il 21 dicembre esce la sentenza della III sezione della Corte d’Appello di Bari n.1238 alla cui stregua – in tema di presupposti di esperibilità dell’azione di rescissione del contratto per lesione, ex art.1448 c.c.- si è al cospetto di una azione generale che richiede la simultanea presenza dei requisiti di una sproporzione «ultra dimidium» fra le reciproche prestazioni del divisato contratto, di uno stato di bisogno del contraente svantaggiato e di un approfittamento di esso da parte dell’altro contraente che se ne avvantaggia.
2007
Il 9 gennaio esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.140 alla cui stregua l’elemento soggettivo della rescissione va ravvisato non tanto nella mera coscienza dello stato di bisogno altrui quanto piuttosto, e più propriamente, nel consapevole proposito di una parte d’avvantaggiarsi dello stato di bisogno dell’altra.
L’azione generale di rescissione per lesione ex art.1448 c.c. richiede per il Collegio la simultanea presenza dei requisiti di una sproporzione «ultra dimidium» fra le reciproche prestazioni del divisato contratto, di uno stato di bisogno del contraente svantaggiato e di un approfittamento di esso da parte dell’altro contraente che se ne avvantaggia.
Su altro importante crinale, il Collegio si occupa dei rapporti tra azione di rescissione per lesione ed azione di annullamento del contratto per violenza morale; la prima, ex art.1448 c.c., richiede in particolare la simultanea convergenza di 3 requisiti, ovvero l’eccedenza di oltre la metà di una prestazione rispetto all’altra, la configurabilità di uno stato di bisogno in capo al soggetto svantaggiato – che sottenda a livello motivazionale la pertinente accettazione di una controprestazione sproporzionata – e la ritrazione di un profitto da parte del contraente avvantaggiato, che sia consapevole dello stato di bisogno della controparte.
Ancora, precisa la Corte, il requisito dello stato di bisogno richiesto ex art. 1448 c.c., che costituisce uno degli elementi imprescindibili per l’ammissibilità dell’azione generale di rescissione, non coincide con l’assoluta indigenza o con una pressante esigenza di denaro in capo al contraente svantaggiato, ma deve tuttavia intendersi come ricorrenza, quand’anche contingente, di una situazione di difficoltà economica che riflette non solo sulla situazione psicologica del contraente, di modo da indurlo ad una meno avveduta cautela derivante da una minorata libertà di contrattazione, ma anche sul relativo patrimonio così da determinare, in rapporto di causa ed effetto, una situazione di lesione ingiusta in conseguenza della sproporzione tra la prestazione eseguita e quella ottenuta.
Nella diversa fattispecie della violenza morale quale vizio invalidante del consenso, chiosa ancora la Corte, i requisiti previsti 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso sempre necessario per il Collegio che la minaccia sia stata diretta al fine di estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l’annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore della ridetta dichiarazione negoziale.
Per la configurabilità del dolo come vizio del consenso, nella previsione dell’1439 c.c. è invece necessario per la Corte che il raggiro o l’inganno abbiano agito con fattore determinante della volontà negoziale, ingenerando nella parte che la subisce una rappresentazione alterata della realtà.
* * *
Il 15 febbraio esce la sentenza delle Sezione II della Cassazione n.3388 onde per stato di bisogno deve intendersi una condizione oggettiva di carenza di mezzi patrimoniali in capo alla parte svantaggiata dal contratto rescindibile, quand’anche si tratti di una condizione che si compendia in una contingente mancanza di liquidità, rivelandosi – come tale – non assoluta.
Il Collegio si colloca nel solco della giurisprudenza alla cui stregua, al fine di applicare l’art.1448 (rescissione per lesione), occorre che il bene o la prestazione cui anela la parte svantaggiata (e della quale controparte approfitta) non sia “indispensabile”, diversamente versandosi in ipotesi di necessità e, dunque, di stato di pericolo siccome disciplinato dal precedente art.1447 c.c., con conseguente inapplicabilità del ridetto art.1448 c.c.
Per la Corte, il requisito dell’approfittamento va identificato nella conoscenza, da parte dell’acquirente, dello stato di bisogno del venditore, accompagnata dalla consapevolezza che le prestazioni reciproche sono fortemente sperequate a relativo vantaggio e, ciò nonostante, nel prestare il consenso al contratto, manifestando così la volontà di approfittare della situazione.
Non è tuttavia necessaria alcuna attività ulteriore da parte dell’acquirente, più o meno maliziosa, intesa a promuovere o sollecitare la vendita del bene di volta in volta considerato.
* * *
Il 6 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5133 alla cui stregua – in tema di compravendita di immobile – per stabilire se risultino integrati gli estremi della lesione occorre, da un lato, far riferimento al valore che il ridetto immobile avrebbe presumibilmente avuto in una comune contrattazione al tempo della stipulazione e, dall’altro lato, tener presente che anche una semplice difficoltà economica o una contingente carenza di liquidità possono integrare lo stato di bisogno, purché siano in rapporto di causa ed effetto con la determinazione a contrarre.
Per il Collegio, in proposito, non è richiesta la prova di una specifica attività posta in essere dal contraente avvantaggiato allo scopo di promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, occorrendo unicamente che dall’istruzione della causa emerga una situazione tale da consentire di assumere – attraverso una motivata valutazione complessiva – che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre.
2013
Il 14 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3635 onde la transazione stipulata tra l’impresa capogruppo di una associazione temporanea di imprese (ATI) e l’amministrazione committente vincola tutte le imprese partecipanti all’ATI, delle quali la capogruppo ha la rappresentanza.
