MASSIMA
L’Ente avente natura di diritto pubblico ‘in house’ giuridicamente è una pubblica amministrazione: gli accordi da esso stipulati rientrano a pieno regime nelle attività istituzionali proprie dell’Ente stesso e, sotto il profilo del diritto di accesso ad atti e documenti, risultano soggetti alle disposizioni previste dalla normativa in vigore (Art. 24 della L. 241 del 1990; Artt. 5 e 5-bis del D. Lgs. 33 del 2013; D.M. del 16 Marzo 2022).
Stante la tutela legislativa a favore del cittadino del diritto di accesso generalizzato agli atti della P.A., sancita dall’art. 5 comma 2 del D.Lgs. 33 del 2013, si rilevano due distinte ed autosufficienti ragioni a sostegno della motivazione di diniego di esibizione da parte dell’Ente, rispettivamente previste dagli articoli 5-bis comma 1 lett. a), c) e d) del D.Lgs. 33 del 2013 e dal recente
Decreto del Ministero dell’Interno del 16.03.2022, art. 2 comma 1 lett. d). In sintesi il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di determinati interessi pubblici, previsti dall’art. 5.bis comma 1 lett. a), c) e d) del D.Lgs. 33 del 2013 e per i motivi di difesa e sicurezza internazionali annoverati dall’art. 2 comme 1 lett. d) del D.M. del 16.03.2022, ivi compresi in particolare, nell’arresto in disamina, quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione.
Rispetto alla contestata violazione del principio di gerarchia delle fonti del diritto a causa della natura regolamentare del Decreto Ministeriale richiamato e della natura assoluta dell’eccezione prospettata proprio dall’art. 2 comma 1 lett. d) del D.M. del 16.03.2022, si rileva che la fonte del potere di diniego della P.A. è la Legge 241 del 1990, art. 24 commi 1 e 2, i quali dispongono che le Pubbliche Amministrazioni possano autonomamente individuare le categorie di documenti sottratte all’accesso per le ragioni interesse pubblico.
La stessa giurisprudenza ha individuato due ordini di limiti all’esercizio di accesso generalizzato:1) eccezioni relative (art. 5-bis commi 1 e 2 del D.Lgs. 33 del 2013), rispetto alle quali l’Amministrazione, discrezionalmente effettua un adeguato e proporzionato bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti secondo i criteri del c.d. ‘test harm’ (o test del danno: si preserva l’interesse antagonista senza sacrificare del tutto l’esigenza di conoscibilità); 2) eccezioni assolute (art. 5-bis comma 3 del D.Lgs. 33 del 2013) in cui il Legislatore ha determinato a monte, assiologicamente, gli interessi da tutelare e pertanto l’Amministrazione è obbligata ad esercitare un potere vincolato previa necessaria valutazione della ricorrenza nel caso concreto di un’eccezione assoluta. Nella complessiva disamina delle eccezioni, laddove le eccezioni assolute siano venute meno, rimangono comunque ferme le eccezioni relative ed alla luce di queste sarà valutata l’istanza del cittadino.
Anche le Linee Guida redatte dall’Autorità Nazionale Anti-Corruzione (ANAC) confermano la natura di eccezioni assolute per le situazioni di cui al citato comma 3 del’art. 5-bis del D.Lgs. 33 del 2013, risultando legittimo escludere o limitare l’accesso per tutelare la riservatezza publica o privata di informazioni e dati.
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- Il sig. Duccio Facchini – premettendo di svolgere la professione di giornalista, di essere direttore della rivista “Altreconomia” (dal 2019) e di essersi occupato per anni, con pubblicazioni e articoli, di temi relativi ai diritti umani, sociali e civili, con particolare riguardo all’attualissima tematica delle migrazioni dall’Africa settentrionale lungo la rotta mediterranea – con ricorso ex art. 116 c.p.a. (proposto in data 28.9.2022) ha adito questo TAR per chiedere l’annullamento del provvedimento di rigetto, emesso in data 21.7.2022 dalla Direzione Generale di AID, Agenzia Industrie Difesa (Agenzia pubblica sottoposta alla vigilanza del Ministero della Difesa), della propria istanza di ostensione dell’Accordo di collaborazione stipulato in data 21.10.2021 tra la stessa Agenzia Industrie Difesa e la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, nell’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya – Second phase” (doc. 1 ric.).
