Corte Costituzionale, ordinanza 23 settembre 2021 n. 186
Va dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso da un senatore nei confronti del Senato della Repubblica e della V Commissione permanente (Bilancio) del Senato.
Considerato che un senatore ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alle declaratorie di inammissibilità e di improponibilità di quattro emendamenti, di contenuto sostanzialmente identico, presentati dal medesimo senatore in sede di conversione in legge di quattro distinti decreti-legge;
che tali declaratorie sarebbero state adottate dalla V Commissione permanente (Bilancio) del Senato e dal Presidente della medesima assemblea senza alcuna motivazione e in violazione dei presupposti di fatto e di diritto individuati dalle norme del Regolamento del Senato, in particolare dagli artt. 97 e 100;
che, secondo il ricorrente, con l’impedire la discussione in commissione e in aula dei citati emendamenti, senza addurre ragione alcuna, si sarebbe perpetrata la menomazione di una sua specifica attribuzione, di cui, in qualità di parlamentare rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.), è titolare, attribuzione consistente nel potere di emendamento, da intendersi incluso nel potere di iniziativa (art. 71 Cost.), e che è esercitato sia in aula sia in commissione (art. 72 Cost.);
che, pertanto, il senatore ricorrente chiede a questa Corte di accertare l’avvenuta menomazione del suo potere di emendamento e, conseguentemente, di annullare le impugnate declaratorie di inammissibilità e improponibilità;
che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, ai sensi dell’art. 37, primo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in sede di sommaria delibazione, l’ammissibilità del ricorso, per valutare, senza contraddittorio, se sussistano i requisiti soggettivo e oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e dunque a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali (da ultimo, ordinanza n. 66 del 2021);
che questa Corte, con l’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto, quanto al profilo soggettivo, l’esistenza di un complesso di prerogative del singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle di cui dispone in quanto componente dell’assemblea, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, sicché nell’esercizio delle stesse egli esprime una volontà in sé definitiva e conclusa, che soddisfa quanto previsto dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953;
che tali prerogative «si esplicitano anche nel potere di iniziativa, testualmente attribuito “a ciascun membro delle Camere” dall’art. 71, primo comma, Cost., comprensivo del potere di proporre emendamenti, esercitabile tanto in commissione che in assemblea (art. 72 Cost.)» (ordinanza n. 17 del 2019);
che, quanto al profilo oggettivo, questa Corte ha altresì precisato che «non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato le censure che riguardano esclusivamente violazioni o scorrette applicazioni dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera (tra le altre, sentenza n. 9 del 1959 e, più recentemente, ordinanza n. 149 del 2016)» (ordinanza n. 17 del 2019), ma solo quelle inerenti a vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari;
che, in linea generale, affinché si riscontri la materia del conflitto, occorre che si lamenti la violazione di norme costituzionali attributive di specifici poteri al soggetto ricorrente;
che, quanto ai singoli parlamentari, ciò comporta che sugli stessi incombe l’onere di allegazione e deduzione della violazione di una propria attribuzione, da individuare puntualmente, parallelamente agli atti o comportamenti asseritamente lesivi, e fondata sulle norme della Costituzione, mentre resta riservato alle assemblee parlamentari il giudizio relativo all’interpretazione e applicazione delle sole norme e delle prassi regolamentari;
che, nella specie, sebbene il ricorrente denunci la menomazione del potere di emendamento, di cui è titolare in quanto rappresentante della Nazione, senza vincolo di mandato, e invochi gli artt. 67, 71 e 72 Cost., egli sviluppa le censure lamentando essenzialmente la violazione degli artt. 97 e 100 del Regolamento del Senato, là dove individuano i criteri per le declaratorie di inammissibilità e improponibilità degli emendamenti;
che, in particolare, il ricorrente contesta che gli emendamenti presentati in sede di conversione dei decreti-legge fossero estranei alla materia fatta oggetto di discussione in aula e, quindi, improponibili, ai sensi dell’art. 97 del Regolamento, come ritenuto dal Presidente del Senato, e contesta anche che determinassero un aumento di spesa, tanto da rendere necessaria la relazione finanziaria, secondo la prassi parlamentare, come assunto dalla V Commissione permanente (Bilancio);
che, dunque, alla luce della prospettazione del ricorso, la menomazione lamentata dal ricorrente attiene all’interpretazione e alle modalità di applicazione di norme e prassi regolamentari inerenti alla presentazione e discussione degli emendamenti;
che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, a ciascuna Camera è riconosciuta e riservata la potestà di disciplinare, tramite il proprio Regolamento, il procedimento legislativo «in tutto ciò che non sia direttamente ed espressamente già disciplinato dalla Costituzione» (sentenza n. 78 del 1984);
che, entro questi limiti, le vicende e i rapporti attinenti alla disciplina del procedimento legislativo «ineriscono alle funzioni primarie delle Camere» (sentenza n. 120 del 2014) e rientrano, per ciò stesso, nella sfera di autonomia che a queste compete (ordinanza n 149 del 2016);
che, dunque, il presente conflitto, nei termini in cui è stato prospettato, «non attinge al livello del conflitto tra poteri dello Stato, la cui risoluzione spetta alla Corte costituzionale» (ordinanze n. 366 del 2008 e n. 90 del 1996), perché le argomentazioni addotte nel ricorso attengono esclusivamente alla violazione di norme del Regolamento del Senato e della prassi parlamentare, senza che sia dimostrata una manifesta lesione delle attribuzioni costituzionali invocate;
che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile.