<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ci sono casi nella storia in cui la giurisprudenza si sostituisce al legislatore e, piuttosto che limitarsi ad interpretare le norme che disciplinano gli istituti da esso configurati, ne crea di nuovi: è quanto accaduto con l’occupazione appropriativa (o acquisitiva) che – avendo di mira la massima tutela dell’interesse pubblico – ha invertito il principio tradizionale dell’accessione, attribuendo la proprietà (già privata) del suolo alla PA proprietaria (quale costruttore) dell’opera pubblica, giusta acquisto a titolo originario dell’area di sedime dell’opera pubblica medesima siccome scaturente da una occupazione “</em>bifronte<em>” (illecita e, ad un tempo, capace per l’appunto di attrarre la proprietà del fondo nella proprietà della realizzata opera pubblica); il tutto fino alla dura presa di posizione della Corte EDU, intervenuta a presidio della dominicalità privata, che ha finito da ultimo – non senza una qualche diuturna resistenza interna - col cancellare l’istituto dal panorama giuridico nostrano. Mentre l’occupazione acquisitiva presuppone una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità, cui non abbia fatto seguito il tempestivo decreto di esproprio, quella usurpativa è tale perché mai è stata dichiarata dalla PA la pubblica utilità dell’opera per la cui realizzazione essa procede all’ablazione del fondo privato; ovvero è stata dichiarata, ma con atto caducato dal Giudice o dalla stessa PA, ovvero con atto ormai inefficace per scadenza dei relativi termini di concreta operatività sul piano giuridico. Una figura che, isolata in epoca successiva rispetto all’occupazione acquisitiva, amplifica di quest’ultima i connotati di illiceità, finendo con lo spirare definitivamente mentre quella è ancora in agonia: dalla morte di entrambe discende, sul crinale processuale, lo stesso spegnersi d’ogni questione di riparto della giurisdizione tra il GA e il GO, pur un tempo capace di alimentare un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile vede la luce il codice civile liberale (Codacci-Pisanelli) che è tutto incentrato sulla proprietà, quale diritto che assume connotati “<em>sacrali</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno viene varata la legge n.2359 che disciplina la possibilità per lo Stato di procedere all’espropriazione di beni privati per interesse pubblico. Importanti le fattispecie di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità (dell’opera divisata), individuate dall’art. 13, comma 3, nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori, senza che sia intervenuto il decreto ablativo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile si incentra ormai sull’impresa e non sulla proprietà, come accadeva nel codice liberale del 1865: la proprietà viene prevista tra l’altro, all’art.832, come generatrice di obblighi per il proprietario, e può essere perduta per espropriazione in forza della legge 2359 del 1865. I modi di acquisto della proprietà costituiscono un numero chiuso e sono previsti: all’art.922 del codice, secondo il quale la proprietà si acquista per occupazione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-i/art923.html">923</a>), per invenzione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-i/art927.html">927</a>), per accessione (articoli <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-ii/art934.html">934</a> e ss.: degno di nota in particolare l’art.938, che prevede un caso di accessione invertita in cui è la proprietà di ciò che insiste sul suolo a determinare la proprietà del suolo, e non viceversa, come normalmente accade secondo il noto principio romanistico “<em>superficies solo cedit</em>”), per specificazione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-ii/art940.html">940</a>), per unione o commistione (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-iii/sezione-ii/art939.html">939</a>), per usucapione (articoli <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-viii/capo-ii/sezione-iii/art1158.html">1158</a> ss.), per effetto di contratti (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-ii/capo-v/sezione-i/art1376.html">1376</a>), per successione a causa di morte (art.<a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-i/capo-i/art456.html">456</a>) e negli altri modi stabiliti dalla legge. Lo stesso codice prevede, all’art.2058 e per i casi di illecito, il risarcimento del danno in forma specifica qualora sia in tutto o in parte possibile e non eccessivamente oneroso per il debitore, nonché all’art.2933 l’esecuzione specifica degli obblighi di non fare, onde, se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo, chiarendosi però (comma 2) che non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3912.html">risarcimento dei danni</a>, se la distruzione della cosa stessa è di pregiudizio all'economia nazionale. Infine, sono importanti le disposizioni del codice civile che prevedono l’abbandono liberatorio della proprietà privata, ed in particolare l’art.550 (abbandono della nuda proprietà della porzione disponibile da parte dei legittimari: c.d. cautela sociniana), l’art.1070 (abbandono del fondo servente), l’art.1104 (rinunzia della quota di comproprietà). Interessante anche l’art.827 c.c. che, nel disciplinare i beni immobili c.d. “vacanti”, afferma che i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che all’art.42, nell’accostare alla proprietà privata quella pubblica, prevede la possibilità di esproprio della proprietà privata per motivi di interesse generale e salvo indennizzo, in via generale, appunto all’art.42, e per particolari categorie di beni, all’art.43.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1950 </strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre viene firmata a Roma la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1952</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo viene firmato il primo Protocollo addizionale alla CEDU, secondo il cui articolo 1 ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei propri beni. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1955</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varata la legge n.848, con la quale l’Italia ratifica la CEDU e con essa il primo Protocollo addizionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1977</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2801, secondo la quale l’occupazione di un terreno da parte della PA, laddove divenuta illecita perché priva di un titolo idoneo a sostenerla, compendia un illecito di natura permanente, che si consuma di momento in momento, con la conseguenza onde il termine prescrizionale per l’azione risarcitoria decorre da ogni singolo momento (giorno) di occupazione da parte della PA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 gennaio viene varata la legge n.1, recante accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali, il cui articolo 1, comma 3, afferma che gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità cessano (sopravvenuta inefficacia) se le opere non hanno avuto inizio nel triennio successivo all'approvazione del progetto che compendia la ridetta dichiarazione di pubblica utilità “<em>implicita</em>”. Ai sensi del comma 1 di tale articolo 1, infatti, l'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse. Per quanto concerne la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, le fattispecie sono ora individuate: a) dall’art. 13, comma 3, legge 2359/1865 per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita (nel caso di inutile decorso dei termini finali in esso fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori, senza che sia intervenuto il decreto ablativo o, da quando sarà poi ammessa, senza che si sia verificata la cosiddetta occupazione espropriativa; b) dall’art. 1, comma 3, legge 1/1978 per la dichiarazione di pubblica utilità implicita (in caso di mancato inizio delle opere nel triennio successivo all'approvazione del progetto),</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 febbraio esce la sentenza delle SSUU n.1464 che conia la figura della c.d. acquisizione appropriativa (o acquisitiva), quale modo di acquisto delle proprietà a titolo originario, in capo alla PA, di un’opera pubblica come precipitato di una occupazione illegittima <em>ab origine</em> o comunque divenuta illegittima. Le SSUU, sconfessando la precedente giurisprudenza, assumono inammissibile la coesistenza di proprietà separate nella colonna verticale, onde il proprietario del fondo resterebbe tale anche se l’opera pubblica che vi viene realizzata illegittimamente (e che vi insiste) appartiene invece alla PA; laddove manchi <em>ab ovo</em> un titolo legittimante l’occupazione, ovvero laddove tale titolo abbia perso efficacia, in difetto dell’adozione di un valido decreto di esproprio, è la radicale trasformazione del fondo privato occupato che fa sì che la proprietà (pubblica) dell’opera (pubblica) attragga quella privata: in sostanza, il fondo originariamente di proprietà privata, venendo irreversibilmente funzionalizzato alla realizzazione di un’opera pubblica giusta concreta realizzazione della medesima, implica che si estingue la proprietà privata e coevamente sorge quella pubblica, acquisendo la PA agente (anche) la proprietà del fondo (oltre ovviamente a quella dell’opera pubblica) a titolo originario, nel proprio patrimonio indisponibile. Nel momento della irreversibile trasformazione del fondo – che è quello che consente l’acquisizione del fondo medesimo alla mano pubblica a titolo originario – si consuma tuttavia un illecito che impone alla PA di risarcire il danno al privato il cui fondo sia stato illegittimamente occupato, con decorrenza di un termine di prescrizione quinquennale, trattandosi di illecito aquiliano. Nasce così, per via pretoria, un nuovo modo “<em>atipico</em>” di acquisto della proprietà (a titolo originario): un medesimo fatto – la irreversibile trasformazione del fondo privato, tale da far luogo, attraverso la inscindibile incorporazione nel suolo dell’opera pubblica (seppure ancora non ultimata, ma in ogni caso ormai riconoscibile come tale) ad un bene nuovo e diverso, funge ad un tempo da modo di acquisto atipico della proprietà a titolo originario e da fatto illecito generatore di danno risarcibile. Il meccanismo è in qualche modo analogo a quello previsto dall’art.938 c.c., secondo il quale se nella costruzione di un edificio si occupa in <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1488.html">buona fede</a> una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/996.html">autorità giudiziaria</a>, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo occupato ma il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1167.html">risarcimento dei danni</a>: una disposizione che tuttavia – come fa rilevare da subito la dottrina più avvertita - presuppone la buona fede del costruttore, e che appare difficilmente predicabile nel caso della PA che sia occupante illegittima, <em>ab origine</em> o per inefficacia sopravvenuta, del fondo privato sul quale essa realizza l’opera pubblica; inoltre, sempre la dottrina, critica verso le SSUU, rappresenta che: a) nella fattispecie di cui all’art.938 c.c. il costruttore che occupa in buona fede parte del fondo senza l’opposizione nei 3 mesi del proprietario del fondo medesimo, deve corrispondergli il doppio del valore venale della porzione di fondo acquisita in proprietà, secondo uno schema di tipo risarcitorio-sanzionatorio, mentre nel caso dell’accessione invertita pubblica la PA è tenuta a risarcire i danni nei limiti del valore venale della porzione di fondo occupata, salvi gli ulteriori danni se provati; b) nella fattispecie di cui all’art.938 c.c. il provvedimento del giudice ha natura costitutiva: la proprietà si trasferisce <em>ope iudicis</em> sulla base di una ponderazione tra l’interesse del proprietario del fondo occupato e l’interesse del costruttore occupante in buona fede, mentre nell’occupazione acquisitiva pubblica è il fatto in sé della irreversibile trasformazione del fondo giusta realizzazione dell’opera pubblica a far acquisire alla PA la proprietà della corrispondente porzione di fondo illegittimamente occupato, l’eventuale provvedimento giurisdizionale assumendo mera natura dichiarativa di accertamento.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1984</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1683, secondo la quale l’occupazione acquisitiva compendia un illecito di natura permanente, che si consuma di momento in momento, con la conseguenza onde il termine prescrizionale per l’azione risarcitoria decorre da ogni singolo momento (giorno) di occupazione da parte della PA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3872 che – nel recepire le critiche mosse dalla dottrina alle SSUU del 1983 – ritiene che laddove il fondo privato risulti irreversibilmente trasformato a cagione della riconoscibile realizzazione di un’opera pubblica, in realtà il privato non perde la proprietà in modo immediato ed in conseguenza dell’illecito; la perdita della proprietà privata, e l’acquisizione alla mano pubblica del fondo illegittimamente occupato, va ricondotta alla proposizione della domanda di risarcimento dei danni spiccata dal privato (in luogo di quella restitutoria del bene proprio), che vale atto abdicativo della proprietà.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 giugno esce la sentenza delle SSUU n.3940 che, sconfessando il <em>revirement</em> della II sezione del 1987, riafferma l’impostazione del 1983 onde un medesimo fatto – l’irreversibile trasformazione del fondo a cagione della intervenuta realizzazione dell’opera pubblica – ad un tempo fa acquistare alla PA la proprietà del fondo medesimo, e genera un danno aquiliano che la PA deve risarcire al privato. Le SSUU si esprimono in termini di espropriazione sostanziale, o di valore, del fondo privato, derivante da una nuova destinazione a soddisfare l’interesse pubblico impressa sul fondo medesimo giusta realizzazione dell’opera pubblica, anche nell’ottica della funzione sociale della proprietà di cui all’art.42 della Costituzione: ne discende che è del tutto incompatibile con tale funzione sociale il mantenimento in capo al privato di una proprietà meramente nominale (alla quale rinuncerebbe giusta abdicazione nel momento in cui invoca il risarcimento del danno). Una volta realizzata l’opera pubblica, ci si trova al cospetto di un nuovo (e indistinto) bene immobile (l’opera medesima ed il fondo sul quale insiste): in sostanza, la pubblicità (come titolo di appartenenza) dell’opera si propaga sul fondo, rendendo pubblico anch’esso, quale parte dell’opera stessa. Il bene va visto nel suo complesso e va qualificato come integralmente pubblico, non potendosi predicare pubblica l’opera e ad un tempo affermare la proprietà privata di una frazione del bene pubblico che essa compone, vale a dire il fondo sul quale insiste. Se l’irreversibile trasformazione del fondo giusta realizzazione dell’opera pubblica fa acquisire il fondo alla mano pubblica, per le SSUU il successivo decreto di esproprio che venisse adottato dall’Amministrazione sarebbe <em>inutiliter datum</em>, non producendo alcun effetto espropriativo che non si sia già prodotto con la fattispecie acquisitiva descritta. Le SSUU operano poi una esiziale precisazione anche nell’ottica della giurisprudenza che seguirà: l’occupazione acquisitiva – quand’anche operi in difetto di un decreto di esproprio (che, anzi, ove adottato sarebbe <em>inutiliter datum</em> per come visto) – presuppone indefettibilmente una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera che si va a realizzare: nel conflitto tra interesse pubblico alla realizzazione dell’opera in ogni caso e interesse privato alla restituzione del fondo intonso, prevale il primo (interesse pubblico) a condizione che sia stata previamente esplicitata, con dichiarazione di pubblica utilità, proprio l’opera che si va a realizzare sul fondo oggetto di occupazione da parte della PA. Ove manchi tale dichiarazione di pubblica utilità, l’occupazione non è acquisitiva (o appropriativa), ma usurpativa (come sarà definita in seguito), e non è idonea al trasferimento della proprietà dal privato alla PA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre vede la luce la legge n.458, il cui articolo 3 conferisce un crisma di legittimità all’occupazione appropriativa nel settore specifico dell’edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata: il proprietario del terreno utilizzato per finalità, per l’appunto, di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, laddove il provvedimento espropriativo sia dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, non può ottenere la retrocessione del bene, ma ha diritto al risarcimento del danno causato da tale provvedimento espropriativo (dichiarato) illegittimo, con l’aggiunta della rivalutazione monetaria e degli interessi di cui all’art.1224, comma 2, c.c., a decorrere dal giorno dell’occupazione illegittima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6209 che esclude che un medesimo fatto possa ad un tempo predicarsi illecito e idoneo a far acquisire in modo atipico la proprietà in capo alla PA a titolo originario: viene varata piuttosto la tesi della c.d. espropriazione “<em>sostanziale</em>”, bifasica, in cui si distinguono per la Corte due frazioni del procedimento occupatorio pubblico; in una prima fase la PA occupa illegittimamente il bene privato, realizzando una fattispecie di illecito; una volta intervenuta sul bene occupato illegittimamente la irreversibile trasformazione, a quel punto si realizza una irrituale acquisizione della proprietà del bene alla mano pubblica a titolo originario. In sostanza, la prima fase è illecita e non porta <em>ex se</em> all’acquisto della proprietà in capo alla PA, risolvendosi nello spossessamento illecito e nella possibilità per il privato di chiedere il risarcimento del danno aquiliano collegato al relativo mancato utilizzo nel torno temporale che va dallo spossessamento stesso alla irreversibile trasformazione del fondo, con termine di prescrizione quinquennale ex art.2947 c.c.; la seconda fase presuppone un illecito già compiuto, da assumersi quale mero antecedente storico, cui si sovrappone l’irreversibile trasformazione del fondo ed il passaggio della proprietà del fondo medesimo dal privato alla PA: qui non si discorre più di profilo possessorio (e di connesso illecito) ma di diverso profilo acquisitivo, con contestuale nascita in capo al privato di un credito al controvalore del bene rivalutato, ormai passato alla mano pubblica, di natura indennitaria (e non più risarcitoria) soggetto a prescrizione decennale ex art.2946 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">*L’11 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7210 che – sulla scia del precedente 6209 di giugno - esclude che un medesimo fatto possa ad un tempo predicarsi illecito, da un lato, ed idoneo a far acquisire in modo atipico la proprietà in capo alla PA a titolo originario, dall’altro: viene ribadita piuttosto la tesi della c.d. espropriazione “<em>sostanziale</em>”, bifasica, in cui si distinguono per la Corte due frazioni del procedimento occupatorio pubblico; in una prima fase la PA occupa illegittimamente il bene privato, realizzando una fattispecie di illecito; una volta intervenuta sul bene occupato illegittimamente la irreversibile trasformazione, a quel punto si realizza una irrituale (ma non illecita) acquisizione della proprietà del bene alla mano pubblica a titolo originario. In sostanza, la prima fase è illecita e non porta <em>ex se</em> all’acquisto della proprietà in capo alla PA, risolvendosi nello spossessamento illecito e nella possibilità per il privato di chiedere il risarcimento del danno aquiliano collegato al relativo mancato utilizzo nel torno temporale che va dallo spossessamento stesso alla irreversibile trasformazione del fondo, con termine di prescrizione quinquennale ex art.2947 c.c.; la seconda fase presuppone un illecito già compiuto, da assumersi quale mero antecedente storico, cui si sovrappone l’irreversibile trasformazione del fondo ed il passaggio della proprietà del fondo medesimo dal privato alla PA: qui non si discorre più di profilo possessorio (e di connesso illecito) ma di diverso profilo acquisitivo, con contestuale nascita in capo al privato di un credito al controvalore del bene rivalutato, ormai passato alla mano pubblica, di natura indennitaria (e non più risarcitoria) soggetto a prescrizione decennale ex art.2946 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.486 che – assumendo come parametro l’art.3 della Costituzione – dichiara illegittimo l’art.3 della legge 458.98 laddove prevede che sia risarcito il danno al proprietario del fondo utilizzato per fini di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, solo laddove vi sia stato un provvedimento di esproprio poi annullato in sede giurisdizionale, e non anche nel caso in cui non sia intervenuto alcun provvedimento di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio viene varato il decreto legge n.333, recante misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, che originariamente non annovera l’art.5.bis in tema di indennità di espropriazione.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 agosto viene varata la legge n.359 che, nel convertire in legge con modificazioni l’art.333, introduce nel testo l’art.5.bis, che detta i criteri per quantificare l’indennità di espropriazione (legittima) dovuta dalla PA al privato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 novembre esce la sentenza delle SSUU n.12546 che ripropone ancora una volta la tesi della unicità del fatto, ad un tempo, illecito e acquisitivo della proprietà (a titolo originario) in capo alla PA, nel quale si compendia la c.d. occupazione acquisitiva. Per le SSUU è artificioso segmentare in due fasi – come ha fatto la I sezione nel 1990 – la fattispecie dell’occupazione acquisitiva, laddove ad una prima fase possessoria illecita si contrapporrebbe una seconda fase acquisitiva lecita (seppure irrituale), per giunta con crediti di natura diversa in capo al privato e differenti regimi prescrizionali. Per le SSUU, una volta che vi sia dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare sul fondo privato, anche se l’occupazione diviene illegittima, si è al cospetto di un fatto illecito perpetrato dalla PA che tuttavia le consente di acquisire a titolo originario la proprietà del fondo illecitamente occupato. Si tratta di una vicenda ablatoria che si pone fuori asse rispetto all’ordinamento, e che come tale impone alla PA di risarcire il danno aquiliano nel termine prescrizionale di 5 anni previsto dall’art.2947 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11474 che afferma come – una volta intervenuta l’occupazione acquisitiva per irreversibile trasformazione del fondo privato – l’eventuale successiva adozione del decreto di esproprio è del tutto ininfluente rispetto all’assetto dominicale siccome realizzatosi (perdita della proprietà del bene da parte del privato; acquisizione del bene in capo alla PA a titolo originario), e dunque anche sulle relative conseguenze risarcitorie (continua a correre il termine di prescrizione); nessun rilievo può poi avere ai fini del risarcimento del danno a beneficio del privato il fatto che questi non abbia contestato tale decreto di esproprio tardivo, né il fatto che un giudice ne abbia riconosciuto la legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.442 che – tra le altre cose – ribadisce la netta distinzione tra espropriazione legittima ed occupazione appropriativa: se la PA espropria in modo legittimo, deve al privato la sola indennità di esproprio prevista dall’art.5.bis del decreto legge 333.92; se invece procede in modo illegittimo/illecito (occupazione appropriativa), deve risarcire integralmente il danno al privato che ha subito l’illegittima ablazione. Ciò dovrebbe incoraggiare la PA a procedere in modo legittimo/lecito, piuttosto che illegittimo/illecito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.5113 che, occupandosi della tutela possessoria, afferma inapplicabili alla tutela reale i limiti alla reintegrazione in forma specifica previsti dall’art.2058 c.c. per la tutela personale, onde laddove si chieda la restituzione del bene e la riduzione in pristino stato, spiccando azione reale, il limite della possibilità e della non eccessiva onerosità per il debitore non opera, dal momento che l’azione reale tutela diritti assoluti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.188 che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, ribadisce la distinzione tra occupazione appropriativa illegittima (illecita) ed espropriazione legittima. Secondo la Corte – alla quale viene richiesto in via additiva di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art.2043 c.c. nella parte in cui non prevede che, in caso di irreversibile trasformazione del fondo privato occupato e manipolato, la realizzazione dell’opera pubblica sana l’illecito, con conseguente insorgenza di un credito del privato ablato all’indennità di esproprio (e non al risarcimento del danno), con termine prescrizionale decennale – la vicenda della occupazione appropriativa si qualifica come illecita: muovendo da questo presupposto, appartiene alla discrezionalità del legislatore decidere come regolare la fattispecie, e non può essere assunta costituzionalmente illegittima l’opzione di disciplinare tale fattispecie (illecita) in modo diverso dalla corrispondente fattispecie lecita (espropriazione legittima), prevedendo per la prima (a differenza che per la seconda) un risarcimento del danno integrale in luogo di un mero indennizzo. Del pari, appartiene alla discrezionalità del legislatore agganciare il <em>dies a quo</em> del termine prescrizionale per l’azione risarcitoria alla “<em>ordinaria diligenza</em>” del soggetto privato ablato, il quale: a) nel caso di manipolazione irreversibile del proprio terreno nel termine di occupazione legittima, deve sapere che quando tale termine scade inizia a decorrere per lui il termine prescrizionale per l’azione risarcitoria; b) nel caso in cui tale manipolazione sia successiva allo scadere del termine di occupazione legittima, deve sapere che da quando è scaduto il termine di occupazione legittima può ottenere (e deve chiedere, nel termine prescrizionale) addirittura la restituzione del proprio fondo, e se <em>medio tempore</em> interviene l’irreversibile trasformazione del medesimo, deve sapere che da quel momento può ottenere (e deve chiedere, nel termine prescrizionale) il (solo) risarcimento del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 dicembre viene varata la legge n.549, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, il cui art.1, comma 65, interviene sull’art.5.bis del decreto legge 333.92 sostituendone il comma 6: il risultato è una piena equiparazione tra espropriazione legittima ed occupazione appropriativa in termini di liquidazione monetaria dovuta al privato, in entrambi i casi dovendosi assumere come base di calcolo quanto previsto dall’art.5.bis ridetto in tema di indennizzo da espropriazione legittima (che si applica dunque, a partire da questo momento, anche ai risarcimenti del danno conseguenti ad occupazione appropriativa).