Tale transazione non può pertanto, chiosa il Collegio, essere rescissa ex art. 1447 c.c. per il solo fatto che l’Amministrazione, nel concluderla, abbia tratto vantaggio dallo stato prefallimentare della impresa capogruppo stipulante; sia perché nella suddetta ipotesi lo stato di pericolo dello stipulante, per condurre alla rescissione del contratto, deve riguardare tutte le imprese partecipanti all’ATI e non una soltanto di esse; sia perché, in ogni caso, il fallimento della società capogruppo non comporta lo scioglimento dell’intero contratto di appalto, il quale può ben proseguire se le altre imprese partecipanti all’ATI provvedono a nominare una nuova capogruppo che abbia il gradimento del committente, il che rende inconcepibile uno «stato di pericolo» per le imprese transigenti.
2014
Il 19 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.10976 alla cui stregua l’offerta di modificare un contratto rescindibile in modo da ricondurlo ad equità, qualora sia formulata (dalla parte che se ne sia avvantaggiata) nel corso del giudizio, può anche limitarsi a chiedere la pertinente determinazione al giudice, in base ad elementi oggettivi da accertarsi in giudizio.
* * *
Il 5 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.12665 onde l’offerta di riduzione ad equità del contratto rescindibile (ad opera della parte che se ne sia avvantaggiata), avendo natura sostanziale, può essere formulata all’esito dell’accertamento del vizio, sicché, rispetto ad essa, per il Collegio non si verificano preclusioni processuali.
* * *
Il 12 dicembre esce la sentenza delle SSUU n.26242 alla cui stregua il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o «di protezione» – deve ritenersi consentito – sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata «ragione più liquida» – in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale.
2015
Il 4 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.22567 onde, in tema di contratti di scambio, lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, prevalendo nel nostro ordinamento il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive.
Per il Collegio, nel caso di specie va cassata la decisione impugnata per avere ritenuto la nullità di un contratto di cessione di quote sociali in ragione dell’eccessiva sproporzione esistente tra il valore effettivo delle quote ed il pertinente prezzo di cessione.
2016
Il 2 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.16042 che, scandagliando una controversia tra una casa di cura ed un’Azienda sanitaria provinciale, rammenta preliminarmente come l’azione generale di rescissione del contratto per lesione tuteli l’equilibrio delle prestazioni tra le parti nella fase della formazione del contratto.
Essa, chiosa ancora il Collegio, protegge il contraente dal contratto a condizioni inique. Assume come rilevante la situazione di difficoltà economica che incida sulla libera determinazione a contrarre inducendo ad accettare una sproporzione fra le prestazioni. Richiede l’approfittamento dell’altra parte, come consapevolezza dello stato di bisogno e della sproporzione tra le prestazioni. Prevede un criterio per stabilire quando c’è sproporzione, e quindi lesione. La lesione deve essere oltre la metà; la prestazione ricevuta deve essere inferiore alla metà del valore che la prestazione eseguita aveva al tempo del contratto e la sproporzione ridetta deve perdurare fino al momento in cui l’azione è proposta.
Dalla fattispecie – come costruita dal codice quale temperamento al principio generale secondo cui, di regola, salvo i casi in cui intervengono fonti di integrazione del contratto, è irrilevante lo squilibrio economico originario del contratto – discendono per la Corte conseguenze rilevanti per la conferma, nel caso di specie, della decisione impugnata.
Dall’essere il vizio di rescissione per lesione un vizio genetico del contratto, rispetto al quale rileva innanzitutto il valore delle prestazioni al tempo della conclusione dello stesso, discende:
– che tutte le pattuizioni che concernono il prezzo sono essenziali ai fini della determinazione del valore della prestazione e, insieme, ai fini dell’accertamento in ordine all’esistenza della sproporzione ultra dimidium;
– che, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza della lesione, è irrilevante il profilo dell’esecuzione del contratto.
Pertanto, è irrilevante stabilire se la controparte avesse o meno eccepito questi profili. Nella specie, il giudice di merito ha correttamente esaminato tutte le clausole contrattuali, rilevando che la società attrice, nel prospettare la lesione aveva del tutto omesso di considerare la clausola che, per le prestazioni in eccedenza rispetto ai volumi massimi di attività e ai tetti di spesa concordati, prevedeva una retribuzione secondo un sistema tariffario di progressivo abbattimento dei costi in base a criteri stabiliti dalla delibera della Giunta Regionale.
Dall’essere la sproporzione tra le prestazioni, nella misura dell’ultra dimidium, elemento fondante l’azione discende per la Corte l’onere del contraente che si assume leso di offrirne la prova. Nella specie, correttamente il giudice di merito ha ritenuto mancante ab origine tale prova. Ciò per avere la parte istante prospettato la sproporzione nella misura astrattamente richiesta mettendo a confronto tutte le prestazioni eseguite al prezzo previsto per i volumi massimi di attività, senza minimamente considerare il prezzo che, sulla base dell’art. 4 del contratto, subiva abbattimenti progressivi e proporzionali per le prestazioni eccedenti i volumi massimi; in definitiva, per non avere essa prospettato la lesione valutando tutti gli accordi contrattuali assunti al momento della conclusione del contratto posto che, astrattamente, la lesione avrebbe potuto essere integrata rispetto alle prestazioni eccedenti i volumi di attività compresi nel tetto accettato, qualora, tenuto conto del corrispettivo pattuito secondo il meccanismo di regressione tariffaria, questo fosse stato inferiore alla metà del valore che la prestazione aveva al tempo del contratto.