Egli espone di avere presentato in data 24.06.2022 istanza di accesso generalizzato ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 al Ministero della Difesa “in qualità di Autorità di vigilanza sull’Agenzia Industrie Difesa”, richiedendo, specificamente, copia dell’“accordo di collaborazione stipulato in data 21 ottobre 2021 tra il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Amministrazione – Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere e l’Agenzia Industrie Difesa – AID, nell’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management lybia- second phase” (doc. 2 ric.).
Con nota del 21.7.2022 il Ministero della Difesa, Agenzia Industrie Difesa – Direzione Generale, ha rigettato la richiesta in quanto ha ritenuto che l’istanza di accesso generalizzato non poteva essere accolta, in quanto il documento in oggetto “non è atto ostensibile atteso che lo stesso rientra nella categoria dei documenti sottratti all’accesso per motivi attinenti alla sicurezza, alla Difesa e alle Relazioni Internazionali come recita l’art. 5 bis comma 1 lett. a) ,c) ,d) del citato D.lgs. 33/2013.” (doc. 1 ric.).
Il provvedimento impugnato ha poi precisato che il diniego era altresì sostenuto, normativamente, dal Decreto del Ministero dell’Interno datato 16/03/2022 che, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per i motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all’art. 2 comma 1 lett. d) “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e le intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
- Con il ricorso oggi in disamina parte ricorrente, oltre all’annullamento del diniego predetto, chiede, in via principale, a questo Giudice di “accertare il diritto dell’odierno ricorrente all’accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.lgs. 33/2013, anche con sentenza in forma semplificata, all’accordo sottoscritto tra Ministero dell’Interno e AID nell’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya – Second phase”.
In via subordinata domanda che l’accesso sia quanto meno limitato ad alcune parti dei documenti in base a quanto previsto all’art. 5 comma 4 ai sensi del d.lgs. 33/2013.
A tale scopo deduce i seguenti motivi di impugnazione:
- I) Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di norme imperative di legge; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 (co. 1, 2 e 6), 5 bis (co 1 e 3) d.lgs 33/13 e art. 3 legge 241/90; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, arbitrarietà, travisamento dei fatti, contraddittorietà e manifesta illogicità. Sproporzionalità anche per mancata valutazione dell’accesso parziale.
L’AID, secondo il sig. Facchini, non adduce alcun pregiudizio concreto all’interesse pubblico che deriverebbe dall’ostensione; ciò in aperta violazione dell’art. 5 bis, comma 1, primo periodo lett. a), c), d) del citato D.lgs. 33/2013, disposizione richiamata nella prima parte della motivazione del provvedimento di rigetto (a mente della quale sono sottratti all’accesso i documenti per motivi attinenti alla Sicurezza, alla Difesa e alle Relazioni Internazionali).
E’ lo stesso legislatore a richiedere la concretezza del pregiudizio ai fini del diniego che, in assenza di esso, è da considerarsi illegittimo.
L’art. 5 bis citato, ai commi 1, 2 e 3, individua una serie di eccezioni al principio della generale accessibilità, poste a presidio di interessi pubblici e privati suscettibili di subire un pregiudizio concreto dalla conoscibilità generalizzata di alcune informazioni. Precisamente la normativa individua due categorie di eccezioni, le quali, se vengono in rilievo nel caso specifico, possono essere opposte al cittadino richiedente per limitare o del tutto escludere l’accesso ai documenti richiesti. Al comma 1 e al comma 2 della disposizione citata sono previste le eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati, le quali, se poste alla base di un rigetto, devono essere in ogni caso suffragate da una specifica e puntuale motivazione da parte dell’Amministrazione, così come espressamente precisato dalle Linee guida A.N.A.C., secondo le quali “Il legislatore non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione di esclusioni all’accesso generalizzato, ma rinvia a una attività valutativa che deve essere effettuata dalle amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanto validi interessi considerati dall’ordinamento.” All’art. 5-bis, comma 1 si prevede che l’accesso è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive.
