<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quando la Pubblica Amministrazione opera correttamente il giudizio di incompatibilità tra l’interesse privato e quello pubblico, ci si chiede se su tale valutazione “</em>sostanziale<em>” operata col provvedimento finale possano incidere eventuali illegittimità di tipo formale, perpetrate nel corso del procedimento; rispondere affermativamente può voler dire omaggiare il principio di legalità e, ad un tempo, esaltare gli interessi c.d. procedimentali del privato, anche a costo tuttavia di costringere la PA a riesercitare il potere nel medesimo modo “</em>sostanziale<em>”, così riaffermando la ridetta incompatibilità tra interesse privato ed interesse pubblico a valle di un procedimento stavolta anche formalmente “</em>regolare<em>”; proprio questo ha convinto il legislatore ad intervenire al fine di “</em>bloccare<em>” il Giudice Amministrativo ed impedirgli, nel processo, di annullare un provvedimento formalmente “</em>fuori asse<em>”, ma sostanzialmente conforme al paradigma normativo, tuttavia con dubbi effetti sul piano del diritto sostanziale oltre che con qualche perplessità in punto di rapporti con il sistema di tutele disegnato dalla Costituzione repubblicana.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1875</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene istituito a Vienna, con apposita legge, il Supremo Tribunale Amministrativo (<em>Verwaltungsgerichtshof</em>) e ne vengono disciplinate l'organizzazione e le competenze, con attribuzione ad esso, tra le altre cose, del potere di annullamento delle decisioni e dei provvedimenti che siano stati posti in essere trascurando le c.d. "<em>forme essenziali</em>" della procedura amministrativa. Si tratta della legge cui viene da molti tradizionalmente ricondotta la nascita stessa del procedimento amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1940</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 ottobre viene varato il R.D. n.1443, nuovo codice di procedura civile, secondo il cui art.156, comma 3, la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, secondo il cui articolo 1444 il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1792.html">azione di annullamento</a>, mediante un atto che contenga la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s'intende convalidarlo; il contratto, precisa la norma, è pure convalidato se il contraente al quale spettava l'azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità, e tuttavia la <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1795.html">convalida</a> non ha effetto, se chi l'esegue non è in condizione di concludere validamente il contratto. Ne affiora una disciplina – applicabile anche agli atti unilaterali ex art.1324 c.c., nei limiti della compatibilità – alla cui stregua il contratto può essere convalidato su opzione in tal senso della parte che potrebbe chiederne l’annullamento, la quale non si limita a far decorrere il termine di prescrizione dell’azione di annullamento, ma vi procede appunto negozialmente e sul crinale sostanziale. In ambito amministrativo la convalida sostanziale dell’atto illegittimo procede invece dalla medesima Amministrazione che ha adottato l’atto da convalidarsi, fatta sempre salva la eventuale inoppugnabilità dell’atto medesimo laddove non impugnato dal privato destinatario in un breve termine di decadenza. Di fondamentale importanza poi l’art.1455, alla cui stregua il contratto non si può risolvere se l'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/4835.html">inadempimento</a> di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana il cui art.113, dopo aver premesso al comma 1 che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa precisa al comma 2 che tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti ed al comma 3 affida alla legge il compito di determinare quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa. Ne affiora la indefettibilità della tutela del privato contro ogni atto della PA e la centralità della relativa declinazione caducatoria, compendiantesi nell’annullamento dell’atto amministrativo medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 maggio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.303, che si occupa della disposizione contenuta nell'art. 26, comma 2, T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 laddove - limitatamente alle "<em>controversie doganali</em>" - essa esclude (contro le pertinenti decisioni ministeriali) il ricorso al Consiglio di Stato "<em>che non implichi incompetenza od eccesso di potere</em>" (e dunque sottrae rilevanza al vizio di violazione di legge); si tratta di una disposizione che per il Collegio deve intendersi abrogata dall'articolo 113, comma 2, della Costituzione, che afferma come la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti della Pubblica Amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1958</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n.40, che dichiara l'illegittimità costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 26, comma 2, T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 laddove - limitatamente alle "<em>controversie doganali</em>" - esclude contro le pertinenti decisioni ministeriali il ricorso al Consiglio di Stato "<em>che non implichi incompetenza od eccesso di potere</em>" (e dunque sottrae rilevanza al vizio di violazione di legge), in riferimento all'articolo 113, comma 2, della Costituzione. Per la Corte non si può dunque parlare di abrogazione, come aveva fatto il Consiglio di Stato nel 1948, ma occorre appunto una declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte medesima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1962</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce la fondamentale sentenza della Corte costituzionale n.13, che vara il concetto di c.d. giusto procedimento, compendiante un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato. La pronuncia dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 18, comma 2, della legge della Regione della Valle d'Aosta 28 aprile 1960, n. 3, "<em>Legge regionale urbanistica e per la tutela del paesaggio in Valle d'Aosta</em>", in riferimento all'art. 42 della Costituzione ed all'art. 2, prima parte, dello Statuto speciale per la stessa Valle. In un giudizio promosso da una Società Immobiliare avverso il provvedimento del Presidente della Giunta regionale della Valle d'Aosta, che ingiunge la demolizione di una parte di fabbricato in costruzione nel Comune di Valtournanche, la Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle ha emesso l'ordinanza del 5 dicembre 1960 sollevando appunto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge regionale urbanistica e per la tutela del paesaggio nella Valle d'Aosta, 28 aprile 1960, n. 3. L'ordinanza di rimessione osserva in particolare che l'art. 1 di detta legge, con il quale tutto il territorio della Valle d'Aosta é stato, senza alcuna discriminazione, dichiarato bellezza naturale e zona di particolare importanza turistica, sembra contrastare con l'art. 2 dello Statuto speciale della Regione, palesandosi anche come norma non in armonia con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato: il legislatore statale, osserva il Collegio rimettente, non ha mai seguito criteri così estensivi ed indiscriminati per l'imposizione di vincoli o limitazioni dirette a tutelare il paesaggio o a proteggere le bellezze naturali. La Corte per parte sua, e per quanto qui di interesse, osserva che le ragioni addotte dalla difesa della Valle potrebbero essere fondate se fosse esatto che si tratti di contrasto con i principi stabiliti dalle leggi dello Stato in materia turistica ed in materia di tutela delle bellezze naturali; ma la Corte ritiene, piuttosto, che il principio informatore delle indicate leggi statali altro non é che l'applicazione di un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato, con il quale finisce col porsi in contrasto la denunciata legge regionale valdostana. Questo principio generale consiste proprio, per la Corte, nella esigenza del giusto procedimento: quando il legislatore dispone che si apportino limitazioni ai diritti dei cittadini, la regola che il legislatore medesimo normalmente segue é quella di enunciare delle ipotesi astratte, predisponendo un procedimento amministrativo attraverso il quale gli organi competenti provvedano ad imporre concretamente tali limiti dopo avere fatto gli opportuni accertamenti con la collaborazione, ove occorra, di altri organi pubblici, e dopo avere messo i privati interessati in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico: in questo passaggio la Corte esplicita dunque i canoni dell’istruttoria e del contraddittorio procedimentale, che fanno del procedimento un “<em>giusto procedimento</em>”. Non solo le leggi più volte richiamate e rilevanti nel giudizio <em>de quo</em>, secondo la Corte, seguono questo sistema - con minori formalità quelle sul turismo; con più ampie garanzie quella sulle bellezze naturali - ma anche la maggior parte delle altre leggi non se ne discostano: la Corte ricorda in proposito la legge sulle espropriazioni per causa di pubblico interesse e la legge urbanistica, con valore paradigmatico dell’esistenza del ridetto principio del giusto procedimento. La Consulta aggiunge, <em>ad abundantiam</em>, che anche quando, nel secondo dopoguerra, il legislatore ha stabilito un sistema straordinario secondo cui gli atti di espropriazione in sede di riforma fondiaria avevano forza di legge, tali atti sono stati l'epilogo di un procedimento durante il quale gli interessati hanno potuto addurre le difese utili nello ambito di quel sistema.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1976</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio viene varata in Germania Ovest la legge federale tedesca sul procedimento amministrativo, <em>Werwaltungsverfahrensgesetz</em>, secondo il cui art.46, ad eccezione delle ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, ne è escluso l’annullamento per violazioni relative alla forma, al procedimento e alla competenza territoriale, nei casi in cui non sarebbe stato possibile adottare nessuna altra decisione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 07 agosto viene varata la legge 241 che, tutta calibrata sul procedimento amministrativo, non si occupa se non marginalmente del provvedimento finale. Proprio il fatto che venga disciplinato l’<em>agere</em> pubblico procedimentalizzandolo implica la presenza di tutta una serie di norme di carattere formale la cui violazione, in una prima fase, ridonda indefettibilmente in illegittimità del provvedimento finale anche quando - dal punto di vista sostanziale - la valutazione dell’assetto di interessi pubblico/privato sia stata operata dalla PA in modo corretto, e ciò in quanto la lesione massime del contraddittorio con il privato non può che produrre, nello spirito stesso della nuova legge (che esalta il “<em>farsi</em>” del provvedimento ed appunto il contraddittorio tra parte pubblica e parte privata), una ricaduta invalidante sul provvedimento finale. La legge esalta tuttavia anche i principi di rapidità e stabilità dell’azione amministrativa, che possono risultare compromessi laddove l’interesse procedimentale del privato, pur in apparenza formalmente violato, sia stato in realtà comunque soddisfatto (secondo uno schema analogo al c.d. raggiungimento dello scopo nel sistema processuale, con riguardo ad atti formalmente nulli che abbiano tuttavia, per l’appunto, raggiunto sostanzialmente il loro scopo). La dottrina e la giurisprudenza si accorgono dunque che in simili ipotesi l’annullamento dell’atto formalmente illegittimo ma sostanzialmente corretto si rivela inutile per il ricorrente (a valle del giudicato di annullamento, la PA riapre infatti il procedimento ed adotta un provvedimento finale emendato dal vizio formale e sostanzialmente identico al precedente dal punto di vista dell’assetto di interessi divisato) e, ad un tempo, dannoso per la PA, che subisce ritardi nella propria attività di corretto perseguimento dell’interesse pubblico. Di queste denunce della dottrina si fa carico la giurisprudenza successiva al varo della legge 241.90, cercando di scongiurare interpretazioni eccessivamente formaliste delle relative disposizioni in tema di procedimento, e così “<em>salvando</em>” provvedimenti sostanzialmente corretti; ciò fa muovendosi sul duplice crinale sostanziale e processuale; sul versante sostanziale è il principio di strumentalità delle forme e quello di conservazione degli atti giuridici, quali principi di rilevanza sistematica fondamentale, a campeggiare; sul crinale processuale si valorizza invece via via l’interesse ad agire, interpretandolo in ottica sostanziale con un occhio rivolto, per l’appunto, alla utilità sostanziale perseguita dal ricorrente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore tedesco avverte la necessità di restringere la portata applicativa dell’art.46 della legge sul procedimento amministrativo, introducendo l’aggettivo “<em>palese</em>” (che ispirerà la corrispondente disposizione introdotta in Italia), onde è escluso l’annullamento dell’atto per violazioni relative alla forma, al procedimento e alla competenza territoriale, nei casi in cui risulti palese appunto che non sarebbe stato possibile adottare nessuna altra decisione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Toscana n.1205 alla cui stregua laddove nell’atto amministrativo non sia indicato il numero di protocollo si configura una mera irregolarità, trattandosi di lieve difformità dallo schema legale dell’atto medesimo che non incide sul processo decisionale della PA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.548 secondo la quale si ha mera irregolarità dell’atto amministrativo quando esso è lievemente difforme dallo schema legale che lo prevede, come – secondo le indicazioni che ne darà la giurisprudenza - nel caso del provvedimento motivato <em>per relationem</em> cui non siano allegati gli atti richiamati, o del provvedimento affetto da mancata indicazione del termine o dell’autorità cui ricorrere ex art.3 della legge 241.90 o, ancora, nella specifica ipotesi del verbale di commissione sottoscritto dal soggetto che lo ha redatto, laddove manchino le sottoscrizioni degli altri componenti.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 4 ottobre esce la sentenza della III sezione del Tar Toscana n.2742 secondo la quale si ha mera irregolarità dell’atto amministrativo quando esso è lievemente difforme dallo schema legale che lo prevede, come – secondo le indicazioni che ne darà la giurisprudenza - nel caso del provvedimento motivato <em>per relationem</em> cui non siano allegati gli atti richiamati, o del provvedimento affetto da mancata indicazione del termine o dell’autorità cui ricorrere ex art.3 della legge 241.90 o, ancora, nella specifica ipotesi del verbale di commissione sottoscritto dal soggetto che lo ha redatto, laddove manchino le sottoscrizioni degli altri componenti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio viene varata la legge n.15 recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo (e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il cui art.14, comma 1, introduce nella legge 241.90 l’art.21 <em>octies</em> onde, dopo essersi ribadito che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza (comma 1), si dichiara non annullabile quello adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il relativo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (comma 2, parte prima); e si dichiara altresì comunque non annullabile il provvedimento amministrativo (anche discrezionale) per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (comma 2, parte seconda). Viene introdotto anche l’art.21 nonies in tema di annullamento d’ufficio, l’esordio del cui comma 1 fa riferimento al “<em>provvedimento amministrativo illegittimo</em>” ai sensi dell'articolo 21-octies, senza distinguere tra comma 1 e comma 2 di tale ultima norma, circostanza che fa propendere nel senso della illegittimità del provvedimento non annullabile ivi previsto al comma 2 (oltre che ovviamente di quello annullabile, perché viziato da incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere, di cui al comma 1); in sostanza, il testo dell’art.21 nonies, laddove dichiara che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art.21 octies può essere annullato d’ufficio, afferma che il provvedimento viziato di cui all’art.21 octies è sempre illegittimo, ma se nel caso di cui al comma 1 (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere) esso è annullabile sia dalla PA in via di autotutela che dal GA in giudizio, nelle ipotesi di cui al comma 2 esso resta annullabile dalla PA in via di autotutela, ma non anche dal GA in sede processuale, trovandosi dunque al cospetto di un provvedimento illegittimo, ma non annullabile in giudizio, circostanza che fa propendere per la natura processuale (e non sostanziale) della norma, non potendo il GA caducare un provvedimento che è comunque illegittimo proprio perché esso non potrebbe avere contenuto diverso e dunque, in sostanza, per carenza di interesse ad agire in capo al ricorrente (ricorso inammissibile). Dal punto di vista sistematico, con l’art.21 octies fa ingresso nel diritto amministrativo quella “<em>non scarsa importanza</em>” dell’inadempimento della PA che il codice civile annovera, con riguardo al contratto, all’art.1455: anche in questo caso, laddove l’inadempimento della PA sia di scarsa importanza – dacché l’accertamento in ordine alla incompatibilità dell’interesse privato con quello pubblico si rivela inattaccabile, non potendo avere il provvedimento amministrativo siccome concretamente adottato un contenuto diverso – si assiste ad un atto che riassume un rapporto, quello tra PA e privato, viziato sì, ma non al punto da poter dare la stura ad una relativa demolizione in sede giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Lazio n.6534 secondo la quale si ha mera irregolarità dell’atto amministrativo quando esso è lievemente difforme dallo schema legale che lo prevede, come – secondo le indicazioni che ne darà la giurisprudenza - nel caso del provvedimento motivato <em>per relationem</em> cui non siano allegati gli atti richiamati, o del provvedimento affetto da mancata indicazione del termine o dell’autorità cui ricorrere ex art.3 della legge 241.90 o, ancora, nella specifica ipotesi del verbale di commissione sottoscritto dal soggetto che lo ha redatto, laddove manchino le sottoscrizioni degli altri componenti.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Liguria n.1348 secondo la quale si ha mera irregolarità dell’atto amministrativo quando esso è lievemente difforme dallo schema legale che lo prevede, come – secondo le indicazioni che ne darà la giurisprudenza - nel caso del provvedimento motivato <em>per relationem</em> cui non siano allegati gli atti richiamati, o del provvedimento affetto da mancata indicazione del termine o dell’autorità cui ricorrere ex art.3 della legge 241.90 o, ancora, nella specifica ipotesi del verbale di commissione sottoscritto dal soggetto che lo ha redatto, laddove manchino le sottoscrizioni degli altri componenti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 marzo esce la sentenza della sezione II del Tar Calabria n.283, alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 costituisce una applicazione del principio del raggiungimento dello scopo già enunciato all’art.156, comma 3, c.p.c. alla cui stregua la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato, tenendo fermo in ogni caso che lo scopo in parola – a differenza di quanto accade appunto nel contesto della previsione di cui all’art.156, comma 3, c.p.c. – non è quello dello specifico atto procedimentale o comunque della formalità che sia stata omessa, quanto piuttosto lo scopo generale dell’azione amministrativa complessivamente considerata, costituito dall’adozione di una decisione amministrativa il cui contenuto dispositivo sia, nella sostanza, pienamente conforme al relativo paradigma normativo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.1042 alla cui stregua la novella legislativa di cui alla legge 15.05, in particolare con l’innesto dell’art.21 octies in seno alla legge 241.90, si è limitata a codificare quelle tendenze già emerse in giurisprudenza ed intese a valutare l’interesse a ricorrere del privato, che va negato laddove questi non possa attendersi dalla rinnovazione del procedimento una decisione diversa da quella già adottata; in sostanza, sulla base dell’art.21 octies il provvedimento non è annullabile non perché assoggettato ad un diverso regime di invalidità o irregolarità sul piano sostanziale, ma perché – processualmente - la circostanza che il relativo contenuto non possa essere diverso priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe nella sostanza ricavare alcuna utilità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2763 alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 non determina alcuna degradazione del vizio di legittimità (formale o procedimentale) a mera irregolarità, né può assumersi integrare una sorta di “<em>fattispecie esimente</em>” capace di affrancare <em>ab origine</em> il provvedimento amministrativo dalle violazioni vizianti contemplate appunto all’art.21 octies, comma 2; mentre infatti – precisa il Collegio – l’irregolarità opera <em>ex ante</em> e in astratto, onde il provvedimento affetto da vizio formale minore è atto <em>ab origine</em> meramente irregolare, nella fattispecie delineata dall’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 la violazione continua ad integrare un vizio di legittimità che, tuttavia, non comporta l’annullabilità dell’atto a cagione di valutazioni attinenti al contenuto del provvedimento effettuate dal giudice <em>ex post</em> e in concreto, vale a dire una volta accertato che il provvedimento non poteva essere diverso da quello nella sostanza adottato, che è e resta dunque provvedimento illegittimo, ma non annullabile. Per il Collegio l’entrata in vigore dell’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 non ha inciso sulla categoria della irregolarità dell’atto amministrativo, siccome già definita dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La pronuncia si pone sulla scia di quell’orientamento pretorio che - in tema di mancata indicazione nell’atto gravato dal privato del termine per ricorrere e dell’Autorità cui è possibile ricorrere - ha affermato trattarsi di atto <em>ab origine</em> irregolare, quale provvedimento affetto da vizio formale minore, la violazione dell’art.3 della legge 241.90 configurando in simili ipotesi una inosservanza che ridonda in irregolarità e che non rende l’atto illegittimo, ma consente al limite il ricorso del privato oltre i termini di decadenza, avvalendosi dell’errore scusabile determinato proprio dalle omissioni di indicazione perpetrate dalla PA nel contesto letterale dell’atto gravato. In sostanza, l’atto viziato ex art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 non è atto irregolare, ma piuttosto atto illegittimo, ancorché non annullabile.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.3981, alla cui stregua va riaffermata la natura aquiliana ex art.2043 c.c. della responsabilità della PA (con conseguente necessità di accertare la produzione di un danno ingiusto collegato al bene della vita del privato) e va sottratto credito alla tesi che la vorrebbe “<em>contrattuale da contatto</em>” (ex art.1218 c.c).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 17 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6194 alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 non determina alcuna degradazione del vizio di legittimità (formale o procedimentale) a mera irregolarità, né può assumersi integrare una sorta di “<em>fattispecie esimente</em>” capace di affrancare <em>ab origine</em> il provvedimento amministrativo dalle violazioni vizianti contemplate appunto all’art.21 octies, comma 2; mentre infatti – precisa il Collegio – l’irregolarità opera <em>ex ante</em> e in astratto, onde il provvedimento affetto da vizio formale minore è atto <em>ab origine</em> meramente irregolare, nella fattispecie delineata dall’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 la violazione continua ad integrare un vizio di legittimità che, tuttavia, non comporta l’annullabilità dell’atto a cagione di valutazioni attinenti al contenuto del provvedimento effettuate dal giudice <em>ex post</em> e in concreto, vale a dire una volta accertato che il provvedimento non poteva essere diverso da quello nella sostanza adottato, che è e resta dunque provvedimento illegittimo, ma non annullabile. Per il Collegio la novella legislativa di cui alla legge 15.05, in particolare con l’innesto dell’art.21 octies in seno alla legge 241.90, si è limitata a codificare quelle tendenze già emerse in giurisprudenza ed intese a valutare l’interesse a ricorrere del privato, che va negato laddove questi non possa attendersi dalla rinnovazione del procedimento una decisione diversa da quella già adottata; in sostanza, sulla base dell’art.21 octies il provvedimento non è annullabile non perché assoggettato ad un diverso regime di invalidità o irregolarità sul piano sostanziale, ma perché – processualmente - la circostanza che il relativo contenuto non possa essere diverso priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe nella sostanza ricavare alcuna utilità.