La mancanza di prova in ordine alla sproporzione della prestazione, essenziale per la lesione, assorbe per la Corte ogni ulteriore scrutinio in ordine alla esistenza dello stato di bisogno.
In conclusione, il ricorso va per la Corte rigettato in applicazione del principio di diritto onde il vizio di rescissione per lesione, ex art. 1448 c.c., è un vizio genetico del contratto a tutela dell’equilibrio tra le prestazioni, rispetto al quale rileva innanzitutto il valore delle prestazioni al tempo della conclusione dello stesso. Di conseguenza, tutte le pattuizioni che concernono il prezzo sono essenziali ai fini della determinazione del valore della prestazione e, insieme, ai fini dell’accertamento in ordine all’esistenza della sproporzione ultra dimidium, mentre resta irrilevante il profilo dell’esecuzione del contratto.
Qualora, come nella specie, si tratti di contratti stipulati per la erogazione di prestazioni sanitarie presso strutture private, ed il contratto preveda regimi tariffari differenziati in ragione del rientro delle prestazioni entro determinati volumi di attività e dell’eccedenza rispetto a questi volumi massimi, con abbattimenti progressivi della remunerazione, la prospettazione attorea di una lesione ultra dimidium che prescinda dall’insieme delle modalità di determinazione del prezzo è di per sè idonea ad escludere la sussistenza della prova, a carico dell’attore, in ordine alla lesione prospettata.
* * *
Il 29 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24247 alla cui stregua, affinché il convenuto “avvantaggiato” possa impedire la pronunzia di rescissione per lesione ultra dimidium attraverso l’offerta all’attore “svantaggiato” di riduzione ad equità del contratto, occorre che detta offerta sia tale da ricomprendere la differenza tra la somma corrisposta ed il valore del bene al momento della costituzione del rapporto, e non già solo di una somma idonea a meramente eliminare la sproporzione tra le due prestazioni.
2017
Il 17 marzo esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 6974 onde, in tema di rescissione del contratto, l’interruzione della prescrizione consegue esclusivamente alla proposizione della relativa domanda giudiziale e non anche ad un mero atto stragiudiziale di costituzione in mora, atteso – precisa il Collegio che la corrispondente azione costituisce l’esercizio di un diritto potestativo rispetto al quale l’altra parte ha una posizione di mera soggezione.
2018
Il 12 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 15338 alla cui stregua l’azione generale di rescissione per lesione richiede la simultanea esistenza di tre requisiti: l’eccedenza ultra dimidium della prestazione di un parte rispetto alla controprestazione dell’altra; lo stato di bisogno del contraente “danneggiato”; l’approfittamento di esso da parte dell’altro contraente.
Lo stato di bisogno, precisa il Collegio, pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità, non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione a contrarre, nel senso che le momentanee criticità economiche devono costituire il motivo per cui è stata accettata la sproporzione tra le rispettive prestazioni.
Pertanto, conclude la Corte, il giudice di merito è tenuto a motivare adeguatamente su tutti gli elementi della fattispecie, non potendo evincere in via automatica la sussistenza del predetto nesso di causalità psicologica dalla mera constatazione di una oggettiva condizione economica negativa del contraente svantaggiato, dovendo piuttosto accertare la decisività sul piano volitivo di questa situazione in relazione al comportamento della controparte.
2019
Il 22 marzo esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n.8240 con la quale la Corte ribadisce di avere già in passato affermato – proprio con riferimento agli accordi divisionali ereditari, quale quello scandagliato nel caso di specie – che, al fine di escludere la rescindibilità dell’atto di divisione ai sensi dell’art. 764 c.c., comma 2, non è sufficiente accertare che esso contenga una contestuale transazione, ma occorre anche accertare che quest’ultima, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote, abbia riguardato proprio le questioni costituenti il presupposto e l’oggetto dell’azione di rescissione (Sent. n. 3396 del 1981).
Per il Collegio deve ribadirsi che gli accordi c.d. “paradivisori“, volti alla formazione di porzioni dei beni da assegnare a determinate condizioni, pur non producendo l’effetto distributivo dei beni stessi, tipico del contratto di divisione, hanno finalità preparatoria di quest’ultimo, ovvero – ove insorgano successivi contrasti su punti non risolti col negozio stesso – del provvedimento del giudice.
Tali accordi secondo la giurisprudenza di legittimità, una volta perfezionati, possono essere revocati o risolti solo col consenso unanime delle parti contraenti e possono essere impugnati con i mezzi di annullamento previsti per i contratti in genere, ma dagli stessi non si può recedere unilateralmente. Dunque, deve ammettersi anche la loro rescindibilità ex artt. 763 e 764 c.c., per lesione oltre il quarto.
D’altra parte, chiosa ancora il Collegio, attribuire esclusivo ed automatico rilievo – al fine di accertare se si è o meno al cospetto di una transazione – all’evidente sproporzione dei beni oggetto dell’accordo divisorio, comporta come effetto del tutto ingiustificato, quello di rendere impossibile la proposizione della azione di rescissione nella quasi totalità dei casi e, comunque, ogni qual volta la lesione della parte è di maggiore portata.
La rescissione (in materia di divisione) ex art. 763 c.c. infatti, prosegue la Corte, si differenzia dall’azione di rescissione ordinaria, perché non richiede l’elemento soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno e riduce la lesione rilevante dalla misura della metà a quella di un quarto. Sulla base di tali presupposti, pertanto, se l’elemento discriminante per individuare la causa transattiva del negozio fosse esclusivamente la proporzionalità dei beni, risulterebbe sempre preclusa la rescissione per lesione oltre il quarto, che appunto presuppone una sproporzione della quale la parte difficilmente potrebbe rivendicare l’inconsapevolezza.