Tale motivazione nella specie mancherebbe atteso che le ragioni della sottrazione all’accesso non vengono individuate in concreto ma soltanto rappresentate in astratto, mediante una mera elencazione di alcune categorie di documenti non ostensibili ai sensi del citato art. 5-bis comma 1.
- II) Violazione di legge e falsa applicazione art. 5 comma 2 e art. 5 bis comma 3 anche in combinato disposto con l’art. 24 c- 1 e 2 l. 241/90, violazione e falsa applicazione del dm del 16.03.2022 in merito alla disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso.
Nel ricorso si evidenzia, sotto altro profilo, che la Direzione Centrale dell’AID ha rigettato la richiesta di accesso anche in quanto il documento richiesto rientrerebbe nella categoria dei documenti sottratti alla divulgazione, ai sensi del Decreto Ministeriale del Ministero dell’Interno del 16 marzo 2022, in particolare ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. d) del D.M. menzionato, laddove menziona le “intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
A parere di parte ricorrente, il provvedimento sarebbe illegittimo anche sotto questo ulteriore aspetto in quanto: da un lato, i limiti all’accesso documentale posti a presidio di interessi diversi non possono essere richiamati ed applicati per analogia al caso dell’accesso civico, soprattutto laddove introducano limitazioni all’accesso sottratte alla riserva di legge; dall’altro, i limiti previsti per l’accesso documentale ai sensi dell’art. 24 Legge n. 241 del 1990 devono essere coordinati e contestualizzati alla luce dell’entrata in vigore dell’accesso civico e, pertanto, vanno rapportati ai nuovi scopi della richiesta di accesso, alla nuova funzione dell’accesso civico ed in ogni caso il rifiuto deve essere sottoposto ad un preciso obbligo motivazionale. Aggiunge la difesa del ricorrente che “nella materia dell’accesso civico vige la riserva assoluta di legge per cui limitazioni assolute all’accesso, da cui automaticamente deriva il rigetto alla divulgazione del documento richiesto, possono essere previste solo per legge. Precisamente il diritto di accesso alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni è stato qualificato dalla Corte EDU come diritto fondamentale protetto dall’art. 10, par. 1 della CEDU quale specifica manifestazione della libertà di informazione.” Oltre a ciò, come riportato anche nelle Linee guida ANAC e dalla Circolare FOIA 2/2017, dalla riserva di legge contenuta nell’art. 10 CEDU discende che le pubbliche amministrazioni, nel definire le modalità concrete di esercizio del diritto, possono disciplinare esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno, ma non possono incidere negativamente sull’estensione del diritto.
L’Amministrazione, viceversa, avrebbe illegittimamente integrato la fattispecie di cui all’art. 5 bis comma 3 del D.lgs. 33/2013, che contempla le eccezioni assolute all’accesso, con una fonte regolamentare (il D.M. Interno sopracitato) che è di rango subordinato alla legge ed è stata introdotta per limitare l’accesso documentale ed in nessun modo è idonea “ad escludere in via assoluta il diritto all’accesso civico.”.
L’introduzione di un’eccezione “assoluta”, conclude il ricorrente, non può essere rimessa alla discrezionalità della pubblica Amministrazione. Pertanto sarebbe “indiscusso” che i limiti all’accesso procedimentale (art. 22 e ss. Legge n. 241 del 1990), in particolare se derivanti da fonti regolamentari, non possono integrare i casi di cui all’art 5-bis co 3 di limitazione all’accesso civico generalizzato, essendo consentiti, rispetto a quest’ultimo limiti assoluti, solo con indicazione tassativa rimessa al legislatore.