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 novembre esce la sentenza della sezione IV del Tar Campania n.9984, alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 costituisce una applicazione del principio del raggiungimento dello scopo già enunciato all’art.156, comma 3, c.p.c. alla cui stregua la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato, tenendo fermo in ogni caso che lo scopo in parola – a differenza di quanto accade appunto nel contesto della previsione di cui all’art.156, comma 3, c.p.c. – non è quello dello specifico atto procedimentale o comunque della formalità che sia stata omessa, quanto piuttosto lo scopo generale dell’azione amministrativa complessivamente considerata, costituito dall’adozione di una decisione amministrativa il cui contenuto dispositivo sia, nella sostanza, pienamente conforme al relativo paradigma normativo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 marzo esce la rilevante sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n.1307 alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 deve ritenersi avere natura sostanziale, onde esso non è applicabile <em>ratione temporis</em> ai provvedimenti adottati prima della relativa entrata in vigore, ancorché a tale data sia ormai pendente il processo di impugnazione avverso i medesimi. Per il Collegio si tratta di stabilire se nella vicenda sottopostagli possa trovare applicazione il disposto del nuovo articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 15/2005, secondo cui “<em>2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato</em>.” Poiché, chiosa il Collegio, il provvedimento impugnato è stato adottato nel 2000 e la norma richiamata è entrata in vigore nel 2005, si tratta di decidere, essenzialmente, se la nuova disciplina possa essere applicata nel giudizio. Secondo un consistente indirizzo interpretativo, chiosa il Collegio, la norma avrebbe valenza meramente processuale, non intaccando il giudizio di illegittimità del provvedimento adottato in violazione della prescrizione formale e, pertanto, sarebbe applicabile anche nei giudizi in corso, in relazione a provvedimenti adottati prima della relativa entrata in vigore; la Sezione dichiara tuttavia di non condividere questa impostazione, propendendo piuttosto per la tesi della natura sostanziale della norma. Anzitutto, precisa il Collegio, occorre chiarire il senso della formula “<em>natura processuale</em>” o “<em>sostanziale</em>” della norma, palesandosi prospettabili due significati diversi: il primo riguarda la definizione del contenuto degli effetti derivanti dalla norma, onde con la qualificazione processuale si vuole affermare che le conseguenze applicative della norma non toccano mai il piano sostanziale del provvedimento, che resta viziato. Gli esiti operativi della disciplina si pongono, invece, sul solo terreno del processo amministrativo e consistono nella limitazione del potere decisorio del giudice, cui è preclusa, in ogni caso, l’adozione della pronuncia costitutiva di annullamento. In tale prospettiva, si dice, la sentenza che accerta la presenza di un vizio formale non invalidante non dovrebbe concretizzarsi in un rigetto della domanda, ma dovrebbe avere un diverso contenuto, e precisamente l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse della parte attrice ad ottenere l’annullamento dell’atto impugnato, oppure la dichiarazione “<em>mera</em>” dell’illegittimità non invalidante del provvedimento impugnato. Il secondo significato della formula “<em>natura processuale</em>” riguarda invece, prosegue il Collegio, le modalità temporali e procedimentali attraverso cui la norma trova applicazione. Secondo la qualificazione processuale, gli effetti giuridici derivano da un “<em>fatto processuale</em>”, in senso ampio, identificato nell’accertamento compiuto dal giudice in ordine al possibile “<em>contenuto dispositivo dell’atto</em>” onde, secondo questa impostazione, la “<em>fattispecie</em>” da cui deriva la conseguenza voluta dalla norma si colloca all’interno del processo amministrativo, senza operare in ambito sostanziale. Fatte queste premesse, il Collegio osserva che la formula letterale “<em>non è annullabile</em>” (utilizzata dalla disposizione) presenta, ma solo a prima vista, forti argomenti a supporto della configurazione meramente processuale dell’effetto, potendosi sostenere infatti che la disposizione intenda operare solo nell’ambito del potere di reazione dell’ordinamento all’accertata difformità tra il provvedimento e la norma che lo disciplina; e tuttavia il peso lessicale della locuzione non deve per il Collegio essere sopravvalutato, il linguaggio utilizzato dal comma 2 palesandosi perfettamente omogeneo a quello presente nel comma 1 dello stesso articolo 21-octies, che contiene il “<em>catalogo</em>” generale dei vizi del provvedimento, connettendolo alla categoria giuridica dell’annullabilità; e questa, pur non “<em>qualificata</em>” dalla legge, appare decisamente situata nell’ambito delle nozioni sostanziali di disciplina dell’atto. Affermando dunque la valenza sostanziale della nozione di annullabilità, anche il comma 2 si dovrebbe inscrivere a pieno titolo, per il Collegio, all’interno della pertinente classe, anche alla luce del sistema definito dalla legge n. 241/1990, onde il comma 1 enuncia, in termini generali e “<em>positivi</em>”, il concetto di annullabilità sostanziale mentre il comma 2 delimita e chiude la stessa nozione, mediante un enunciato espresso in forma “<em>negativa</em>”. Per affermare la natura processuale della norma, prosegue la Sezione, si è richiamata l’attenzione sulla dizione dell’articolo 21-nonies, secondo cui “<em>Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio</em> (…)”: a giudizio di taluni commentatori, la norma qualificherebbe infatti espressamente come illegittimo il provvedimento viziato ai sensi dell’articolo 21-octies, comma 1, ancorché non annullabile ai sensi del comma 2, rimandendone codificata, quindi, la categoria del provvedimento meramente illegittimo, perché contrastante con la disciplina sostanziale del procedimento o della forma, ma non annullabile in sede giudiziaria. Ma proprio il confronto tra i due articoli sembra offrire, per il Collegio, ulteriori argomenti a favore della tesi sostanziale, l’art. 21-nonies non richiamando affatto il solo comma 1, bensì l’intero articolo 21-octies, e dovendo quindi considerarsi illegittimo solo il provvedimento annullabile sulla base dell’integrale applicazione del 21-octies (con le condizioni “<em>positive</em>” del comma 1 e senza le condizioni “<em>negative</em>” del comma 2), onde non residua alcuno spazio alla classe del provvedimento “<em>meramente illegittimo</em>”. La tesi dell’effetto meramente processuale, prosegue il Collegio, svolge una più sottile considerazione dell’aspetto strutturale del presupposto applicativo della norma, affermando che la “<em>non annullabilità</em>”, proprio perché ancorata alla formula negativa aggiunta alla disciplina del comma 1, si collocherebbe al di fuori del tema dei vizi sostanziali del provvedimento, impedendo la produzione del normale effetto di annullamento dell’atto; e tuttavia, anche ammettendo, per ipotesi, che il giudizio sul contenuto indefettibile del provvedimento indichi un dato esterno all’atto amministrativo, non per questo sarebbe dimostrata la natura meramente processuale della norma e degli effetti che essa determina; per un verso, un fatto esterno al provvedimento potrebbe essere considerato, semplicemente, come presupposto di applicazione di un fenomeno di sanatoria: al di fuori dell’atto, ma sempre sostanziale, perché diretto a “<em>recuperarne</em>” o confermarne la validità; per altro verso poi, precisa ancora il Collegio, il fatto esterno al provvedimento, anche quando si concretizza in un atto processuale (la decisione del giudice che accerta la congruenza del contenuto dispositivo dell’atto), determina effetti giuridici che ricadono sull’efficacia o sulla stessa validità dell’atto, rilevanti in ambito sostanziale. Giova sottolineare ancora, chiosa la Sezione, che il carattere meramente processuale della norma non potrebbe essere ricavato nemmeno dalla formulazione “<em>negativa</em>” utilizzata dalla legge, incentrata sulla locuzione “<em>non è annullabile</em>”, sul piano della “<em>logica</em>” del linguaggio normativo la fattispecie della annullabilità potendo essere descritta sia ricorrendo esclusivamente ad elementi a contenuto “<em>positivo</em>”, sia utilizzando dati a contenuto “<em>negativo</em>”, che si integrano insieme; il comma 2, se considerato alla stregua di un’eccezione alla “<em>regola</em>” del comma 1, avrebbe solo lo scopo di delimitare il raggio di operatività della nozione – sempre sostanziale - di annullabilità. Il Collegio ritiene allora che l’art. 21-octies, comma 2, contribuisca a specificare il significato della formula “<em>violazione di legge</em>”, contenuta nel comma 1, quale nozione che, isolatamente considerata, resta intrinsecamente caratterizzata da un elevato grado di generalità onde la norma contenuta nel comma 2 per un verso delimita la rilevanza del vizio di illegittimità derivata dalla violazione realizzata nell’ambito del procedimento, e per altro verso circoscrive la prescrizione formale, stabilendo che essa è surrogabile dal particolare contenuto del provvedimento. Altri argomenti di carattere sistematico, prosegue il Collegio, rafforzano la conclusione della natura sostanziale degli effetti prodotti dalla norma; la giustificazione dell’intero articolo 21-octies è stata infatti ricondotta alla asserita opportunità di condurre il tema dell’illegittimità amministrativa al livello della disciplina sostanziale dell’atto, superando la prospettiva processuale dell’articolo 26 del TUCDS e della legge TAR; la premessa argomentativa di tale scelta sistematica è stata, per il Collegio, quella di abbandonare definitivamente la suggestione processuale della vecchia collocazione dei vizi, che si rifletteva – in qualche misura - sulla originaria configurazione meramente formale e strumentale dell’interesse legittimo. La legge n. 15/2005 ha scelto di introdurre la nuova norma sostanziale, non in sostituzione, ma in aggiunta a quella collocata in un testo legislativo di carattere processuale, onde non sembra per il Collegio trascurabile questa persistente duplicità di norme sostanziali e processuali, entrambe dirette ad elencare i vizi del provvedimento amministrativo, ma in prospettive diverse. Ebbene, conclude il Collegio, si può notare che la disciplina della non annullabilità dell’atto è situata proprio nella legge sostanziale (nell’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90) e non in quella processuale. Chiarito che la norma produce sempre effetti sostanziali, definendo il regime di legittimità o annullabilità del provvedimento amministrativo, occorre per il Collegio approfondire la questione se essa vada considerata, anche sul piano della “<em>fattispecie</em>”, come disposizione sostanziale, anziché processuale, questione che si palesa largamente condizionata dalle premesse sistematiche concernenti la teoria della annullabilità dell’atto amministrativo. Per la Sezione, non vi è dubbio che la tecnica giuridica dell’impugnazione del provvedimento e del relativo annullamento in giudizio induce a spostare l’asse del ragionamento sulla vicenda processuale e sui relativi, possibili esiti ma si tratta di una notazione empirica che non deve trarre in inganno, anche l’annullabilità del provvedimento essendo destinata a concretizzare i propri effetti giuridici all’esito del giudizio promosso dall’interessato. Il valore sostanziale del vizio è indipendente dal carattere più o meno complesso dell’indagine svolta dal giudice, come dimostra l’apprezzamento del vizio di eccesso di potere o le valutazioni relative alla discrezionalità tecnica. Tanto sul piano logico, quanto su quello strettamente empirico, le medesime considerazioni devono per il Collegio svolgersi con riguardo al comma 2 dell’articolo 21-octies, in entrambe le previsioni che lo connotano, l’esito di “<em>non annullamento</em>” del provvedimento impugnato, imposto dall’applicazione della norma, potendo essere inteso sul piano empirico quale conseguenza dell’accertamento compiuto dal giudice, sopravvenuto all’adozione dell’atto e connesso alla dinamica processuale della singola vicenda, e tuttavia la situazione sostanziale di “<em>non annullabilità</em>” essendo già presente in un momento precedente, e non rimanendo affatto condizionata dalla vicenda processuale successiva, non diversamente da quanto potrebbe accadere per qualsiasi altro profilo di illegittimità del provvedimento. Su altro crinale, procede il Collegio, il carattere “<em>processuale</em>” della norma è stato sostenuto facendo leva sull’argomento che l’art. 21-octies, comma 2, conterrebbe apposite regole relative alle modalità di accertamento dei dati rilevanti per la formulazione del giudizio: il contenuto operativo della norma consisterebbe proprio nella definizione dei poteri delle parti e del giudice nell’accertamento del “<em>fatto impeditivo</em>” dell’annullabilità. Neanche questa costruzione riesce tuttavia, a parere della Sezione, persuasiva, tanto il primo, quanto il secondo periodo della norma descrivendo, insieme al profilo sostanziale dell’effettivo spazio attribuito all’annullabilità dell’atto, le regole di ripartizione dell’onere di allegazione e di prova tra le parti e il giudice; in entrambi i casi, infatti, sono distinguibili due diverse regole: la prima definisce il limite oggettivo di rilevanza dell’annullabilità del provvedimento; la seconda disciplina le modalità di accertamento dei diversi elementi della fattispecie. Per il Collegio appare esatto riconoscere che la disposizione ha un contenuto complesso, in parte riferito alla ripartizione dell’onere della prova; per quanto sia densa di aspetti incerti e problematici, la norma si limita a definire la relazione tra i poteri officiosi del giudice e gli oneri di dimostrazione posti a carico delle parti; non vi sono regole direttamente riferibili alle modalità (meccaniche) di assunzione delle prove o allo svolgimento dell’attività delle parti di allegazione e deduzione delle rispettive difese. Ora, la tesi della natura sostanziale delle norme in materia di ripartizione dell’onere della prova è costantemente affermata dalla Cassazione civile, che sottolinea, fra l’altro, la collocazione sistematica delle disposizioni racchiuse negli articoli 2697 e seguenti del codice civile, sottolineandosi ripetutamente la differenza rispetto alle disposizioni processuali in senso stretto, che riguardano le regole dinamiche di assunzione dei mezzi di prova. Questo orientamento consolidato si è affermato proprio in relazione al tema della successione nel tempo delle norme processuali (ritenute, in generale, immediatamente applicabili, se non sia già esaurita la relativa fase): per il giudice di legittimità è senz’altro esclusa l’immediata applicabilità nei giudizi pendenti delle norme che disciplinano l’onere