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.369 che dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 6 dell'art. 5.bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n.549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui applica al risarcimento del danno i criteri di determinazione stabiliti per l'entità dell'indennizzo, e dunque laddove sostanzialmente equipara l’espropriazione legittima all’occupazione appropriativa in termini di esborso monetario della PA nei confronti del privato ablato: una medesima disciplina il legislatore ha infatti dettato per due fattispecie ontologicamente diverse tra loro, con palmare violazione dell’art.3 della Costituzione. La Corte non esclude tuttavia, sul piano teorico, che peculiari risarcimenti del danno possano essere “<em>ridotti</em>” dal legislatore, non esistendo un parametro costituzionale che imponga sempre e comunque l’integralità del risarcimento del danno, con conseguente impossibilità di giudicare incoerente o comunque irragionevole una disposizione di legge che preveda un risarcimento del danno limitato, seppure non ridotto al medesimo importo dell’indennità di esproprio (legittimo).</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varata la legge n.662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, che recepisce le indicazioni giunte dalla Corte costituzionale con la sentenza n.369 inserendo nell’art.5.bis del decreto legge 333.92 un comma 7.bis, alla cui stregua in caso di occupazioni illegittime di suoli per pubblica utilità (occupazioni appropriative) al privato è dovuto un risarcimento del danno ridotto: in sostanza, si applica il criterio determinativo dell’indennità di esproprio (legittimo), ma non viene applicata la riduzione del 40% prevista per detta indennità di esproprio e si applica un ulteriore aumento del 10% sull’importo calcolato. L’interpretazione che si darà di questa norma ne affermerà l’applicazione alle sole aree edificabili, e non anche alle aree non edificabili, con particolare riferimento a quelle a vocazione agricola (in questo caso, il risarcimento del danno è dunque integrale).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.1907 che isola la c.d. occupazione usurpativa (pur senza ancora definirla esplicitamente tale) in quella fattispecie particolarmente grave di occupazione che non garantisce alla PA l’acquisizione della proprietà del fondo (come invece accade nella ipotesi della occupazione acquisitiva): secondo le SSUU la PA non diviene proprietaria del suolo sul quale insiste l’opera “<em>pubblica</em>” divisata laddove la dichiarazione di pubblica utilità debba assumersi <em>ab initio</em> nulla, come nell’ipotesi in cui sia priva dei termini per le espropriazioni e per i lavori. Sono ipotesi nelle quali il privato conserva la proprietà del fondo e può sempre chiedere la <em>restitutio in integrum</em>, che corrisponde fondamentalmente con la restituzione del fondo stesso, previa demolizione di quanto costruito; può tuttavia anche chiedere in alternativa il solo risarcimento dei danni. Si tratta di un illecito di natura permanente, durante il quale non corre il termine di prescrizione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6515, che isola una ulteriore fattispecie di c.d. occupazione usurpativa: si tratta del caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sia stata annullata dal GA. Anche in questa ipotesi, la PA non diviene proprietaria del suolo sul quale insiste l’opera “<em>pubblica</em>” divisata ed il privato conserva la proprietà del fondo, potendo sempre chiedere la <em>restitutio in integrum</em>, che corrisponde fondamentalmente con la restituzione del fondo stesso, previa demolizione di quanto costruito; può tuttavia anche chiedere in alternativa il solo risarcimento dei danni, che comporta rinuncia alla <em>restitutio in integrum</em>. In questa ipotesi, dal momento in cui la decisione del GA che annulla la dichiarazione di pubblica utilità diviene definitiva decorre il termine quinquennale di prescrizione. Si tratta di una giurisprudenza che ritiene che il presupposto indefettibile di ogni procedura espropriativa si compendia nella (e si fonda sulla) esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, quale atto che - accertando e valutando l’interesse pubblico perseguito con la procedura espropriativa - configura il comportamento dell’ente espropriante come esplicazione di potestà amministrativa e conferisce all’opera effettiva natura pubblica, onde in difetto di tale presupposto viene a mancare qualsiasi collegamento tra un interesse pubblico (non dichiarato nei modi di legge, ovvero sconfessato, giusta annullamento per illegittimità) e l’opera realizzata, che non può pertanto definirsi pubblica, se non nel più ristretto significato che è riconducibile all’attività posta in essere da un soggetto non privato, il quale tuttavia non attua alcuna pubblica potestà: ne deriva che la relativa condotta si traduce in una attività meramente materiale e lesiva del diritto dominicale, con i connotati dell’illecito permanente, venendo meno alla radice qualsiasi potere di incidere, nell’esercizio di una potestà pubblica, sul diritto di proprietà.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7998, che per le più gravi fattispecie di illiceità dell’occupazione dei terreni da parte della PA, sostanzialmente riconducibile alla mancanza (originaria o sopravvenuta) di una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare sul fondo occupato, assume non applicabile il criterio liquidativo del danno previsto per le occupazioni appropriative (o acquisitive) dall’art.5.bis, comma 7bis, del decreto legge 333.92, dovendosi garantire al privato un risarcimento integrale del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.10694 che ribadisce inapplicabili alla tutela reale i limiti alla reintegrazione in forma specifica previsti dall’art.2058 c.c. per la tutela personale, onde laddove si chieda la restituzione del bene e la riduzione in pristino stato, spiccando azione reale, il limite della possibilità e della non eccessiva onerosità per il debitore non opera, dal momento che l’azione reale tutela diritti assoluti, rimanendo tuttavia sempre ferma la possibilità per l’attore di invocare la sola tutela per equivalente.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11221 che ribadisce inapplicabili alla tutela reale i limiti alla reintegrazione in forma specifica previsti dall’art.2058 c.c. per la tutela personale, onde laddove si chieda la restituzione del bene o, come nel caso di specie, la riduzione in pristino stato (costruzione in spregio alla minima distanza legale), spiccando azione reale, il limite della possibilità e della non eccessiva onerosità per il debitore non opera, dal momento che l’azione reale tutela diritti assoluti, rimanendo tuttavia sempre ferma la possibilità per l’attore di invocare la sola tutela per equivalente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo viene varato il decreto legislativo n.80, che all’art.34 devolve alla giurisdizione esclusiva del GA le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle PPAA e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. La giurisprudenza successiva affermerà che con questa disposizione l’intera materia espropriativa è da considerarsi attratta nell’orbita della giurisdizione esclusiva del GA, e ciò sia sulla base dell’esplicito riferimento della norma ai “<em>comportamenti</em>” delle PPAA, sia sulla base del riferimento di cui al comma 2 dell’art.34 all’urbanistica come ricomprendente “<em>tutti gli aspetti dell’uso del territorio</em>”, da intendersi sia sul crinale della programmazione (i piani urbanistici) sia sul versante della gestione e concreta attuazione delle scelte programmatorie, da intendersi riferito proprio agli espropri ed alle ablazioni, come peraltro implicitamente ed indirettamente confermato dal mantenimento in capo al GO (comma 3) della giurisdizione relativa alle controversie in materia di indennità derivanti proprio da atti di natura espropriativa o ablativa; su questo crinale, il risarcimento del danno per occupazione appropriativa viene assunto far luogo ad un obbligo di risarcimento del danno devoluto al GA (e non di indennizzo devoluto al GO).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.148, che salva (dichiarandolo conforme a costituzione) il regime tracciato dal legislatore nel 1996 con riferimento al credito risarcitorio – non integrale – maturato dal privato ablato a seguito di una occupazione appropriativa di area edificabile: secondo la Corte non è rintracciabile una copertura costituzionale per il principio della c.d. integralità del risarcimento del danno, con la conseguenza onde non è costituzionalmente imposto che il risarcimento del danno sia equivalente al pregiudizio in concreto cagionato. Specie quando il legislatore si accinge a mettere mano in modo organico alla disciplina di una determinata materia (il riferimento è implicitamente a quello che sarà il futuro Testo Unico in tema di espropri), potrà eccezionalmente prevedere una limitazione del risarcimento del danno dovuto al vulnerato in conseguenza di un illecito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1814 che per la prima volta si esprime esplicitamente in termini di occupazione “<em>usurpativa</em>” per le ipotesi di illiceità conclamata del contegno occupatorio della PA, laddove manchi <em>ab origine</em> una dichiarazione di pubblica utilità, ovvero questa sia stata dichiarata illegittima dal GA e dunque annullata. In particolare, nella fattispecie è venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità per annullamento, da parte del GA, del PEEP (Piano per l’Edilizia Economica e Popolare) che la compendiava: per la Corte, in casi come questo dalla privazione del possesso nei confronti del privato alla definitiva trasformazione del fondo è configurabile un unico e progressivo fatto illecito generatore di danno il cui risarcimento (poiché è da assumersi inapplicabile l’art.5.bis, comma 7bis, del decreto legge 333.92, applicabile solo ai casi di c.d. occupazione appropriativa) va commisurato al valore venale del terreno, al quale il proprietario abbia deciso di rinunciare proprio chiedendo il risarcimento del danno, riferito al tempo della definitiva trasformazione, con gli interessi su tale importo a decorrere dallo spossessamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 maggio esce la sentenza della Corte EDU sul caso soc. Belvedere Alberghiera / Italia, che muove dal presupposto onde non occorre, in astratto, verificare se nell’ordinamento italiano un istituto di pura creazione giurisprudenziale, come appunto l’occupazione appropriativa, assuma una configurazione assimilabile a quella di una disposizione di legge, per acclararne il conflitto con la CEDU, essendo sufficiente in proposito prendere atto di come la giurisprudenza sviluppatasi in materia abbia condotto ad applicazioni contraddittorie, ventilando per ciò solo – in concreto – risultati arbitrari ed imprevedibili, tali da privare gli interessati (ablati) di una tutela efficace dei relativi diritti e da porsi per tale via in frizione con il principio di legalità, convenzionalmente inteso, fissato all’art.1, Protocollo 1, alla CEDU. Peraltro, soggiunge la Corte, attraverso l’occupazione appropriativa la PA si avvantaggia di una situazione illegittima, e - specie laddove esclude la restituzione del bene al privato ablato nonostante l’annullamento in sede giurisdizionale degli atti dell’espropriazione illegittima - si pone ancora una volta in contrasto con il principio di legalità siccome tracciato dalla Convenzione e dal relativo I Protocollo addizionale. Infine, la Corte afferma che l’occupazione appropriativa corrisponde ad uno spossessamento del privato proprietario senza titolo, e non già una espropriazione cui difetti soltanto il pagamento di un’equa indennità per poterla considerare legittima: da ciò discende per la Corte che – in applicazione dell’art.41 della CEDU – la migliore forma di riparazione per il privato ablato è costituita dalla restituzione del bene da parte della PA, oltre al risarcimento dei danni (assumendo l’equa indennità mero valore recessivo). Si tratta di una pronuncia della Corte che investe, più che un caso di occupazione appropriativa, una ipotesi di c.d. occupazione usurpativa, a cagione dell’annullamento del progetto di opera pubblica in sede giurisdizionale e di conseguente venir meno (col progetto medesimo) della dichiarazione di pubblica utilità fondante la procedura espropriativa: laddove tuttavia la Corte stigmatizza il contegno dello Stato italiano che ha denegato al privato la restituzione del bene ablato, la dottrina vede già con riguardo a questa sentenza l’affermazione di principi applicabili alla ipotesi (meno grave) dell’occupazione appropriativa pura. In quel medesimo 30 maggio esce la coeva ed omologa sentenza della Corte EDU sul caso Carbonara e Ventura / Italia, che dichiara ancora una volta l’occupazione appropriativa o espropriazione indiretta in frizione con il primo Protocollo Addizionale alla CEDU in tema di tutela della proprietà privata, con le medesime argomentazioni di cui al caso Belvedere Alberghiera. Si muove dal difetto di precise disposizioni normative a disciplinare l’occupazione appropriativa, e da un diritto vivente della Cassazione italiana incompatibile con il principio di legalità di cui alla CEDU per avere esso dato luogo ad applicazioni contraddittorie e tali da non rispettare quella esigenza di principi accessibili, precisi e prevedibili che soli possono dirsi idonei a garantire ai privati proprietari interessati una efficace tutela dei relativi diritti, con l’aggravante onde la PA si avvantaggia di una situazione si sostanziale illegalità per acquisire la proprietà del bene. La sentenza si occupa anche della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione per chiedere il risarcimento del danno in caso di occupazione appropriativa: il momento in cui avviene la irreversibile trasformazione del fondo appare non individuabile con sufficienti margini di esattezza, finendo col rendere incerto lo stesso <em>dies</em> dal quale decorre appunto il termine prescrizionale, e da questo punto di vista la Corte EDU si pone in contrasto con le acquisizioni della Corte costituzionale di cui alla sentenza 188.95, che aveva invece assunto costituzionalmente legittima la configurazione del <em>dies a quo</em> per il decorso del termine prescrizionale, affidata alla ragionevole discrezionalità del legislatore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno vede la luce il d.p.r. n.327, testo unico in materia di espropri. Importante in particolare l’art.13 che, per quanto riguarda la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, non prevede più l’obbligatoria fissazione di un termine per le espropriazioni e per i lavori (inizio ed ultimazione), come invece prevedeva la disciplina previgente: il decreto di esproprio deve in ogni caso intervenire non oltre i 5 anni successivi. Ne consegue che da questo momento in poi la dichiarazione di pubblica utilità non può configurarsi illegittima né radicalmente nulla laddove non preveda i ridetti termini, che sono ormai facoltativi. Di rilievo l’art.43, che prevede una particolare forma di acquisto provvedimentale <em>ex post</em> della proprietà privata in caso di occupazioni illegittime, definito “<em>acquisizione sanante</em>”. Altra norma importante è l’art.53 che afferma appartenere alla giurisdizione esclusiva del GA tutte le controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti, accordi e comportamenti delle PPAA e di soggetti ad esse equiparati, conseguenti all’applicazione del Testo Unico sugli espropri.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3169, che afferma come – a seguito dell’entrata in vigore dell’art.34 del decreto legislativo n.80.98 – deve assumersi devoluto alla giurisdizione esclusiva del GA tutto il novero delle controversie afferenti ad espropri e ablazioni, stante lo stretto legame che teleologicamente avvince la programmazione urbanistica all’espropriazione e l’esigenza di coordinamento e concentrazione delle controversie gemmate dalle due materie ridette.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre viene pubblicata la legge costituzionale n.3 che, tra le altre cose, modifica il testo dell’art.117 della Costituzione: la potestà legislativa deve essere esercitata: - nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario: il che fa dire a parte della dottrina che la frizione di una norma interna con una norma comunitaria comporta (nuovamente) vizio di costituzionalità e competenza alla relativa declaratoria solo della Corte costituzionale (previa remissione della relativa questione di legittimità costituzionale); - nel rispetto dei vincoli derivanti dai Trattati internazionali, e dunque anche dalla CEDU. La legge costituzionale è importante anche perché modifica l’art.127 Cost. eliminando la possibilità di un sindacato preventivo della Corte costituzionale, su istanza dello Stato, sulle leggi regionali, comprese quelle in contrasto col diritto comunitario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3819 che – pur confermando l’appartenenza alla giurisdizione esclusiva del GA delle controversie in materia di espropriazione, come ad esempio le fattispecie di occupazione acquisitiva (o accessione invertita) da assumersi ricomprese in quelle afferenti alla materia dell’urbanistica come uso del territorio in tutti i relativi aspetti ex art.34 del decreto legislativo n.80.98 – esclude tuttavia dal novero di tali controversie quelle concernenti la c.d. occupazione usurpativa: in questa peculiare ipotesi non può ravvisarsi quello stretto nesso teleologico tra programmazione urbanistica ed espropriazione, essendosi piuttosto al cospetto di un fatto illecito dannoso da sottoporre al GO in sede di azione risarcitoria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre viene varato il decreto legislativo n.302, il cui art.1 modifica l’art.55 del d.p.r. 327.01, ribadendo il risarcimento “<em>limitato</em>” per i soggetti privati che abbiano subito una occupazione appropriativa: si applica il criterio di quantificazione dell’indennità di esproprio, ma è escluso l’abbattimento del 40% e sulla somma calcolata si aggiunge un ulteriore 10%.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 marzo esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4 che, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità (dell’opera) priva dei termini di inizio e di fine dei lavori, afferma essersi al cospetto di un atto annullabile e non nullo: per l’Adunanza, non può parlarsi in queste ipotesi di carenza di potere in concreto, con la conseguenza onde l’atto va impugnato nei termini e non se ne può invocare <em>ex post</em> la disapplicazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.5902 che si oppone in modo secco alla presunta contrarietà dell’istituto dell’occupazione appropriativa all’articolo 1 del protocollo 1 addizionale alla CEDU, siccome affermata nel 2000 dalle Corte EDU nei noti casi soc. Belvedere Alberghiera e Carbonara e Ventura, e ciò in quanto l’articolo primo del I Protocollo addizionale alla Convenzione non garantisce sempre il diritto ad un risarcimento integrale, ben potendo una riforma del sistema economico ed obiettivi di giustizia sociale militare per un rimborso inferiore al valore corrente di mercato. In sostanza, le SSUU affermano la compatibilità dell'istituto dell'occupazione acquisitiva con il principio sancito dall'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo; a tal fine, la Corte sottolinea che l'istituto non solo ha una base legale nei principi generali dell'ordinamento, ma ha trovato previsione normativa espressa prima (settoriale) con l'art. 3 della legge n. 458/1988 e, successivamente, con l'art. 5 bis, comma 7 bis, del d.l. n. 333/1992 (introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662/1996) dovendo assumersi ormai basato su regole sufficientemente accessibili, precise e prevedibili, ancorate a norme giuridiche che hanno superato il vaglio di costituzionalità ed hanno recepito (confermandoli) principi enucleati dalla costante giurisprudenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.6853, che ancora una volta si oppone in modo secco alla presunta contrarietà dell’istituto dell’occupazione appropriativa all’articolo 1 del protocollo 1 addizionale alla CEDU, siccome affermata nel 2000 dalle Corte EDU nei noti casi soc. Belvedere Alberghiera e Carbonara e Ventura. Secondo la Corte peraltro la sentenza Belvedere riguarda una fattispecie di occupazione usurpativa, con disciplina diversa da quella acquisitiva (onde non si produce l’effetto acquisitivo del bene ablato in favore della PA, potendosi richiedere dal privato la reintegrazione in forma specifica o il risarcimento del danno da illecito a carattere permanente, con le naturali conseguenze in termini di prescrizione), mentre la sentenza Carbonara-Ventura censura non già l’istituto dell’occupazione appropriativa in sé, quanto piuttosto (e solo) l’irregolare bilanciamento degli interessi (principio di legalità).</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la ordinanza delle SSUU della Cassazione n.9139 che conferma come nelle ipotesi di occupazione c.d. usurpativa, a differenza di quanto accade nelle fattispecie di occupazione appropriativa, la giurisdizione non può essere annessa al GA in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art.34 del decreto legislativo 80.98: non si verte qui in tema di urbanistica quale espressione del potere della PA, quanto piuttosto di comportamenti pubblici senza potere, non essendo stato dichiarato l’interesse pubblico dell’opera per la cui costruzione si occupa (del tutto abusivamente) il fondo privato.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11744 che ribadisce inapplicabili alla tutela reale i limiti alla reintegrazione in forma specifica previsti dall’art.2058 c.c. per la tutela personale, onde laddove si chieda la restituzione del bene e la riduzione in pristino stato, spiccando azione reale, il limite della possibilità e della non eccessiva onerosità per il debitore non opera, dal momento che l’azione reale tutela diritti assoluti, rimanendo tuttavia sempre ferma la possibilità per l’attore di invocare la sola tutela per equivalente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della Corte EDU resa ancora una volta sul caso Belvedere Alberghiera / Italia, che fa applicazione questa volta dell’art.41 della CEDU, onde “<em>se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa</em>”. Nel caso di specie, in difetto di intervenuta restituzione dell’immobile al legittimo proprietario privato, la Corte EDU quantifica l’equa soddisfazione dovuta al medesimo. La società Belvedere Alberghiera aveva infatti insistito nella richiesta della <em>restitutio in integrum</em>, ma la Corte, stante la evidente impossibilità sul piano pratico di provvedervi direttamente essa stessa - e muovendo dall’assunto onde se il diritto italiano non permette o non permette perfettamente di eliminare le conseguenze della violazione, l’art. 41 abilita la Corte medesima ad accordare alla parte lesa, se del caso, la soddisfazione che le sembri più appropriata - opta per il risarcimento del danno in assenza di restituzione del bene; peraltro, l’illegalità dello spossessamento del privato ablato induce la Corte a quantificare tale indennizzo in misura corrispondente al valore del bene non già alla data della relativa occupazione illegittima, ma al pertinente valore attuale (evidentemente molto più elevato perché ormai incorporante l’opera pubblica realizzatavi), valore cui vanno aggiunte ulteriori somme a titolo di mancato godimento del terreno a decorrere dallo spossessamento, di deprezzamento dell’immobile e di mancato guadagno nell’attività dell’albergatore dal 1987 al 2032 (con una proiezione futura del mancato guadagno di 45 anni rispetto alla data dell’occupazione). Sempre la Corte EDU condanna nel caso di specie lo Stato italiano al risarcimento del danno morale (richiesto nel caso di specie dalla società ricorrente in 30 mila euro in caso di <em>restitutio in integrum</em>, e in 100 mila euro in caso di mancata <em>restitutio in integrum,</em> e concretamente riconosciuto dalla Corte secondo equità in 25 mila euro) motivando in ordine al riconoscimento del danno morale con un richiamo al caso Comingersoll c. Portogallo, n. 35382/97, a giustificazione dell’estensibilità alle persone giuridiche della riparazione pecuniaria del pregiudizio morale.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 dicembre esce la sentenza della Corte EDU resa ancora una volta sul caso Carbonara e Ventura / Italia, che anche qui fa (ormai) applicazione dell’art.41 della CEDU nel pertinente caso di occupazione appropriativa (accessione invertita o espropriazione indiretta) e di connessa violazione dell'articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1 sul diritto di proprietà: stante la mancata restituzione dell’area acquisita illegalmente dall’Amministrazione, e proprio a motivo dell’illiceità di tale acquisizione, l'indennizzo a carico dello Stato italiano deve necessariamente riflettere il valore pieno ed integrale del bene. Più in specie, la Corte afferma che la liquidazione del danno materiale arrecato al privato a seguito di un’illegittimità nella procedura espropriativa non deve limitarsi al valore che la proprietà ablata aveva alla data (remota) della relativa occupazione, dovendosi rapportare il detto valore del bene allo stato attuale in cui si trova (valore, evidentemente molto più elevato laddove ormai incorporante l’opera pubblica realizzatavi), tenendo conto anche delle eventuali potenzialità di sviluppo urbanistico del suolo di che trattasi, e dunque dei relativi, attuali valori di mercato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3004, onde l’art. 2933, comma 2, c.c. – laddove esclude la riduzione in pristino, limitando la tutela (del privato) al solo risarcimento del danno, se la distruzione della cosa realizzata in spregio ad un obbligo di non fare è di pregiudizio all'economia nazionale - va interpretato in senso restrittivo, laddove si riferisce alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l’economia nazionale, con conseguente inapplicabilità qualora il pregiudizio riguardi interessi individuali o – come nel caso di specie – meramente locali (può dunque essere chiesta la rimessione in pristino in questi casi, e non vale il limite della mera tutela risarcitoria).