Per la Corte deve dunque affermarsi il principio di diritto onde, ai fini dell’interpretazione di un negozio come transazione divisionale, nel quale la causa transattiva prevale su quella divisionale (escludendo la rescissione), non è possibile presumere la volontà di transigere con rinuncia ai propri diritti, sulla base della semplice consapevolezza della sproporzione delle quote o dei beni indicati nell’accordo divisorio, in mancanza non solo dell’aliquid datum aliquid retentum, ma anche di un mero disaccordo tra gli eredi e di qualsiasi espressa rinuncia o menzione della volontà di comporre future controversie.
2020
Il 19 marzo esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.7463, che rammenta come in tema di appalto di opere pubbliche le norme di cui alla L. n. 2248 del 1865, artt. 340, 341 e 345, all. F, si limitino ad attribuire alla P.A. appaltante il potere di risolvere il contratto nei casi in cui, a relativo discrezionale giudizio, ritenga che l’appaltatore sia inadempiente (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4454); il provvedimento di rescissione adottato dalla stazione appaltante, di cui alla L. n. 2248 del 1865, ex art. 340, all. F, non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., poiché il potere autoritativo di cui si rende espressione il provvedimento di rescissione adottato dalla P.A., non è idoneo ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale aventi consistenza di diritti soggettivi (Sez. 1, 27/09/2018, n. 23323; Sez. 1, 27/10/2015, n. 21882; sez. 1, 29/10/2014, n. 22995).
Anche in tema di rescissione del contratto di appalto ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340, all. F, chiosa ancora la Corte, se è vero che l’accertamento – da parte del giudice del merito – dei presupposti stabiliti da tale norma per l’esercizio del diritto di autotutela della P.A. è autonomo, e non vincolato alla risultanze sulle quali l’Amministrazione si è basata per far valere il relativo diritto potestativo, è pur vero che lo stesso deve essere compiuto in base alla disciplina privatistica degli artt. 1218 e 1453 c.c..
Tale disciplina, in particolare, non consente al giudice di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma impone al giudice di procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe, compiendo una indagine globale e unitaria, coinvolgente nell’insieme l’intero loro comportamento, anche se con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perché la unitarietà del rapporto obbligatorio, a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuna delle parti, non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente, ma ne esige un apprezzamento complessivo (Sez. 1, 31/10/2014, n. 23274).
* * *
Il 30 giugno esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.12980 alla cui stregua – sul crinale schiettamente processuale – è certamente da escludere nel caso di specie, diversamente da quanto del tutto genericamente dedotto dai ricorrenti con il motivo scandagliato, che si sia al cospetto di una eccezione in senso stretto.
Tale nozione, e la disciplina che essa evoca (artt. 167, 345, 416, 702-bis, 709 cod. proc. civ.), sono per la Corte riferibili, per ormai consolidata acquisizione, alle sole eccezioni riservate all’iniziativa della parte, per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva (v., in tal senso Cass. Sez. U. n. 1099 del 1998; Sez. U. n. 15661 del 2005, citt.).
La distinzione, più precisamente, risiede in ciò che, mentre, di regola, l’eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione di fatti ai quali la legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda (eccezione in senso lato), l’eccezione in senso stretto consiste nella contrapposizione di quei fatti che, senza escludere la sussistenza del rapporto implicato dalla domanda, sono tuttavia tali che, in loro presenza, risulti accordato al convenuto e disciplinato dal diritto sostanziale un potere rivolto ad impugnandum jus, ossia una potestà esercitabile al fine di fare venir meno il diritto dell’avversario.
In questi casi il legislatore costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non ha una autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la consegue solo per il tramite di una manifestazione di volontà dell’interessato, che, da sola o, a seconda delle ipotesi, previo accertamento giurisdizionale dell’avvenuta costituzione della fattispecie medesima, si inserisce all’interno di questa.
Per conseguire il risultato difensivo, non basta qui l’allegazione del fatto, ma occorre che l’interessato scelga se conservare la situazione giuridica esistente ovvero ottenere che, secondo la norma di previsione, si produca quella nuova: ciò che, in ipotesi affermativa, postula il compimento di un apposito atto di manifestazione di volontà in tale senso, non diversamente da quanto accadrebbe qualora la parte, in luogo dell’esercizio in via di eccezione della potestà conferitagli dalla legge, vi provvedesse in via di azione.
Tanto si verifica – prosegue il Collegio – con riguardo a tipiche azioni costitutive: si vedano ad esempio gli artt. 1442, ultimo comma, e 1449, secondo comma, cod. civ., ove si prevede la facoltà del convenuto di proporre, rispettivamente, un’eccezione di annullamento e di rescissione del contratto. Ed è opinione diffusa in dottrina che analoga situazione sia configurabile con riguardo ad eccezioni di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità; revocatoria; di riduzione di disposizioni testamentarie; etc. (così Cass. Sez. U. n. 1099 del 1998, cit.).
Ebbene – conclude la Corte – la “causa non imputabile dell’inadempimento” non rientra in tale categoria, non essendo la relativa contrapposizione all’inadempimento (siccome dedotto quale fatto costitutivo della domanda dell’attore) riservata per legge alla parte (convenuta), né potendo essa ritenersi coordinata con un’azione costitutiva. Costituisce piuttosto un fatto di per sé idoneo a impedire il sorgere del diritto fondato sull’inadempimento, escludendone l’imputabilità, indipendentemente da un apposito atto di manifestazione di volontà in tal senso; come tale, essa è rilevabile d’ufficio (allo stesso modo di come lo sarebbe un fatto estintivo, quale ad es. il pagamento), ove risultante ex actis.