della prova. Sembra allora convincente per il Collegio l’esito interpretativo onde la norma di cui all’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90 non ha affatto natura processuale, ma più propriamente sostanziale, sia per quanto riguarda gli effetti prodotti, sia per quanto concerne la fattispecie considerata, in relazione ad entrambe le due previsioni che la compongono. Ciò chiarito, occorre considerare per il Collegio che, pur non essendo l’art. 21-octies, comma 2, una norma meramente ricognitiva del diritto vivente, prima della relativa entrata in vigore la giurisprudenza aveva già individuato alcune ipotesi in cui l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non determina l’illegittimità del provvedimento; in questo ambito si colloca il caso in cui il provvedimento sia rigorosamente vincolato nei relativi presupposti e le pertinenti circostanze di fatto e di diritto non richiedano alcun accertamento istruttorio. Nella vicenda sottoposta a giudizio risulta indiscusso che l’attività oggetto del provvedimento consiste nella produzione di bevande fermentate; che attività come quella considerata sono inderogabilmente inquadrabili nel novero delle industrie insalubri di seconda classe, indipendentemente dalla dimensione o dal collegamento con altra attività commerciale; che tale determinazione non solo è vincolata nel contenuto, ma è anche obbligatoria nell’<em>an</em>, non potendo l’amministrazione competente omettere di individuare la disciplina applicabile all’attività; il provvedimento è originato dalla richiesta autorizzatoria formulata dallo stesso interessato e si pone in un rapporto di connessione – affermato dallo stesso appellante – con le altre determinazioni amministrative adottate dal comune; nella complessiva vicenda procedimentale in oggetto, il ricorrente ha comunque avuto modo di interloquire sul regime giuridico dell’attività considerata. Ne consegue allora per il Collegio che, indipendentemente dall’applicabilità dell’articolo 21-octies, nel caso concreto, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non determina l’invalidità del provvedimento impugnato in primo grado.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4614 alla cui stregua la novella legislativa di cui alla legge 15.05, in particolare con l’innesto dell’art.21 octies in seno alla legge 241.90, si è limitata a codificare quelle tendenze già emerse in giurisprudenza ed intese a valutare l’interesse a ricorrere del privato, che gli va negato laddove questi non possa attendersi dalla rinnovazione del procedimento una decisione diversa da quella già adottata; in sostanza, sulla base dell’art.21 octies il provvedimento non è annullabile non perché assoggettato ad un diverso regime di invalidità o irregolarità sul piano sostanziale, ma perché – processualmente - la circostanza che il relativo contenuto non possa essere diverso priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe nella sostanza ricavare alcuna utilità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3786, alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, parte II della legge 241.90 – laddove pone a carico della PA, e non del privato, l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione di avvio del procedimento, che il relativo esito non avrebbe potuto essere diverso da quello che alfine lo ha connotato – va interpretato nel senso che, onde evitare di gravare la PA di una <em>probatio diabolica</em>, il privato non può limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma deve quanto meno indicare o allegare anche gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione e, solo dopo che abbia adempiuto a questo onere di allegazione (che la norma pone implicitamente a relativo carico) la PA risulta gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove i ridetti elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.552 alla cui stregua l’art.21 <em>octies</em>, comma 2, della legge 241.90 non introduce nell’ordinamento la facoltà, per la PA, di non rispettare le regole procedimentali (versante sostanziale), finendo altrimenti con l’essere violato il principio di legalità; la norma può piuttosto essere utilizzata dall’Amministrazione non già in sede amministrativa, ma in sede giurisdizionale (crinale processuale) qualora siano stati da essa commessi degli errori che non siano stati corretti attraverso l’esercizio del potere di autotutela.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, recante attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (delega al governo per il riordino del processo amministrativo), con il cui art.30 viene superata la c.d. “<em>pregiudiziale amministrativa</em>”, potendosi ormai chiedere il risarcimento del danno anche in difetto di previo annullamento dell’atto illegittimo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 maggio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.2725 che – in materia di gare d’appalto - ribadisce il principio di c.d. strumentalità delle forme: esso deve intendersi per il Collegio operante in relazione a qualsivoglia adempimento da rendere ai fini della partecipazione alle pubbliche gare, con la conseguenza onde non ogni violazione comporta l’automatica esclusione del concorrente che si sia reso protagonista di una violazione formale, l’invalidità di un atto per vizi procedurali potendo essere riconosciuta solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti per il raggiungimento dello scopo perseguito (c.d. “<em>forma infungibile</em>”).</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 6410 onde al preavviso di rigetto non può ritenersi applicabile l’art.21.octies, comma 2, parte seconda della legge 241.90: si tratta di una disposizione che si riferisce anche agli atti discrezionali e disciplina la mancata comunicazione di avvio del procedimento, disponendo che il provvedimento finale non può comunque essere annullato laddove la PA dimostri in giudizio che esso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato. Per il Collegio, la medesima ratio non appare automaticamente predicabile anche al caso in cui ad essere stato omesso sia stato il preavviso di rigetto, e non già la comunicazione di avvio procedimentale, dovendosi in tale ipotesi assumere a punto di riferimento l’atto finale e concludere alternativamente: a) per la illegittimità del provvedimento finale (non preceduto da preavviso di rigetto), laddove esso abbia natura discrezionale; b) per l’applicabilità dell’art.21.octies, comma 2, parte prima (e non già parte seconda) laddove il provvedimento finale (non preceduto da preavviso di rigetto) abbia natura vincolata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6882 alla cui stregua l’omessa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo non può comunque comportare l’annullamento del provvedimento finale, quand’anche il privato non ne abbia avuto <em>aliunde</em> notizia, allorché la partecipazione del privato medesimo non avrebbe comunque sortito alcuna utilità in ottica di effettiva incisione sul contenuto sostanziale del provvedimento gravato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 marzo esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.2106 alla cui stregua l’art.21 octies è da assumersi applicabile, <em>ratione temporis</em>, anche alle controversie pendenti alla data di relativa entrata in vigore ed ancorché investenti provvedimenti adottati in precedenza, essendo essa di natura processuale, con la conseguenza onde la PA può sempre dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento impugnato dal privato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superandosi ogni censura di carattere meramente formale.</p> <p style="text-align: justify;">*L’8 marzo esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia n.520 alla cui stregua l’omessa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo non può comunque comportare l’annullamento del provvedimento finale, quand’anche il privato non ne abbia avuto <em>aliunde</em> notizia, allorché la partecipazione del privato medesimo non avrebbe comunque sortito alcuna utilità in ottica di effettiva incisione sul contenuto sostanziale del provvedimento gravato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 aprile esce la sentenza delle SSUU n.5445 alla cui stregua l’annullabilità di un provvedimento amministrativo per violazione dell’obbligo di comunicare al privato l’avvio del procedimento, siccome prescritto dall’art.7 della legge 241.90, è da intendersi esclusa, per quanto concerne i provvedimenti di natura discrezionale, subordinatamente alla prova da parte della PA che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso pur in caso di eventuale intervento nel procedimento dei soggetti privati interessati, essendo peraltro a riguardo sufficiente la mera eccezione della PA o dei controinteressati per consentire poi la prova che l’intervento partecipativo del privato non avrebbe appunto potuto spiegare alcuna influenza sul contenuto del provvedimento alfine adottato; per quanto invece concerne i provvedimenti di natura vincolata, al pari che in caso di violazione delle altre norme del procedimento, è sufficiente (anche in caso di omessa comunicazione di avvio) l’evidenza della inidoneità dell’intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul contenuto del provvedimento finale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 aprile esce la sentenza della IV sezione del Tar Lombardia n.1035 alla cui stregua la disposizione dettata dall’art.21.octies, comma 2, della legge 241.90, laddove deroga alla regola generale sull’annullabilità degli atti dettata dal precedente comma 1 con riguardo ai provvedimenti adottati in violazione di legge o viziati da incompetenza od eccesso di potere, deve intendersi avere natura eccezionale, imponendosene dunque una interpretazione restrittiva che ne esclude la invocabilità in presenza di un vizio di incompetenza che affetti l’atto impugnato dal ricorrente (da assumersi dunque annullabile, e non già non annullabile).</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio esce la sentenza della sezione III bis del Tar Lazio n.4165 alla cui stregua la differenza tra la I e la II parte del comma 2 dell’art.21 octies della legge 241.90 va ravvisata nel soggetto a carico del quale è posto l’onere della prova afferente alla vincolatività o meno del provvedimento impugnato che, mentre nel caso di atto affetto da vizi formali incombe sul ricorrente, nel caso di mancata comunicazione di avvio del procedimento incombe sull’Amministrazione in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 20 agosto esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.4192, alla cui stregua l’art.21 octies, comma 2, parte II della legge 241.90 – laddove pone a carico della PA, e non del privato, l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione di avvio del procedimento, che il relativo esito non avrebbe potuto essere diverso da quello che alfine lo ha connotato – va interpretato nel senso che, onde evitare di gravare la PA di una <em>probatio diabolica</em>, il privato non può limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma deve quanto meno indicare o allegare anche gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione e, solo dopo che abbia adempiuto a questo onere di allegazione (che la norma pone implicitamente a relativo carico) la PA risulta gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove i ridetti elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce la sentenza della III sezione del Tar Toscana n.1263 onde nel caso in cui, in presenza della natura vincolata del potere esercitato dalla PA, il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l’eventuale sussistenza del vizio di incompetenza appare irrilevante, non potendo in ogni caso determinare, ai sensi dell’art.21 octies della legge 241.90, l’annullabilità del provvedimento divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1018 onde nel processo amministrativo il divieto di integrazione giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo non può assumersi avere carattere assoluto, e ciò in quanto non sempre i chiarimenti resi dalla PA nel corso di un giudizio valgono appunto quale inammissibile integrazione postuma della motivazione; più in specie, quando un atto ha natura vincolata ex art.21 octies, comma 2, parte I della legge 241.90 la PA può dare anche in via successiva l’effettiva dimostrazione in giudizio della impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto; altro caso di integrazione successiva ammissibile è quello concernente la possibilità di una indicazione, ex post appunto, di una fonte normativa originariamente non menzionata nel procedimento allorché questa, per la relativa notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta dal privato quale operatore professionale. In sostanza, per il Collegio sebbene il divieto di motivazione postuma meriti in linea generale di essere confermato, rappresentando l’obbligo di motivazione un presidio essenziale del diritto di difesa del privato, non può nondimeno assumersi che la PA incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento adottato siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento medesimo, ovvero in quelle in cui si verta in fattispecie di attività vincolata; inoltre, prosegue il Collegio, la facoltà per la PA di dare l’effettiva dimostrazione dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto gravato dal privato, nel caso di atti vincolati (e, dunque, di operatività dell’art.21 