</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9711, onde in un giudizio di risarcimento dei danni derivati ad un bene immobile ed al relativo proprietario da un illecito comportamento del convenuto, atteso che oggetto della pretesa azionata è non già il diretto e rigoroso accertamento della proprietà del fondo bensì l’individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento, non è richiesta la prova rigorosa della proprietà (cosiddetta <em>“probatio diabolica”</em>), potendo il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un’erronea destinazione del pagamento dovuto. Per la Corte, nel caso di specie il convincimento del giudice di merito si è correttamente formato in ordine alla legittimazione della danneggiata all’azione di risarcimento dei danni subiti da un immobile di sua proprietà a causa di infiltrazioni d’acqua, sulla base di produzione documentale – in particolare dell’atto di acquisto e dell’atto di divisione dell’immobile – nonché in considerazione dell’avvenuta decorrenza del periodo decennale di cui all’articolo 1159 cod. civ., e del comportamento processuale del convenuto, da parte sua limitatosi ad affermare di essere proprietario dell’immobile in questione, senza dedurre alcuna prova al riguardo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio esce la importantissima sentenza della Corte costituzionale n.204, che dichiara l’illegittimità costituzionale (oltre che dell’art.33, anche) dell’art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera b, della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti anziché soltanto «<em>gli atti e i provvedimenti</em>» delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia. La giurisdizione esclusiva viene assunta eccezionale per “<em>particolari casi previsti dalla legge</em>” (art.113 Cost.) e dunque inammissibile laddove si sia al cospetto di meri “<em>comportamenti</em>” della PA che non siano riconducibili all’esercizio di un potere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.21635 che – prendendo atto della sentenza della Corte costituzionale n.204, pubblicata nell’estate – afferma che non solo l’occupazione usurpativa, ma anche l’occupazione appropriativa, essendo riconducibile ad un comportamento della PA, deve assumersi attratta nella giurisdizione del GO, e non in quella esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 4 febbraio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.2198 che – prendendo atto della sentenza della Corte costituzionale n.204.04 – ribadisce come non solo l’occupazione usurpativa, ma anche l’occupazione appropriativa, essendo riconducibile ad un comportamento della PA, debba assumersi attratta nella giurisdizione del GO, e non in quella esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.6745 onde il privato danneggiato nei propri diritti da un provvedimento autoritativo (dichiarazione di pubblica utilità) poi annullato può dedurre solo innanzi alla giurisdizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva la relativa pretesa risarcitoria: secondo la Corte dunque l’occupazione usurpativa c.d. spuria va annessa alla giurisdizione del GA in sede di giurisdizione esclusiva, e non del GO. Si tratta di un orientamento al quale si uniformerà la successiva giurisprudenza delle SSUU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 agosto esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4 che si occupa della giurisdizione in materia di occupazione appropriativa dopo la sentenza della Corte costituzionale n.204.04, andando in contrario avviso rispetto alla Cassazione a SSUU e predicando la giurisdizione del GA. Anche se non si impugnano atti autoritativi, la semplice pretesa del privato di ottenere il risarcimento del danno subito a cagione della compressione del diritto di proprietà per perdita (<em>ex lege</em>) di effetti del pertinente provvedimento di occupazione d’urgenza – giusta mancato, tempestivo intervento del decreto di esproprio – rientra nella giurisdizione del GA in quanto la relativa attività ha comunque avuto a fondamento una dichiarazione di pubblica utilità ed un decreto di occupazione d’urgenza; ciò per l’Adunanza è predicabile quand’anche i titoli attributivi del potere pubblico siano stati annullati <em>ex post</em>, ovvero (come nell’ipotesi vagliata) abbiano perso i loro effetti per inutile decorso del tempo. In ambito urbanistico, qualunque <em>vulnus</em> al diritto di proprietà comunque riconducibile ad un potere appartiene, per l’Adunanza, al GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 secondo la quale in materia di espropriazione per pubblica utilità, le controversie afferenti al risarcimento dei danni appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, anche nel caso in cui il provvedimento autoritativo (dichiarazione di pubblica utilità) sia stato annullato, configurando una c.d. occupazione usurpativa spuria; ciò muovendo dal presupposto onde i meri '<em>'comportamenti''</em> di cui all'art. 34 del Dlgs n. 80/1998, dopo la <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2004/07/31/giurisdizione-esclusiva-del-giudice-amministrativo-i-limiti-tracciati-dalla-consulta">sentenza n. 204 del 2004</a> della Corte Costituzionale, non consistono in quelle condotte che comunque si connotano quale attuazione di potestà amministrative, manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato <em>secundum legem</em> i loro effetti, quand’anche successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento, ma solo nelle fattispecie di attività materiale (pura) non sorretta da titolo, vie di fatto, manifestazioni abnormi del pubblico potere e simili.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza della Grande Camera della Corte EDU sul caso Scordino / Italia, nel cui contesto letterale vengono stigmatizzati i criteri di liquidazione del danno per il privato che abbia subito una occupazione appropriativa, assunti insufficienti per il ristoro del privato proprietario medesimo. Occorre per la Corte una somma ragionevolmente correlata al valore del bene ablato, in assenza della quale la privazione della proprietà finisce col costituire normalmente una sproporzionata interferenza dello Stato nel diritto di proprietà in parola. Come l’indennità di espropriazione legittima, anche il risarcimento del danno va dunque parametrato al valore venale pieno del bene ablato. La Corte scolpisce in questa pronuncia taluni principi generali che saranno poi ripresi in successive, plurime sentenze di condanna dell’Italia, e che si condensano come segue:<em> a</em>) un atto della autorità pubblica che incide sul diritto di proprietà, deve realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui; <em>b</em>) nel controllare il rispetto di questo equilibrio, va riconosciuto allo Stato un ampio margine di apprezzamento, sia per quanto concerne le modalità di attuazione ablatoria, sia per quanto concerne la valutazione se le relative conseguenze (sfavorevoli al privato) trovano legittimazione nell'interesse generale e nella connessa necessità di raggiungere l'obiettivo che sta <em>ex lege</em> alla base dell'espropriazione; <em>c</em>) l'indennizzo al proprietario ablato non è legittimo se non compendia una somma che si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene, onde se da una parte la mancanza totale di indennizzo è giustificabile solo in circostanze eccezionali, dall'altra non è sempre garantita dalla CEDU una riparazione integrale; <em>d</em>) in caso di espropriazione isolata, pur se a fini di pubblica utilità, solo una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene; <em>e</em>) obiettivi legittimi di utilità pubblica, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare (si intende, in casi peculiari) un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio esce l’importante sentenza della Corte costituzionale n. 191 che, scandagliando l’art.53 del D.p.R. n.327.01 in tema di espropriazione e giurisdizione, lo ritiene costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede la devoluzione al GA in sede di giurisdizione esclusiva anche di quei comportamenti della PA che non siano riconducibili, neppure mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere: la Corte costituzionale sembra dunque ammettere la giurisdizione del GA tutte le volte in cui un potere vi sia stato, come nelle ipotesi (oltre che, ovviamente, di occupazione appropriativa o acquisitiva, anche) di occupazione usurpativa c.d. spuria, in cui vi è in origine dichiarazione di pubblica utilità che fonda l’occupazione d’urgenza del fondo privato, ma la stessa viene poi annullata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.11187 che solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui prevede un risarcimento del danno “<em>ridotto</em>” per chi abbia subito una occupazione appropriativa. I parametri costituzionali invocati sono l’art.111 Cost. e il novellato art.117, comma 1, Cost., con riguardo all’art. 6 della CEDU sul “<em>giusto processo</em>” e all’art.1 del I Protocollo addizionale alla CEDU per quanto concerne la proprietà privata. Il legislatore ha previsto un ristoro del tutto inadeguato per chi risulti espropriato “<em>sostanziale</em>”, proponendosi il solo obiettivo di andare incontro ad esigenze di bilancio, e dunque al di fuori di un contesto di riforme economiche e sociali che sole, per la giurisprudenza convenzionale, potrebbero giustificare un indennizzo inferiore al valore venale del bene ablato. Applicare un ristoro dimezzato rispetto al valore venale del bene appare irrazionale già per le espropriazioni legittime, e dunque è implausibile massime nel caso della c.d. occupazione appropriativa, in cui peraltro si è al cospetto di un illecito. Una conclamata violazione del principio di legalità e del diritto ad un equo processo viene poi riscontrato dalla Corte laddove le norme censurate sono state assunte applicabili anche ai giudizi in corso (<em>ius superveniens</em>), così mutando la prospettiva di esito della lite cui la parte privata aveva fatto legittimo affidamento nel momento in cui la ha instaurata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno escono le due sentenze gemelle delle SSUU della Cassazione n.13569 e 13660 che ribadiscono come – anche a seguito dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale n.204.04 – laddove siano inutilmente decorsi i termini finali fissati nella dichiarazione di pubblica utilità (dell’opera divisata) per il compimento dell’espropriazione senza che sia intervenuto tempestivo decreto di esproprio traslativo della proprietà alla mano pubblica, si verifica una ipotesi di c.d. occupazione appropriativa con fattispecie devoluta, tuttavia, alla giurisdizione del GO (e non alla giurisdizione esclusiva del GA ai sensi dell’art.34 del decreto legislativo n.80.98), non potendosi assumere rilevante la circostanza onde in origine vi fosse il potere espropriativo della PA, palesandosi decisivo come l’attribuzione di tale potere – che il legislatore aveva circoscritto nel tempo – sia poi venuta meno nel momento della utilizzazione della proprietà privata, facendo così luogo ad un comportamento illecito sottoposto alla giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n.1968 alla cui stregua è occupazione usurpativa quella che si realizza quando la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica sia divenuta inefficace per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera stessa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.866 che ribadisce inapplicabili alla tutela reale i limiti alla reintegrazione in forma specifica previsti dall’art.2058 c.c. per la tutela personale, onde laddove si chieda la restituzione del bene e la relativa riduzione in pristino stato, spiccando azione reale, il limite della possibilità e della non eccessiva onerosità per il debitore non opera, dal momento che l’azione reale tutela diritti assoluti, rimanendo tuttavia sempre ferma la possibilità per l’attore di invocare la sola tutela per equivalente. In sostanza, la natura stessa del diritto reale e delle azioni, del pari reali, che lo presidiano, è inconciliabile con ogni modalità di reintegrazione diversa da quella in forma specifica (salva sempre la possibilità per l’attore di invocare la tutela per equivalente).</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2207 secondo la quale, a differenza della ipotesi di occupazione acquisitiva, in quella usurpativa non vale la logica dell’illecito che consente di acquisire il bene alla mano pubblica, tale ultimo effetto rimanendo piuttosto subordinato all’azione abdicativa (anche implicita) del privato: è la rinuncia abdicativa del privato che trasferisce la proprietà, non l’illecita occupazione, la costruzione dell’opera e la manipolazione irreversibile del fondo: in caso di occupazione usurpativa, il risarcimento del danno non è peraltro quello “<em>ridotto</em>” previsto dall’art.5.bis, comma 7.bis, della legge 359.92, dovendo esso corrispondere al valore venale del bene: il criterio “<em>ridotto</em>” si riferisce alla sola occupazione appropriativa, in quanto opera in ipotesi di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità, mentre nell’ipotesi dell’occupazione usurpativa non vi è nessun collegamento tra il fondo occupato e la pubblica utilità dell’opera, che o non è stata mai dichiarata, ovvero è stata dichiarata, ma poi il pertinente atto è stato caducato (c.d. occupazione usurpativa “<em>spuria</em>”) o comunque ha perso effetto.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 febbraio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.2688 che – prendendo atto della sentenza della Corte costituzionale n.204.04 – ribadisce come non solo l’occupazione usurpativa, ma anche l’occupazione appropriativa, essendo riconducibile ad un comportamento della PA, debba assumersi attratta nella giurisdizione del GO, e non in quella esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n. 264 che ribadisce come è occupazione usurpativa quella che si realizza quando la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica sia divenuta inefficace per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.16744, onde il diritto all'indennità di occupazione matura al compimento di ogni singola annualità, per cui è con riguardo a ciascuno di questi momenti che deve essere calcolato il parametro di riferimento, che è quello del valore venale attuale del bene, passibile nel tempo di variazioni dipendenti dallo specifico mercato immobiliare di riferimento. Ne consegue, secondo la Corte, che se la determinazione monetaria del valore venale del bene abbia subito variazioni apprezzabili nello sviluppo delle occupazione legittima e registrabili alle singole consecutive cadenze annuali, ad ogni scadenza dovrà procedersi al calcolo virtuale della indennità di espropriazione fondata anche sul valore venale del bene, come tale soggetto a variazioni nel tempo. Tuttavia, la (sola) diversità tra la data di effettiva valutazione dell'immobile e quella di maturazione del diritto a percepire l'indennizzo (per scadenza dell'annualità di occupazione legittima) non rende censurabile la liquidazione di detto indennizzo, ove non si dimostri un apprezzabile divario del valore del bene in tali rispettivi momenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 luglio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.9 che si occupa della giurisdizione in materia di occupazione appropriativa dopo la sentenza della Corte costituzionale n.204.04, andando in contrario avviso rispetto alla Cassazione a SSUU e ribadendo la giurisdizione del GA. Anche se non si impugnano atti autoritativi, la semplice pretesa del privato di ottenere il risarcimento del danno subito a cagione della compressione del diritto di proprietà per perdita (<em>ex lege</em>) di effetti del pertinente provvedimento di occupazione d’urgenza – giusta mancato, tempestivo intervento del decreto di esproprio – rientra nella giurisdizione del GA in quanto la relativa attività ha comunque avuto a fondamento una dichiarazione di pubblica utilità ed un decreto di occupazione d’urgenza; ciò per l’Adunanza è predicabile quand’anche i titoli attributivi del potere pubblico siano stati annullati <em>ex post</em>, ovvero (come nell’ipotesi vagliata) abbiano perso i loro effetti per inutile decorso del tempo. In ambito urbanistico, qualunque <em>vulnus</em> al diritto di proprietà comunque riconducibile ad un potere appartiene, per l’Adunanza, al GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 ottobre esce l’importante sentenza della Corte costituzionale n.349, che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). In sostanza, viene assunto illegittimo dal punto di vista costituzionale il risarcimento del danno “<em>limitato</em>” per il privato che abbia subito una occupazione acquisitiva. L’iter motivazionale seguito dalla Corte ricalca quello della coeva sentenza n.348, afferente alla legittimità costituzionale dell’importo dell’indennità di espropriazione legittima, che dichiara illegittimo l’art.37 del testo unico degli espropri, d.p.r. 327.01, proprio in punto di quantificazione della ridetta indennità: in entrambi i casi la Corte prende atto della riforma costituzionale del 2001, e della conseguente modifica dell’art.117, comma 1, Cost., onde la legislazione interna deve adeguarsi, pena la relativa incostituzionalità, alle norme dei trattati internazionali, tra i quali appunto la CEDU (come interpretata dalla giurisprudenza della Corte EDU). Importante sottolineare come la Corte si limiti a giudicare incostituzionale – seguendo sul punto la sollevata questione di costituzionalità ed il <em>thema decidendum</em> da essa delimitato – la sola ricaduta patrimoniale dell’occupazione acquisitiva, ovvero la quantificazione del risarcimento del danno siccome scolpita dalla legge in senso riduttivo e conculcante per il privato ablato: la decisione non investe la legittimità costituzionale dell’istituto dell’occupazione appropriativa in sé considerato, la cui conformità a Costituzione appare invece confermata da alcuni passaggi motivazionali, con particolare riguardo a quello in cui si conferma trattarsi di un modo di acquisto della proprietà che trova giustificazione nel bilanciamento tra l’interesse pubblico (correlato alla conservazione dell’opera, in tesi, pubblica) e l’interesse privato, concretantesi nella riparazione del pregiudizio sofferto che, proprio per questo, deve essere adeguato, stante come l’interesse pubblico risulti già essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilità del bene (illecitamente ablato) e dalla conservazione dell’opera pubblica, circostanza che implica la necessità di garantire al proprietario il valore venale del bene perduto assieme alla rivalutazione della relativa somma che tenga dunque conto della svalutazione del corrispettivo monetario fino alla liquidazione. Per la Corte dunque l’occupazione acquisitiva deve assumersi, come istituto, costituzionalmente corretta perché concreta manifestazione, in definitiva, della funzione sociale di cui all’art.42 Cost. (vengono richiamati i precedenti 384.90 e 188.95). La vera illegittimità costituzionale è allora non già dell’occupazione appropriativa in sé, quanto piuttosto del ristoro patrimoniale garantito al privato e ad essa correlato: è vero, soggiunge la Corte, che l’integralità del risarcimento del danno non ha copertura costituzionale (viene richiamato il precedente n.148.99), ma è parimenti vero che il discorso cambia laddove, quale parametro di costituzionalità, si assumono non più i soli articoli 3 e 42 della Costituzione, quanto piuttosto l’art.117, comma 1, Cost., e gli obblighi internazionali che – giusta la ridetta norma costituzionale – vincolano il legislatore interno: e se è vero che in caso di occupazione acquisitiva il risarcimento del danno è superiore alla indennità da espropriazione legittima, la percentuale di <em>surplus</em> non è apprezzabilmente significativa e dunque non è tale da controbilanciare la violazione del diritto dominicale, siccome garantito dalla CEDU e soprattutto dal I Protocollo addizionale, art.1. L’unico modo per fare sì che non vi sia contrasto con quest’ultima norma - e, per il tramite di essa, con l’art.117 Cost. - è quello di assicurare al privato che abbia subito l’occupazione acquisitiva un ristoro integrale che corrisponda al valore di mercato del bene ablato, con somma rivalutata al tempo della liquidazione. In quello stesso giorno esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.12 che si occupa ancora una volta della giurisdizione in materia di occupazione appropriativa dopo la sentenza della Corte costituzionale n.204.04, andando in contrario avviso rispetto alla Cassazione a SSUU e ribadendo la giurisdizione del GA. Anche se non si impugnano atti autoritativi, la semplice pretesa del privato di ottenere il risarcimento del danno subito a cagione della compressione del diritto di proprietà per perdita (<em>ex lege</em>) di effetti del pertinente provvedimento di occupazione d’urgenza – giusta mancato, tempestivo intervento del decreto di esproprio – rientra nella giurisdizione del GA in quanto la relativa attività ha comunque avuto a fondamento una dichiarazione di pubblica utilità ed un decreto di occupazione d’urgenza; ciò per l’Adunanza è predicabile quand’anche i titoli attributivi del potere pubblico siano stati annullati <em>ex post</em>, ovvero (come nell’ipotesi vagliata) abbiano perso i loro effetti per inutile decorso del tempo. In ambito urbanistico, qualunque <em>vulnus</em> al diritto di proprietà comunque riconducibile ad un potere appartiene, per l’Adunanza, al GA. In sostanza, con riguardo al bene privato, il potere pubblicistico affiora attraverso quell’atto autoritativo che è la dichiarazione di pubblica utilità, la quale è la base e l’origine funzionale della successiva attività pubblicistica, di natura tanto giuridica quanto materiale, intesa ad utilizzare il fondo privato per scopi pubblici preventivamente isolati ed individuati. A differenza di quando la dichiarazione di pubblica utilità manca del tutto (occupazione usurpativa pura), nelle ipotesi di occupazione usurpativa c.d. spuria (dichiarazione di pubblica utilità successivamente annullata) ovvero di perdita di effetti della dichiarazione di pubblica utilità medesima, in realtà l’azione della PA si inserisce in un quadro procedimentale il cui scandaglio non può che essere affidato al GA, quand’anche non sia tempestivamente intervenuto il decreto di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Liguria n.1882 che si occupa di definire la c.d. irreversibile trasformazione del fondo privato, che secondo la giurisprudenza maggioritaria segna il momento in cui la proprietà viene acquisita a titolo originario alla mano pubblica, nel contempo consumandosi un illecito istantaneo ad effetti permanenti dal quale decorre il termine prescrizionale per chiedere il risarcimento del danno. Per irreversibile trasformazione deve intendersi, secondo il Tar, una profonda modificazione materiale del fondo stesso, che gli abbia fatto assumere struttura, forma e consistenza diverse rispetto a quelle originarie, o quanto meno una diversa e peculiare collocazione giuridica (si intende, nella sfera pubblica ormai, e non più in quella privata originaria).</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 dicembre viene varata la legge finanziaria per il 2008 n.244 che, recependo le indicazioni dettate dalla Corte costituzionale con la sentenza n.349, prevede (art.2, comma 89, laddove modifica l’art.55 del d.p.r. 327.01) che in caso di occupazione appropriativa (utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, ma in assenza di valido ed efficace provvedimento di esproprio) il risarcimento del danno dovuto al privato va ricondotto all’integralità, commisurandolo al valore venale del bene ablato. La norma limita tuttavia il proprio intervento alle occupazioni acquisitive successive alla data del 30 settembre 1996, lasciando valido per le occupazioni acquisitive precedenti il sistema di calcolo “<em>riduttivo</em>” a suo tempo previsto e poi dichiarato incostituzionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3700 che assume essere rilevante, ai fini dell’interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno in caso di occupazione appropriativa, la richiesta di versamento del prezzo di una progettata cessione volontaria del fondo e la richiesta dell’indennità di occupazione: si tratta di una pronuncia che si inserisce nel solco di quelle che ritengono compatibile l’istituto dell’occupazione appropriativa con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.20543 che fissa il <em>dies a quo</em> del termine di prescrizione – in caso di occupazione acquisitiva - nel momento dell'emersione certa a livello legislativo dell'istituto e cioè a partire dalla legge n. 458/1988, ritenendo in tal modo soddisfatto il necessario ossequio al principio di legalità affermato in materia dalla Corte EDU. In sostanza, attraverso questa argomentazione la Cassazione assume compatibile l’occupazione appropriativa con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 novembre esce la sentenza delle SSUU n.26374 che si occupa della giurisdizione in caso di occupazione usurpativa c.d. spuria, ovvero di annullamento <em>ex post</em> della dichiarazione di pubblica utilità che ha fondato l’occupazione del fondo privato (e la successiva occupazione appropriativa). Si tratta della nota questione del giudice competente a decidere l’azione risarcitoria proposta dai proprietari interessati a seguito dell’annullamento, in sede giurisdizionale, della dichiarazione di pubblica utilità. Le SSUU premettono che la fattispecie in parola, qualificabile come "<em>occupazione usurpativa</em>", a lungo si è ritenuto rientrasse - sia che fosse invocata la tutela restitutoria, sia che, all'esito di una abdicazione implicita al diritto dominicale, si optasse per il risarcimento del danno - nella giurisdizione del giudice ordinario, richiamando i propri precedenti 21637.04, 15615.06 e 730.05). Va tuttavia considerato per le SSUU che le nuove norme in tema di giustizia amministrativa, sono state dettate dall'esigenza di concentrare la tutela davanti a un unico giudice, con conseguente soppressione della riserva di giurisdizione sui diritti consequenziali a favore dell’ A.G.O., stabilendo che il potere di scandaglio del GA si estenda al risarcimento non solo nelle materie di giurisdizione esclusiva, ma anche nell'ambito della giurisdizione di legittimità (viene richiamato in particolare il <a href="http://www.altalex.com/documents/leggi/2013/09/26/privatizzazione-del-pubblico-impiego-tentativo-obbligatorio-di-conciliazione">decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80</a>, art. 35, comma 4, come modificato dalla L. 11 luglio 2000, n. 205, art. 7, che ha sostituito il primo periodo della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7, comma 3). La configurazione del risarcimento come strumento di tutela ulteriore che ne è conseguita, unitamente a ragioni di economia processuale ed a quelle afferenti la ragionevole durata del processo, hanno determinato – per le SSUU - la scelta della concentrazione davanti a un unico giudice (il GA), delle pronunce sui diritti consequenziali all'annullamento; si tratta di una opzione che per le SSUU si palesa chiara e ragionevole non solo per le fattispecie in cui il riscontro di un collegamento con l'esercizio del potere farebbe ascrivere la controversia risarcitoria, comunque, al giudice amministrativo (come nella ipotesi della occupazione acquisitiva preceduta da valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità), ma anche nel caso in cui l'annullamento <em>ex tunc</em> della dichiarazione di pubblica utilità abbia l'astratta idoneità a ripristinare la situazione di diritto soggettivo, così da determinare l'appropriazione definita come occupazione usurpativa, onde anche nella ipotesi di dichiarazione di p.u. annullata in sede giurisdizionale, ed in sintonia con la <em>ratio</em> della concentrazione delle tutele, la tutela risarcitoria nei confronti della P.A, deve essere chiesta per le SSUU al giudice amministrativo, trattandosi di un completamento della tutela demolitoria, tanto contestualmente, quanto dopo l'annullamento dell'atto amministrativo, quanto ancora anche in via autonoma e prescindendo dall'annullamento dell'atto - rectius abbandonando la