Questioni intriganti
Cosa occorre rammentare della rescissione in generale?
- è necessario muovere dall’art.1322 c.c., alla cui stregua (c.d. principio di “intangibilità negoziale”) ciascuna delle parti di un contratto è libera di dare ad esso, in accordo con l’altra, il contenuto che più gli aggrada senza che – sul crinale economico – le prestazioni oggetto di sinallagma siano in rapporto di perfetto equilibrio tra loro;
- se questa è la regola generale, la rescindibilità del contratto si staglia come pertinente “eccezione” a tale regola, siccome declinata in modo duplice con riguardo da un lato alle fattispecie di stato di pericolo e, dall’altro, a quelle di lesione;
- per quanto riguarda il fondamento sistematico della rescissione, si contendono il campo diversi ipotesi ermeneutiche che muovono da prospettive di fondo diverse:
- tesi di natura monista, che muove da uno degli elementi che compongono la fattispecie di rescissione (ormai recessiva): d.1) si tratta di una particolare fattispecie di invalidità contrattuale, dacché lo stato di bisogno o lo stato di pericolo producono l’effetto di alterare il processo di formazione della volontà di uno dei contraenti; si oppone nondimeno la circostanza onde il legislatore del codice civile ha inteso dedicare all’istituto un capo autonomo successivo e diverso rispetto a quello che disciplina l’annullabilità del contratto per vizi del volere; d.2) si tratta di una particolare fattispecie di “sanzione civile” intesa a “punire” – quale paradigma all’uopo forgiato dal legislatore – il comportamento scorretto ed iniquo di quella tra le parti che approfitta dello stato di pericolo o della situazione di debolezza dell’altra per ottenere un contenuto contrattuale sproporzionato; d.3) si tratta di una particolare fattispecie di “squilibrio” tra prestazioni, onde si è al cospetto di un difetto dell’oggetto contrattuale, ovvero della relativa causa, cui l’ordinamento “risponde” legittimando la parte di volta in volta svantaggiata ad agire in rescissione; proprio perché si tratta di fronteggiare il sostanziale “abuso” di una parte in danno dell’altra, siccome perpetrato prima della conclusione del pertinente contratto, secondo la tesi monista (nelle 3 declinazioni descritte) chi agisce in rescissione può anche chiedere alla controparte il risarcimento del danno a titolo di responsabilità c.d. “precontrattuale”;
- tesi di natura pluralista, che muove dall’intero compendio degli elementi che compongono la fattispecie di rescissione, globalmente considerati (ormai prevalente in dottrina e giurisprudenza): si è al cospetto di un rimedio autonomo rispetto alle c.d. invalidità contrattuali (nullità e, massime, annullabilità), caratterizzato dal fatto di fronteggiare una fattispecie di tipo complesso con componenti varie – stato di pericolo, stato di bisogno, approfittamento di una parte nei confronti dell’altra, iniquità – alle quali tutte va riconosciuta una pari significatività, senza che una di esse assurga ad un rango di maggior importanza rispetto alle altre; secondo questa opzione ermeneutica, chi agisce in rescissione invoca una tutela “in forma specifica” in sé compiuta e del pari autonoma, potendo chiedere il risarcimento del danno (per equivalente) solo laddove non possa – per difetto di un qualche elemento della pertinente fattispecie – agire per l’appunto in rescissione.
Cosa occorre rammentare in particolare della rescissione per contratto concluso in stato di pericolo?
- si tratta della fattispecie disciplinata dall’art.1447 c.c.;
- una delle parti ha assunto obbligazioni a condizioni inique;
- ciò per la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona;
- tale necessità è nota alla controparte, che in sostanza ne approfitta per ottenere condizioni contrattuali molto vantaggiose;
- come nelle ipotesi di stato di necessità previste in tema di fatto illecito “generico” dall’art.2045 c.c. ed in tema di fatto illecito “reato” dall’art.54 c.p., deve configurarsi un pericolo “attuale” (e, dunque, non meramente potenziale e futuro) di un danno grave alla “persona”;
- non rientra dunque nella fattispecie in parola il pericolo attuale di un danno (ancorché grave) al patrimonio, che tuttavia – in presenza (anche) di uno stato di bisogno – può innescare l’applicazione del successivo art.1448 in tema di rescissione per “lesione”;
- sul concetto di danno grave “alla persona” si fronteggiano nella sostanza due ipotesi ermeneutiche: g.1) si tratta di un danno che può coinvolgere la sola vita o integrità fisica della parte che è nel pericolo di subirlo (tesi più restrittiva e più remota); g.2) si tratta di un danno che può coinvolgere anche altri diritti della personalità che vanti la parte che è nel pericolo di subirlo, come la dignità e l’onore e financo il diritto d’autore, nella relativa declinazione morale e non già meramente patrimoniale (tesi più ampliativa e più recente);
- la legittimazione all’azione di rescissione scatta anche laddove il pericolo attuale di danno grave alla persona sia stato cagionato (o con-cagionato) dal chi lo subisce ovvero sia da lui altrimenti evitabile, circostanza che esclude la totale sovrapponibilità della rescissione per stato di pericolo allo “stato di necessità” nella relativa, duplice declinazione (civile e penale);
- sul crinale del “danno” del cui pericolo si tratta, esso deve essere – in base alle circostanze concrete che connotano ciascuna singola fattispecie – di natura “grave” e dunque particolarmente consistente, dovendosi parametrare tale gravità alle condizioni concrete della persona che viene esposta al pertinente pericolo;
- lo stato di pericolo di una delle parti deve essere noto all’altra che contrae e che in qualche modo, approfitta per addivenire ad una stipula a condizioni inique;
- il contratto deve essere stipulato a condizioni “inique”, giustapponendosi a tal proposito 2 tesi dottrinali: k.1) le condizioni sono inique allorché, sul crinale quantitativo, non vi è proporzione, dal punto di vista economico, tra le prestazioni del sinallagma contrattuale, siccome divisate dalle parti (tesi maggioritaria); k.2) le condizioni sono inique anche allorché – pur potendosi riconoscere una quantitativa proporzione tra le prestazioni reciproche – dal punto di vista qualitativo una delle parti, non trovandosi in stato di pericolo, non avrebbe accettato la prestazione dell’altra (tesi meno accreditata);
- si tratta di un contratto rescindibile e transigibile, a differenza di quanto accade nella diversa fattispecie della rescindibilità per lesione, laddove ai sensi dell’art.1970 c.c. non può intervenire transazione.