octies, comma 2, parte I della legge 241.90) esclude che l’argomentazione difensiva dell’Amministrazione, spesa in sede processuale e tesa ad assolvere al pertinente onere della prova, possa essere qualificata come illegittima integrazione postuma della motivazione sostanziale, e dunque come una indebita integrazione in sede giustiziale della motivazione stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3417 che si occupa del vizio motivazionale del provvedimento e della possibilità per la PA di integrare la motivazione in corso di giudizio. Per il Collegio, l’innesto dell’art.21.octies, comma 2, parte I nel corpo della legge 241.90 (ad opera della legge n.15.05) consente – con riguardo ai provvedimenti vincolati – di assumere il vizio motivazionale quale vizio formale che ne implica la non annullabilità, autorizzando la PA ad integrare la motivazione in corso di giudizio e dunque a rendere palese che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto dispositivo diverso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 settembre viene varato il decreto legge n.133, c.d. sblocca Italia, recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre viene varata la legge n.164 che converte, con modificazioni, il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, ed il cui art.25 (lettera <em>b quater</em>) modifica il testo dell’art.21 <em>nonies</em> della legge 241.90, incidendo sul comma 1, onde nella nuova formulazione, “<em>il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, puo' essere annullato d'ufficio…</em>”; la disposizione sembra escludere – oltre a quello del GA nella sede processuale - anche il potere sostanziale di autotutela, e segnatamente di annullamento d’ufficio, in presenza di c.d. vizi non invalidanti ex art.21 octies, comma 2, della legge 241.90, senza tuttavia escludere radicalmente che questi ultimi producano l’illegittimità del provvedimento amministrativo divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 maggio esce la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia n.212 che si colloca nel solco di quell’orientamento pretorio alla cui stregua va negata l’ascrivibilità del vizio motivazionale al novero dei vizi formali di cui all’art.21 octies della legge 241.90, e ciò a fronte della cruciale rilevanza riconosciuta alla motivazione dell’atto amministrativo dall’art.3 della medesima legge, da assumersi ricognitivo di principi di rilievo costituzionale. Per il TAR la dequotazione dei vizi formali del provvedimento, che l’art.21 octies, comma 2, parte I della legge 241.90 ha retrocesso a mere irregolarità, non può assumersi aver superato il divieto di integrazione postuma in sede giudiziale della motivazione medesima da parte della PA. Detta motivazione, prosegue il Collegio costituisce l’essenza ed il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, e non può essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata <em>ad hoc</em> dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio, con la conseguenza onde il difetto di motivazione del provvedimento impugnato non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o a vizi di forma.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 maggio esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.92, che dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.21 octies della legge 241.90 non avendo il giudice rimettente preso in considerazione il fatto che – secondo un diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa – il difetto di motivazione del provvedimento amministrativo non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o di vizi di forma (nell’ottica della non annullabilità del provvedimento medesimo), costituendo piuttosto la motivazione il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art.3 della legge n.241.90) e, per questo, un insostituibile presidio di legalità sostanziale; e ciò nemmeno mediante il procedimento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art.21 octies, comma 2, parte I della legge 241.90 il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (e, come tale, non annullabile).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 3 agosto esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3791 onde - nel caso in cui, in presenza della natura vincolata del potere esercitato dalla PA, il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato - l’eventuale vizio di incompetenza appare irrilevante, non potendo in ogni caso determinare, ai sensi dell’art.21 octies della legge 241.90, l’annullabilità del provvedimento divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.651 che si colloca nel solco di quell’orientamento pretorio alla cui stregua va negata l’ascrivibilità del vizio motivazionale al novero dei vizi formali di cui all’art.21 octies della legge 241.90, e ciò a fronte della cruciale rilevanza riconosciuta alla motivazione dell’atto amministrativo dall’art.3 della medesima legge, da assumersi ricognitivo di principi di rilievo costituzionale. Per il Consiglio la dequotazione dei vizi formali del provvedimento, che l’art.21 octies, comma 2, parte I della legge 241.90 ha retrocesso a mere irregolarità, non può assumersi aver superato il divieto di integrazione postuma in sede giudiziale della motivazione medesima da parte della PA. Detta motivazione, prosegue il Collegio costituisce l’essenza ed il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, e non può essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata <em>ad hoc</em> dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio, con la conseguenza onde il difetto di motivazione del provvedimento impugnato non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o a vizi di forma.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza della VIII sezione del Tar Campania n.416 onde l’art.21 octies della legge 241.90 deve assumersi costituire una disposizione di carattere processuale, come tale applicabile anche ai procedimenti già definiti (con provvedimento finale) alla data di entrata in vigore della legge n.15.05.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.58, che dichiara ancora una volta inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.21 octies, comma 2, parte I della legge 241.90, laddove consentirebbe l’integrazione <em>ex post</em>, in sede processuale, della motivazione del provvedimento amministrativo; ciò tanto per difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla rilevanza della prospettata questione, quanto per improprio uso dello scandaglio di costituzionalità al fine di avallare una determinata interpretazione della norma censurata, quanto infine per mancato esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata, non avendo il giudice rimettente tenuto conto, sul crinale ermeneutico, del diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa onde il difetto di motivazione del provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (anche vincolato) e, quindi, un presidio di legalità sostanziale non sostituibile neppure mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art.21 octies comma 2, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 marzo esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.1310 alla cui stregua la regola cristallizzata nel comma 2, parte II, dell'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990 – alla cui stregua il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato - riguarda il caso in cui sia violata una disposizione che contempla il requisito procedimentale della comunicazione di avvio del procedimento e si applica in presenza di attività sia vincolata che discrezionale (inclusa l'ipotesi di discrezionalità tecnica); in quest’ultima fattispecie, peraltro, è a carico del privato l'onere di indicare, quanto meno in termini di allegazione processuale, quali elementi conoscitivi avrebbe introdotto nel procedimento, se previamente comunicatogli, onde indirizzare l'amministrazione verso una decisione diversa da quella in concreto assunta.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 2953 onde al preavviso di rigetto non può ritenersi applicabile l’art.21.octies, comma 2, parte seconda della legge 241.90: si tratta di una disposizione che si riferisce anche agli atti discrezionali e disciplina la mancata comunicazione di avvio del procedimento, disponendo che il provvedimento finale non può comunque essere annullato laddove la PA dimostri in giudizio che esso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato. Per il Collegio, la medesima ratio non appare automaticamente predicabile anche al caso in cui ad essere stata omesso sia stato il preavviso di rigetto, e non già la comunicazione di avvio procedimentale, dovendosi in tale ipotesi assumere a punto di riferimento l’atto finale e concludere alternativamente: a) per la illegittimità del provvedimento finale (non preceduto da preavviso di rigetto), laddove esso abbia natura discrezionale; b) per l’applicabilità dell’art.21.octies, comma 2, parte prima (e non già parte seconda) laddove il provvedimento finale (non preceduto da preavviso di rigetto) abbia natura vincolata.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Umbria n.466, alla cui stregua il vizio di incompetenza, ai sensi dell'art. 34, 2° comma, c.p.a., ha carattere assorbente rispetto alle eventuali residue censure dato che in tutte le situazioni di incompetenza e di carenza di proposta o di parere obbligatorio si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il GA, anche ai sensi del succitato articolo, non può fare altro che rilevare il relativo vizio ed assorbire tutte le altre censure, non potendo ritenersi vincolato dalla prospettazione del ricorrente e dalla eventuale graduazione dei motivi da quest'ultimo effettuata; con riguardo al caso di specie, il Collegio precisa che il segretario comunale, ai sensi dell'art. 97, comma 4, lett. d), decreto legislativo n. 267/2000, anche se chiamato a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e a coordinare la relativa attività, non può di norma espletare compiti rimessi alla struttura burocratica in senso proprio dell'ente locale, sostituendosi ai dirigenti, salve eventuali ipotesi eccezionali di assenza nei ruoli dell'ente locale di dirigenti o di altri funzionari in grado di espletarne i compiti; proprio muovendo da questa premessa, per il Tar il vizio di incompetenza, anche alla luce del comma 2, primo alinea, dell’art. 21 octies, l. n. 241/1990 e successive modificazioni, non può portare all'annullamento dell'atto quando sia stato formulato in via totalmente pretestuosa ed ove la PA non possa, in prosieguo, che riadottare un provvedimento analogo a quello impugnato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 marzo esce l’ordinanza della V sezione della Cassazione n.5733 alla cui stregua il diniego dell'agevolazione di cui alla legge n. 296 del 2006, in tema di credito di imposta per spese di ricerca e sviluppo, è un atto vincolato, in quanto adottato all'esito di un procedimento interamente telematico, nel quale la domanda viene elaborata mediante assegnazione automatica dei fondi fino ad esaurimento delle risorse in base ad un criterio meramente cronologico: ne deriva per la Corte che trova applicazione l'art. 21 octies (parte I) della legge n. 241 del 1990, laddove esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, quando, per la natura vincolata dello stesso, quest'ultimo non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto assunto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.6965 che si pronuncia in tema di sanzioni amministrative; per la Corte, proprio in ragione dell'applicabilità del principio generale stabilito dall'art. 21 octies, comma II, l. n. 241 del 1990 anche alle sanzioni disciplinate dalla legislazione regionale, l'inosservanza del termine previsto per la conclusione del procedimento non comporta l'illegittimità dell'ordinanza-ingiunzione, attesa la natura vincolata del provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa medesima, espressione del principio di tassatività ex art. 1 della legge n. 689 del 1981, e la conseguente immodificabilità del relativo contenuto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile esce l’ordinanza della V sezione della Cassazione n.9480 onde, in tema di accertamento tributario, la mancanza di autorizzazione alle indagini bancarie rende le stesse illegittime ove si sia tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente, in conformità alla concezione sostanzialistica dell'interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, espressa, in via generale, dall'art. 21 octies della legge n. 241 del 1990.