tesi della pregiudiziale amministrativa (vengono richiamate le sentenze 14842.06, 13659.06 e 444.08); la conclusione è che spetta al GA la giurisdizione sulle controversie risarcitorie afferenti il danno cagionato dalla occupazione realizzata in base a dichiarazione di pubblica utilità annullata in sede giurisdizionale (cfr. Cass. SS. UU. sentenze n. 3724, n. 8689, n. 9324 e n. 14954 del 2007). Affiora dunque un quadro - in materia di riparto di giurisdizione sul risarcimento dei danni da occupazioni illegittime – onde per le SSUU va affermato un concetto di esercizio indiretto o mediato del potere tendente a riconosce la giurisdizione esclusiva del G.A. nel caso in cui il comportamento occupativo sia tenuto dalla PA medesima in esecuzione di un provvedimento efficace, ancorché illegittimo, successivamente annullato in sede giurisdizionale o di autotutela (occupazione usurpativa da dichiarazione illegittima); le medesime SS.UU. (come affiora dalle sentenze n. <a href="http://www.altalex.com/documents/massimario/2008/02/07/espropriazione-per-pubblica-utilita-necessaria-dichiarazione-di-pubblica-utilita">2688</a> e <a href="http://www.altalex.com/documents/news/2008/02/07/occupazione-usurpativa-ribadita-la-sussistenza-della-giurisdizione-ordinaria">3043</a> del 2007), affermano invece sussistere la giurisdizione del G.O. in caso di azione risarcitoria relativa alla fattispecie qualificabile come occupazione usurpativa “<em>pura</em>”, posta in essere in assenza <em>ab origine</em> di dichiarazione di p.u., ovvero di di nullità della medesima per mancanza dei termini iniziali e finali per il compimento dell’espropriazione e dei lavori e di inefficacia della dichiarazione di p.u. stessa per scadenza infruttuosa dei ridetti termini, e ciò diversamente opinando rispetto al Consiglio di Stato che anche in questi casi vede invece ipotesi esercizio illegittimo del potere e di conseguente giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5498 che si occupa ancora una volta della giurisdizione in materia di occupazione appropriativa dopo la sentenza della Corte costituzionale n.204.04, andando ormai in solo parziale contrario avviso rispetto alla Cassazione a SSUU e ribadendo la giurisdizione del GA anche in relazione a fattispecie in cui le SSUU continuano a predicare la giurisdizione del GO. Per il Consiglio di Stato, anche se non si impugnano atti autoritativi, la semplice pretesa del privato di ottenere il risarcimento del danno subito a cagione della compressione del diritto di proprietà per perdita (<em>ex lege</em>) di effetti del pertinente provvedimento di occupazione d’urgenza – giusta mancato, tempestivo intervento del decreto di esproprio – rientra nella giurisdizione del GA in quanto la relativa attività ha comunque avuto a fondamento una dichiarazione di pubblica utilità ed un decreto di occupazione d’urgenza; ciò per il Consiglio è predicabile quand’anche i titoli attributivi del potere pubblico siano stati annullati <em>ex post</em>, ovvero (come nell’ipotesi vagliata) abbiano perso i loro effetti per inutile decorso del tempo. In ambito urbanistico, qualunque <em>vulnus</em> al diritto di proprietà comunque riconducibile ad un potere appartiene, per il Consiglio, al GA. In sostanza, con riguardo al bene privato, il potere pubblicistico affiora attraverso quell’atto autoritativo che è la dichiarazione di pubblica utilità, la quale è la base e l’origine funzionale della successiva attività pubblicistica, di natura tanto giuridica quanto materiale, intesa ad utilizzare il fondo privato per scopi pubblici preventivamente isolati ed individuati. A differenza di quando la dichiarazione di pubblica utilità manca del tutto (occupazione usurpativa pura), nelle ipotesi di occupazione usurpativa c.d. spuria (dichiarazione di pubblica utilità successivamente annullata) ovvero di perdita di effetti della dichiarazione di pubblica utilità medesima, in realtà l’azione della PA si inserisce in un quadro procedimentale il cui scandaglio non può che essere affidato al GA, quand’anche non sia tempestivamente intervenuto il decreto di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 maggio esce la sentenza della V sezione del Tar Campania n.2520 secondo la quale – quando alla base di una procedura espropriativa rimasta incompiuta o comunque annullata in sede giurisdizionale, ci sia una determinata opera pubblica – non è consentito alla PA utilizzare il potere di “<em>acquisizione sanante</em>” di cui all’art.43 del TU degli espropri (D.p.R. n.327.01) per realizzare un’opera pubblica del tutto diversa rispetto a quella <em>ab origine</em> divisata.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 luglio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.15469 che – prendendo atto della sentenza della Corte costituzionale n.204.04 – ribadisce come non solo l’occupazione usurpativa, ma anche l’occupazione appropriativa, essendo riconducibile ad un comportamento della PA, debba assumersi attratta nella giurisdizione del GO, e non in quella esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5523, che in primo luogo prende atto dell’ormai completo abbandono della figura della c.d. accessione invertita (occupazione acquisitiva) e dei principi che ne hanno informato l’applicazione. Proprio per questo motivo, laddove intervenga acquisizione sanante ai sensi dell’art.43 del d.p.r. 327.01, l’illecito posto in essere dalla PA procedente deve intendersi permanente fino all’adozione del detto provvedimento di acquisizione sanante. Il Consiglio specifica che la PA non è più legittimata ad acquisire a titolo originario la proprietà dell’area di sedime dell’opera pubblica per il solo fatto di averne modificato la destinazione, e ciò comporta un duplice ordine di effetti, onde – a prescindere dalla destinazione impressa al bene occupato – la PA compie un illecito permanente nel caso di occupazione <em>sine titulo</em> di immobile privato; inoltre, e per conseguenza, fino al momento in cui tale occupazione non venga in qualche modo “<em>legittimata</em>” (ad esempio con il provvedimento di acquisizione sanante), la prescrizione non corre, al cospetto di una occupazione che è ormai sempre e comunque ”<em>usurpativa</em>” laddove non legittima.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.19972 che ribadisce come il diritto all'indennità di occupazione maturi al compimento di ogni singola annualità, per cui è a ciascuno di questi momenti (scadenza della singola annualità di occupazione) che deve essere calcolato il parametro di riferimento, che è quello del valore venale attuale del bene, passibile nel tempo di variazioni dipendenti dallo specifico mercato immobiliare di riferimento. Ne consegue, secondo la Corte, che se la determinazione monetaria del valore venale de bene abbia subito variazioni apprezzabili nello sviluppo delle occupazione legittima e registrabili alle singole consecutive cadenze annuali, ad ogni scadenza dovrà procedersi al calcolo virtuale della indennità di espropriazione fondata anch’essa sul valore venale del bene, come tale soggetto a variazioni nel tempo. Tuttavia, la diversità tra la data di effettiva valutazione dell'immobile e quella di maturazione del diritto a percepire l'indennizzo per la scadenza dell'annualità di occupazione legittima non rende censurabile la liquidazione di detto indennizzo, ove non si dimostri un apprezzabile divario del valore del bene in tali rispettivi momenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 dicembre esce la sentenza della CEDU, Grande Camera, sul caso Guiso-Gallisay c. Italia, che afferma la necessità di applicare nuovi principi alle controversie relative alle c.d. espropriazioni illegittime. Viene ribadito che i ricorrenti espropriati sostanziali hanno diritto al valore pieno ed intero dei beni ablati, e tuttavia la Grande Camera assume che la data da prendere in considerazione per quantificare il danno materiale non deve essere quella della pronunzia della sentenza della Corte, ma quella della perdita di proprietà dei terreni, il precedente orientamento giurisprudenziale potendo evocare margini di incertezza o di arbitrio. Più nel dettaglio, secondo la Grande Camera, il criterio adottato in precedenza - ossia quantificare il risarcimento del danno per la perdita della proprietà ed il mancato godimento del bene assumendolo automaticamente corrispondente al valore delle opere costruite dallo Stato, aggiunto al valore di mercato attualizzato dei terreni alla data della sentenza della Corte di Strasburgo - non trova per la Corte concreta giustificazione potendo introdurre disparità di trattamento tra i ricorrenti in funzione della natura dell'opera pubblica realizzata dalla PA nel singolo caso di specie, che non ha necessariamente un legame specifico con il potenziale del terreno nella relativa qualità originaria. Inoltre, si tratta di un metodo di quantificazione che attribuisce alla compensazione per danno materiale uno scopo punitivo o dissuasivo nei confronti dello Stato resistente, in luogo di una (è da intendersi, più corretta) funzione compensativa per i ricorrenti. Per la Corte il nuovo orientamento (non considerare più, per valutare il danno materiale, il costo sostenuto dallo Stato per l’edificazione degli immobili sui terreni; prendere in considerazione - per quantificare il danno materiale - non la data in cui è stata pronunciata la sentenza della Corte, bensì quella in cui si è verificata la perdita della proprietà dei terreni) potrà essere applicato dalle giurisdizioni italiane alle controversie che esse dovranno decidere, non dovendosi più tenere conto, per valutare il danno materiale subito dal privato ablato, del costo di costruzione degli immobili realizzati dallo Stato sui terreni manipolati, riconoscendo ragionevole accordare ai ricorrenti – nel caso di specie - la somma di 2.100.000 euro, in aggiunta ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d'imposta su tale somma. La Corte assume poi di dover prendere in considerazione il pregiudizio derivato ai ricorrenti dall'indisponibilità dei terreni per il periodo che va dall'inizio dell'occupazione (1977) al momento della perdita della proprietà (1983), assegnando loro congiuntamente 45.000 euro, importo dal quale deve essere dedotta la somma già ottenuta a livello interno a titolo di indennità d'occupazione. Anche la sensazione d'impotenza e di frustrazione di fronte all'espropriazione illegale dei beni, avendo causato ai ricorrenti un pregiudizio morale importante, secondo la CEDU deve essere riparata in modo adeguato, con il riconoscimento per ogni ricorrente di 15.000 euro (45.000 euro in totale). Le indennità assegnate vanno aumentate in funzione delle spese e dei costi supplementari causati dalla procedura dinanzi alla Grande Camera, con ulteriore liquidazione ai ricorrenti, congiuntamente, 35.000 euro oltre IVA. Viene infine riconosciuto applicabile dalla Corte il tasso degli interessi moratori, pari al tasso d'interesse della Banca Centrale Europea aumentato di tre punti percentuali. In sostanza, e riassumendo, al fine di valutare il pregiudizio subito dal privato che abbia subito una occupazione appropriativa, occorre per la Corte prendere in considerazione la data a partire dalla quale l’interessato abbia la certezza giuridica di aver perso il diritto di proprietà sul bene espropriato, con un indubbio <em>revirement</em> sul calcolo dell’indennizzo in caso di occupazione illegittima, superandosi il criterio (precedentemente abbracciato dalla Corte) del valore del fondo espropriato aumentato del plusvalore apportato dalla costruzione delle opere (alla data di emissione della sentenza della Corte medesima) per adottare un nuovo criterio di calcolo da effettuarsi prendendo in considerazione appunto la data a partire della quale gli interessati hanno avuto la certezza giuridica di aver perso i loro diritti di proprietà sul bene espropriato, e facendo riferimento solo a quest’ultimo senza considerare la plusvalenza di cui all’opera pubblica <em>medio tempore</em> incastonatavi dalla PA. La dottrina ha osservato come tale sentenza abbia sortito notevoli e benefiche ripercussioni sulle casse dello Stato, dovendo quest’ultimo assumersi non più tenuto a corrispondere un indennizzo elevato ma semplicemente una cifra per lo spossessamento, con ritorno della situazione dell’occupazione acquisitiva indietro nel tempo, così consentendosi (sostanzialmente) un più ampio margine di manovra alla Pubblica Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.254 che, per il caso in cui il bene abusivamente occupato dalla PA appartenga a più proprietari, esclude la configurabilità di una solidarietà attiva in capo ad essi con riguardo al credito risarcitorio, ravvisandosi piuttosto l’insorgenza di un autonomo diritto di ciascuno dei comproprietari al ristoro del pregiudizio causato al proprio patrimonio. E’ dunque dichiarata ammissibile dalla Corte l’azione risarcitoria individuale di ciascun condomino, afferente al danno subito dalla propria quota di comproprietà del fondo occupato.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.9620 che ribadisce il <em>dies a quo</em> del termine di prescrizione – in caso di occupazione acquisitiva – decorrere dal momento dell'emersione certa a livello legislativo dell'istituto e cioè a partire dalla legge n. 458/1988, ritenendo in tal modo soddisfatto il necessario ossequio al principio di legalità affermato in materia dalla Corte EDU. In sostanza, attraverso questa argomentazione la Cassazione assume compatibile l’occupazione appropriativa con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 maggio esce la sentenza delle SSUU n.11729 che, dopo aver assunto indiscusso nella giurisprudenza della Corte che al proprietario dell'immobile oggetto di occupazione appropriativa compete sia il risarcimento del danno per la perdita del bene sia l'indennità di occupazione legittima, si sofferma sui rapporti tra queste due poste creditorie, ribadendo sul punto la precedente giurisprudenza a sezioni semplici. Il diritto all'indennità di occupazione – per le SSUU - matura al compimento di ogni singola annualità, per cui è a ciascuno di questi momenti che deve essere calcolato il parametro di riferimento, che è quello del valore venale attuale del bene, passibile nel tempo di variazioni dipendenti dallo specifico mercato immobiliare di riferimento. Ne consegue, secondo la Corte, che se la determinazione monetaria del valore venale de bene abbia subito variazioni apprezzabili nello sviluppo delle occupazione legittima e registrabili alle singole consecutive cadenze annuali, ad ogni scadenza dovrà procedersi al calcolo virtuale della indennità di espropriazione fondata anche sul valore venale del bene, come tale soggetto a variazioni nel tempo. Tuttavia, la diversità tra la data di effettiva valutazione dell'immobile e quella di maturazione del diritto a percepire l'indennizzo per la scadenza dell'annualità di occupazione legittima non rende censurabile la liquidazione di detto indennizzo, ove non si dimostri un apprezzabile divario del valore del bene in tali rispettivi momenti.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.12863 che ribadisce il <em>dies a quo</em> del termine di prescrizione – in caso di occupazione acquisitiva – decorrere dal momento dell'emersione certa a livello legislativo dell'istituto e cioè a partire dalla legge n. 458/1988, ritenendo in tal modo soddisfatto il necessario ossequio al principio di legalità affermato in materia dalla Corte EDU. In sostanza, attraverso questa argomentazione la Cassazione assume compatibile l’occupazione appropriativa con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio vede la luce il decreto legislativo n.104, vale a dire il codice del processo amministrativo che, se su un piano generale (art.7) radica la giurisdizione del GA tutte le volte che via sia la spendita di un potere pubblico (anche in via mediata ed indiretta), sul piano specifico della materia espropriativa (art.133, lettere f e g) prevede la giurisdizione esclusiva del GA per le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti delle PPAA in materia urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli aspetti dell’uso del territorio (lasciando ferma la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del GO per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione degli atti di natura espropriativa o ablativa), nonché – massime – per le controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti, accordi e comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio del pubblico potere delle PPAA in materia di espropriazioni per pubblica utilità (lasciando ferma ancora una volta la giurisdizione del GO per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione degli atti di natura espropriativa o ablativa): si tratta di disposizione che assorbe quanto già previsto dall’art.53 del D.p.R. 327.01, testo unico in materia di espropriazione.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.293 che dichiara costituzionalmente illegittimo l’art.43 del D.p.R. n.327.01 (testo unico in materia di espropri) in tema di c.d. acquisizione sanante: la declaratoria ha luogo per eccesso di delega legislativa, ma nei passaggi motivazionali della pronuncia la Corte adombra in qualche modo anche la illegittimità sostanziale – dal punto di vista costituzionale – dell’istituto così come configurato dal legislatore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio viene varato il decreto legge n.98, il cui art.34, comma 1, introduce nel D.p.R. 327.01, testo unico in materia di espropriazioni, l’art.42.bis, re-innestando nel sistema la c.d. acquisizione sanante, originariamente prevista dall’art.43 del D.p.R. 327.01 (e dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Consulta). Importante <em>ratione materiae</em> il comma 8, che dichiara l’acquisizione sanante applicabile anche ai fatti anteriori alla relativa entrata in vigore ed anche se vi e' gia' stato un provvedimento di acquisizione (ai sensi dell’originario art.43, poi dichiarato incostituzionale) successivamente ritirato o annullato, pur dovendo in ogni caso essere rinnovata la valutazione di attualità e di prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione (in tal caso, le somme gia' erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle ancora dovute). Si tratta di una norma che farà dire a parte della dottrina e della giurisprudenza ormai bandita dal sistema l’occupazione appropriativa (e, <em>a fortiori</em>, quella usurpativa).</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 luglio viene varata la legge n.111 che converte con modificazioni il decreto legge n.98.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4970, che si occupa della occupazione usurpativa, vale a dire del fondo illegittimamente occupato dalla PA che vi abbia realizzato sulla relativa area di sedime l’opera (teoricamente) pubblica: tale realizzazione non produce in realtà alcun effetto giuridico traslativo, atteggiandosi a mero fatto. Il privato vanta un diritto alla restituzione e non esistono fatti o contegni che possano valere rinuncia, abdicazione o estinzione del diritto di proprietà. La PA può acquisire il terreno (e non restituire il fondo) solo giusta un formale atto di acquisto che può compendiarsi: a) in un contratto di vendita, attraverso il quale acquista il terreno pagandolo al proprietario privato che vi consente; b) in una riedizione del potere espropriativo secondo canoni di legittimità; c) nell’adozione del provvedimento di acquisizione sanante, inteso come procedimento espropriativo semplificato, ex art.42.bis del D.p.R. 327.01.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5844 che assume abrogato il meccanismo c.d. “<em>indennitario</em>” (risarcimento del danno ridotto) sia per le occupazioni acquisitive successive, sia per quelle anteriori al 30 settembre 1996 (contrariamente a quanto affermato esplicitamente dal legislatore con la legge 244.07), e ciò in forza della sentenza della Corte costituzionale n.349.07: al proprietario ablato deve dunque in ogni caso essere corrisposto un risarcimento pari al valore venale del bene sottrattogli. Il Consiglio precisa che la distinzione tra occupazione appropriativa ed occupazione usurpativa ha perso ormai di significato: per quanto riguarda la giurisdizione, sono ormai del giudice ordinario le sole occupazione usurpative nelle quali difetti <em>ab origine</em> la dichiarazione di pubblica utilità (c.d. vie di fatto); in entrambi i casi si tratta, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, di illecito permanente (onde – è da intendersi - la prescrizione decorre dal momento in cui cessa la permanenza). Se una differenza può ancora riscontrarsi, per il Consiglio di Stato, essa concerne l’individuazione del <em>dies a quo</em> di commissione dell’illecito, dal quale inizia la permanenza dell’illecito stesso, e che è comunque importante per misurare il valore venale del bene ai fini della quantificazione risarcitoria: nel caso di occupazione usurpativa, l’illecito parte dal momento in cui la PA si immette nel possesso dell’immobile privato; nel caso di occupazione appropriativa, occorre invece attendere la scadenza del termine di occupazione legittima.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 27285 che ribadisce il principio in virtù del quale, in materia urbanistica ed edilizia, in conformità alle note sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, il provvedimento amministrativo contenente la dichiarazione di pubblica utilità priva della indicazione dei termini per il compimento delle espropriazioni e dell’opera - indicazione richiesta dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13, e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale (art. 42 Cost., comma 3) di limitare il potere discrezionale della P.A., non esercitabile senza limiti temporali, al fine di evitare di mantenere i beni espropriandi in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonché all’ulteriore finalità di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l’interesse generale -, è radicalmente nullo ed inefficace. Ne consegue che in tal caso si verifica una situazione di carenza di potere espropriativo, per cui si è in presenza di un mero comportamento materiale, in nessun modo ricollegabile ad un esercizio abusivo dei poteri della P.A., sicché spetta al GO la giurisdizione sulla domanda, restitutoria o risarcitoria, proposta dal privato (vengono richiamati i precedenti 9532.04, 2688.07, 9323.07, 3569.11, 22880.11).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.832, che – in modo didascalico – afferma come rientrino nella giurisdizione esclusiva del GA le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione laddove attuate in presenza (e fondate su) di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in conformità alle norme che lo regolano, anche se l'ingerenza nella proprietà privata ovvero la relativa utilizzazione ed irreversibile trasformazione siano avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo. Parimenti rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l'ipotesi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa e successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale, perché anche in tal caso si è in presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere, pur se poi lo stesso si è rivelato illegittimo e, per effetto dell'annullamento, ha cessato retroattivamente di esplicare i relativi effetti. Per le SSUU, sempre in materia di occupazioni illegittime la giurisdizione del GO ricorre invece in due sole ipotesi, dal carattere ormai residuale, ovvero nel caso in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di pubblica utilità sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo ed in quelle di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, individuate dall’art. 13, comma 3, legge 2359/1865 (nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori, senza che sia intervenuto il decreto ablativo o si sia verificata la cosiddetta occupazione espropriativa) e dall’art. 1, comma 3, legge 1/1978 (in caso di mancato inizio delle opere "<em>nel triennio successivo all'approvazione del progetto</em>"), a nulla rilevando che in entrambe le fattispecie il potere ablativo fosse in origine attribuito all'Amministrazione, in quanto risulta decisivo come tale attribuzione fosse circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore e fosse già venuta meno all'epoca dell'utilizzazione della proprietà privata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2062 che si occupa del caso in cui l’occupazione appropriativa abbia ad oggetto un’area sita in un Comune sprovvisto di strumento urbanistico generale: in questa ipotesi, per determinare il valore venale del terreno, si può utilizzare in via suppletiva il criterio della c.d. edificabilità di mero fatto, onde – non potendosi inquadrare l’area <em>de qua</em> né tra quelle certamente edificabili, né tra quelle certamente agricole – occorre tenere conto delle obiettive caratteristiche della zona e della possibile utilizzazione del terreno, anche in relazione al pertinente contesto tecnico e geologico, nessun valore potendosi invece annettere alle difficoltà tecniche di costruzione, in quanto ne aumentano i costi di edificazione, ma non sono idonee ad escludere la edificabilità di fatto dell’area.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1133 che ribadisce il principio – cristallizzato nella giurisprudenza delle SSUU della Cassazione - in virtù del quale, in materia urbanistica ed edilizia, in conformità alle note sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, il provvedimento amministrativo contenente la dichiarazione di pubblica utilità priva della indicazione dei termini per il compimento delle espropriazioni e dell’opera - indicazione richiesta dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13, e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale (art. 42 Cost., comma 3) di limitare il potere discrezionale della P.A., non esercitabile senza limiti temporali, al fine di evitare di mantenere i beni espropriandi in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonché all’ulteriore finalità di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l’interesse generale -, è radicalmente nullo ed inefficace. Ne consegue che in tal caso si verifica una situazione di carenza di potere espropriativo, per cui si è in presenza di un mero comportamento materiale, in nessun modo ricollegabile ad un esercizio abusivo dei poteri della P.A., sicchè spetta al GO la giurisdizione sulla domanda, restitutoria o risarcitoria, proposta dal privato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1750 che si occupa di occupazione usurpativa pura (mancanza <em>ab origine</em> della dichiarazione di pubblica utilità) e della conseguente manipolazione “<em>di fatto</em>” del terreno privato, che compendia un illecito civile sottoponibile – quanto a domanda risarcitoria – al GO in quanto privo di qualsiasi supporto pubblicistico e di qualunque nesso tra natura pubblica dell’opera divisata e occupazione del fondo privato. Il Consiglio di Stato nell’occasione afferma che sempre al GO è da ascriversi la competenza giurisdizionale per le domande di risarcimento del danno riconnesse alla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità (e conseguentemente dell’occupazione d’urgenza), mentre laddove si tratti di fattispecie di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità (c.d. occupazione usurpativa spuria) la giurisdizione investe il potere pubblico e appartiene al GA.