III) Impugnazione in via incidentale per l’annullamento dell’art. 2 c. 1 lett d) del decreto ministeriale del 16.03.2022 recante la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso. Genericità. Eccesso di potere per sviamento. Violazione di legge artt. 22 e 24 Legge n. 241/90.
Il predetto decreto ministeriale, come sopra esposto, ad avviso del ricorrente non poteva essere utilizzato “per integrare la categoria dei limiti assoluti di cui all’art. 5 bis comma 3 D.Lgs 33/2013”, in rapporto al quale poteva essere utilizzato, semmai, solo come “indicatore o parametro di valutazione nella motivazione da svolgere nell’ambito della applicazione dei limiti relativi di cui all’art. 5 bis c. 1 e 2 D.Lgs. 33/2013.”.
Ove si ritenesse di rinvenire nelle categorie documentali individuate dal D.M. un limite assoluto, lo stesso D.M. sarebbe “in parte qua” illegittimo. Secondo parte ricorrente, infatti, ove il potere ministeriale di normare le esclusioni all’accesso si volesse fondare sull’art. 24, comma 1, lett. a) della legge n. 241 del 1990 (tesi in prima battuta criticata dal ricorrente) – vale a dire sulla norma di legge che esclude l’accessibilità per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge n. 801/1977 e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni – la fonte secondaria non può arrivare, secondo la tesi ricorsuale, alle estreme conseguenze di tipizzare in modo così vago e generico le caratteristiche di tali documenti, tanto da ricomprendere tipologie di documenti estremamente ampie e diversificate solo facendo un generico riferimento al settore di interesse (in materia di immigrazione si potrebbero, per assurdo, sottrarre alla trasparenza qualsivoglia tipologia di dato, documento o informazione) con esiti imprevedibili e dannosi. La disposizione introdotta con il recente DM andrebbe dunque annullata per violazione di legge e per eccesso di potere in quanto sarebbe stato travisato ed esercitato illegittimamente il compito affidato dal legislatore alla pubblica amministrazione che, tramite l’indicazione di categorie amplissime e dalle caratteristiche troppo generiche, sottraggono interi ambiti al diritto di accesso e al contraddittorio.
- IV) Nel ricorso, infine, in via subordinata, si avanza domanda affinché sia ordinato da questo Tribunale alla P.A., di esibire tutti gli atti oggetto della richiesta, ivi compresi quelli cui sia stata eventualmente apposta la qualifica di ‘riservato’, con l’attestazione dell’eventuale inesistenza di ulteriori atti, e dando atto dell’eventuale esistenza di atti sui quali sia stato apposto il segreto di Stato, con l’indicazione di tutte le cautele ritenute necessarie. Tale richiesta discende dal principio, già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’organo giudicante può ammettere la produzione in giudizio dei documenti sui quali si è formato il convincimento della pubblica amministrazione, sottoponendo l’esibizione di essi a specifiche cautele necessariamente legate al possibile pregiudizio derivante dalla loro divulgazione.
- In data 12.10.2022, si sono costituiti per resistere al ricorso il Ministero della Difesa, l’Agenzia Industria Difesa, il Ministero dell’Interno – Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per la Funzione Pubblica).
La difesa erariale ha prodotto in data 26.11.2022 memoria difensiva.
- Parte ricorrente, a propria volta, ha prodotto in data 26.11.2022 note difensive nelle quali replica alle deduzioni della parte resistente.
- Alla camera di consiglio del 2 dicembre 2022, presenti gli avvocati delle parti, il ricorso è stato assunto in decisione dal Collegio.