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.12382 alla cui stregua, in materia doganale, il rispetto del principio del contraddittorio nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente previsto dal Reg. Cee n. 2913 del 1992 (c.d. codice doganale comunitario) – sostituito dal Reg. Ue n. 952 del 2013 (codice doganale dell'Unione) – deriva in ogni caso dal disposto dell'art.11 decreto legislativo n. 374 del 1990 compendiando un principio generale del diritto unionale che deve assumersi trovare applicazione tutte le volte che l'Amministrazione possa assumere nei confronti di un soggetto un atto lesivo; peraltro, soggiunge la Corte, la violazione del detto principio è suscettibile di determinare l'invalidità del provvedimento solo se il contribuente dimostri che il rispetto dello stesso avrebbe condotto ad un risultato diverso, quindi un pregiudizio concreto al proprio diritto di difesa (c.d. prova di resistenza), sulla scia di quanto disposto in materia amministrativa dall’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 novembre esce la sentenza del Tar Lazio, sez. III, n. 12667 che si pronuncia sulla nozione di lotto funzionale e lotto di prestazione e sulle deroghe al principio di suddivisione in lotti. Afferma il Tar che “ Di regola, chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una gara di appalto non è legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita; a tale regola generale può tuttavia derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e, cioè, quando: a) si contesti in radice l’indizione della gara; b) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’Amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; c) si impugnino direttamente le clausole del bando, assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti. Ai sensi dell’art. 51 del d.lgs. 50/2016 (il quale – al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese – prevede che le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali ovvero in lotti prestazionali), per «lotto funzionale» si intende uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, ovvero parti di un lavoro o servizio generale la cui progettazione e realizzazione sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti e per «lotto prestazionale», uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, definito su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti o in conformità alle diverse fasi successive del progetto. L’attenuazione dell’obbligo della suddivisione in lotti è subordinata all’esternazione di una specifica e congrua motivazione che dia conto dei vantaggi economici e/o tecnico-organizzativi derivanti dall’opzione del lotto unico ed espliciti le ragioni per cui detti obiettivi siano prevalenti sull’esigenza di garantire l’accesso alle pubbliche gare ad un numero quanto più ampio di imprese e in particolare alle imprese di minori dimensioni; si tratta di espressione di scelta discrezionale, sindacabile solo nei limiti della ragionevolezza e proporzionalità.</p> <p style="text-align: justify;">La motivazione del provvedimento non può essere validamente integrata in giudizio, costituendo la stessa, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale, il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 l. n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990. Tale principio vale, a maggior ragione, per il caso in cui l’integrazione giudiziale sia fondata su scritti difensivi, in quanto non promananti dall’organo della competente amministrazione, e riguardi un’attività connotata da ampia discrezionalità quale è quella inerente la valutazione della ragioni che possono supportate la mancata suddivisione in lotti di un pubblico appalto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce la sentenza della IV sezione del TAR Lombardia n. 2306 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui la mancata comunicazione di avvio del procedimento degrada da causa di illegittimità a mera irregolarità non invalidante, ogniqualvolta l'Amministrazione dimostri che in concreto il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso.</p> <p style="text-align: justify;">Ne deriva che, in caso di mancata indicazione separata dei costi della manodopera, correttamente l’Amministrazione ha dichiarato l’esclusione dell’Impresa concorrente, non avendo quest’ultima adempiuto ad un preciso obbligo legislativo.</p> <p style="text-align: justify;">I costi della manodopera costituiscono, infatti, elemento essenziale dell'offerta, in quanto la loro indicazione consente di verificare la salvaguardia dei livelli retributivi minimi dei lavoratori; di conseguenza, la mancata quantificazione del costo della manodopera rende incompleta l'offerta, senza che sia possibile attivare il soccorso istruttorio non trattandosi della carenza di meri elementi formali della domanda di partecipazione. Trattandosi di norma imperativa, l'articolo 95, comma 10, D.Lgs. n. 50 del 2016 va a eterointegrare la <em>lex specialis</em> di gara, rendendo vigente e cogente l'obbligo anche ove non espressamente previsto.</p> <p style="text-align: justify;">Questa ricostruzione del quadro normativo ha trovato l'avallo dell'Adunanza plenaria, che, nel rimettere alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione di conformità della disciplina nazionale ai pertinenti principi e disposizioni eurounitari, ha ritenuto che l'articolo 95, comma 10, D.Lgs. n. 50 del 2016 debba essere interpretato nel senso che "<em>la mancata puntuale indicazione in sede di offerta dei costi della manodopera comporti necessariamente l'esclusione dalla gara e che tale lacuna non sia colmabile attraverso il soccorso istruttorio</em>", con la conseguenza che "<em>siccome l'obbligo di separata indicazione di tali costi è contenuto in disposizioni di legge dal carattere sufficientemente chiaro per gli operatori professionali, la mancata riproduzione di tale obbligo nel bando e nel capitolato della gara non potrebbe comunque giovare a tali operatori in termini di scusabilità dell'errore</em>" (ordinanze nn. 1, 2 e 3 del 2019).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Prima della legge 15.05, in che modo si è tentato di superare le rigidità “<em>formali</em>” della legge 241.90 e con quali critiche?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="241"> <li>attraverso il principio <strong>sostanziale</strong> della c.d. <strong>strumentalità delle forme</strong>: viene fatto proprio dal c.d. <strong>orientamento antiformalista</strong> della giurisprudenza amministrativa, che fa leva sulla <strong>interpretazione delle regole formali</strong> contenute nella <strong>legge 241.90</strong>, da leggersi in <strong>ottica sostanziale</strong> e guardando allo <strong>scopo di tutela</strong> con esse <strong>perseguito</strong> (c.d. <strong>raggiungimento dello scopo</strong>); in sostanza laddove lo <strong>scopo della norma formale violata</strong> sia stato <strong>comunque raggiunto</strong> attraverso uno <strong>strumento diverso</strong> da quello <strong>prescritto dalla legge 241.90</strong>, il provvedimento formalmente viziato <strong>non può assumersi illegittimo</strong>, dacché la norma di legge è stata <strong>solo in apparenza violata</strong>, essendone tuttavia stata <strong>rispettata la ratio di fondo</strong>; ciò sempre che la norma violata <strong>prescriva una forma</strong> in qualche modo “<strong><em>fungibile</em></strong>”, e non anche nei <strong>diversi casi</strong> in cui essa risulti <strong>imposta</strong>, <strong>vincolata</strong> e dunque <strong>sostanzialmente indefettibile</strong> nell’ottica del <strong>perseguimento dell’interesse privato</strong> che ne è destinatario (c.d. “<strong><em>forma infungibile</em></strong>”); esempio classico di <strong>forma fungibile</strong> è quello del <strong>procedimento</strong> del quale la PA <strong>non abbia comunicato l’avvio</strong>, ma del quale il privato <strong>abbia avuto <em>aliunde</em> conoscenza</strong>, come più evidentemente nell’ipotesi in cui il ridetto procedimento abbia avuto <strong>abbrivio</strong> da <strong>un’istanza del privato medesimo</strong>;</li> <li>attraverso la <strong>valorizzazione</strong>, in ottica <strong>processuale</strong>, dell’<strong>interesse ad agire</strong> <strong>“<em>sostanzialmente</em>” inteso</strong>: chi <strong>spicca ricorso</strong> avverso un <strong>atto amministrativo</strong> facendo valere un <strong>vizio formale</strong> deve comunque avere, <strong>sotteso</strong> al proprio gravame, <strong>l’interesse a ricorrere</strong> in vista <strong>dell’annullamento</strong> del provvedimento medesimo; <strong>interesse</strong> che, secondo questa tesi, va <strong>scandagliato</strong> in ragione dell’<strong>utilità concretamente ritraibile</strong> dal ricorrente <strong>a valle dell’annullamento</strong> dell’atto, del <strong>pertinente giudicato</strong> e della <strong>riedizione del potere pubblico</strong> ad esso successiva; qualora la PA <strong>possa rifare il procedimento</strong> semplicemente <strong>emendandolo dal vizio formale</strong> che in precedenza lo affettava, ma adottando infine un <strong>provvedimento egualmente sfavorevole</strong> al privato, quest’ultimo, <strong>riguardato <em>ex ante</em></strong>, <strong>non</strong> può assumersi avere <strong>interesse a ricorrere</strong> avverso un provvedimento che, <strong>pur formalmente viziato</strong>, appare nondimeno <strong>“<em>giusto</em>” </strong>e<strong> sostanzialmente corretto</strong>; tipico il caso di un <strong>procedimento formalmente viziato</strong>, e dunque di un <strong>provvedimento finale formalmente illegittimo</strong>, che sia tuttavia <strong>espressione</strong> di un <strong>potere vincolato</strong>, non potendo in queste ipotesi il privato ricorrente ottenere una <strong>valutazione di compatibilità</strong> del proprio interesse con quello pubblico <strong>diversa</strong> da quella <strong>già operata dall’Amministrazione</strong> con <strong>l’atto</strong> (formalmente viziato, ma sostanzialmente corretto) <strong>oggetto del ricorso</strong>;</li> <li>le critiche dei “<strong><em>formalisti</em></strong>” si appuntano, in entrambi i casi, sulla <strong>dequotazione del principio di legalità</strong> che ne è scaturita, massime laddove la giurisprudenza si è spinta a <strong>valorizzare la correttezza sostanziale</strong> “<strong><em>in ogni caso</em></strong>” dell’assetto di interessi raggiunto dalla PA con il provvedimento adottato, <strong>del tutto pretermettendo</strong> una <strong>verifica degli interessi privati</strong> la cui <strong>tutela</strong> <strong>è sottesa alla norma formale violata</strong>; in sostanza, si contesta il <strong>netto ridimensionamento</strong> della <strong>cogenza degli obblighi formali e procedimentali</strong> e, con essi, della <strong>legge che li prescrive</strong>, con <strong>eccessivo conculcamento</strong> dei c.d. <strong>interessi procedimentali</strong> e dello stesso <strong>interesse della PA ad una “<em>buona amministrazione</em></strong>”, quale <strong>scopo precipuo</strong> del varo della stessa legge 241.90; su altro versante, quel <strong>confronto tra pubblico e privato</strong> che la legge 90 ha voluto <strong>nel procedimento</strong> viene surrettiziamente sposata <strong>nel processo</strong>, con un <strong>ruolo eccessivo affidato al giudice</strong> dietro lo schermo da un lato del <strong>raggiungimento dello scopo</strong> e dall’altro dell’<strong>interesse ad agire</strong>, e con il rischio <strong>financo di valutazioni di merito</strong> dalla legge <strong>riservate alla PA</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa occorre rammentare in generale sull’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la norma opera <strong>sul crinale processuale</strong> e, dunque, quando <strong>la PA è stata chiamata innanzi al GA</strong>, <strong>limitandone</strong> l’area di <strong>possibile annullabilità</strong> del <strong>provvedimento aggredito</strong>;</li> <li>il GA è messo dalla norma nelle condizioni di verificare <strong>quale efficienza causale</strong> abbia prodotto il <strong>vizio formale e procedimentale</strong> sul <strong>contenuto sostanziale</strong> del provvedimento sottoposto al relativo <strong>giudizio</strong>;</li> <li>laddove il <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento <strong>cristallizzi</strong>, in <strong>concreto</strong> e sul <strong>piano sostanziale</strong>, un <strong>assetto di interessi pubblico-privato</strong> che risulti <strong>non essere stato comunque inciso</strong> dal vizio formale o procedimentale, il GA <strong>non può annullare</strong> il provvedimento divisato;</li> <li>il GA viene dunque chiamato ad un <strong>giudizio prognostico</strong>, ponendosi in condizioni di <strong>assenza del vizio formale</strong> denunciato dal privato in sede di ricorso e verificando <strong>quale delle due possibili opzioni</strong> si sia verificata, con <strong>effetti diversi</strong>: d.1) il provvedimento <strong>avrebbe avuto un diverso contenuto dispositivo</strong>, cristallizzando un <strong>diverso assetto di interessi pubblico-privato</strong>: in questo caso il provvedimento <strong>deve essere annullato</strong>; d.2) il provvedimento <strong>non avrebbe comunque avuto</strong> un <strong>diverso contenuto dispositivo</strong>, cristallizzando il <strong>medesimo assetto di interessi</strong> <strong>pubblico-privato</strong>: in questo caso il provvedimento <strong>non può essere annullato</strong>;</li> <li>il GA deve dunque <strong>far prevalere la sostanza sulla forma</strong>, verificando se il <strong>vizio formale</strong> abbia <strong>causalmente prodotto una lesione</strong> dell’<strong>interesse sostanziale</strong> del privato, lasciando <strong>in vita</strong> il provvedimento tutte le volte in cui esso <strong>affiori in sede processuale</strong> essere <strong>corretto</strong> sul <strong>crinale sostanziale</strong>, quantunque <strong>viziato</strong> da <strong>illegittimità formale</strong>;</li> <li>la preponderanza del <strong>contenuto sostanziale</strong> del provvedimento sul relativo <strong>assetto formale</strong> asseconda la <strong>tendenza normativa e pretoria</strong> alla identificazione dell’<strong>oggetto del processo amministrativo</strong> nel <strong>rapporto</strong> assai più che