<p style="text-align: justify;">“Rinnovo del permesso di soggiorno: il reato di cui all’art. 609 bis 3 comma c.p. è causa ostativa.”</p> <p style="text-align: justify;">Recentemente, il Consiglio di Stato (Sezione Terza) si è pronunciato in tema di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno. Il supremo consesso amministrativo, nel pervenire alla presente decisione, muoveva dalle seguenti ragioni di</p> <p style="text-align: justify;">FATTO E DIRITTO</p> <p style="text-align: justify;">Un cittadino –omissis- ricorreva avverso il provvedimento della Questura di Piacenza, con il quale detta Autorità denegava il rinnovo del permesso di soggiorno. In particolare, il diniego veniva motivato in forza del fatto che il ricorrente era stato condannato per il reato di cui all’art. 609 bis 3 comma c.p., statuizione confermata dalla Corte di Appello di Roma in data 20 gennaio 2016.</p> <p style="text-align: justify;">Nel giudizio di primo grado, il TAR di Parma respingeva il ricorso, ritenendo sussistente, ai sensi dell’art. 4 comma 3 del d.lgs. 286/1998, la portata ostativa della suddetta fattispecie incriminatrice al rinnovo del permesso di soggiorno.</p> <p style="text-align: justify;">Il ricorrente, dunque, interponeva gravame avverso la sentenza del TAR di Parma, lamentando che, essendo il reato di minore gravità (art. 609 bis 3 comma c.p.), non rientrava nelle ipotesi di preclusione automatica ex art. 4 comma 3 del d.lgs. 286/1998.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, che chiedeva il rigetto dell’appello.</p> <p style="text-align: justify;">Il Consiglio di Stato riteneva l’appello infondato.</p> <p style="text-align: justify;">Il supremo consesso amministrativo rappresentava che, nonostante la portata applicativa dell’art. 380 c.p.p. fosse quella sottolineata dall’appellante, la formulazione dell’art. 4 comma 3 del d.lgs. 286/1998 non considerava automaticamente ostativi soltanto i reati indicati dall’art. 380 c.p.p., ma anche alcune categorie di reati, a prescindere dalla riconducibilità all’art. 380 c.p.p., anziché all’art. 381 del codice di rito.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il Collegio giudicante tra questi reati rientrava anche la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 609 bis c.p., in tutte le sue forme, anche quelle definite di “minore gravità”.</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, il Consiglio di Stato riteneva che, anche nel caso in cui si fosse dubitato della costituzionalità della norma (sotto il profilo della ragionevolezza), si doveva considerare che la Corte Costituzionale aveva già ritenuto legittima l’analoga previsione concernente i reati attinenti agli stupefacenti (sent. n. 272/2012).</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, secondo il Collegio, il TAR di Parma aveva argomentato che il comportamento dell’appellante risultava specificamente considerato dalla Questura, la quale era pervenuta ad un giudizio di pericolosità sulla base dell’accertamento operato dal giudice penale.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, il Consiglio di Stato respingeva il ricorso, compensando le spese di lite tra le parti. Contestualmente disponeva l’oscuramento delle generalità dell’istante in forza degli artt. 52 comma 1 e 2 del d.lgs. 196/2003 e 10 del Regolamento UE 2016/679.</p> <p style="text-align: justify;"><em>Alessandro Piazzai</em></p>