- Viene all’esame del Collegio la questione relativa alla accessibilità – ai sensi dell’art. 5, comma 2 e ai suoi limiti ex art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013 (c.d. accesso civico generalizzato) – per ragioni di informazione giornalistica, dello specifico documento pubblico recante l’Accordo di collaborazione stipulato in data 21.10.2021 tra l’Agenzia Industrie Difesa (AID) e la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Ministero dell’Interno, nell’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya – Second phase”.
Giova premettere che ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 “2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis.”.
Rilevano nella specie, di quest’ultimo articolo, i seguenti commi (1,2, 3 e 4):
“1. L’accesso civico di cui all’articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
- a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;
- b) la sicurezza nazionale;
- c) la difesa e le questioni militari;
- d) le relazioni internazionali;
- e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
- f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
- g) il regolare svolgimento di attività ispettive.
- L’accesso di cui all’articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
- a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
- b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
- c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
2-bis. … omissis…..
- Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
- Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Se i limiti di cui ai commi 1 e 2 riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l’accesso agli altri dati o alle altre parti.”.
Deve anche richiamarsi il comma 6 dell’art. 5-bis cit. il quale prevede che spetta all’ANAC (d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281) l’adozione di linee guida recanti indicazioni operative sui limiti dell’accesso civico.
- Deve poi essere chiarito (v. memoria res. del 26.11.2022) che l’Agenzia Industrie Difesa (AID) è una Agenzia di diritto pubblico “in house”del Ministero della Difesa, istituita ai sensi del D.lgs. n. 300/99 (artt. 8, 9 e 22), come strumento di razionalizzazione e ammodernamento delle unità industriali della Difesa, affidatele in gestione. Essa opera secondo criteri industriali sotto la vigilanza del Ministro della Difesa, con la missione di portare all’equilibrio economico gli stabilimenti industriali assegnati in una logica di creazione di valore sociale ed economico per lo Stato e la collettività. Ciò al fine di una corretta qualificazione giuridica dell’Ente che non è un’amministrazione statale, come asserito in ricorso, ma è una pubblica Amministrazione, come tale individuata nell’art 1, comma 2 del D.lgs. 165/2001.
L’Accordo non esibito rientra, quindi, nell’ambito delle attività istituzionali proprie dell’Ente in questione.
- La motivazione del diniego di esibizione, come meglio risulta da quanto già ampiamente esposto, si fonda su due distinte ed autosufficienti ragioni:
- la prima richiama – postulando la riconducibilità ad esse dell’Accordo AID/Min.Int. – le categorie di documenti di cui alle lettere a) (sicurezza pubblica e ordine pubblico), c) (la difesa e le questioni militari) e d) (le relazioni internazionali) dell’art. 5-bis, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013;
- la seconda, invece, richiama il recente Decreto del Ministero dell’Interno (Ministero che è parte dell’Accordo de quo) datato 16.3.2022 che, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all’art. 2 comma 1 lett. d) “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e le intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
Questo secondo (ed autosufficiente) profilo della motivazione del diniego trova il proprio referente normativo a livello primario nell’art. 24 comma 1 della legge n. 241 del 1990, mediante il nesso di collegamento che con tale disposizione è instaurato del comma 3 dello stesso art. 5-bis cit. a mente del quale “3. Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.”
Quest’ultima disposizione (art. 24, comma 1, cit.) assume rilievo nella specie in quanto il comma 1 alla lettera a) prevede testualmente che “1. Il diritto di accesso è escluso:
- a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
Il citato comma 2, quindi, prevede che “2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1.”.
Il D.M. richiamato nella motivazione del diniego è dunque espressione del potere normativo che la legge (art. 24, comma 2, Legge 241/1990) assegna alle pubbliche amministrazioni ai fini della perimetrazione delle categorie di documenti, da esse formati e, comunque, posseduti, che sono sottratti all’accesso per le ragioni di interesse pubblico nominate dal comma 1 dell’art. 24 cit.
Si è più volte osservato in giurisprudenza che i limiti che l’ordinamento prevede all’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato sono di due categorie: i) eccezioni relative (art. 5-bis, comma 1 e comma 2, D.Lgs. n. 33 del 2013 cit.); ii) eccezioni assolute (art. 5-bis, comma 3, D.Lgs. n. 33 del 2013 cit.).