nell’<strong>atto che lo riassume</strong>;</li> <li>in altri termini, qualora la valutazione di <strong>incompatibilità dell’interesse privato con quello pubblico</strong> operata dalla PA <strong>con l’atto aggredito</strong> in sede giurisdizionale sia <strong>sostanzialmente corretta</strong>, l’eventuale <strong>vizio formale</strong> che affetti il provvedimento <strong>non può mettere in discussione</strong> la ridetta <strong>valutazione di incompatibilità</strong> siccome compiuta <em>ex parte publica</em>;</li> <li>sul <strong>significato più autentico</strong> della “<strong><em>non annullabilità</em></strong>” dell’atto amministrativo si fronteggiano fondamentalmente <strong>2 tesi</strong>; h.1) tesi <strong>sostanziale</strong>: l’atto è “<strong><em>non annullabile</em></strong>” perché <strong>non illegittimo</strong>, i <strong>vizi “<em>non invalidanti</em>”</strong> che lo affettano <strong>non inducendone</strong> appunto la <strong>illegittimità</strong>; la riforma del 2005, secondo questa opzione ermeneutica, ha sviluppato una <strong>disciplina sostanziale</strong> della <strong>invalidità amministrativa</strong> affiancando alla <strong>tradizionale categoria dei vizi invalidanti</strong> (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, ex art.21 octies <strong>comma 1</strong>) una categoria di <strong>vizi “<em>non invalidanti</em>”</strong> (quelli appunto previsti dal <strong>comma 2</strong> dell’art.21 octies); il provvedimento adottato in <strong>violazione di norme sulla forma o sul procedimento</strong> è da questo punto di vista un provvedimento <strong>sostanzialmente corretto</strong>, trovandosi al cospetto, a seconda delle diverse visioni, di <strong>mere irregolarità</strong>, ovvero di un meccanismo di <strong>sanatoria <em>ex lege</em> dell’atto viziato</strong>, ovvero ancora di un meccanismo di <strong>sanatoria</strong> che, pur <strong>consumandosi nel processo</strong>, produce tuttavia <strong>effetti sostanziali</strong>; le critiche a questa impostazione muovono dalla <strong>sottrazione di contenuto precettivo</strong> che essa implica in relazione alle <strong>norme di legge</strong> che prescrivono <strong>regole formali e procedurali</strong> che, nel prevedere obblighi per l’appunto “<strong><em>formali</em></strong>” o <strong>meramente procedimentali</strong>, restano <strong>del tutto prive di sanzione</strong>, così <strong>disincentivandosi</strong> nella sostanza la PA al <strong>relativo rispetto</strong> con <strong><em>vulnus</em> inferto a</strong>ll’<strong>97 Cost.</strong> ed ai canoni di <strong>trasparenza dell’azione pubblica</strong> e di <strong>partecipazione democratica</strong> (siccome ispiranti l’originario testo della legge 241.90) in esso iscritti; peraltro, pur risultando la PA <strong>inadempiente a precisi obblighi</strong> (pur formali) <strong>legislativamente</strong> prescritti, la <strong>mancanza di sanzione</strong> finirebbe in sostanza col <strong>sottrarre margini di tutela al privato</strong>, con <strong>sospetta incostituzionalità </strong>anche per violazione degli articoli <strong>24, 103 e 113</strong> Cost.; h.2) tesi processuale: l’atto “<strong><em>non annullabile</em></strong>” resta in realtà <strong>illegittimo</strong>, e la <strong>dinamica</strong> che ne produce la “<strong><em>non annullabilità</em></strong>” è <strong>tutta processuale</strong>, avendo <strong>inciso</strong> la riforma del 2005 sulla <strong>configurazione degli giudizio impugnatorio</strong> innanzi al <strong>GA</strong>, onde se di <strong>sanatoria</strong> può discorrersi, essa ha in realtà <strong>natura esclusivamente processuale</strong>, esaurendo la propria dinamica <strong>in seno al processo amministrativo</strong> laddove <strong>atti illegittimi</strong>, ma viziati dalla violazione di <strong>norme sul procedimento o sulla forma</strong> degli atti, <strong>non sono tali dal dispensare</strong> il GA dall’<strong>istruttoria</strong> necessaria alla verifica della <strong>infondatezza della pretesa sostanziale</strong> fatta valere nel caso di specie dal ricorrente; da questo punto di vista, il legislatore del 2005 altro non ha fatto che <strong>codificare</strong> le <strong>soluzioni già abbracciate dalla giurisprudenza amministrativa</strong> attraverso la valorizzazione del <strong>canone del raggiungimento dello scopo</strong>, capace come tale di <strong>limitare il potere di annullamento</strong> del GA per <strong>soli vizi formali,</strong> laddove <strong>il risultato</strong> di cui alle <strong>norme violate</strong> sia stato <strong>comunque raggiunto</strong>; l’atto impugnato dal ricorrente <strong>resta illegittimo</strong>, ma il <strong>sistema processuale</strong> consente di <strong>non annullarlo</strong> laddove tale caducazione <strong>non sia tale da poter spiegare effetti positivi</strong> nella <strong>sfera giuridica</strong> del ricorrente che lo ha impugnato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come va qualificato più precisamente l’atto “<em>non annullabile</em>” di cui all’art.21 octies, comma 2, della legge 241.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è un <strong>atto legittimo sin dall’origine</strong>, e solo <strong>irregolare</strong>, il legislatore del 2005 avendo appunto <strong>dequotato</strong> i vizi formali o procedimentali a <strong>mere irregolarità non vizianti </strong>(c.d. “<strong><em>anormalità minori</em>”</strong>, secondo la definizione di Giannini); si tratta di una tesi che viene <strong>criticata</strong> da chi fa osservare che il vizio di <strong>omessa comunicazione di avvio del procedimento</strong>, il quale attiene alla <strong>instaurazione del contraddittorio</strong> procedimentale tra PA e privato, <strong>non può</strong> essere assunto quale <strong>vizio non grave</strong> e “<strong><em>non invalidante</em></strong>” al punto da assurgere a <strong>mera irregolarità</strong> nel contesto di una <strong>legge</strong> come quella che disciplina per l’appunto <strong>il procedimento amministrativo</strong>, mentre le <strong>vere</strong> <strong>mere irregolarità</strong> si caratterizzano proprio per la <strong>lieve difformità</strong> dell’atto dallo <strong>schema legale</strong> che lo prevede, senza <strong>incidere in alcun modo</strong> sul <strong>processo decisionale</strong> della PA; peraltro l’art.<strong>21 octies</strong> prevede sempre, a fini di “<strong><em>non annullabilità</em></strong>” (per <strong>presunta irregolarità</strong>), una <strong>verifica <em>ex post</em> ed in concreto</strong> da parte del GA, dalla quale affiori che l’atto <strong>non avrebbe potuto avere un diverso contenuto dispositivo</strong> anche laddove la <strong>norma formale o procedimentale</strong> fosse stata <strong>ritualmente osservata</strong> (c.d. <strong>prova di resistenza</strong>), e ciò è <strong>tutto l’opposto</strong> di quanto accade in presenza di <strong>vere mere irregolarità</strong>, che affiorano <strong>già da un confronto astratto ed <em>ex ante</em></strong> tra legge e provvedimento, connotandosi quest’ultimo per <strong>una anomalia di scarsa rilevanza</strong> rispetto allo <strong>schema legale</strong>, come tale <strong>immediatamente evidente</strong>;</li> <li>è un atto <strong>illegittimo</strong> che, tuttavia, <strong>ha raggiunto il proprio scopo </strong>sul piano<strong> sostanziale</strong>, in null’altro risolvendosi <strong>l’art.21 octies, comma 2</strong>, legge 241.90 se non in una <strong>particolare applicazione</strong> dei <strong>due principi generali</strong>, rispettivamente, della <strong>strumentalità delle forme</strong> (rispetto alla sostanza) e di <strong>conservazione degli effetti degli atti giuridici</strong>; la legge <strong>05</strong>, secondo questa tesi, ha introdotto <strong>nuovi obblighi formali</strong> e <strong>nuovi istituti di ascendenza procedimentale</strong>, con ulteriore <strong>rafforzamento</strong> dei <strong>principi fondamentali dell’azione amministrativa</strong>, tra i quali appunto il principio del <strong>giusto procedimento</strong>, che “<strong><em>si nutre</em></strong>” di <strong>norme formali</strong> (come dimostra la <strong>nuova formulazione dell’art.8</strong> e l’<strong>introduzione dell’art.10.bis</strong> nel corpo della legge 241.90); con la conseguenza onde il <strong>medesimo intervento legislativo</strong> non può <strong>contraddittoriamente</strong> assumersi aver <strong>dequotato l’illegittimità</strong> dell’atto amministrativo <strong>formalmente invalido</strong> per vizi, per l’appunto, <strong>formali o procedimentali</strong>; qualora tuttavia si dimostri che il vizio formale o procedimentale <strong>non ha inciso sulla sostanza</strong> del provvedimento adottato, pur dovendosi il ridetto provvedimento <strong>assumere illegittimo</strong> <strong>ed invalido</strong>, campeggia appunto <strong>l’art.21 octies, comma 2, a regolarne gli effetti dell’invalidità</strong> in modo <strong>analogo</strong> a quanto fa, in campo <strong>processuale civile</strong>, l’<strong>art.156, comma 3</strong>, c.p.c., con conseguente <strong>esclusione</strong> del <strong>precipitato caducatorio</strong> allorché l’atto abbia <strong>comunque raggiunto</strong> lo <strong>scopo</strong> previsto dalla legge, che tuttavia va inteso <strong>in senso ampio</strong> quale <strong>scopo dell’azione amministrativa</strong> ad un <strong>(sostanzialmente) corretto assetto</strong> degli interessi <strong>pubblici e privati</strong>; si tratta di una tesi che – <strong>prima</strong> dell’introduzione dell’<strong>art.21 octies</strong> nella legge 241.90 – è stata <strong>a lungo applicata</strong> dalla giurisprudenza a quel <strong>particolare vizio</strong> che si compendia nella <strong>mancata comunicazione di avvio del procedimento</strong> (laddove il privato destinatario <strong>ne abbia comunque avuto <em>aliunde</em> notizia</strong>), e che viene <strong>criticata</strong> proprio perché in realtà essa <strong>si riferisce</strong> (in modo “<strong><em>parcellizzato</em></strong>”) allo <strong>scopo</strong> perseguito dal <strong>singolo atto del procedimento</strong> di volta in volta considerato (e viziato), mentre <strong>l’art.21 octies</strong> non si limita a richiedere al GA <strong>la verifica se</strong>, a fronte di una <strong>violazione formale o procedimentale</strong>, lo <strong>scopo della norma</strong> (formale o procedimentale) violata sia stato <strong>raggiunto</strong> dal <strong>singolo atto viziato</strong> (come fa l’art.156 c.p.c.), quanto piuttosto, ed in modo <strong>assai</strong> <strong>più ampio</strong>, se il provvedimento finale <strong>in concreto adottato</strong>, ancorché <strong>formalmente viziato</strong>, sia <strong>intrinsecamente corretto</strong> e <strong>sostanzialmente conforme</strong> al pertinente <strong>paradigma normativo</strong>: in sostanza, il GA “<strong><em>non deve annullare</em>”</strong> non già <strong>solo se</strong> verifica che <strong>l’interesse strumentale</strong> sotteso alla <strong>singola norma formale o procedimentale violata</strong> sia risultato <strong>comunque non conculcato</strong>, ma anche laddove, pur affiorando <strong>essere stato conculcato il singolo interesse strumentale</strong> (di tipo formale o procedimentale), <strong>non risulti comunque</strong> esserlo stato <strong>l’interesse sostanziale</strong> del privato ricorrente per avere la PA <strong>correttamente operato</strong> in termini di <strong>assetto degli interessi pubblici e privati</strong> coinvolti nella <strong>singola vicenda amministrativa</strong>, <strong>senza possibili alternative</strong> (del resto, si precisa, laddove un atto del procedimento <strong>abbia comunque raggiunto lo scopo</strong> ad esso assegnato dalla legge, scatta <strong>il pertinente principio</strong> appunto di “<strong><em>raggiungimento dello scopo</em></strong>”, <strong>senza</strong> <strong>dover scomodare</strong> l’art.