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7904, che si occupa di individuare chi è il soggetto legittimato a chiedere alla PA il risarcimento del danno in caso di occupazione illegittima: da questo punto di vista, indipendentemente dalle risultanze catastali, è l’interessato che agisce a dover dimostrare di essere il proprietario del fondo occupato, e ciò muovendo dalla circostanza onde la procedura di esproprio deve essere iniziata dalla PA e poi proseguita nei confronti di chi risulti proprietario dalla consultazione dei registri immobiliari, indipendentemente dalle eventuali variazioni dominicali che possono sopravvenire durante il corso della procedura; tuttavia laddove all’occupazione d’urgenza non segua poi il definitivo atto traslativo a beneficio della PA espropriante, l’occupazione diviene illegittima, onde scattano i normali criteri che presidiano alla disciplina dell’illecito ed alla individuazione del danneggiato: in simile ipotesi patologica chiunque – al di là delle risultanze catastali – dimostri di essere proprietario del fondo potrà invocare il risarcimento del danno. La Corte, uniformandosi poi a propria precedente giurisprudenza soggiunge che in un giudizio di risarcimento dei danni derivati ad un bene immobile ed al relativo proprietario da un illecito comportamento del convenuto (come appunto accade nelle ipotesi di occupazione abusiva da parte della PA del fondo privato), atteso che oggetto della pretesa azionata è non già il diretto e rigoroso accertamento della proprietà del fondo bensì l’individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento, non è richiesta la prova rigorosa della proprietà (cosiddetta <em>“probatio diabolica”</em>), potendo il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un’erronea destinazione del pagamento dovuto.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.8358, onde l’art. 2933, comma 2, c.c. – laddove esclude la riduzione in pristino, limitando la tutela (del privato) al solo risarcimento del danno, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale - va interpretato in senso restrittivo, laddove si riferisce alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l’economia nazionale, con conseguente inapplicabilità qualora il pregiudizio riguardi interessi individuali o – come nel caso di specie – meramente locali (può dunque essere chiesta la rimessione in pristino in questi casi, e non vale il limite della mera tutela risarcitoria).</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.10379 secondo la quale, intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n.349.07, al privato reso destinatario di una occupazione appropriativa va garantito sempre, in caso di mancata restituzione del bene ablato, il valore venale del bene medesimo, con l’unico limite dei rapporti ormai definitivamente esauriti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.14609 che muove dal principio di necessaria effettività della tutela del diritto del proprietario laddove non vi sia una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità: in simili ipotesi, per la Corte la ridetta tutela non può soffrire alcuna limitazione non potendosi in particolare escludere la tutela reale (restitutoria), massime quando difetti da parte del titolare del diritto e proprietario del suolo qualsiasi atto abdicativo (ancorché implicito), venendo anzi espressamente spiccata azione restitutoria. La Corte chiarisce poi che in caso di occupazione usurpativa ricorre il carattere permanente dell’illecito perpetrato dalla PA, che legittima pienamente l’esperibilità delle azioni reipersecutorie e restitutorie a tutela della non perduta proprietà del fondo, a meno che non sia lo stesso proprietario a rinunciarvi, anche implicitamente, potendo in alternativa intervenire un atto di cessione volontaria del bene. Con riferimento specifico alla fattispecie vagliata, la Corte esclude che si sia avuto passaggio della proprietà del bene al demanio stradale dell’amministrazione comunale, dovendo intervenire all’uopo non già solo la relativa costruzione e destinazione a strada di pubblico transito, ma anche l’acquisto del bene alla proprietà dell’ente pubblico territoriale, circostanza non predicabile proprio laddove l’occupazione sia usurpativa e manchi un abdicazione del privato o un atto di cessione. La Corte si volge poi all’art. 2933, comma 2, c.c. assumendo come esso debba essere interpretato in senso restrittivo, laddove si riferisce alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l’economia nazionale, con conseguente inapplicabilità qualora il pregiudizio riguardi interessi individuali o – come nel caso di specie – meramente locali (può dunque essere chiesta la rimessione in pristino in questi casi). Infine, la Corte chiarisce anche come in tema di occupazione usurpativa, laddove il proprietario del bene illecitamente occupato invochi una tutela di tipo reale (e non personale) giusta azione di restituzione, ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino, non possono assumersi predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria in forma specifica, come l’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058, comma 2, c.c., con ulteriore conferma della possibilità di ottenere la rimessione in pristino e la restituzione del bene.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.705 che ritiene ormai superato, in quanto incompatibile con la CEDU, l’istituto dell’occupazione appropriativa. Tale conclusione si fonda non solo sulle pronunzie della Corte di Strasburgo, ma anche sull'art. 42 bis del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), tale norma essendo applicabile anche ai fatti anteriori alla relativa entrata in vigore e disciplinando in modo esclusivo, e perciò incompatibile con l'occupazione acquisitiva, le modalità attraverso le quali, a fronte di un'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile - con l'esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto - pervenire ad un'acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.923 che attribuisce rilievo, ai fini della interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno in ipotesi di occupazione appropriativa, all’offerta e al deposito dell’indennità di espropriazione da parte dell’Amministrazione: si tratta di una pronuncia che si inserisce nel solco dell’orientamento c.d. “<em>conservativo</em>”, inteso ad assumere l’istituto compatibile con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1804 che ritiene ormai superato, in quanto incompatibile con la CEDU, l’istituto dell’occupazione appropriativa. Tale conclusione si fonda non solo sulle pronunzie della Corte di Strasburgo, ma anche sull'art. 42 bis del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), tale norma essendo applicabile anche ai fatti anteriori alla relativa entrata in vigore e disciplinando in modo esclusivo, e perciò incompatibile con l'occupazione acquisitiva, le modalità attraverso le quali, a fronte di un'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile - con l'esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto - pervenire ad un'acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7583 che ribadisce il <em>dies a quo</em> del termine di prescrizione – in caso di occupazione acquisitiva – decorrere dal momento dell'emersione certa a livello legislativo dell'istituto e cioè a partire dalla legge n. 458/1988, ritenendo in tal modo soddisfatto il necessario ossequio al principio di legalità affermato in materia dalla Corte EDU. In sostanza, attraverso questa argomentazione la Cassazione assume compatibile l’occupazione appropriativa con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.11684, che rimette gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite il contrasto registratosi tra le sezioni semplici della Corte medesima: secondo alcuni giudici, infatti, per le occupazioni realizzatesi prima del TU 327/2001 sarebbe ancora possibile applicare l’istituto dell’occupazione espropriativa (illecito istantaneo con effetti permanenti e diritto al valore del bene espropriato); secondo altro orientamento invece, ciò non sarebbe possibile sia perché l’istituto è ormai in contrasto con le norme della CEDU, sia perché il nuovo istituto dell’acquisizione sanante (art. 42-<em>bis</em> TU 327/2001) è applicabile retroattivamente anche alle occupazioni di che trattasi (anteriori al Testo unico sugli espropri n.327.01).</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 giugno esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia, Lecce, n.1451, secondo la quale nelle ipotesi di occupazione usurpativa c.d. “<em>spuria</em>” (dichiarazione di pubblica utilità efficace, ma annullata <em>ex post</em> dal GA) la giurisdizione sulle controversie risarcitorie spetta al GA in quanto ricollegabile <em>ab origine</em> all’esercizio di un potere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.21333 che ribadisce il <em>dies a quo</em> del termine di prescrizione – in caso di occupazione acquisitiva – decorrere dal momento dell'emersione certa a livello legislativo dell'istituto e cioè a partire dalla legge n. 458/1988, ritenendo in tal modo soddisfatto il necessario ossequio al principio di legalità affermato in materia dalla Corte EDU. In sostanza, attraverso questa argomentazione la Cassazione assume compatibile l’occupazione appropriativa con la CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 dicembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n. 27944, che ribadisce l’orientamento in tema di sconfinamento dell’opera pubblica, evidenziando come qualora essa sia stata collocata su un terreno diverso, anche solo in via parziale, rispetto a quello oggetto della legittima procedura di esproprio, non può predicarsi - in ordine alla trasformazione del fondo concretamente operata – l’esercizio di un potere autoritativo, e ciò in quanto - laddove la collocazione di un'opera di pubblica utilità abbia luogo su un terreno diverso (o più esteso) rispetto a quello considerato <em>ab origine</em> dai provvedimenti amministrativi (presupposti) di approvazione del progetto - la pertinente dichiarazione di pubblica utilità è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, con la conseguenza onde la trasformazione del terreno non può che ritenersi di mero fatto. Poiché l'azione amministrativa compendia, in simili casi, un mero comportamento, per le SSUU tale azione pubblica si configura nella sostanza quale comportamento illecito, lesivo del diritto soggettivo del privato e non diverso da quello di un privato che leda diritti dei terzi, onde il privato deve agire a tutela della propria posizione giuridica innanzi al GO (e non innanzi al GA).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 gennaio escono le ordinanze delle SSUU n. 441 e 442, con cui viene assunta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del art. 42 bis (c.d. acquisizione sanante) in relazione agli artt. 3, 24, 42, 97, 111 e 117 Cost., anche alla luce dell'art. 6 e dell'art. 1 del I Protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. In tali ordinanze, la Corte dà atto che la Corte EDU ha dichiarato più volte in radicale contrasto con la Convenzione il principio dell’espropriazione indiretta, con la quale il trasferimento della proprietà del bene dal privato alla p.a. avviene in virtù della constatazione della situazione di illegalità o illiceità commessa dalla stessa Amministrazione, con l'effetto di convalidarla, di consentire a quest'ultima di trame vantaggio, nonché di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione, con il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per gli interessati. E nella categoria suddetta la Corte ha sistematicamente inserito proprio l'ipotesi corrispondente alla c.d. occupazione espropriativa, assumendo ininfluente che una tale vicenda sia giustificata soltanto dalla giurisprudenza, ovvero sia consentita mediante disposizioni legislative, come è avvenuto con la L. n. 458 del 1988.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 febbraio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.3776 che – prendendo atto della sentenza della Corte costituzionale n.204.04 – ribadisce come non solo l’occupazione usurpativa, ma anche l’occupazione appropriativa, essendo riconducibile ad un comportamento della PA, debba assumersi attratta nella giurisdizione del GO, e non in quella esclusiva del GA. In particolare, nella fattispecie il progetto di opera pubblica era stato approvato – valendo come tale dichiarazione di pubblica utilità dell’opera stessa – senza indicazione dei termini di inizio e compimento dei lavori e della procedura (<em>ratione temporis</em> ancora occorrenti), verificandosi una ipotesi di carenza di potere espropriativo, con la conseguente qualificabilità come mero comportamento materiale della PA dell’occupazione del fondo privato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione, n.8965, che si occupa del termine dal quale decorre la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, e che coincide con la irreversibile trasformazione del fondo privato. Per la Corte occorre certo che il privato abbia consapevolezza di aver subito una occupazione e una manipolazione del proprio fondo senza che vi sia alcun titolo, ma detta circostanza non è sufficiente a far correre il termine prescrizionale: il privato danneggiato deve trovarsi nella possibilità di apprezzare la gravità delle conseguenze lesive dell’<em>agere</em> pubblico per il proprio diritto di proprietà, con particolare riferimento alla rilevanza giuridica da annettere a tali gravi conseguenze lesive, e dunque a quell’evento estintivo-acquisitivo che la PA espropriante persegue. Spetta alla PA provare il momento in cui il “<em>trasferimento</em>” della proprietà e la relativa rilevanza giuridica è stato (o può essere stato) percepito dal privato che ha subito l’occupazione ed il connesso ed irreversibile danno ingiusto, trattandosi del presupposto di operatività della (eccezione di) prescrizione ex art.2947 c.c.: laddove difetti tale prova <em>ex parte publica</em>, per la Corte occorre aderire all’indirizzo giurisprudenziale della CEDU che colloca tale momento facendolo coincidere con quello della citazione introduttiva del giudizio nel cui contesto l’ormai <em>ex proprietario</em> chiede il controvalore dell’immobile ed i relativi accessori, dovendo tale circostanza assumersi incompatibile con il perdurare in capo all’attore del diritto di proprietà. La pronuncia si colloca nell'ambito dell'orientamento conservativo onde l’occupazione appropriativa è compatibile con la CEDU: il problema della tutela del privato, rispetto alla incertezza del <em>dies a quo</em> di un termine di prescrizione collegato all'irreversibile trasformazione, è da considerarsi definitivamente superato affermando sia che detto termine inizia a decorrere dal momento in cui il trasferimento della proprietà venga o possa essere percepito dal proprietario come danno ingiusto ed irreversibile, sia che la relativa prova incombe sull'Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.735, che si occupa dell'illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e dell'irreversibile trasformazione del relativo terreno per la costruzione di un'opera pubblica, sconfessando definitivamente – in sede di risoluzione del relativo contrasto di giurisprudenza dopo le note prese di posizione della CEDU - la legittimità dell’occupazione appropriativa. Secondo la Corte, nel caso classico finora additato quale occupazione acquisitiva - e dunque anche quando vi sia stata valida dichiarazione di pubblica utilità – non si configura un acquisto dell'area occupata da parte dell'Amministrazione, con la conseguenza onde il privato ha diritto di chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno. Sempre il privato, soggiunge la Corte, ha poi diritto al risarcimento dei danni per il periodo (non coperto dall'eventuale occupazione legittima) nel corso del quale abbia subito la perdita delle utilità ricavabili dal proprio terreno e ciò sino al momento della restituzione, laddove abbia chiesto detta restituzione, ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno, laddove abbia optato per questa secondo esito. La Corte precisa, con riguardo alla prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni, che essa decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente. Le Sezioni unite, sotto altro profilo, escludono che la sopravvivenza o meno dell’istituto dell’occupazione appropriativa, per le vicende espropriative antecedenti l’entrata in vigore del Testo Unico, possa argomentarsi in ragione della retroattività dell’art. 42- <em>bis</em> (che ha sostituito l’art. 43 dichiarato costituzionalmente illegittimo), il definitivo declino dell’istituto dell’espropriazione indiretta dovendosi unicamente ricondurre al relativo, inequivocabile contrasto con le norme CEDU, come già affermato dalle ordinanze delle sezioni unite 441 e 442 del 13 gennaio 2014, che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale proprio dell’art. 42-<em>bis</em> del d.p.r. 327.01. In sostanza, per le SSUU il contrasto dell'istituto dell'occupazione acquisitiva con l'art. 1 del I Protocollo addizionale alla Convenzione EDU è sufficiente per escluderne la sopravvivenza nel nostro ordinamento. L’importanza di questa pronuncia risiede nel fatto che ormai sia l’occupazione acquisitiva sia – <em>a fortiori</em> - quella usurpativa sono da considerarsi come un illecito comune capace solo di rendere la PA responsabile di tale illecito, senza alcuna possibilità che ne discenda un acquisto della proprietà del bene privato: in sostanza, la distinzione tra occupazione acquisitiva ed usurpativa è ormai sostanzialmente irrilevante. Per la Corte, non si tratta di illecito istantaneo ad effetti permanenti, ma di illecito permanente (come fino ad ora affermato per la c.d. occupazione usurpativa), che cessa in via alternativa o con la restituzione del bene abusivamente occupato al privato proprietario, o con la compiuta usucapione da parte della PA occupante (in difetto di opposizione da parte del privato che la subisce), ovvero con la rinuncia abdicativa del privato medesimo al diritto di proprietà sul bene, che è da assumersi implicita nella relativa richiesta di risarcimento del danno per equivalente. Solo per le occupazioni avvenute dopo il 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.p.R. n.327 del 2001, esiste anche l’alternativa dell’acquisizione sanante ex art.42.bis del D.p.R. medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.71 che dichiara il meccanismo di cui all’art.42-bis del T.U. sulle espropriazioni (c.d. acquisizione sanante), compatibile con i principi CEDU, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo. Si tratta dunque di un modo di acquisto della proprietà per via provvedimentale a seguito di una procedura espropriativa illegittima previsto dalla legge e giudicato sia costituzionalmente che convenzionalmente legittimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce l’importante ordinanza delle SSUU della Cassazione n.10879, che si occupa di una peculiare ipotesi di occupazione usurpativa, quella nel cui contesto la dichiarazione di pubblica utilità esiste, ma ha ormai perso efficacia. Si tratta di una fattispecie un tempo appannaggio del GO, che tuttavia le SSUU riconducono ormai alla giurisdizione esclusiva del GA, trattandosi di controversia comunque riconducibile – in parte direttamente, in parte mediatamente – ad un provvedimento amministrativo. Dopo la dichiarazione di pubblica utilità, un decreto di occupazione d’urgenza ha autorizzato l’occupazione del fondo privato, ma tale occupazione è divenuta abusiva per la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità medesima: si è allora svolto un procedimento ablatorio, conforme con le norme che lo disciplinano (almeno fino ad un certo punto), ed è stato esercitato dalla PA il pertinente potere, anche se <em>ex post</em> l’ingerenza sulla proprietà privata ha perso il titolo di appoggio. Questo è il motivo per il quale, secondo la Corte, anche il successivo comportamento della PA che non restituisca il bene va comunque avvinto, seppure in modo mediato, all’esercizio di un potere pubblico che si è concretato proprio nell’adozione, a suo tempo, della dichiarazione di pubblica utilità della quale è poi sopravvenuta l’inefficacia, con conseguente giurisdizione del GA. In sostanza, per questa didascalica pronuncia delle SSUU, rientra nella giurisdizione esclusiva del GA - in quanto afferente ad una controversia riconducibile in parte direttamente ed in parte mediatamente ad un provvedimento amministrativo - la domanda di risarcimento per i danni che si pretendono conseguiti ad una occupazione iniziata, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d'urgenza e proseguita anche dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità; ciò in quanto la riconducibilità dell’occupazione del suolo privato all’esercizio di un pubblico potere sussiste anche quando l’occupazione inizia, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza, e prosegue dopo (e nonostante) la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, anche in questo caso configurandosi concreto esercizio del potere ablatorio, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in conformità alle norme che lo regolano, ancorché successivamente l’ingerenza nella proprietà privata e la relativa utilizzazione siano avvenute senza alcun titolo che le consentiva. Per le SSUU, poi, anche il successivo comportamento della pubblica amministrazione che ometta di restituire al privato il bene, pur dopo l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, si deve connettere, ancorché mediatamente, a quel provvedimento, senza il quale non vi sarebbe stata apprensione e, per conseguenza, neppure la mancata restituzione; né potrebbe per la Corte immaginarsi - in considerazione della necessità di privilegiare soluzioni interpretative che, in aderenza ai principi del giusto processo realizzino economie processuali - una giurisdizione differenziata quanto al danno da apprensione e quanto al danno da mancata restituzione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.2, che si occupa dei poteri sostitutivi del commissario <em>ad acta</em> in sede di ottemperanza, con riguardo all’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art.42.bis del D.p.R. 327.01, ma che è importante anche perché dichiara sostanzialmente irrilevante ormai la distinzione tra vie di fatto, occupazione appropriativa e occupazione usurpativa: si tratta – qualunque ne sia la relativa forma di manifestazione – di condotte illecite della PA incidenti sul diritto di proprietà del privato. Si è al cospetto di comportamenti che non possono fare luogo all’acquisizione, da parte della PA, della proprietà del fondo privato, configurando piuttosto un illecito permamente che cessa in via alternativa o con la restituzione del fondo al privato medesimo, o con un accordo transattivo, o con la rinuncia abdicativa alla proprietà da parte del privato - che è da assumersi implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente - o con il compimento dell’usucapione a favore della PA (nei ristretti limiti previsti dalla giurisprudenza ed intesi a scongiurare surrettizie violazioni del art.1, I Protocollo addizionale alla CEDU), ovvero ancora con un provvedimento di acquisizione sanante ex art.42.bis del D.p.R. n.327.01.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 dicembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.25044 onde, in un caso di sconfinamento e dunque di occupazione di aree al di là dei confini segnati dal decreto di esproprio, la PA pone in essere una attività materiale integrante un illecito extracontrattuale a carattere permanente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1425 onde, sulla scia della Cassazione a SSUU, in un caso di sconfinamento e dunque di occupazione di aree al di là dei confini segnati dal decreto di esproprio, la PA pone in essere una attività materiale integrante un illecito extracontrattuale a carattere permanente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 maggio esce la sentenza della II sezione del Tar Calabria, Catanzaro, n.708, onde in tema di espropriazione per pubblica utilità, il proprietario ablato può chiedere un risarcimento per equivalente in caso di irreversibile trasformazione del relativo fondo e nondimeno, come affermato di recente anche dall'Adunanza Plenaria 2/16 e conformemente alle pronunce della Corte EDU, laddove abbia subito un’occupazione illegittima, resta fermo il diritto alla restituzione del bene, non costituendo la realizzazione dell’opera pubblica un impedimento alla possibilità di restituire l’area illegittimamente appresa (vengono richiamate Corte cost. 4 ottobre 2010 n. 293; Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 2011 n. 5844); sempre il privato può peraltro ben chiedere il solo risarcimento del danno subito, rinunciando in tal modo alla proprietà del bene ed alla relativa restituzione (laddove non interessato a quest’ultima). Per il Tar la rinuncia abdicativa su suolo irreversibilmente trasformato, che muove la richiesta risarcitoria nel caso di specie, ha carattere per l’appunto meramente abdicativo (Cass. S.U. 19 gennaio 2015, n.735, Cons. St. Ad. Pl. n.2/2016) e non traslativo, donde da essa non può conseguire, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione, che, sulla base dell’attuale assetto normativo e giurisprudenziale, può invece sicuramente avvenire sulla base del meccanismo di cui all’art.42-bis del T.U. sulle espropriazioni (c.d. acquisizione sanante), dichiarato compatibile con i principi CEDU, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 30 aprile 2015.