Nell’ipotesi delle eccezioni relative (in cui rientra la necessità di evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela dell’interesse pubblico riguardante sicurezza, difesa e relazione internazionali) il legislatore non ha previsto, a monte, una scala valoriale in cui è collocato con priorità ontologica o con una prevalenza assiologica un interesse rispetto ad un altro. In presenza di una ipotesi di eccezione relativa è quindi rimesso all’Amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, bilanciamento da svolgersi in concreto tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri del cd. harm test (o test del danno: dove si preserva l’interesse antagonista senza sacrificare del tutto l’esigenza di conoscibilità, anche parziale, nell’interesse pubblico) o del c.d. “public interest test” o “public interest override”, dove occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto (vedi gli spunti contenuti in TAR Campania, Salerno, Sez. III, 14 giugno 2022, n. 168).
Viceversa nelle ipotesi delle eccezioni assolute (in cui rientrano ad esempio i “casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge” e i casi di cui all’art. 24, comma 1, L. n. 241 del 1990) “il legislatore ha operato, a monte, una valutazione assiologica di determinati interessi ritenuti degni di protezione massima e pertanto li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa dei dati, delle informazioni e dei documenti amministrativi. In presenza di un’ipotesi di eccezione assoluta, l’amministrazione è pertanto tenuta ad esercitare un “potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione”, fermo restando che “le eccezioni assolute … non sono preclusioni assolute” dal momento che l’interprete dovrà comunque valutare la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato”. (TAR Campania, Salerno cit.)
Ciò comporta che il rapporto tra eccezioni relative e eccezioni assolute va calibrato nel senso che, laddove le ragioni delle eccezioni assolute (previste, peraltro, per l’accesso documentale ai sensi degli articoli 22 e ss. della L. n. 241 del 1990 e 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016) siano venute meno, rimangono comunque ferme le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013, sicché l’accesso civico generalizzato dovrà essere valutato alla luce di queste ultime disposizioni.
- Alla luce di quanto precede il Collegio ritiene dunque di affrontare, in primo luogo, la questione, sottesa al secondo motivo di gravame, relativa alla sussistenza e alla configurabilità nella specie di un legittimo impedimento assoluto all’esibizione del documento, per effetto della esclusione “categoriale”contenuta nel più volte citato Decreto del Ministero dell’Interno del 16 marzo 2022 la cui applicazione presuppone una risposta affermativa (possibilità contestata invece dal ricorrente) alla domanda relativa all’applicabilità all’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013, dei limiti e delle eccezioni rinvenibili nell’art. 24, comma 1, lett. a) Legge n. 241 del 1990.
9.1. La tesi del ricorrente (secondo motivo) è che il diniego di accesso non potrebbe essere giustificato con il riferimento ad una fonte di natura regolamentare quale è il citato D.M., che non potrebbe essere richiamato sulla base della disciplina propria dell’accesso civico di cui al d.lgs. 33/2013.
La tesi non merita di essere condivisa.
Come già osservato da questo TAR in analogo precedente (cfr. TAR Lazio, sez. I-ter, 7 aprile 2021, n. 4103), è lo stesso art. 5 bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal D.Lgs. 97/2016, a richiamare i limiti al diritto di accesso “inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990” (secondo l’art. 5-bis comma 3, infatti, “Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”).
Quest’ultima norma, a sua volta, demanda alle Pubbliche Amministrazioni l’individuazione, mediante regolamento, delle categorie di documenti sottratti all’accesso.
Ne consegue che mediante tale richiamo il Decreto Ministeriale è direttamente riconducibile ad una fonte normativa di rango primario.