i
Cosa occorre ricordare in particolare della rescissione per contratto concluso in stato di bisogno?
- si tratta della fattispecie di rescissione disciplinata dagli articoli 1448 e seguenti c.c.;
- a campeggiare è qui, per l’appunto, lo stato di bisogno di una delle parti;
- l’altra parte ne approfitta per stipulare un contratto ad essa favorevole, ma connotato da condizioni gravemente inique a danno dell’altra, che versa in stato di bisogno;
- l’azione di rescissione per stato di bisogno non è ammissibile in presenza di qualunque iniquità, ma piuttosto di una iniquità quantitativamente qualificata, onde il valore della prestazione eseguita o promessa dalla parte in stato di bisogno (svantaggiata) deve superare il doppio di quella eseguita o promessa dalla parte che non lo è (e che si avvantaggia); si parla in proposito di lesione “ultra dimidium”;
- per quanto concerne la definizione dello stato di bisogno, si contendono il campo in dottrina varie opzioni ermeneutiche: e.1) si tratta di una condizione di tipo oggettivo, quale “obiettiva” carenza di mezzi patrimoniali, quand’anche temporanea e contingente e seppure non assoluta (tesi patrimoniale o economica “pura”); e.2) si tratta di una condizione che può avere anche un rilievo meramente soggettivo e “morale”, in tal caso compendiandosi lo stato di bisogno nella necessità di soddisfare un interesse, per l’appunto, che può anche atteggiarsi a morale o di natura personale, purché serio ed effettivo, attraverso mezzi patrimoniali ottenibili giusta stipula del divisato contratto (tesi patrimoniale o economica “allargata”);
- quand’anche l’art.1448 c.c. faccia riferimento al “contraente”, la dottrina maggioritaria assume rescindibile anche il contratto stipulato per far fronte allo stato di bisogno di un terzo (rispetto a chi partecipa, per l’appunto, alla stipula del contratto a condizioni inique);
- l’applicazione dell’art.1448 c.c. presuppone la inapplicabilità dell’art.1447 c.c., onde laddove il bene o la prestazione anelata siano indispensabili (alla persona del contraente) si è al cospetto di uno stato di pericolo, e non già di bisogno, il quale ultimo si connota appunto per una “necessità” non così impellente da far scaturire un pericolo per la persona;
- occorre altresì che una delle parti abbia “approfittato” dello stato di bisogno dell’altra, ovvero ne abbia comunque tratto vantaggio;
- secondo la più illuminata dottrina, tale approfittamento può declinarsi secondo distinte coordinate, che possono divenire rilevanti a fini probatori in considerazione dell’onus probandi che in proposito grava su chi agisce in rescissione per lesione: i.1) mera consapevolezza dello stato di bisogno della controparte e del vantaggio che se ne ritrae, senza esteriorizzazione dell’approfittamento (fatto gnoseologico); i.2) volontà di ritrarre un vantaggio giusta stipula di un contratto a condizioni inique per l’altra parte, ancora una volta senza esteriorizzazione del comportamento (fatto volontaristico); i.3) consapevolezza e volontà di approfittare dello stato di bisogno altrui, al fine di avvantaggiarsene, giusta comportamento attivo all’uopo palesemente esteriorizzato;
- quanto alla giurisprudenza: j.1) la più remota si accontentava della prova della consapevolezza in capo alla controparte avvantaggiata dello stato di bisogno del contraente svantaggiato; j.2) la più recente richiede invece in capo a chi agisce in rescissione per lesione la prova dell’elemento intenzionale siccome presente in chi si avvantaggia del proprio stato di bisogno (in quanto “svantaggiato”);
- altro requisito essenziale per poter agire in rescissione è che a valle dell’approfittamento dello stato di bisogno affiori una “lesione”, quale sproporzione tra i valori di riferimento delle rispettive prestazioni delle parti al momento della stipula del contratto (art.1448, comma 2, c.c.) che deve perdurare fino al tempo in cui viene spiccata, per l’appunto, domanda di rescissione del pertinente contratto (art.1448, comma 3, c.c.);
- non si tratta di una generica (e non specificata) iniquità, come accade nel contratto concluso in stato di pericolo (art.1447 c.c.), quanto piuttosto di una lesione “specifica” perché “ultra dimidium”, onde una prestazione – quella erogata o promessa dalla parte svantaggiata – è pari a più del doppio di quella ad essa avvinta da sinallagma, sicché quest’ultima – dovuta da chi si avvantaggia approfittando – è, correlativamente, meno della metà della prima.