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 maggio esce la sentenza del Tar Calabria, sezione Reggio Calabria, n.438 alla cui stregua l’occupazione illegittima seguita da irreversibile trasformazione del bene comporta, per la PA, unicamente l’obbligo di sanare l’illecito restituendo il terreno, previo ripristino dei luoghi nello stato di fatto originario, con corresponsione del risarcimento per il periodo di occupazione temporanea, ovvero, in via subordinata, di adottare il decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001). Per il Tar vi è invece un ostacolo giuridico evidente alla predicata possibilità, alternativa per il privato, di abbandonare il terreno giusta richiesta risarcitoria, come ormai ammesso sia dalle SSUU che dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria: la rinuncia, negozio giuridico unilaterale con effetto dismissivo automatico della proprietà, pone sì fine all’illecito permanente, ma non produce - se non come conseguenza di secondo grado - l’acquisto da parte dello Stato (che avverrebbe, in ogni caso, a titolo originario, ex art. 827 c.c.), onde non è configurabile - nell’ipotesi delle rinuncia del privato - una perdita dominicale quale fonte di un credito risarcitorio. L’indirizzo, ancora in fase di assestamento ma ormai avallato dalle SSUU della Cassazione e dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, onde - di fronte all’illegittima apprensione dell’area seguita dalla realizzazione dell’opera - il privato può ben chiedere il solo risarcimento del danno subito, rinunciando in tal modo alla proprietà del bene e alla relativa restituzione (in quanto non interessato a quest’ultima), viene dunque sconfessato dal Tar che anzi lo assimila ad un “<em>vieto orientamento</em>” che finisce col subordinare la funzione giudiziaria alla discrezionalità del privato. Più nel dettaglio, peri il Tar va ribadito, in caso di illecita occupazione, il perdurante obbligo dell’Amministrazione di restituire ai proprietari i terreni illegittimamente appresi, vantando parte privata il pieno diritto derivante dalla propria titolarità dominicale; l’Amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, non potendosi più concepire il “<em>vieto orientamento</em>” che predica la perdita della proprietà mediante rinuncia abdicativa ovvero a seguito della irreversibile trasformazione del bene, a fronte del pagamento del risarcimento per equivalente, e ciò in quanto il TAR reputa di dover disattendere la soluzione, pure recentemente sostenuta (viene citato il precedente di cui a TAR Calabria Catanzaro n. 708/2017), secondo cui il ricorrente proprietario sarebbe facoltizzato a formulare una domanda di mero risarcimento del danno per equivalente (a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo) e contestualmente rinunciare alla proprietà del bene (abdicando al diritto) ovvero alla relativa restituzione, tale tesi urtando contro un ostacolo giuridico evidente, laddove appunto si riconnette il risarcimento del danno da perdita della proprietà all’esito di un comportamento volontario posto in essere discrezionalmente dal proprietario medesimo, dacché la rinuncia è negozio unilaterale il cui solo effetto è quello dismissivo del diritto di proprietà, mentre l’effetto acquisitivo da parte dello Stato è solo effetto di secondo grado. Né può per il Tar configurarsi un illecito aquiliano dell’Amministrazione, se non nel limitato senso di ipotizzare un diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima temporanea (e cioè dall’inizio dell’occupazione illegittima con trasformazione del bene irreversibile sino alla rinuncia) ovvero ad altri ulteriori pregiudizi da provarsi a cura della parte istante, palesandosi non essere invece riannodabile al comportamento illecito dell’Amministrazione il danno da perdita della proprietà legato ad un atto meramente dismissivo posto che difetta il necessario nesso di consequenzialità diretta imposto dall’art. 1223 c.c. La rinuncia infatti, ribadisce il Tar - la cui sola natura è abdicativa - è negozio unilaterale, con effetto dismissivo automatico, che non può far sorgere un illecito in capo al terzo acquirente a titolo originario (Stato ex art. 827 c.c.), né tampoco a carico dell’ente espropriante, il cui acquisto avviene semmai in base ad un autonomo titolo provvedimentale ( art. 42 bis T.U. Espropri). Né possono per il Collegio trarsi argomenti dalla sentenza SS.UU. n. 735/2015 (atteso il generico riferimento alla rinuncia abdicativa che per il Tar suona più come immotivato <em>obiter</em>) ovvero alla nota decisione Ad. Plen. n. 2/2016, nella quale la menzione della rinuncia abdicativa sembra da interpretarsi solo quale evento che, in linea astratta e generale, pone fine all’illecito permanente (si rinuncia al diritto e dunque cessa evidentemente la lesione del diritto stesso) ma non certo come vicenda giuridica che attribuisce direttamente il bene all’Amministrazione a fronte del versamento del controvalore: ciò sarebbe possibile, astrattamente, solo all’esito di una vicenda traslativa, che nulla ha a che vedere con l’istituto della rinuncia e che assume i contorni di una fattispecie complessa di natura contrattuale; inammissibile tuttavia, laddove tesa a poggiarsi sul medio di una pronuncia giudiziaria che accerti la cessione del bene dal privato alla P.A.. La funzione giudiziaria diverrebbe – prosegue il Tar - strumento ancillare rispetto all’esercizio di facoltà discrezionali del privato nonché rispetto ad una forma di circolazione del bene, invero inaudita, che porrebbe per altro serie criticità nei rapporti coi terzi. Il Collegio conclude allora nel senso onde dalla illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio sorge dunque (al di là dell’unica ipotesi alternativa costituita dalla possibilità di un contratto traslativo ovvero di un accordo transattivo), unicamente, l’obbligo per l’Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, restituendo il terreno con la corresponsione del dovuto risarcimento per il periodo di illegittima occupazione temporanea ovvero, in via subordinata, adottando il decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR n. 327/01 e versando il relativo indennizzo/risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 settembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.22929 alla cui stregua l’istituto dell’occupazione appropriativa, di genesi pretoria, sorto a seguito della sentenza n. 1464 del 1983 delle SSUU della Cassazione e successivamente variamente sviluppato e sempre applicato in giurisprudenza – in funzione di garanzia della posizione del privato, rimasto formalmente proprietario di un bene inglobato in un’opera pubblica e non espropriato – è stato riconsiderato dalle Sezioni Unite della Cassazione che, con la sentenza n. 735 del 2015, hanno, invece, ritenuto il predetto istituto non conforme con il principio enunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “<em>buona e debita forma</em>“, e, pertanto, superando il pregresso indirizzo conservativo dell’istituto, lo hanno esattamente equiparato a quello della c.d. occupazione usurpativa, caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e costituente un illecito a carattere permanente. Nel caso dunque di occupazione illegittima di un immobile da parte della P.A. nell’ambito di un procedimento espropriativo, trattandosi sempre di un’ipotesi d’illecito permanente, lo stesso viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente; in simile fattispecie, il fatto generatore del danno è per la Corte costituito – anzitutto e comunque – dalla condotta illecita del soggetto che ha appreso gli immobili senza alcun titolo e/o che senza il necessario titolo li ha irreversibilmente trasformati mantenendone la detenzione abusiva ed irreversibile senza più rimettere i beni nella disponibilità dei proprietari. Il nesso di causalità con l’evento dannoso è ravvisato, alla stregua dell’art. 2043 c.c., esclusivamente in relazione al contenuto dell’attività lesiva suddetta nonché all’attitudine di questa a produrre danno, che perdura nel tempo, sino a quando permanga la situazione illegittima posta in essere e nella quale si concreta un’ininterrotta violazione dell’interesse dei proprietari a goderne e disporne entro i limiti riconosciuti dall’art. 832 c.c. Per la Corte poi colui che ha proceduto alla materiale apprensione del bene, al compimento delle attività anche giuridiche necessarie a tal fine, nonché all’esecuzione dell’opera pubblica – sia delegato ovvero concessionario o semplice appaltatore <em>ex</em> art. 324, L. n. 2248, all. F del 1848 – riveste la titolarità passiva del rapporto obbligatorio collegato all’illecito dalla stessa provocate, dato il carattere personale delle relativa responsabilità che riverbera i suoi effetti anzitutto su chi agisce per realizzare tale risultato; a tale soggetto, prosegue la Corte, non è dunque consentito invocare la non imputabilità in ordine alle cause d’illegittimità della procedura espropriativa, così come alla mancata o ritardata pronuncia del decreto ablativo, anche quando sia dipesa da omissione o inerzia di altro ente, e ciò in quanto nel comportamento di chi conserva l’occupazione dell’immobile senza titolo e persevera nell’esecuzione dell’opera, pur essendo, a conoscenza della prospettata illegittimità dell’occupazione, possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od omissiva, l’elemento psicologico della colpa, il danno, il nesso di causalità tra condotta e pregiudizio; e non è possibile per le medesime ragioni neppure trasferire la responsabilità dell’illegittima vicenda ablatoria in capo all’ente beneficiario o destinatario dell’opera pubblica inglobante quel fondo, ovvero a quello che per legge o per atto amministrativo ne diviene proprietario. La Corte conclude poi con l’affermazione onde sia in tema di occupazione acquisitiva, che in tema di occupazione c.d. usurpativa, l’illecito è da considerare consumato al momento dell’irreversibile trasformazione del fondo, ancorché il passaggio della proprietà vada individuato alla data in cui il privato, rinunciando alla restituzione, abbia optato per la tutela risarcitoria, l’accertamento dell’irreversibile trasformazione presupponendo che, per effetto della realizzazione dei lavori, gli immobili occupati abbiano subito una radicale trasformazione nel loro aspetto materiale, mutando fisionomia strutturale e funzionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4670, alla cui stregua nel caso di adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 <em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">d.P.R. n. 327 del 2001</a>, al proprietario dell’immobile acquisito dalla PA dovrà essere corrisposto: a) un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene; b) il risarcimento del danno derivante dal mancato godimento della proprietà per tutto il periodo di occupazione <em>sine titulo</em> per un importo pari al 5% del valore venale dei suoli individuato per ciascun anno di occupazione, quale voce omnicomprensiva di ogni ulteriore voce di danno, anche accessorio (ad esempio, interessi compensativi e rivalutazione monetaria). Per il Collegio occorre precisare che, ai fini della relativa quantificazione del danno, rilevano tutte le destinazioni urbanistiche ed i vincoli imposti al bene prima del momento dell’adozione dell’atto il quale, comportando il trasferimento della proprietà, fa venire meno, già sul piano astratto, la configurabilità del danno da mancato godimento del bene, per compressione delle facoltà dominicali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della I sezione della Corte EDU sul caso Messana c/ Italia, che si occupa ancora una volta di occupazione acquisitiva e di connessa violazione da parte dello Stato italiano dell’art. 1 del protocollo n. 1 addizionale alla CEDU. La Corte ribadisce il proprio tradizionale orientamento, richiamando il principio onde le misure di “<em>occupazione acquisitiva</em>” poste in essere dalla PA in difetto di un atto formale di espropriazione (decreto di esproprio), comportano per i ricorrenti la privazione della loro proprietà in violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1 addizionale alla CEDU.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 gennaio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.2145 alla cui stregua rientrano nella giurisdizione esclusiva del GA le controversie, anche di natura risarcitoria, relative ad occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione, attuate in presenza di un concreto esercizio del potere ablatorio, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, pur se poi l’ingerenza nella proprietà privata e la relativa utilizzazione, nonché l’irreversibile trasformazione della stessa, siano avvenute senza alcun titolo che le consentiva. Nella materia dei procedimenti di esproprio, afferma poi la Corte, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione – anche ai fini complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, ancorché il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti in ipotesi illegittimi; onde non determina la devoluzione della controversia alla giurisdizione del GO la circostanza che l’ingerenza nella proprietà privata si sia in concreto realizzata una volta divenuta inefficace l’occupazione di urgenza per essere l’effettiva immissione nel possesso dell’immobile intervenuta decorso il termine di tre mesi dall’emanazione del provvedimento commissariale che la autorizzava.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia, Lecce, n.435, alla cui stregua le domande risarcitorie e restitutorie, ovvero tendenti ad ottenere l’adozione, da parte della PA, di un provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42 <em>bis, </em><a href="http://www.lexitalia.it/n/193">D.P.R. n. 327/2001</a>, relative a fattispecie di occupazione di un terreno privato riconducibile a “<em>mere vie di fatto</em>” e/o c.d. usurpativa, posta in essere dalla P.A., intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in difetto della dichiarazione di pubblica utilità, rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce la sentenza del Tar Calabria, sezione II, n.677, alla cui stregua devono assumersi devolute alla giurisdizione esclusiva del GA <em>ex</em> art. 133, co. 1, lett. g) <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">c.p.a.</a>, le controversie nelle quali si faccia questione, anche a fini risarcitori, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti a una dichiarazione di pubblica utilità, ancorché il procedimento nel cui ambito tali attività sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo o sia caratterizzato da atti illegittimi. Il Tar soggiunge che nel caso di azione risarcitoria proposta dai privati proprietari per una occupazione illegittima realizzata per una strada provinciale, sussiste la legittimazione passiva non solo del Comune che doveva curare le espropriazioni, ma anche della Provincia; al di là dei rapporti interni tra gli enti in questione siccome regolati tra gli stessi, in presenza di un rapporto plurisoggettivo – in base al quale l’ente nel cui interesse viene realizzata l’opera è la Provincia (ente destinatario), mentre l’espropriazione viene curata dal Comune – i detti enti rispondono solidalmente del risarcimento al privato per i danni connessi al mancato perfezionamento nei termini della proceduta espropriativa. Sotto altro profilo, per il Tar l’occupazione illegittima di terreni da parte della P.A. nell’ambito di un procedimento espropriativo non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente <em>ex</em> art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione <em>contra ius</em>, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene – che viene a cessare solo in conseguenza: a) della restituzione del fondo; b) di un accordo transattivo; c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu; e) di un provvedimento di c.d. acquisizione sanante emanato <em>ex</em> art. 42-<em>bis</em> del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327</a> (T.U. espropriazione per p.u.). L’occupazione illegittima da parte della P.A. ha peraltro natura permanente, in difetto di un valido titolo che determini il trasferimento della proprietà in capo ad essa, onde il termine quinquennale della prescrizione non decorre finché v’è tal illecito ed esso inizia a farlo solo dalla proposizione della domanda per quanto riguarda la reintegrazione per equivalente o dalle singole annualità relativamente alla domanda risarcitoria sul mancato godimento del bene. Per il Tar, ancora, a fronte di un’occupazione illegittima e della mancanza di un legittimo atto di acquisizione (come nel caso ove a seguito della dichiarazione di p.u. non sia intervenuto il decreto di espropriazione nei termini), il proprietario, fermo restando il diritto alla restituzione del bene occupato, può formulare una domanda di mero risarcimento del danno per equivalente a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo, rinunciando in tal modo alla proprietà del bene ed alla relativa restituzione (in quanto non interessato a quest’ultima); in queste fattispecie, la rinuncia abdicativa su suolo irreversibilmente trasformato, sottesa alla richiesta risarcitoria, ha carattere meramente abdicativo e non traslativo, per cui da essa non può conseguire, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione; in tale ipotesi, chiosa il Tar, l’atto da trascriversi ai sensi degli artt. 2643, primo comma, n. 5 e 2645 cod. civ., anche al fine di conseguire gli effetti dell’acquisizione del diritto di proprietà in capo all’Amministrazione, a far data dal negozio unilaterale di rinuncia, è il provvedimento con il quale l’Amministrazione procede alla effettiva liquidazione del danno, rappresentando esso il mancato inveramento della condizione risolutiva implicitamente apposta dal proprietario al proprio atto abdicativo, che di esso rappresenta il presupposto. Infine, secondo il Tar in caso di occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A., deve riconoscersi al proprietario il risarcimento del danno per la mancata disponibilità del bene per tutto il periodo di occupazione <em>sine titulo,</em> oltre che il danno per equivalente per la perdita del bene, cui parte ricorrente ha implicitamente rinunciato, da calcolarsi secondo i criteri che di seguito vengono indicati <em>ex</em> art. 34, co. 4, <a href="http://www.lexitalia.it/n/2369">c.p.a.</a>, dovendosi nondimeno assumere ferma la giurisdizione del GO per la domanda relativa all’indennità di occupazione legittima ai sensi dell’art. 53, comma 2, del <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">D.P.R. n. 327 del 2001</a>, senza che l’eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l’attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Piemonte n.368 onde, in materia espropriativa, sussiste la giurisdizione del GA nei casi in cui l’occupazione e la irreversibile trasformazione del fondo siano avvenute anche in assenza o a seguito dell’annullamento del decreto di esproprio ma in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità, quand’anche questa sia poi stata annullata in via giurisdizionale o di autotutela (c.d. occupazione usurpativa spuria), mentre spetta al GO la giurisdizione nei casi in cui l’occupazione e la irreversibile trasformazione del fondo siano avvenute in assenza della dichiarazione di pubblica utilità e nelle ipotesi di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità (fattispecie di c.d. occupazione usurpativa pura). Sotto altro profilo, per il Tar nelle fattispecie di occupazione appropriativa ed usurpativa da parte delle P.A. di un fondo di proprietà privata, l’eventuale rinuncia del privato alla proprietà del fondo è priva di qualsiasi effetto abdicativo o traslativo; ove una tale rinuncia “<em>abdicativa</em>” fosse possibile, le PPAA si troverebbero per il Tar esposte al rischio di dover corrispondere un risarcimento commisurato al valore venale del bene occupato anche nei casi in cui il fondo stesso e l’opera che su di esso insiste non siano più rispondenti a “<em>scopi di pubblico interesse</em>”, poiché l’obbligo di corrispondere un tale risarcimento verrebbe in tal caso a dipendere unicamente dalla illegittima occupazione del fondo da parte della PA e dalla unilaterale reazione del privato, prescindendo totalmente da valutazioni afferenti l’utilità pubblica del bene.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 aprile esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia, Lecce, n.563, che dichiara in primo luogo rientrare nella giurisdizione del GO la domanda relativa al pagamento dell’indennità di legittima occupazione delle aree occupate dalla P.A. nell’ambito del procedimento espropriativo e fino allo scadere dell’immissione in possesso; il Tar precisa che l’eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno (di competenza del TAR) non può giustificare l’attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione. Per il Collegio poi il fatto illecito rappresentato dall’occupazione “<em>sine titulo</em>” di un bene, ed in particolare la mancata rituale conclusione del procedimento espropriativo con l’adozione del decreto di espropriazione, una volta decorsi i 5 anni dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza, determina il momento di proponibilità della domanda di risarcimento del danno per mancato godimento, consistente nella impossibilità di realizzare un reddito annuo derivante dall’utilizzazione giuridicamente legittima del terreno occupato, diritto che si prescrive nell’ordinario termine quinquennale decorrente a ritroso per le singole annualità antecedenti l’atto interruttivo della prescrizione. Sempre per il Tar, sotto altro profilo, il privato che subisca l’occupazione e l’irreversibile trasformazione del proprio suolo da parte della P.A. in assenza di un titolo che la legittimi, può richiedere la restituzione del terreno, con rimozione delle opere realizzate sullo stesso, a spese dell’Amministrazione medesima, con contestuale condanna al risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione senza titolo, meramente detentiva (e che decorre dallo scadere – in genere – del quinto anno dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza), fatta salva la possibilità per la P.A. di disporre l’acquisizione sanante <em>ex</em> art. 42 <em>bis</em> <a href="http://www.lexitalia.it/n/193">D.P.R. n. 327/2001</a> che tuttavia per il Collegio opera <em>ex nunc </em>e non vale dunque a sanare ed eliminare un precedente illecito. Peraltro, l’obbligazione risarcitoria nel caso di occupazione illegittima della P.A. ha natura di debito di valore, onde il risarcimento va inteso comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi, da liquidarsi al tasso legale, tali voci accessorie costituendo una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e potendo dunque essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario “<em>petitum</em>” della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 aprile esce la sentenza delle SSUU n. 9334 alla cui stregua, in materia di espropriazione per pubblica utilità, rientra nella giurisdizione esclusiva del GA, in quanto dà luogo ad una controversia riconducibile in parte direttamente ed in parte mediatamente ad un provvedimento amministrativo, la domanda di risarcimento per i danni che si pretendono conseguiti ad una occupazione iniziata, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza e proseguita successivamente alla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 settembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.21915, che ribadisce come sia pur vero che, in tema di risarcimento del danno per occupazione senza titolo di un fondo da parte della Pubblica Amministrazione, la distinzione tra occupazione usurpativa ed occupazione appropriativa è so- stanzialmente venuta meno, ancor prima che per effetto del d.P.R. n. 327 del 2001, a causa della necessità d'interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte EDU, secondo cui l'espropriazione deve sempre avvenire in «<em>buona e debita forma</em>», e della connessa unificazione degli effetti delle due fattispecie, derivante dall'affermazione della Corte medesima secondo cui, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, l'illecito spossessamento e l'irreversibile trasformazione del fondo per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo all'acquisto della proprietà da parte dell'Amministrazione, con la conseguenza onde il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al proprio diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente (viene richiamata sia Sez. Un., 19/ 01/2015, n. 735 che SSUU 29/09/2017, n. 22929). La negazione dell'efficacia estintivo-acquisitiva in precedenza attribuita alla fattispecie dell'occupazione appropriativa, e sempre esclusa invece per l'occupazione usurpativa, pur traducendosi in entrambi i casi nella richiesta di uno specifico atto o provvedimento ai fini dell'acquisto della proprietà da parte dell'Amministrazione, ed impedendo quindi di far retroagire tale acquisto al momento della trasformazione irreversibile del fondo occupato o alla data di scadenza dell'occupazione legittima, se successiva, non comporta peraltro che, ove il proprietario preferisca astenersi dal richiedere la restituzione del bene, optando per la tutela risarcitoria, il riconoscimento del danno per la perdita della proprietà resti subordinato all'adozione del predetto atto o provvedimento, dovendo il proprietario accontentarsi, in mancanza, del solo risarcimento dovuto per l'illegittima detenzione del fondo da parte dell'Amministrazione: se è vero, infatti, che, in quanto atto avente effetto abdicativo, e non già traslativo, la rinuncia implicita nella proposizione dell'azione risarcitoria non determina il trasferimento della proprietà in favore dell'Amministrazione, è anche vero però – precisa la Corte - che, traducendosi nell'abbandono del bene in favore di quest'ultima, essa comporta il venir meno dello spossessamento e quindi dell'illecito, alla cui cessazione occorre avere riguardo non solo ai fini della decorrenza del termine di prescrizione (comunque interrotto dalla contestuale instaurazione del giudizio), ma anche ai fini dell'individuazione e della quantificazione delle conseguenze risarcitorie, riguardanti tanto il pregiudizio cagionato dalla perdita del fondo quanto quello derivante dall'indisponibilità dello stesso nel periodo anteriore alla proposizione della domanda (viene richiamata Sez. I, 29/09/ 2017, n. 22929; 5/03/2015, n. 4476).</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 24101 che ribadisce come l’istituto dell’occupazione acquisitiva deve ormai ritenersi espunto dall’ordinamento e, pertanto, nelle occupazioni illegittime lo spossessamento del privato da parte della P.A. ha natura di illecito permanente, che viene a cessare per effetto (oltre che della restituzione del terreno, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato) della rinuncia del proprietario al suo diritto che è implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente, ipotesi quest’ultima nella quale la prescrizione decorre dalla data della domanda risarcitoria. Di conseguenza, al proprietario dei terreni legittimamente occupati, poi trasformati irreversibilmente e acquisiti dalla P.A., è dovuta anche l’indennità di occupazione legittima, quando il proprietario stesso abbia chiesto di essere indennizzato per l’indisponibilità di quei medesimi terreni per l’intera durata dell’occupazione, in aggiunta al risarcimento del danno per l’occupazione acquisitiva, non ostandovi il fatto che a fondamento della domanda egli abbia dedotto l’illegittimità dell’occupazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 febbraio esce la sentenza della II sezione del TAR Sardegna, n. 96 che si inserisce nel solco del nuovo indirizzo dominante secondo cui, a fronte di un’occupazione illegittima e della mancanza di un legittimo atto di acquisizione (come nel caso in cui, a seguito della dichiarazione di p.u., non abbia fatto seguito il decreto di espropriazione nei termini), e, in particolare, ove la P.A. non abbia mai concluso il procedimento espropriativo e senza che il proprietario dell’area interessata abbia mai sottoscritto un atto di cessione volontaria in favore dell’Ente espropriante, il medesimo proprietario ha diritto alla restituzione del bene occupato senza titolo, non costituendo l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica un impedimento alla possibilità di restituire l’area illegittimamente appresa dall’Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 3428 secondo cui il danno da perdita della facoltà di godimento del bene si fonda sulla perdita della facoltà di godimento connessa al diritto di proprietà e, dunque, sulla perdita parziale del contenuto del diritto medesimo. E’ per questo che si può: a) sia escludere la ricomprensione di tale tipologia di danno tra quelle rientranti nella categoria del “danno-conseguenza”; b) sia riaffermare che, in tale ipotesi, il danno è “<em>in re ipsa</em>” (previa definizione dell’esatto significato da attribuire a tale espressione), con la conseguenza che non incombe un particolare onere probatorio della sussistenza del medesimo a carico del proprietario, mentre incombe sull’amministrazione occupante l’onere di provare che il proprietario si sia intenzionalmente disinteressato dell’immobile.