In altri termini, poiché è l’art. 24 comma 1, lett. a) ad ammettere (oltre al segreto di Stato in senso stretto) un divieto di divulgazione che può essere espressamente previsto (oltre che dalla legge e dal regolamento governativo di cui al comma 6) dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è nella legge (quindi nella fonte primaria), e non già nell’atto regolamentare, che si fonda la forza derogatoria legata a speciali fattispecie, alla regola della ostensione generalizzata di cui all’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 33 del 2013.
Non vi sono peraltro ragioni per interpretare “chirurgicamente” il richiamo, da parte dell’art. 5-bis D.Lgs. n. 33/2013, all’art. 24 della legge n. 241/1990, come richiamo soltanto parziale e limitato alla normativa primaria contenuta in quest’ultima e non anche alle fonti secondarie anch’esse richiamate dallo stesso art. 24.
Infatti il comma 3 dell’art. 5-bis cit. usa il lemma “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990” e quest’ultima disposizione, come visto, prevede espressamene che il diritto di accesso è escluso “nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
9.2. Per tale ragione l’Amministrazione non ha effettuato alcuna applicazione analogica all’accesso civico in esame dei limiti previsti dall’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 in materia di accesso documentale.
In altri termini l’applicazione dei predetti limiti è disposta dallo stesso art. 5 bis, comma 3, del D.lgs. n. 33 del 2013, mediante il rinvio integrale all’art. 24 della legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo.
9.3. Peraltro anche nella produzione giurisprudenziale del Consiglio di Stato si legge che “appare evidente che il legislatore, pur introducendo nel 2016 (l. 25 maggio 2016, n. 97) il nuovo istituto dell’accesso civico “generalizzato”, espressamente volto a consentire l’accesso di chiunque a documenti e dati detenuti dai soggetti indicati … e quindi permettendo per la prima volta l’accesso (ai fini di un controllo) diffuso alla documentazione in possesso delle amministrazioni (e degli altri soggetti indicati nella norma appena citata) e privo di un manifesto interesse da parte dell’accedente, ha però voluto tutelare interessi pubblici ed interessi privati che potessero esser messi in pericolo dall’accesso indiscriminato. Il legislatore ha quindi operato per un verso mitigando la possibilità di conoscenza integrale ed indistinta dei documenti detenuti dall’ente introducendo dei limiti all’ampio accesso (art. 5 bis, commi 1 e 2, del d.lgs. 33/2013) e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi e la propria disciplina speciale dettata dalla legge 241/1990 (evitando accuratamente di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate), anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651).
Alla luce di tali considerazioni, quindi, anche dopo l’entrata in vigore delle norme che “disciplinano l’accesso civico generalizzato”, permane un settore “a limitata accessibilità”, nel quale continuano ad applicarsi le più rigorose norme della legge 241/1990, di modo che se è vero che è consentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell’ente, in quanto obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non può essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l’ostensione di quel dato e documento può essere consentita solo in favore di una ristretta cerchia di interessati in quanto titolati, secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla legge 241/1990.
In definitiva, “l’accesso generalizzato deve essere riguardato come estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui relativi limiti debbono essere considerati di stretta interpretazione e possono essere individuati solo nei ristretti limiti previsti dal legislatore.” (TAR Lazio, I-ter, 7 aprile 2021, n. 4103).