Cosa occorre rammentare della disciplina della rescissione del contratto come rimedio?
- si tratta, per l’appunto, di un “rimedio” che – come tale – pur atteggiandosi a giudiziale è comunque rimesso all’iniziativa della parte privata (“svantaggiata”) che intende farlo valere, senza che possa operare alcun rilievo d’ufficio ope iudicis;
- sul crinale della legittimazione ad agire in rescissione, può spiccare la pertinente azione la parte svantaggiata dal contratto ed i relativi eredi e, dunque, successori a titolo universale, mentre non può spiccarla il successore a titolo particolare;
- il termine di prescrizione decorre – ex art.1449 c.c., e sempre che il contratto sia immediatamente efficace (non sottoposto a condizione) – dalla stipula del pertinente contratto ed è pari ad un anno; l’art.1449 c.c. rinvia peraltro all’ultimo comma dell’art.2947 c.c., onde qualora il fatto che genera la rescindibilità del contratto costituisca “fatto inadempimento reato” (come nel caso classico dell’usura, laddove configurabile) e per tale reato sia previsto un termine di prescrizione più lungo di 1 anno, anche il termine di prescrizione dell’azione di rescissione sarà pari e, dunque, ultra-annuale; qualora peraltro il reato si estingua per causa diversa dalla prescrizione (del reato medesimo), ovvero sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, dalla estinzione del reato o dalla sentenza penale irrevocabile inizia a decorrere un nuovo termine annuale di prescrizione, dell’azione di rescissione; per quanto concerne l’interruzione del termine di prescrizione dell’azione di rescissione, trattandosi di azione costitutiva, occorre la pertinente domanda giudiziale, non palesandosi sufficiente la semplice richiesta nei confronti della controparte (non è bastevole, in altri termini, la mera “messa in mora” di chi si sia avvantaggiato), in dottrina non difettando chi afferma che assume efficacia interruttiva anche il riconoscimento del diritto (alla rescissione), in capo allo “svantaggiato”, da parte di chi si sia (per l’appunto) avvantaggiato del contratto rescindibile;
- allorché un contratto sia rescindibile, esso – ai sensi dell’art.1451 c.c. – non può essere convalidato dal contraente “svantaggiato”, come invece accadrebbe laddove si trattasse di contratto annullabile; ciò in quanto tale contraente “svantaggiato” non può per legge disporre del proprio diritto ad agire in rescissione, né può rinunziarvi, dovendo essere tutelato dal rischio di essere esposto – nel breve termine di un anno dalla stipula del contratto che lo svantaggia – alle possibili pressioni all’uopo eventualmente predisposte del contraente “avvantaggiato”; la convalida del contratto rescindibile viene dunque assunta nulla; per quanto riguarda la disponibilità a mezzo transazione del diritto alla rescissione del contratto, si giustappongono 2 tesi: d.1) tesi favorevole (per lo più giurisprudenziale): è ben vero che il diritto alla rescissione è irrinunciabile, e tuttavia è possibile inserirlo in un contratto di transazione allorché le parti, allo scopo di ricondurre il pertinente contratto ad equità per via convenzionale, addivengano per l’appunto ad una transazione che, come tale, pur coinvolgendo il ridetto diritto a rescindere, non ne implica una rinuncia tout court; d.2) tesi contraria (per lo più dottrinale): come, ai sensi dell’art.1970, la transazione per causa di lesione non è rescindibile, così il pertinente diritto a rescindere non è transigibile, dacché la transazione potrebbe facilmente celare una vera e propria rinunzia al diritto di rescindere, che come visto è irrinunciabile;
- tanto il principio di buona fede oggettiva quanto quello di conservazione del contratto sottendono il disposto dell’art.1450 c.c., alla cui stregua il contraente contro il quale è domandata la rescissione del contratto (e che se ne è dunque avvantaggiato) può evitarla offrendo una modificazione del contratto medesimo sufficiente per ricondurlo ad equità; ciò allo stesso modo in cui il contraente non in errore può offrire a quello in errore una rettifica del concluso contratto, idonea a scongiurarne l’annullamento (per l’appunto, per errore); si è al cospetto di un negozio unilaterale recettizio giusta il quale chi si è avvantaggiato del contratto rescindibile fa venire meno i presupposti stessi della rescissione attraverso una modifica del contratto idonea a renderlo “giusto”; tale negozio è epifania di un vero e proprio potere privato, dacché non è richiesta l’accettazione della rettifica “ad aequitatem” (purché realmente tale) da parte del contraente svantaggiato, il quale ultimo può tuttavia contestare la consistenza della modifica assumendola inidonea, in concreto, a ricondurre il contratto ad equità; il fatto che il contratto vada ricondotto ad un c.d. “giusto rapporto di scambio” non richiede che si raggiunga una piena e perfetta equivalenza tra le prestazioni in sinallagma, occorrendo piuttosto che – tenuto conto delle peculiarità del singolo contratto – il corrispettivo dovuto dal contraente avvantaggiato venga uniformato, per quanto possibile, ai correnti valori di mercato e dunque, ad esempio in una compravendita, ai prezzi praticati per l’acquisto di beni simili; occorre all’uopo prendere a punto di riferimento, dal punto di vista cronologico, la sentenza del giudice, tenendosi conto della svalutazione monetaria medio tempore intercorsa (rispetto a quando il contratto è stato concluso) e così determinandosi i valori attuali di prestazione e controprestazione;
- per quanto concerne gli effetti della rescissione, essi si producono ex tunc, onde il contratto perde la propria efficacia in via retroattiva dal momento della pronuncia di rescissione passata in giudicato; intervenuta la sentenza di rescissione: f.1) ciascuna delle parti ha diritto di ripetere quanto prestato; f.2) la parte svantaggiata può anche pretendere il risarcimento del danno, nei limiti tuttavia dell’interesse “negativo”, con riguardo alle spese sostenute per il contratto (danno emergente) e alla perdita di più vantaggiose occasioni contrattuali (lucro cessante);
- per quanto riguarda i terzi aventi causa da chi abbia acquistato (avvantaggiandosene) con contratto poi rescisso, la rescissione, ex art.1452 c.c., non pregiudica i relativi diritti – tanto che siano stati acquistati in buona che in mala fede – salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescissione (che potrebbe essere anteriore alla trascrizione dell’acquisto del terzo, in tale caso facendo prevalere le ragioni dell’alienante svantaggiato); potendo peraltro un contratto rescindibile simulare “relativamente” – per volontà dei contraenti – un diverso contratto (dissimulato) non sproporzionato, poiché la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti (compreso l’alienante), né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che hanno acquistato diritti dal titolare apparente solo se questi ultimi siano in buona fede (salvi sempre gli effetti della trascrizionedella domanda di simulazione: art.1415 c.c.), in simili fattispecie è più conveniente per l’alienante agire in rescissione, che può essere opposta anche ai terzi di mala fede.