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, il Collegio ricorda come l’oggetto del risarcimento “non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva”, tanto è vero che la lesione del diritto alla salute deve essere ammessa “indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali”, poiché oggetto del risarcimento è “la diminuzione o la privazione di valori della persona inerenti al bene protetto”.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, oggetto della verifica da parte del giudice è la situazione giuridica soggettiva, al fine di accertare se questa, dopo un evento che si assume lesivo, inerisca ancora al suo titolare nella pienezza (o meno) della sua conformazione ordinamentalmente riconosciuta, con la conseguenza che, laddove vi fosse stata la sua perdita ovvero una diminuzione e/o perdita delle facoltà e/o dei poteri inerenti alla situazione soggettiva, ciò evidenzia un danno in senso obiettivo (“in re ipsa”) ed il corrispondente diritto al risarcimento.</p> <p style="text-align: justify;">In sostanza, non occorre prova del danno perché “la diminuzione o la privazione”, in tutto o in parte, della posizione soggettiva nel suo lato interno (in relazione cioè al bene protetto) è già <em>ex se</em> lesione comprovata e che, come tale, postula risarcimento</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di occupazione illegittima da parte della P.A. di un terreno, ai proprietari spetta il risarcimento del danno causato dall’illegittima detenzione delle aree da parte della P.A., ovviamente per la porzione del terreno effettivamente occupata. Tale danno deve coprire il solo valore d’uso del bene dal momento della sua illegittima occupazione, cioè dal momento della scadenza del provvedimento di occupazione d’urgenza (cfr. art. 20 della legge n. 865 del 1971), e fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, ovvero fino alla restituzione dell’area o al suo legittimo acquisto, confluendo peraltro in tale ultima ipotesi la posta risarcitoria, in senso lato, nell’indennizzo dovuto per l’acquisizione sanante. Peraltro, il risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima di un fondo di proprietà privata da parte della P.A. può essere quantificato, in assenza di opposizione delle parti e in difetto della prova rigorosa di diversi ulteriori profili di danno, facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-<em>bis</em> t.u. espr., e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’8 luglio esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18272 secondo cui in tema di espropriazione, nell'ipotesi di cd.<em>sconfinamento, </em>che ricorre qualora la realizzazione dell'opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai presupposti provvedimenti amministrativi di approvazione del progetto, la dichiarazione di pubblica utilità, pur emessa, è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, sicché l'occupazione e/o trasformazione del terreno da parte della P.A. si configura come un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere, che integra un illecito a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (cd. Occupazione usurpativa), onde l'azione risarcitoria del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 23102 che riafferma il consolidato indirizzo secondo cui, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e 191 del 2006, le controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni cagionati dalla perdita della proprietà di un fondo occupato ed irreversibilmente trasformato per la realizzazione di un'opera pubblica, promosse in epoca successiva al 10 agosto 2000, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto aventi ad oggetto occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, e ciò anche nel caso in cui l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonché la sua irreversibile trasformazione, siano avvenute senza alcun titolo che le consentisse, ovvero nonostante il venir meno di detto titolo.</p> <p style="text-align: justify;">La predetta giurisdizione non trova giustificazione nell'idoneità della dichiarazione di pubblica utilità a determinare l'affievolimento del diritto di proprietà, e quindi nella configurabilità della posizione giuridica del proprietario come interesse legittimo, ma nella riconducibilità della fattispecie alla materia urbanistico-edilizia, come definita dall'art. 7 cit., in virtù della quale spettano alla cognizione del giudice amministrativo tutte le controversie aventi ad oggetto comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere da parte della Pubblica Amministrazione, quali che siano i diritti (reali o personali) fatti valere nei confronti di quest'ultima, nonché la natura (restitutoria o risarcitoria) della pretesa avanzata; essa si estende quindi a tutte le ipotesi in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di pubblica utilità, anche se poi quest'ultima sia stata annullata da parte della stessa autorità amministrativa che l'ha emessa o dal giudice amministrativo, oppure la sua efficacia sia altrimenti venuta meno, o ancora l'apprensione e/o l'irreversibile trasformazione del fondo abbiano avuto luogo in assenza di titolo o in virtù di un titolo a sua volta caducato.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto infine allo sconfinamento lamentato dai ricorrenti, è appena il caso di rilevare che, al pari dell'occupazione realizzata in virtù di una dichiarazione di pubblica utilità illegittima o inefficace, anche l'occupazione di superfici eccedenti quelle indicate nel provvedimento ablatorio costituisce espressione di un potere autoritativo preordinato o comunque connesso all’esproprio, il cui sindacato, ancorché denunciato quale lesivo di diritti soggettivi, compete in via esclusiva al giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre esce la sentenza del TAR Calabria – sede di Reggio Calabria - n. 590 che si allinea all’orientamento secondo cui, in mancanza del decreto di esproprio, la mera irreversibile trasformazione del fondo non è, invero, idonea a determinare il perfezionarsi di una fattispecie di occupazione appropriativa.</p> <p style="text-align: justify;">È, infatti, da ritenersi definitivamente espunto dall'ordinamento giuridico l'istituto dell'occupazione acquisitiva, di origine giurisprudenziale, che - in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità o di una dichiarazione d'indifferibilità e urgenza esplicita o implicita, dell'occupazione dell'area e dell'irreversibile trasformazione del fondo nonché della scadenza del termine di occupazione legittima senza adozione di un decreto di esproprio ovvero in caso di annullamento giurisdizionale della procedura espropriativa – ipotizza un acquisto a titolo originario della proprietà del fondo in capo all'Amministrazione occupante, legittimando il privato proprietario ad agire esclusivamente per il risarcimento del danno. La C.E.D.U., già nel 2000, ha infatti, affermato che l'acquisto della proprietà per effetto di attività illecita viola l'art. 1 del Protocollo aggiuntivo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. L'ordinamento giuridico non consente, pertanto, che un'Amministrazione pubblica, mediante un atto illecito o in assenza di un atto ablatorio, acquisti a titolo originario la proprietà di un'area altrui sulla quale sia stata realizzata un'opera pubblica o d'interesse pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, come chiarito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 febbraio 2016 n. 2, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c..</p> <p style="text-align: justify;">Da tale illegittima occupazione per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio, sorge, secondo l'ormai costante interpretazione della giurisprudenza, l'obbligo per l'Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, in via alternativa: a) attraverso la restituzione del terreno, previa riduzione dello stesso in pristino e corresponsione del risarcimento del danno anche per il periodo di illegittima occupazione; b) tramite l'emanazione di un decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, con corresponsione del relativo risarcimento secondo i paramenti ivi disciplinati, applicabile anche alle situazioni pregresse.</p> <p style="text-align: justify;">Solo in tal modo può, infatti, essere adeguato lo stato di fatto a quello di diritto, in maniera coerente sotto il profilo ordinamentale. Allo stesso modo, non risulta neppure esclusa la possibilità che tra le parti intervenga una definizione contrattuale dell'assetto proprietario del bene, nonché in ordine al ristoro dei danni derivanti dall'occupazione illegittima subita.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, quanto al profilo monetario, si afferma che, in mancanza di prova specifica da parte del danneggiato circa la perdita di frutti o di altre utilità, deve ritenersi che il risarcimento del danno per il mancato godimento di un immobile, debba calcolarsi assumendo a valore-base quello di mercato del bene, ed applicando ad esso il tasso di interesse legale, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività dell'immobile. Il valore-base del suolo deve essere attualizzato anno per anno, con l'utilizzo dell'indice ISTAT e, solo sul relativo risultato, deve essere computato il danno per la perdita della possibilità di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta, in sostanza, la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili. La somma così risultante dovrà essere maggiorata degli interessi legali, dalla pubblicazione della sentenza sino alla effettiva corresponsione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 novembre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 30549 che richiama l’orientamento secondo cui in caso di occupazione illegittima di un immobile è ravvisabile, secondo una presunzione "iuris tantum", l'esistenza di un danno connesso alla perdita di disponibilità del bene ed all'impossibilità di conseguirne la relativa utilità; in conseguenza di un simile spossessamento non sussiste uno specifico criterio di legge che indichi in qual modo il danno debba essere liquidato, ed occorre provvedere ad una stima equitativa, potendo anche utilizzarsi il criterio degli interessi legali calcolati sul prezzo di cessione volontaria del bene, quando esso non conduca ad una quantificazione del danno manifestamente incongrua in considerazione del caso concreto.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò, tuttavia, non esime la parte danneggiata dall'onere di dimostrare non solo <em>l'an debeatur </em>del diritto al risarcimento, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 dicembre esce la sentenza della II sezione del Consiglio di Stato n. 8513 che, sulla vicenda espropriativa con riferimento alla individuazione degli enti tenuti a rispondere dei danni cagionati da condotte di occupazione abusiva nelle ipotesi di delega o di concessione traslativa per la realizzazione dell'opera pubblica che implichi il trasferimento dei poteri ablativi, ha precisato gli orientamenti ormai consolidati in giurisprudenza secondo cui:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>a) in caso di illecito consistente nell'occupazione di immobile <em>sine titulo</em> sussiste la responsabilità solidale per il risarcimento del danno tra l'amministrazione pubblica committente dell'opera ed il soggetto (pubblico o privato) al quale, unitamente alla realizzazione dell'opera, sia stata affidata, in virtù di delega, anche il potere di gestire, in nome e per conto del delegante, il procedimento espropriativo e di emanare il decreto di espropriazione. Perfino in presenza di un rapporto concessorio (pur se previsto per legge), resta sempre fermo il potere-dovere di vigilanza dell'amministrazione concedente sull'attività del concessionario, con particolare riguardo all'esercizio di poteri pubblici - e dunque anche del potere espropriativo - da parte di questi;</li> <li>b) il concessionario di un'opera pubblica è responsabile solo quando questi sia "facultato" a svolgere in nome proprio - nella sequenza, con le modalità e nei tempi previsti dalle leggi sulle espropriazioni per pubblica utilità - quella medesima serie di compiti, adempimenti ed attività procedimentali devoluti dal legislatore all'espropriante.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Il problema che può porsi in tali frangenti, dunque, è esclusivamente quello di accertare se alla causazione del danno (inconfutabilmente "ingiusto" perché incidente sul diritto di proprietà) avessero, e in che misura, contribuito eventuali negligenze o colpevoli inerzie di detto ente "delegato", da accertare alla stregua del rapporto di causalità stabilito dagli artt. 40 e 41 cod. pen., e non certamente in base al rapporto interno tra gli enti in questione, come disciplinato da atti e convenzioni tra di loro intercorsi, ai fini tuttavia di un'eventuale azione di rivalsa, non della sottrazione dell'Amministrazione procedente alle proprie responsabilità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 che esprime il seguente principio di diritto “<em>per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis TU Espropri, l’illecito permanente dell’Autorità viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la relativa restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva: la rinuncia abdicativa non può dunque essere ravvisata</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio si trova ad affrontare la questione riguardante la configurabilità, nel nostro ordinamento giuridico, della rinuncia abdicativa quale atto implicito ed implicato nella proposizione, da parte di un privato illegittimamente espropriato, della domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario derivante dall’illecito permanente costituito dall’occupazione di un suolo da parte della P.A., a fronte della irreversibile trasformazione del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">La questione, infatti, non riguarda l’ammissibilità in generale dell’istituto della rinuncia abdicativa, che conosce un vivace dibattito in altri settori dell’ordinamento. Infatti, benché il Legislatore non abbia espressamente disciplinato in una norma <em>ad hoc</em> la rinuncia abdicativa, la prevalente tradizionale dottrina ne afferma la sua ammissibilità.</p> <p style="text-align: justify;">Trattasi di un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, con il quale un soggetto, il rinunciante, nell’esercizio di una facoltà, dismette, abdica, perde una situazione giuridica di cui è titolare, <em>rectius</em> esclude un diritto dal suo patrimonio, senza che ciò comporti trasferimento del diritto in capo ad altro soggetto, né automatica estinzione dello stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Gli ulteriori effetti, estintivi o modificativi del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono, infatti, solo conseguenze riflesse del negozio rinunziativo, non direttamente ricollegabili all’intento negoziale e non correlate al contenuto causale dell’atto, tant’è che la rinuncia abdicativa si differenzia dalla rinuncia cd. traslativa proprio per la mancanza del carattere traslativo-derivativo dell’acquisto e per la mancanza di natura contrattuale, con la conseguenza che l’effetto in capo al terzo si produce <em>ipso iure</em>, a prescindere dalla volontà del rinunciante, quale mero effetto di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Per il suo perfezionamento non è, pertanto, richiesto l’intervento o l’espressa accettazione del terzo né che lo stesso debba esserne notiziato.</p> <p style="text-align: justify;">La tesi della rinuncia abdicativa deriva dai principi affermati in tema dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 9 febbraio 2016, n. 2, intervenuta peraltro per la diversa finalità di chiarire quali siano i poteri del commissario ad acta nominato per l’esecuzione dei provvedimenti occorrenti ad ottemperare ad un giudicato amministrativo relativo ad una vicenda di acquisizione cd. sanante ex art. 42-bis. TUEs.</p> <p style="text-align: justify;">La tesi in discussione è stata per la prima volta organicamente e sistematicamente ammessa dalla giurisprudenza amministrativa con la sentenza del CGA 25 maggio 2009, n. 486 ed è stata ricostruita negli stessi termini dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 19 gennaio 2015, n. 735), per i casi devoluti alla giurisdizione del giudice civile, nei giudizi instaurati prima della entrata in vigore della legge n. 205-2000, che ha poi previsto la giurisdizione amministrativa esclusiva in materia espropriativa.</p> <p style="text-align: justify;">L’orientamento favorevole evidenzia che tale linea ricostruttiva presenta, sul piano pratico, aspetti favorevoli per il privato espropriato.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, infatti, valorizza il principio di concentrazione della tutela ricavabile ex art. 111 Cost., quale corollario del principio di ragionevole durata del processo, che sarebbe pregiudicato dalla sua segmentazione in una fase amministrativistica relativa al giudizio sulla legittimità degli atti espropriativi e in una fase civilistica per la determinazione del quantum da corrispondere al soggetto espropriato.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, offre maggiori garanzie di compensare integralmente l’utilità (<em>rectius</em>: il bene) perduto dal privato, poiché, il quantum deve essere corrisposto al soggetto espropriato a titolo di risarcimento del danno (che è ordinariamente integrale) e non a titolo di indennizzo (che invece, come è noto, è solo parametrato al valore del bene perduto).</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, poiché il risarcimento del danno è connesso alla proposizione della relativa domanda da parte del privato in giudizio, che implica rinuncia abdicativa, è da tale momento che si verifica un debito di valore, con tutte le note implicazioni in tema di interessi legali e rivalutazione.</p> <p style="text-align: justify;">L’Adunanza Plenaria ritiene tuttavia che l’ipotesi ricostruttiva della rinuncia abdicativa, quanto meno nella materia in esame, non possa essere condivisa.</p> <p style="text-align: justify;">Essa, invero, sul piano strutturale e normativo, si espone a un triplice ordine di obiezioni; e segnatamente:</p> <p style="text-align: justify;">– non spiega esaurientemente la vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante;</p> <p style="text-align: justify;">– la rinuncia viene ricostruita quale atto implicito, secondo la nota dogmatica degli atti impliciti, senza averne le caratteristiche essenziali;</p> <p style="text-align: justify;">– soprattutto, e in senso decisivo e assorbente, non è provvista di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale (art. 42 Cost.), sia a livello di diritto europeo. Viene ricordato, infatti, sotto questo profilo, che occorre evitare, in materia di espropriazione cd. indiretta, di ricorrere a istituti che in qualche modo si pongano sulla falsariga della cd.occupazione acquisitiva, cui la giurisprudenza fece ricorso negli anni Ottanta del secolo scorso per risolvere le situazioni connesse a una espropriazione illegittima di un terreno che avesse tuttavia subìto una irreversibile trasformazione in forza della costruzione di un’opera pubblica. E’ noto che tale istituto non può più trovare spazio nel nostro ordinamento a seguito delle ripetute pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ne hanno evidenziato la contrarietà alla Convenzione Europea, in particolare per quanto riguarda l’art. 1 del primo protocollo Addizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda la prima obiezione (mancata spiegazione esauriente della vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante), si deve rilevare, infatti, che se l’atto abdicativo è astrattamente idoneo a determinare la perdita della proprietà privata, non è altrettanto idoneo a determinare l’acquisto della proprietà in capo all’Autorità espropriante.</p> <p style="text-align: justify;">Nel diritto privato, è discusso se l’art. 827 c.c. possa essere la base legale di una dichiarazione di rinuncia del proprietario di un diritto reale immobiliare, a parte i casi previsti dalla legge, ed effettivamente tale norma prevede che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettino al patrimonio dello Stato, quale effetto giuridico conseguente ad una determinata situazione di fatto (vacanza del bene).</p> <p style="text-align: justify;">Tuttavia, tale acquisto, peraltro a titolo originario e non derivativo, si realizzerebbe in capo allo Stato e non in capo all’Autorità espropriante, attuale occupante e in possesso del bene, che sarebbe del tutto esclusa dalla vicenda giuridica pur avendone costituito la causa efficiente tramite l’illecita apprensione del bene del privato.</p> <p style="text-align: justify;">La spiegazione dell’effetto traslativo, pertanto, sarebbe del tutto eccentrica rispetto al rapporto amministrativo che viene innescato dall’Amministrazione espropriante, rendendo evidente l’artificiosità della soluzione teorica proposta.</p> <p style="text-align: justify;">Né l’effetto traslativo può essere recuperato attraverso l’ordine di trascrizione della sentenza di condanna al risarcimento del danno (e, quindi, della sua rinuncia abdicativa implicita a favore dell’Amministrazione espropriante), atteso che, come è noto, le vicende della trascrizione si pongono solo sul piano dell’opponibilità verso terzi degli atti giuridici dispositivi di diritti reali, ma non disciplinano la validità e l’efficacia giuridica degli stessi. Se l’atto non è in sé idoneo a determinare il passaggio del bene in capo all’Amministrazione espropriante non potrà già di per sé essere trascrivibile e all’eventuale ordine del giudice contenuto nella sentenza non potrebbe riconoscersi base legale.</p> <p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda la seconda obiezione (rinuncia abdicativa quale atto implicito, ma carenza in tale rinuncia delle caratteristiche essenziali degli atti impliciti), si deve ricordare che la rinuncia abdicativa, se riferita al ricorso giurisdizionale, non viene effettuata dalla parte, né personalmente, né attraverso un soggetto dotato di idonea procura.</p> <p style="text-align: justify;">Nel campo del diritto amministrativo, come è noto, è ammessa la sussistenza del provvedimento implicito quando l’Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò che emerge dalla dogmatica degli atti impliciti nel diritto amministrativo è inequivocabilmente la sussistenza di un atto formale, perfetto e validamente emanato il quale contiene “per implicito” un’ulteriore volontà provvedimentale, oltre a quella espressa <em>claris verbis</em> nel testo del provvedimento medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">E’ evidente, in questa ricostruzione, che non sussistono violazioni del principio di legalità dell’azione amministrativa perché la volontà amministrativa esiste ed è contenuta in un atto avente tutte le caratteristiche previste dalla legge per conferirle validità, con la peculiarità che detta volontà è ricavabile da un’interpretazione non meramente letterale dell’atto.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di specie, tuttavia, l’istituto della rinuncia abdicativa si pone come radicalmente estraneo alla teorica degli atti impliciti che, così come ricordato, riguarda solo gli atti amministrativi e non gli atti del privato.</p> <p style="text-align: justify;">Né è possibile, evidentemente, utilizzare lo stesso paradigma per ricondurre la volontà di chiedere il risarcimento del danno alla volontà di abdicare alla proprietà privata.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, sul piano sostanziale, non sembra che da una domanda risarcitoria sia possibile univocamente desumere (null’altro che) la rinuncia del privato al bene: la domanda risarcitoria, infatti, denuncia inequivocabilmente un illecito di cui la parte richiede la riparazione; ma a fronte della pluralità di strumenti offerti dall’ordinamento nonché in presenza di una disciplina legale del procedimento espropriativo, la domanda risarcitoria non può costituire univoca volontà espressa di rinuncia al bene.</p> <p style="text-align: justify;">Sul piano formale, poi, va considerato che la domanda di risarcimento del danno contenuta nel ricorso giurisdizionale amministrativo è una domanda redatta e sottoscritta dal difensore e non dalla parte proprietaria del bene che ha la disponibilità dello stesso e che è l’unico soggetto avente la legittimazione ad abdicarvi, in quanto atto incidente e dispositivo di un bene immobiliare proprio della parte.</p> <p style="text-align: justify;">Né è, altrettanto evidentemente rinvenibile una procura a vendere (rectius: a rinunciare) nel mandato difensivo della parte al proprio difensore, che non contiene neppure implicitamente una legittimazione al difensore a rinunciare al diritto di proprietà del proprio assistito.</p> <p style="text-align: justify;">Ma, al di là delle criticità che appalesa l’adesione alla teoria della rinuncia abdicativa nella materia in questione, il Collegio ritiene decisiva, per la soluzione del quesito posto, la terza ed ultima obiezione (assenza di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove è centrale il principio di legalità), di cui deve rimarcarsi il carattere assorbente per escludere l’operatività della rinuncia abdicativa quale strumento legalmente idoneo a definire l’assetto degli interessi coinvolti in una vicenda di espropriazione cd.indiretta.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, si deve ricordare in primo luogo che, ai sensi dell’art. 42, commi 2 e 3 Cost., la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (che, peraltro, “ne determina i modi di acquisto”) e può essere, “nei casi preveduti dalla legge”, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.</p> <p style="text-align: justify;">La rinuncia abdicativa non costituisce uno dei casi previsti dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Anzi, in una certa prospettiva, sembra richiamare l’ormai tramontato istituto dell’occupazione acquisitiva, di cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato la contrarietà alla Convenzione Europea.</p> <p style="text-align: justify;">Come è noto, l’istituto della c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”, che determinava l’acquisizione della proprietà del fondo a favore della pubblica amministrazione per “accessione invertita”, allorché si fosse verificata l’irreversibile trasformazione dell’area, è un istituto di origine pretoria, sorto con la sentenza della Corte di Cassazione 26 febbraio 1983, n. 1464.</p> <p style="text-align: justify;">L’istituto, che pure rispondeva, nel silenzio della legge, all’esigenza pratica e sistematica di definire l’assetto proprietario di un bene illegittimamente occupato e il conseguente assetto degli interessi, risultava peraltro evidentemente privo di base legale ed è stato pertanto ritenuto illegittimo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la conseguenza che, attualmente, il mero fatto dell’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non assurge a titolo di acquisto, non determina il trasferimento della proprietà e non fa venire meno l’obbligo dell’Amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso.</p> <p style="text-align: justify;">L’istituto della rinuncia abdicativa, di chiara matrice pretoria, finirebbe per presentare gli stessi problemi e dubbi interpretativi entrando in eliminabile tensione con i principi enunciati dalla Corte Europea e con le guarentigie apprestate al diritto di proprietà dalla nostra Carta Costituzionale.</p> <ol style="text-align: justify;" start="7"> <li>E’ nel delineato contesto normativo che il legislatore nazionale è intervenuto per regolare la fattispecie in esame, fornendo per ciò stesso una base legale, sistematica e coerente, alla disciplina ivi prevista, dapprima con l’art. 43 TUEs. (approvato con il d.P.R. n. 327-2001 ed entrato in vigore il 30 giugno 2003) e poi, dopo la dichiarazione della sua incostituzionalità per eccesso di delega, con l’art. 42-bis (introdotto nel testo unico dall’art. 34, comma 1, L. n. 111 del 2011).</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Infatti, per i casi di occupazione <em>sine titulo</em> di un fondo da parte della Autorità devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è in vigore la specifica disciplina prevista dall’art. 42-bis del testo unico sugli espropri, che ha in dettaglio individuato i poteri e i doveri della medesima Autorità, nonché i poteri del giudice amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42-bis, in particolare:</p> <p style="text-align: justify;">– prevede che l’Autorità che utilizza <em>sine titulo</em> un bene immobile per scopi di interesse pubblico, dopo aver valutato, con un procedimento d’ufficio (che può essere sollecitato dalla parte in caso di inerzia), gli interessi in conflitto, adotti un provvedimento conclusivo del procedimento con cui sceglie se acquisire il bene o restituirlo, al fine di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto;</p> <p style="text-align: justify;">– in altri termini, vincola l’Amministrazione occupante all’esercizio del potere ed attribuisce alla stessa un potere discrezionale in ordine alla scelta finale, all’esito della comparazione degli interessi;</p> <p style="text-align: justify;">– comporta che, nel caso di occupazione <em>sine titulo</em>, l’Autorità commette un illecito di carattere permanente;</p> <p style="text-align: justify;">– esclude che il giudice decida la ‘sorte’ del bene nel giudizio di cognizione instaurato dal proprietario;</p> <p style="text-align: justify;">– a maggior ragione, non può che escludere che la ‘sorte’ del bene sia decisa dal proprietario e che l’Autorità acquisti coattivamente il bene, sol perché il proprietario dichiari di averlo perso o di volerlo perdere, o di volere il controvalore del bene. Come se il proprietario del bene fosse titolare di una sorta di diritto potestativo a imporre il trasferimento della proprietà, mediante rinuncia al bene (implicita o esplicita che sia), previa corresponsione del suo controvalore (non rileva, sotto questo profilo, se a titolo risarcitorio o indennitario).</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 42-bis ha, quindi, definito in maniera esaustiva la disciplina della fattispecie, con una normativa autosufficiente, rispetto alla quale non trovano spazio elaborazioni giurisprudenziali che, se forse giustificate in assenza di una base legale, non si giustificano più una volta che intervenga un’esplicita disciplina normativa, ritenuta conforme al diritto europeo e alla Costituzione, che viene a costituire la base legale espressa della fattispecie in questione.</p> <p style="text-align: justify;">La fattispecie di cui al predetto art. 42-bis è evidentemente delineata in termini di potere-dovere: non implica certo che l’Amministrazione debba necessariamente procedere all’acquisizione del bene, ma impone che essa eserciti doverosamente il potere di valutare se apprendere il bene definitivamente o restituirlo al soggetto privato, secondo una concezione di potere-dovere, o doverosità di certe funzioni, che è nota da tempo nel tessuto del diritto amministrativo e che discende dai noti principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.).</p> <p style="text-align: justify;">Già l’art. 43, poi dichiarato incostituzionale, peraltro, aveva consapevolmente introdotto nel sistema norme di chiusura, volte ad attribuire all’autorità amministrativa il potere di dare a regime una soluzione al caso concreto quando gli atti del procedimento divengano inefficaci per decorso del tempo o siano annullati dal giudice amministrativo, consentendo ‘una legale via d’uscita per gli illeciti già verificatisi’: analoghe considerazioni valgono, dunque, per l’art 42-bis che ne ha ereditato lo scopo e la funzione.</p> <p style="text-align: justify;">Ad avviso dell’Adunanza Plenaria, dunque, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis una rigorosa applicazione del principio di legalità, in materia affermato dall’art. 42 della Costituzione e rimarcato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, richiede una base legale certa perché si determini l’effetto dell’acquisto della proprietà in capo all’espropriante. E se la norma non prevede alcun riferimento a un’ipotesi di rinuncia abdicativa – che, peraltro, così delineata, avrebbe tutti i caratteri strutturali e gli effetti di una rinuncia traslativa - è stato per converso introdotto nell’ordinamento una disciplina specifica e articolata che attribuisce all’amministrazione una funzione autoritativa in forza della quale essa può scegliere tra restituzione del bene o acquisizione della proprietà nel rispetto dei requisiti sostanziali e secondo le modalità ivi previsti. Nessuna norma attribuisce per contro al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, poiché l’art. 42-bis dispone che il titolo di acquisto possa essere l’atto di acquisizione (espressione di una scelta dell’autorità), si ritiene che non si possa attribuire alcun rilievo a tal fine a un atto diverso, vale a dire al successivo atto di liquidazione del danno, peraltro emanato in esecuzione di una sentenza; in altre parole, né dall’art. 42-bis né da altra norma può ricavarsi l’attribuzione dell’effetto giuridico di rinuncia abdicativa alla fattispecie complessa derivante dalla coesistenza della sentenza di condanna e dell’atto di liquidazione del danno.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, per l’art. 42-bis l’autorità può acquisire il bene con un atto discrezionale, in assenza del quale scattano gli ordinari rimedi di tutela, compreso quello restitutorio, non residuando alcuno spazio per giustificare la perdurante inerzia dell’amministrazione, che non solo apprende in modo illecito il bene del privato, ma che attraverso una propria omissione (non esercitando il potere all’uopo previsto dalla legge) finirebbe per ottenere la proprietà del bene stesso ancora una volta al di fuori delle procedure legali previste dall’ordinamento.</p> <p style="text-align: justify;">La scelta, di acquisizione del bene o della sua restituzione, va effettuata esclusivamente dall’autorità (o dal commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, all’esito del giudizio di cognizione o del giudizio d’ottemperanza, ai sensi dell’art. 34 o dell’art. 114 c.p.a): in sede di giurisdizione di legittimità, né il giudice amministrativo né il proprietario possono sostituire le proprie valutazioni a quelle attribuite alla competenza e alle responsabilità dell’autorità individuata dall’art. 42-bis.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, il giudice amministrativo, in caso di inerzia dell’Amministrazione e di ricorso avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a., può nominare già in sede di cognizione il commissario ad acta, che provvederà ad esercitare i poteri di cui all’art. 42-bis d.P.R. n. 327-2001 o nel senso della acquisizione o nel senso della restituzione del bene illegittimamente espropriato.</p> <p style="text-align: justify;">Qualora, invece, sia invocata solo la tutela (restitutoria e risarcitoria) prevista dal codice civile e non si richiami l’art. 42-bis, il giudice deve pronunciarsi tenuto conto del quadro normativo sopra delineato e del carattere doveroso della funzione attribuita dall’articolo 42bis all’amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Non sarebbe peraltro ammissibile una richiesta solo risarcitoria, in quanto essa si porrebbe al di fuori dello schema legale tipico previsto dalla legge per disciplinare la materia ponendosi anzi in contrasto con lo stesso. Il che non significa che il giudice possa nondimeno, ove ne ricorrano i presupposti fattuali, accogliere la domanda.</p> <p style="text-align: justify;">A ben vedere, infatti, la domanda risarcitoria, al pari delle altre domande che contestino la validità della procedura espropriativa, consiste essenzialmente nell’accertamento di tale illegittimità e nella scelta del conseguente rimedio tra quelli previsti dalla legge. E’ infatti la legge speciale, nel caso di espropriazione senza titolo valido, a indicare quali siano gli effetti dell’accertata illegittimità: il trasferimento non avviene per carenza di titolo e il bene va restituito. La restituzione può essere impedita dall’amministrazione, la quale è tenuta, nell’esercizio di una funzione doverosa (e non di una mera facoltà di scelta) a valutare se procedere alla restituzione del bene previa riduzione in pristino o all’acquisizione del bene nel rispetto di tutti i presupposti richiesti dall’articolo 42 bis e con la corresponsione di un’indennità pari al valore del bene maggiorato del 10 per cento (e quindi con piena e integrale soddisfazione delle pretese dell’espropriato).</p> <p style="text-align: justify;">Ad ogni modo, l’ordinamento processuale amministrativo offre un adeguato strumentario per evitare, nel corso del giudizio, che le domande proposte in primo grado, congruenti con quello che allora appariva il vigente quadro normativo e l’orientamento giurisprudenziale di riferimento assurto a diritto vivente, siano di ostacolo alla formulazione di istanze di tutela adeguate al diverso contesto normativo e giurisprudenziale vigente al momento della decisione della causa in appello, quali la conversione della domanda ove ne ricorrano le condizioni, la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 Cod. proc. amm. o l’invito alla precisazione della domanda in relazione al definito quadro giurisprudenziale, in tutti i casi previa sottoposizione della relativa questione processuale, in ipotesi rilevata d’ufficio, al contraddittorio delle parti ex art. 73, comma 3, Cod. proc., a garanzia del diritto di difesa di tutte le parti processuali.</p> <p style="text-align: justify;">Resta poi fermo che la qualificazione delle domande proposte in giudizio passa attraverso l’interpretazione dei relativi atti processuali, rimessa al giudice investito della decisione della controversia nel merito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1252 onde ormai deve escludersi che la mera trasformazione irreversibile di un suolo con la realizzazione di un'opera pubblica costituisca circostanza idonea a trasferire in capo all'Amministrazione la proprietà delle aree in assenza di un regolare provvedimento di esproprio.</p> <p style="text-align: justify;">L'occupazione senza titolo costituisce un illecito permanente, al quale consegue l'obbligo del risarcimento del danno per la perdita di possesso e l'obbligo di far cessare l'illegittima compromissione del diritto di proprietà, tutelabile mediante un'azione imprescrittibile.</p> <p style="text-align: justify;">L'irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato costituisce infatti illecito di natura permanente ai sensi dell'art. 2043 c.c., che perdura fino alla rimozione del manufatto ed alla restituzione del bene o fino alla emanazione del provvedimento di acquisizione, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria decorre solo dal momento di cessazione dell'illecito.</p> <p style="text-align: justify;">Per il profilo in esame non è poi condivisibile la tesi del possibile affidamento collegato al precedente istituto dell'occupazione acquisitiva.</p> <p style="text-align: justify;">Nessuna ipotesi di overruling può rinvenirsi nel caso di specie, tenuto conto che tale principio riguarda il mutamento di giurisprudenza, nell'interpretazione di una norma o di un sistema di norme, idoneo a vanificare l'effettività del diritto di azione e di difesa e il carattere, se non proprio repentino, quanto meno inatteso, o comunque privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, quali possono essere quelli di un, sia pur larvato, dibattito dottrinale o di un qualche significativo intervento giurisprudenziale sul tema.</p> <p style="text-align: justify;">Si deve affermare che non si possono richiamare i principi sulla portata irretroattiva delle statuizioni oggetto della overruling, poiché una tale tutela può spettare a chi versi in una situazione di legittimo affidamento, ciò che si deve in radice negare quando si possegga consapevolmente un bene altrui senza alcun titolo; inoltre, la giurisprudenza della Corte Europa dei diritti dell'uomo preclude di attribuire un qualsiasi beneficio all'Autorità che occupi senza titolo un bene altrui.</p> <p style="text-align: justify;">Relativamente alla domanda di risarcimento, va poi evidenziato che risulta incontestato che il procedimento espropriativo a suo tempo non si è mai concluso.</p> <p style="text-align: justify;">La determinazione del danno ha pertanto considerato il periodo decorrente dal momento in cui l'occupazione dell'area è divenuta illegittima fino a quello in cui l'Ente concedente dell'autostrada, che utilizza l'area, ne disporrà l'acquisizione ai sensi dell'art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.</p> <p style="text-align: justify;">D'altra parte, la quantificazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell'occupazione illegittima, per il periodo intercorrente tra la data dell'occupazione e quella in cui vi è stata l'acquisizione della proprietà da parte dell'Amministrazione, in caso di totale difetto di prova, può essere calcolata, ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dal citato art. 42 bis, e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno in tale periodo, oltre rivalutazione e interessi legali.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, si richiama la più recente giurisprudenza della Sezione, per la quale: a) qualora si dovesse ritenere rilevante nell'attuale ordinamento, la 'rinuncia abdicativa', quale atto unilaterale, la stessa comunque si dovrebbe estrinsecare in una esplicita dichiarazione, basata sulla consapevolezza di essere titolare del bene e sulla mera volontà di dismettere il diritto e di perdere la qualità di proprietario (e non sulla richiesta di una somma di denaro, a titolo risarcitorio, posta in rapporto di sostanziale sinallagmaticità con il trasferimento del diritto dominicale); b) diversamente, infatti, si introdurrebbe nel sistema la possibilità che, con un atto unilaterale, sia pure sotto forma di azione giudiziale, la parte perverrebbe alla produzione di effetti patrimonialmente rilevanti non solo nella propria sfera giuridica, ma anche nella sfera giuridica dell'Amministrazione, soggetto che, invece, non ha manifestato alcuna volontà volta all'acquisizione del diritto. In sostanza, non sembra che una tale dichiarazione, produttiva dei conseguenti effetti, si possa desumere dalla proposizione di una domanda risarcitoria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa si intende per occupazione acquisitiva?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>modo di acquisto della proprietà</strong> a <strong>titolo originario</strong>, detto anche <strong>occupazione “<em>appropriativa</em>”</strong>;</li> <li>creato dalla <strong>giurisprudenza</strong> (natura pretoria);</li> <li>la PA intende realizzare <strong>un’opera pubblica</strong>;</li> <li>dichiara allora la <strong>pubblica utilità dell’opera</strong> che intende realizzare;</li> <li><strong>occupa</strong> poi - direttamente o per mezzo di un <strong>concessionario</strong> - un <strong>terreno di proprietà privata</strong>;</li> <li>l’occupazione <strong>è illegittima</strong>, (originariamente anche quando manca un titolo che autorizza l’occupazione, ma in seguito, varata la figura dell’occupazione usurpativa) perché <strong>il titolo <em>ad occupandum</em> esiste</strong>, ma ne sono <strong>scaduti i termini di efficacia</strong>;</li> <li>il suolo privato viene <strong>irreversibilmente trasformato</strong>;</li> <li>tale <strong>irreversibile trasformazione</strong> “<strong><em>pubblicizza</em></strong>” il suolo anche in assenza di titolo efficace, <strong>attraendolo nella proprietà della PA</strong> occupante illegittima;</li> <li>in sostanza, <strong>l’irreversibile trasformazione</strong> fa <strong>le veci</strong> del <strong>decreto di esproprio</strong>, <strong>estinguendo la proprietà privata</strong> e facendo <strong>nascere quella pubblica</strong> a <strong>titolo originario, </strong>con<strong> acquisizione </strong>dell’<strong>intero bene (fondo + opera) </strong>al<strong> patrimonio indisponibile </strong>della PA occupante;</li> <li>l’eventuale <strong>decreto di esproprio successivo</strong> è <strong>inefficace</strong> (<strong><em>inutiliter datum</em></strong>);</li> <li>il privato che perde la proprietà del bene acquista tuttavia il <strong>diritto al risarcimento del danno aquiliano</strong> che può esigere nel <strong>termine di prescrizione di 5 anni.</strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale tipo di illecito realizza la fattispecie dell’occupazione acquisitiva e con quali effetti sul termine prescrizionale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>illecito di natura quasi-contrattuale</strong> (e non aquiliana), dal momento che occorre scindere gli <strong>effetti possessori</strong> (illeciti appunto) da <strong>quelli acquisitivi della proprietà dell’opera pubblica</strong> al <strong>patrimonio indisponibile</strong> della PA agente (leciti); dinanzi ad una <strong>acquisizione della proprietà lecita</strong> da parte della PA (pur a valle di un <strong>possesso illecito</strong>), il privato “<strong><em>espropriato sostanziale</em></strong>” matura <strong>un credito di natura indennitaria</strong> al <strong>controvalore del bene perduto</strong>, soggetto all’ordinario termine di <strong>prescrizione decennale</strong> di cui all’art.2946 c.c. (tesi del tutto <strong>minoritaria</strong> ed alfine sconfessata dalle <strong>SSUU del 1992</strong>);</li> <li>si tratta di un <strong>illecito aquiliano istantaneo ad effetti permanenti</strong>: la prescrizione della relativa pretesa (<strong>credito di valore</strong>, con diritto agli <strong>accessori</strong>: rivalutazione ed interessi) decorre dal momento dell’<strong>illecito istantaneo</strong>, ovvero dal momento della <strong>irreversibile trasformazione del fondo privato</strong>; se l’irreversibile trasformazione avviene durante il periodo di <strong>occupazione legittima</strong>, è alla <strong>scadenza di questa</strong> che deve collocarsi il momento in cui inizia a correre la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva (<strong><em>medio tempore</em></strong> intervenuta), non potendo nella fase di occupazione legittima il privato far valere il proprio diritto ex art.2935 c.c.; del tutto <strong>inefficace</strong> sulla decorrenza del <strong>termine di prescrizione</strong> è l’eventuale <strong>decreto di esproprio tardivamente intervenuto</strong>, che è <strong><em>inutiliter datum</em></strong> (tesi <strong>prevalente</strong>);</li> <li>si tratta di un <strong>illecito aquiliano permanente</strong>, che si consuma <strong>di momento in momento</strong>: il termine prescrizionale della relativa pretesa (<strong>credito di valore</strong>, con diritto agli <strong>accessori</strong>: rivalutazione ed interessi) decorre <strong>da ogni singolo giorno di occupazione</strong> (acquisitiva) <strong>illegittima-illecita</strong> (tesi <strong>minoritaria</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa si intende per occupazione usurpativa?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è un istituto di <strong>creazione pretoria</strong>, come l’occupazione appropriativa, dal quale viene <strong>isolato</strong> come ipotesi di <strong>illecito più grave</strong> compendiantesi sempre nell’occupazione di un fondo privato <strong>solo teoricamente finalizzata</strong> alla realizzazione di <strong>un’opera pubblica</strong>;</li> <li>il fulcro dell’istituto è la <strong>dichiarazione di pubblica utilità dell’opera</strong> in vista della quale il fondo del privato viene occupato dalla PA, la quale: b.1) <strong>manca totalmente <em>ab origine</em></strong>; b.2) <strong>esiste <em>ab origine</em></strong>, ma è stata <strong>annullata dal GA</strong> o <strong>dalla stessa PA in sede di autotutela</strong> con <strong>effetti <em>ex tunc</em></strong> (c.d. <strong>occupazione usurpativa “<em>spuria</em>”</strong>); b.3) esiste <strong><em>ab origine</em></strong>, ma <strong>non reca i termini</strong> per gli espropri e per i lavori, palesandosi come tale <strong>fondamentalmente nulla</strong>; b.4) esiste <strong><em>ab origine</em></strong> e reca i termini per gli espropri e per i lavori, ma tali termini <strong>sono scaduti</strong>;</li> <li>in sostanza, la PA fa luogo ad una <strong>attività materiale</strong> – ovvero l’occupazione di un fondo privato – senza che esista un <strong>collegamento</strong> tra <strong>tale occupazione</strong> e la <strong>realizzazione di un’opera “<em>pubblica</em>”</strong>, proprio perché la <strong>dichiarazione di pubblica utilità dell’opera</strong> o <strong>non esiste proprio</strong>, o <strong>non esiste più</strong> o comunque <strong>non è più efficace</strong>; la PA finisce dunque con l’operare in <strong>carenza di potere c.d. “<em>in concreto</em>”</strong>, potendo astrattamente sottrarre al privato il bene, ma <strong>non potendolo concretamente fare</strong> proprio perché manca <strong><em>ab origine</em></strong>, o <strong>è venuto meno</strong>, il <strong>necessario collegamento</strong> tra la (formalmente riconosciuta) <strong>pubblica utilità</strong> <strong>dell’opera</strong> e lo <strong>spossessamento</strong>, ai danni del privato, del fondo sul quale andrebbe realizzata.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Superata la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa, quale è la tutela che può oggi invocare il privato nei confronti della PA che ne occupi abusivamente il terreno?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta <strong>sempre</strong> di un <strong>illecito permanente</strong> (e non già <strong>istantaneo ad effetti permanenti</strong>);</li> <li>il privato può spiccare <strong>azione reale</strong> (con corredo cautelare) <strong>e personale</strong>, chiedendo: b.1) la <strong>restituzione del bene</strong>, previa <strong>riduzione nel pristino stato</strong> dell’immobile abusivamente occupato e, sul crinale <strong>cautelare</strong>, tutti i <strong>provvedimenti di urgenza utili</strong> a scongiurare la <strong>manipolazione del fondo</strong>: qui, trattandosi di illecito permanente della PA, la prescrizione decorre <strong>dalla data stessa della domanda</strong> spiccata dal privato; b.2) in <strong>aggiunta</strong> alla restituzione del fondo (azione reale), il <strong>risarcimento del danno</strong> (azione <strong>personale</strong>) <strong>ex art.2043 c.c.</strong> (se vi è stata occupazione legittima, limitatamente al periodo temporale in cui essa è stata <strong>illegittima</strong>) fino alla data in cui il fondo <strong>gli viene restituito</strong> (danno commisurato alle <strong>mancate utilità ricavabili</strong> da un fondo non utilizzabile per abusiva occupazione della PA): qui tuttavia la prescrizione <strong>decorre anno per anno</strong>, da ciascuna singola annualità, e riguarda il <strong>mancato godimento delle utilità ritraibili</strong> dal fondo a causa della <strong>occupazione abusiva pubblica</strong>;</li> <li>il privato può spiccare la <strong>sola azione personale risarcitoria</strong>, <strong>abdicando</strong> alla proprietà del fondo (e dunque non chiedendone la restituzione): in questo caso il <strong>risarcimento del danno</strong> si compendia fondamentalmente <strong>in due poste</strong>: c.1) il <strong>controvalore del fondo perduto</strong>: qui, trattandosi di <strong>illecito permanente della PA</strong>, la prescrizione decorre dalla <strong>data stessa della domanda</strong> spiccata dal privato; c.2) il danno da <strong>occupazione abusiva</strong>, per il periodo in cui essa è stata abusiva (e dunque sottratto il periodo di eventuale occupazione legittima): qui la prescrizione decorre <strong>anno per anno</strong>, da <strong>ciascuna singola annualità</strong>, e riguarda il <strong>mancato godimento delle utilità</strong> ritraibili dal fondo a causa della <strong>occupazione abusiva pubblica</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Dopo l’avvicendarsi di norme e sentenze, quale è oggi lo stato dell’arte della giurisdizione in materia di occupazione dei fondi privati?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>GA in sede di giurisdizione esclusiva</strong>: a.1) vi è stata <strong>dichiarazione di pubblica utilità</strong>, anche se essa <strong>è stata poi annullata</strong>; a.2) vi è <strong>dichiarazione di pubblica utilità</strong>, ma ne è <strong>sopravvenuta la inefficacia</strong>; in questi casi esiste un <strong>potere</strong> che, seppure <strong>mediatamente</strong>, <strong>radica la giurisdizione del GA</strong> in sede esclusiva;</li> <li>GO: b.1) la dichiarazione di pubblica utilità <strong>è solo apparente</strong>, in quanto <strong>giuridicamente inesistente</strong> o <strong>radicalmente nulla,</strong> con conseguente <strong>carenza di potere</strong> in capo all’Amministrazione; b.2) la dichiarazione di pubblica utilità <strong>non è neppure apparente</strong>, e dunque <strong>non si configura neppure</strong> come <strong>apparente</strong>, con conseguente <strong>mero comportamento materiale della PA</strong> o “<strong><em>via di fatto</em></strong>”; b.3) la dichiarazione di pubblica utilità <strong>esiste</strong>, ma la PA nella realizzazione dell’opera pubblica ha <strong>sconfinato rispetto all’area di sedime</strong> <strong>divisata</strong>, agendo in <strong>carenza di potere</strong> per tutta la <strong>parte di opera che si pone oltre</strong>, su un <strong>terreno diverso o più esteso</strong> rispetto a quello considerato nel provvedimento amministrativo che <strong>approva il progetto dell’opera</strong> (e che dunque <strong>ne dichiara la pubblica utilità</strong>), potendo in tal caso il privato chiedere la <strong>restituzione della parte di fondo non coinvolta <em>ab origine</em></strong> nell’opera pubblica ed oggetto di sconfinamento, oppure <strong>abdicare</strong> a detta proprietà chiedendo il <strong>risarcimento del danno</strong>, ovviamente al GO.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>