L’art. 5, comma 2, del decreto 33/2013 consente, quindi, ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle Amministrazioni) “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, ma pur sempre nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati all’art. 5-bis del decreto, limiti che nella specie sono stati individuati, in modo chiaro, nel provvedimento impugnato, mediante il testuale riferimento al Decreto del Ministero dell’Interno datato 16/03/2022 il quale, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per i motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all’art. 2, comma 1, lett. d) “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
Superata, pertanto, la doglianza relativa alla portata di norma di rango primario da conferire ai regolamenti di entrambe le amministrazioni contraenti – Ministero dell’Interno (DM 415/1994 e DM 16/3/2022) e Ministero della Difesa (DM 14/6/1996 n. 519) – per effetto del rinvio “pieno” operato dal comma 3 del citato 5 bis all’art 24 della L. 241/1990, le stesse linee guida dell’ANAC, invocate dal ricorrente, non si oppongono in realtà al provvedimento negativo adottato ma al contrario, consentono di ritenerlo legittimo alla luce della “seconda ragione” su cui esso si fonda (richiamo all’art. 2, comma 1, lett. d) D.M. 16.3.2022), in quanto esse evidenziano la natura di eccezioni assolute da riferire alle situazioni di cui al citato co. 3 dell’art. 5 bis, le quali non richiedono l’esplicitazione di ulteriori motivazioni nel caso di negato accesso, atteso che “possono verificarsi circostanze in cui potrebbe essere pregiudizievole dell’interesse coinvolto imporre all’amministrazione anche solo di confermare o negare di essere in possesso di alcuni dati o informazioni (si consideri ad esempio il caso di informazioni su indagini in corso). In tali ipotesi, di stretta interpretazione, se si dovesse pretendere una puntale specificazione delle ragioni del diniego, l’amministrazione potrebbe disvelare, in tutto o in parte, proprio informazioni e dati che la normativa ha escluso o limitato dall’accesso, per tutelarne la riservatezza (pubblica o privata).” (Linee Guida ANAC).
- Ferma restando la sufficienza delle argomentazioni sopra svolte ai fini del rigetto del ricorso, il Collegio rileva altresì che, muovendo dalle affermazioni dell’ANAC sopra trascritte, appaiono destituite di fondamento anche le censure articolate da parte ricorrente in merito alla assenza di motivazione del diniego sul piano della chiara esplicazione del pregiudizio concreto all’interesse pubblico che deriverebbe dalla esibizione dell’Accordo di collaborazione in oggetto.
Poiché esso si riferisce, come ammesso dal ricorrente, all’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya – Second phase”, finanziato dalla Commissione Europea e per il quale si stimava una previsione di spesa di oltre 44 milioni di euro sino alla data del 15 dicembre 2024; poiché successivamente, con il Contribution Agreement n. T05-EUTF-NOA-LY-07/T05-1637 sottoscritto il 22 dicembre 2020, la Commissione Europea ha riconosciuto al Ministero dell’Interno un ulteriore finanziamento di 15 milioni di euro per l’implementazione della seconda fase del progetto “Support to Integrated Border and Migration Management in Libya”. (https://eutf.akvoapp.org/dir/project/7601); poiché, infine, di tale progetto, il Ministero dell’Interno italiano gestisce i fondi comunitari al fine di implementare attività e progetti volti a rafforzare le capacità delle autorità libiche di presidiare le proprie frontiere e soccorrere i migranti in mare; non sembra revocabile in dubbio, in tale contesto, che l’accordo di collaborazione sottoscritto il 21 ottobre 2021 tra il Ministero dell’Interno e l’Agenzia Industrie e Difesa rientri a pieno titolo nella categoria di documenti, individuata dal D.M. 16.3.2022, delle “intese tecniche per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
Ciò, oltre a confermare la fondatezza della motivazione del diniego – laddove esclude l’accesso in quanto afferente a documenti categoricamente sottratti all’esibizione, in base a disposizioni normative specifiche ex art. 24, comma 1, lett. a) legge n. 241/90 – rende adeguata, nel suo complesso, la motivazione addotta in quanto è agevolmente intuibile il pregiudizio concreto che potrebbe derivare all’interesse pubblico alla riservatezza del documento, laddove alle Amministrazioni coinvolte fosse imposto, soltanto per motivare il diniego, di rendere espliciti i contenuti di un documento riservato.
- Ne consegue che non può essere accolta la richiesta di accesso nemmeno nella forma parziale sulla quale l’interessato insiste nel terzo motivo.
- In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio possono essere compensate in ragione della parziale novità delle questioni affrontate.
TAR LAZIO – ROMA, I BIS – sentenza 01.02.2023 n. 1779