Cosa occorre rammentare della rescissione in rapporto a talune specifiche figure contrattuali?
- in materia di divisione ereditaria, ex art.763 c.c., non occorrono a fini di rescissione requisiti di natura soggettiva, essendo sufficiente il dato oggettivo della lesione che si configura quando uno dei coeredi si veda attribuita una quota inferiore di oltre ¼ rispetto a quella cui avrebbe diritto;
- la disciplina della rescissione non si applica invece ai contratti aleatori, ex art.1448, comma 4, c.c.; ciò in quanto, proprio perché aleatori, tali contratti inglobano nella relativa causa la possibile sproporzione tra le prestazioni reciproche divisate tra le parti;
- per la medesima ratio – avvinta al rischio che normalmente ci si assume quando si definisce una controversia – non è soggetta a rescissione per lesione la transazione, ai sensi dell’art.1970 c.c.
In tema di mutuo e di contratti di finanziamento, quali effetti ha comportato in particolare l’entrata in vigore della legge n.108.96 sulla disciplina civilistica dei contratti “sproporzionati” perché “usurari”?
- la disciplina generalmente applicabile è quella del “nuovo” art.1815, comma 2, c.c.: non sono dovuti interessi da parte del mutuatario, che in precedenza doveva invece l’interesse legale in luogo di quello usurario; ciò sia al mutuo in via diretta, sia agli altri contratti di finanziamento in via di interpretazione estensiva; la medesima disciplina (il mutuo diviene totalmente gratuito per il mutuante) si applica anche laddove il tasso sia sotto-soglia – e dunque “oggettivamente” non usurario – ma lo sia “soggettivamente” per le difficoltà economiche o finanziarie del mutuatario, note al mutuante (art.644, comma 3, c.p.); parte della dottrina ha assunto la nuova disciplina di decisa ispirazione “penalistica” e “sanzionatoria”, piuttosto che “privatistico-ripristinatoria”, come allorché si invocava la rescissione del contratto;
- dove non si applica l’art.1815, comma 2, c.c. e dunque nei casi di usura c.d. reale (in particolare, mutuo di beni fungibili diversi dal denaro; mutuo in denaro ma in cui i vantaggi usurari non compendiano interessi), torna ad applicarsi l’art.1448 c.c. in tema di rescissione per lesione; ovvero (per taluni, in difetto dei relativi presupposti) l’art.1418 c.c. in tema di nullità virtuale; ovvero ancora, secondo più recente prospettazione, un regime analogo a quello del c.d. dolo incidente di cui all’art.1440 c.c. onde il contratto resta valido, ma alla vittima di questo tipo di usura va garantito il risarcimento del danno, trattandosi di fattispecie in cui si assumono violate non già “norme di validità”, quanto piuttosto “norme di comportamento”.
Che tipo di rapporto “di massima” è possibile stabilire tra la rescissione del contratto, la pertinente annullabilità, e talune figure criminose?
- la fattispecie del contratto rescindibile presenta, di massima, elementi riconducibili al “reato-contratto” di usura, ex art.644 c.p.;
- in tema di contratto annullabile, occorre – sulla scia di una nota sentenza della Cassazione del 2007 – distinguere: b.1) la fattispecie del contratto annullabile per dolo che presenta, di massima, elementi riconducibili al “reato in contratto” di truffa, ex art.640 c.p.; b.2) la fattispecie del contratto annullabile per violenza morale che presenta, di massima, elementi riconducibili al “reato in contratto” di estorsione, ex art.629 c.p.;
- in tutte queste fattispecie è certamente possibile per la vittima del pertinente reato invocare il risarcimento del danno “personale” (non patrimoniale), e ciò dall’entrata in vigore del codice civile (articoli 2059 c.c. e 185 c.p.);
- in tutte queste fattispecie si pongono inoltre le questioni involgenti i rapporti di “ricaduta” tra fattispecie penali e invalidità civili, per lo studio ex professo delle quali si rinvia all’apposita crono su REATI CONTRATTO E REATI IN CONTRATTO.