Corte di Cassazione, Sez. IV penale, ud. dep. 22 aprile 2025 n. 15697
PRINCIPIO DI DIRITTO
La posizione di garanzia in tema di debito di sicurezza antinfortunistica deve essere riferita anche solo alla assunzione della carica di legale rappresentante della società alle cui dipendenze è posto il lavoratore e su cui i terzi fanno affidamento.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso deve essere rigettato.
- Il primo motivo, con cui si censura nella sostanza la qualifica del datore di lavoro del ricorrente, è inammissibile o comunque manifestamente infondato.
2.1. Invero la doglianza, a fronte della motivazione della Corte di Appello che ha richiamato i principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui il legale rappresentante di una società, anche qualora prestanome, sia pur sempre destinatario degli obblighi di protezione antinfortunistica, si limita a ribadire in maniera generica la sua qualifica di mero prestanome, senza indicare alcun elemento a sostegno di tale assunto e, soprattutto, senza contrappore al percorso giuridico seguito nella sentenza impugnata alcuna ragione di fatto o di diritto.
2.2. Va piuttosto ribadito che la posizione di garanzia in tema di debito di sicurezza antinfortunistica deve essere riferita anche solo alla assunzione della carica di legale rappresentante della società alle cui dipendenze è posto il lavoratore e su cui i terzi fanno affidamento.
2.3. Tale interpretazione è confortata dalla lettura degli artt. 2 e 299 d.lgs 81/2008 che definiscono la qualifica di datore di lavoro e perimetrano l’esercizio di fatto delle funzioni tipiche di coloro che rivestono tale qualifica, oltre che quella di dirigente e preposto: il datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro, il quale riveste la posizione di garanzia. Correlativamente l’art. 299 d.lgs 81/2008, nel definire l’esercizio di fatto dei poteri direttivi, stabilisce che la posizione di garanzia relativa al datore di lavoro grava altresì su colui che, pur sprovvisto di formale investitura, eserciti in concreto i poteri riferiti al soggetto definito dall’art. 2.
2.4. La norma nell’estendere gli obblighi di garanzia a coloro ai quali di fatto svolgono le mansioni tipiche delle figure di cui si è detto, non esclude la corresponsabilità di coloro i quali sono titolari formali della qualifica. Permane, dunque, in capo al titolare del rapporto di lavoro la posizione di garanzia, a meno che questi non abbia investito tramite delega altri soggetti delle funzioni prevenzionistiche (Sez 4. n. 2157 del 23/21/2021, dep 2002, Beccalini, Rv 282568).
2.5. Alla luce di tali considerazioni devono essere ribaditi i precedenti di legittimità che hanno affermato come la responsabilità dell’amministratore di società in ragione della posizione assegnatagli dall’ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia apparente (Sez. 4 n. 30167 del 06/04/2023, Di Rosa, Rv 284828; Sez. 4, n. 49732 del 11/11/2014, Canigiani, Rv. 261181 – 01).
- Il secondo motivo, con cui si è censurata la prevedibilità e prevenibilità dell’evento, è infondato.
3.1. Incontestata la dinamica dell’infortunio e l’assenza di qualsivoglia attività di formazione e informazione del lavoratore dipendente, assunto dapprima con contratto di lavoro a tempo determinato (dal 29 gennaio 2018 al 15 febbraio 2018) e poi (dal mese di marzo 2018) con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il tema della prevedibilità e della prevenibilità dell’infortunio è stato adeguatamente affrontato dai giudici di merito. […]
3.2. In coerenza con tale assunto, la Corte ha ribadito la responsabilità del datore di lavoro per non aver ottemperato all’obbligo di fornire al lavoratore assunto una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza con particolare riferimento al posto di lavoro e alle mansioni a cui è addetto e ha affermato che, laddove il datore di lavoro non adempia a tale obbligo, l’omessa formazione potrà essere considerata causa dell’ infortunio verificatosi in conseguenza della mancata consapevolezza da parte del lavoratore dei rischi connessi alla lavorazione e del modo in cui ovviare a tali rischi.
3.3. L’iter argomentativo seguito è rispettoso del dettato normativo e dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Le nozioni di informazione, formazione e addestramento sono definite nel d.lgs. n. 81/08 all’art. 2, lettere aa), bb) e cc) dove si legge che:
– la “formazione” è il «processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi»;
– l'”informazione” è il «complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro»;
– l'”addestramento” è il «complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro». L’art. 37 d.lgs. n. 81/08 nei primi tre commi disciplina i contenuti e le modalità della formazione e dell’informazione e stabilisce al quarto comma che debbano avvenire -unitamente all’addestramento specifico «ove previsto» – «in occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e miscele pericolose».
3.4. L’obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori, è uno dei principali gravanti sul datore di lavoro, ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro (Sez. 4, n. 41707 del 23 settembre 2004, Bonari, Rv. 230257; Sez. 4, n. 6486 del 3 marzo 1995, Grassi, Rv. 201706). Il datore di lavoro risponde dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042 – 01; Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079).
3.5. È, infatti, tramite l’adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti (Sez. 4, n. 11112 del 29 novembre 2011, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729). Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell’infortunio occorso al lavoratore, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento, ovvero laddove sia accertato che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo (ex multis, Sez. Un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222138). […]
- Il terzo motivo, con cui si censura il mancato riconoscimento della causa non punibilità ex art. 131 bis cod. pen.è inammissibile per difetto di specificità.
4.1. Secondo un consolidato orientamento, in merito al riconoscimento (o diniego) della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., il giudice deve motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, dep. 2019, Venezia, Rv. 275940).
4.2. Il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. (a seguito della entrata in vigore del D.lgs 10 ottobre 2022 n.150, a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 6 d.l. 31 ottobre 2022 n. 162, anche della condotta susseguente al reato), ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 n. 55107 del 8/11/2018, Milone, Rv. 274647; sez. 3 n. 34151 del 18/6/2018, Foglietta e altro, Rv. 273678).
4.3. Peraltro la richiesta di applicazione della causa di non punibilità deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, Rv. 282097-01), sicché la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’Imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (ex plurimis, Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635; Sez. 4 n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate Rv. 283420)
4.4. Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno. […]