<strong>21 octies</strong> della legge 241.90);</li> <li>è un atto che <strong>nasce illegittimo</strong> e che tuttavia <strong>viene reso destinatario di una sanatoria</strong>, o <strong>convalida <em>ex lege</em></strong>, giacché <strong>l’illegittimità formale o procedimentale</strong> della PA – attraverso il <strong>meccanismo</strong> scolpito <strong>all’art.21 octies, comma 2</strong>, della legge 241.90 – viene appunta <strong>sanata</strong> giusta <strong>convalida</strong> attraverso l’adozione <strong>in concreto</strong> di un <strong>provvedimento sostanzialmente privo di possibili alternative</strong>, assistendosi dunque ad una <strong>sanatoria</strong>, giusta <strong>provvedimento sostanzialmente corretto</strong>, di <strong>vizi meramente formali</strong>; si è dunque al cospetto di un <strong>procedimento illegittimo</strong> che <strong>esita</strong> in un <strong>provvedimento finale sanante</strong>, laddove affiori in giudizio che <strong>anche in difetto del vizio formale o procedimentale</strong> il provvedimento medesimo <strong>non avrebbe potuto avere un contenuto diverso</strong>; proprio perché la PA, adottando il provvedimento finale, ha inteso <strong>sanare il vizio procedimentale</strong>, essa <strong>non può poi annullarlo neppure in autotutela</strong>, non potendo “<strong><em>venire contra factum proprium</em></strong>”; discende da questa impostazione che la PA <strong>può adempiere</strong> agli <strong>obblighi formali e procedimentali</strong> di cui alla legge 241.90 ovvero, in <strong>surroga</strong>, adottare un <strong>provvedimento finale sostanzialmente corretto</strong> che <strong>provi essere non sostituibile</strong> con <strong>altri di contenuto diverso</strong>, ad effetto <strong>convalidante e sanante</strong>; si tratta di una tesi <strong>criticata</strong> da chi ritiene <strong>in frizione con la Costituzione</strong> la configurazione di una <strong>invalidità</strong> alla quale <strong>non segue alcun tipo di sanzione</strong>; inoltre, tale opzione ermeneutica presuppone che <strong>la PA sia sempre a conoscenza</strong> del <strong>vizio</strong> formale o procedimentale che <strong>affetta il provvedimento finale</strong>, mentre può ben darsi che <strong>ciò non sia</strong> senza che <strong>mutino gli effetti di non annullabilità</strong> del provvedimento medesimo; peraltro, se il <strong>provvedimento finale è “<em>sanante</em>”</strong> rispetto ai <strong>vizi formali infra-procedimentali</strong>, <strong>non</strong> potrebbe predicarsi “<strong><em>sanante di sé stesso</em></strong>” laddove il vizio formale <strong>lo affetti direttamente</strong>, senza atteggiarsi a <strong>precipitato di un vizio formale affiorato nel corso del procedimento</strong>; sul crinale poi della <strong>teoria generale,</strong> la sanatoria, anche sub specie di <strong>convalida</strong>, presuppone che <strong>un elemento mancante</strong> nell’atto sanato <strong>sopraggiunga <em>ex post</em></strong>, ma <strong>non si tratta</strong> della previsione di cui all’<strong>21 octies, comma 2</strong>, della legge 241.90, che non scolpisce appunto <strong>nessuna acquisizione <em>ex post</em> di elementi mancanti</strong> nel provvedimento, con effetto di <strong>sanatoria</strong>;</li> <li>secondo la <strong>tesi più accreditata</strong>, è <strong>un atto</strong> che <strong>non è annullabile</strong> perché ha <strong>raggiunto il risultato</strong> previsto dalla <strong>legge</strong>, così <strong>elidendo</strong> – sul crinale <strong>processuale</strong> – <strong>l’interesse a ricorrere</strong> del privato che se ne assuma leso; allorché, <strong>pur essendo state violate le norme</strong> sulla <strong>forma</strong> o sul <strong>procedimento</strong>, risulti la <strong>sostanziale correttezza</strong> del provvedimento finale, onde <strong>anche in assenza</strong> delle ridette violazioni esso <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong>, l’atto in parola <strong>ha raggiunto il risultato</strong> prefisso dalla legge e come tale si palesa appunto <strong>non annullabile</strong>; proprio per questo motivo il privato <strong>non ha alcun interesse</strong> all’<strong>annullamento del provvedimento</strong> (formalmente o procedimentalmente viziato) giacché <strong>a valle dell’accoglimento del ricorso</strong> la PA dovrebbe <strong>riaprire il procedimento</strong> per giungere, appunto, al <strong>medesimo risultato già raggiunto</strong> dall’atto viziato dal punto di vista formale o procedimentale; interpretare <strong>in modo formalistico</strong> gli obblighi procedimentali può implicare <strong>rischi</strong> per la <strong>stabilità dell’azione amministrativa</strong>, onde solo la <strong>posizione sostanziale</strong> del privato ricorrente <strong>merita tutela</strong> se si vuole <strong>andargli incontro</strong> e scongiurare <strong>a lui medesimo pregiudizi</strong>, dacché l’annullamento dell’atto <strong>per vizi formali o procedimentali</strong> finisce con l’implicare non solo <strong>spreco di ulteriore attività amministrativa</strong>, ma anche <strong>allungamento dei tempi</strong> in vista di una <strong>tutela sostanziale</strong> che al privato <strong>non potrebbe comunque mai giungere</strong> (il provvedimento affiorando in giudizio essere <strong>sostanzialmente corretto</strong>); poiché, da un <strong>punto di vista “<em>globale</em>”</strong>, <strong>non vi è alternativa</strong> al provvedimento adottato dalla PA sul <strong>crinale sostanziale</strong> (anche <strong>in disparte</strong>, sul crinale “<strong><em>parcellizzato</em></strong>”, il <strong>raggiungimento</strong> o il <strong>mancato raggiungimento</strong> dello <strong>scopo</strong> delle norme violate in ambito <strong>formale o procedimentale</strong>), la <strong>sentenza che chiude</strong> il processo innanzi al <strong>GA</strong> è una sentenza <strong>processuale</strong> di <strong>inammissibilità del ricorso</strong> per <strong>carenza di interesse ad agire</strong>, dacché anche in caso di <strong>osservanza della norma formale o procedimentale</strong> <strong>violata</strong> il provvedimento <strong>non potrebbe che essere quel medesimo</strong> impugnato dal privato; trattandosi peraltro del <strong>difetto</strong> di una <strong>condizione dell’azione</strong>, vale a dire <strong>l’interesse ad agire</strong>, la <strong>verifica di relativa sussistenza</strong> rientra nei <strong>poteri officiosi del GA</strong>, che dunque può <strong>procedere ad accertare</strong> se sia <strong>applicabile l’art.21 octies</strong> della legge 241.90 <strong>d’ufficio</strong>; la <strong>permanente illegittimità</strong> del provvedimento, pur <strong>non essendo</strong> esso <strong>annullabile</strong> per <strong>difetto di interesse ad agire in caducazione </strong>da parte del ricorrente, <strong>non esclude</strong> poi <strong>diverse forme di possibile tutela</strong>, e segnatamente la <strong>tutela risarcitoria</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa occorre rammentare in particolare dell’art.21 <em>octies</em>, comma 2, parte I, della legge 241.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il provvedimento è <strong>solo “<em>formalmente</em>” viziato</strong> ed è adottato <strong>nell’esercizio di un potere vincolato</strong>; in questi casi viene consentito al GA di <strong>sostituirsi all’Amministrazione</strong> che dovrebbe <strong>riadottare</strong> il provvedimento <strong>“<em>formalmente</em>” viziato</strong>, <strong>non caducandolo</strong>; dovendo risultare <strong>palese</strong> che il <strong>contenuto dispositivo</strong> dell’atto <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong> rispetto a quello dell’atto <strong>“<em>formalmente</em>” viziato</strong>, parte della dottrina assume <strong>applicabile</strong> l’art.21 octies, comma 2, parte I <strong>solo</strong> allorché il legislatore abbia configurato un <strong>potere della PA totalmente vincolato</strong> (nell’<strong><em>an</em></strong>, nel <strong><em>quid</em></strong>, nel <strong><em>quando</em></strong> e nell’<strong><em>ad quem</em></strong>, ovvero nel <strong>destinatario</strong>), con la conseguenza onde la ridetta norma <strong>non sarebbe applicabile</strong> nelle ipotesi in cui occorrano <strong>verifiche approfondite</strong>, <strong>accertamenti tecnici complessi</strong> e, più in generale, dispendio di c.d. <strong>discrezionalità tecnica</strong>; non manca chi esprime <strong>minor rigore</strong>, muovendo dalla recente <strong>introduzione nel processo amministrativo</strong> della <strong>consulenza tecnica</strong> ed evincendone la possibilità per il GA di <strong>accedere al fatto</strong> andando <strong>oltre le produzioni documentali delle parti</strong> anche giusta <strong>assunzione di prove</strong> che gli consenta di <strong>giungere alla conclusione</strong> onde è “<strong><em>palese</em></strong>” che la <strong>soluzione di diritto</strong> espressa dalla PA <strong>non potrebbe che essere quella già inscritta</strong> nel provvedimento (formalmente viziato) sottoposto al <strong>relativo giudizio</strong>; anche questa opzione ermeneutica <strong>meno rigorosa</strong> in punto di configurazione di un <strong>potere “<em>vincolato</em>”</strong> della PA predica nondimeno il <strong>rispetto</strong> da un lato del principio della <strong>separazione dei poteri</strong> (onde il GA può limitarsi ad <strong>acclarare solo “<em>fatti semplici</em>”</strong> che “<strong><em>sono</em></strong>” o “<strong><em>non sono</em></strong>”, la <strong>valutazione di “<em>fatti complessi</em>”</strong> restando invece <strong>appannaggio dell’Amministrazione</strong> proprio laddove non si tratta solo di <strong>accertare se qualcosa esiste o non esiste</strong>, ma piuttosto di <strong>valutarlo</strong>) e, dall’altro, del <strong>principio dispositivo</strong>, onde laddove dalle <strong>allegazioni delle parti</strong> risulti la <strong>indefettibilità del provvedimento <em>de quo</em></strong> (che dunque <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong> nel relativo contenuto dispositivo) il GA <strong>può direttamente “<em>non annullare</em>”</strong>, mentre in tutti gli altri casi <strong>saranno le parti interessate medesime</strong> (PA resistente o controinteressato) a dover dare <strong>la prova</strong> che l’atto che <strong>il ricorrente vorrebbe annullare</strong> risulta in realtà “<strong><em>non annullabile</em></strong>”; non è poi mancato chi <strong>si è spinto oltre</strong> e – facendo leva sul disposto di cui alla <strong>II parte della norma</strong>, laddove si ammette una “<strong><em>prova di resistenza</em></strong>” in termini di “<strong><em>non annullabilità</em></strong>” del provvedimento <strong>financo</strong> in presenza di <strong>atti discrezionali</strong> (seppure con riguardo al solo vizio di <strong>mancata comunicazione di avvio del procedimento</strong>) – ha ammesso una <strong>interpretazione ancora più blanda</strong> della <strong>natura “<em>vincolata</em>” del potere</strong> speso dalla PA, ammettendo l’operatività della non annullabilità <strong>per “<em>vincolatezza</em>” del potere</strong> anche laddove siano <strong>necessari</strong> per il relativo esercizio <strong>accertamenti o valutazioni tecniche complesse</strong>, rammentando come i <strong>provvedimenti meramente dichiarativi</strong> di <strong>effetti già prodotti dalla legge</strong> rappresentino una <strong>rara eccezione</strong> (<strong>collocamento a riposo di pubblici dipendenti</strong> per <strong>raggiunti limiti di età</strong>; <strong>repressione</strong> di <strong>abusi edilizi</strong>; <strong>espulsione</strong> di <strong>cittadini non comunitari</strong> dal territorio nazionale e così via); si è giunti financo ad ammettere la <strong>natura vincolata di atti</strong> che siano <strong><em>ab origine</em> discrezionali</strong>, ma in relazione ai quali la PA <strong>si sia poi autovincolata</strong> emanando ad esempio <strong>un bando di gara</strong>, ovvero abbia varato un <strong>accordo integrativo</strong> o addirittura <strong>sostitutivo</strong> di provvedimento, tutte circostanze nelle quali si afferma <strong>avere la PA ponderato “<em>a monte</em>”</strong> gli interessi pubblico e privato, così <strong>consentendo “<em>a valle</em>”</strong> al GA, dinanzi ad un <strong>vizio formale o procedimentale</strong>, di “<strong><em>non annullare</em></strong>” l’atto sottopostogli dal ricorrente (un nuovo atto <strong>giammai potendosene palesare diverso</strong> nel relativo <strong>contenuto dispositivo</strong>);</li> <li>il <strong>provvedimento (vincolato) non annullabile,</strong> è viziato da <strong>norme sul procedimento o sulla forma</strong> degli atti; anche se la disposizione <strong>non pone distinzioni</strong> e dunque sembra essere <strong>generalizzante</strong>, la dottrina – seguita dalla giurisprudenza – fa riferimento alla <strong>distinzione</strong> che il <strong>diritto europeo</strong> opera tra “<strong><em>forme formali</em></strong>” e “<strong><em>forme sostanziali</em></strong>”, o a quella <strong>analoga</strong>, elaborata dalla <strong>giurisprudenza francese</strong>, tra “<strong><em>formalità non sostanziali”</em></strong> e “<strong><em>formalità sostanziali</em>”</strong>, onde solo allorché si sia al cospetto di <strong>forme formali</strong> o di <strong>formalità non sostanziali</strong> è <strong>realmente predicabile la non annullabilità</strong> del provvedimento; laddove invece si sia al cospetto di <strong>forme sostanziali</strong> o <strong>formalità sostanziali</strong>, il provvedimento <strong>resta annullabile</strong> e ciò in quanto il legislatore, nel prevedere quel <strong>dato adempimento formale</strong>, lo ha assunto <strong>insurrogabile ed indefettibile</strong> al fine di garantire uno <strong>specifico interesse</strong> del <strong>soggetto privato</strong> coinvolto nel procedimento; a.1) un <strong>vizio formale</strong> appare essere quello <strong>motivazionale</strong>, che <strong>prima dell’avvento della legge 241.90</strong> rileva in termini di <strong>annullabilità per eccesso di potere</strong>, stante la <strong>esplicita presa di posizione giurisprudenziale</strong>, nel solo caso di <strong>provvedimenti discrezionali</strong> (al fine di garantire il <strong>corretto esercizio del potere discrezionale</strong> medesimo ed il successivo <strong>sindacato in sede giurisdizionale</strong> su sollecitazione del privato), mentre con <strong>l’avvento dell’art.3</strong> della legge 241.90 esso <strong>rileva in sé</strong>, quale <strong>vizio di violazione di legge</strong>, sia in presenza di <strong>provvedimenti discrezionali</strong> che di <strong>provvedimenti vincolati</strong>; onde sia in presenza di un <strong>esercizio corretto</strong> che di un <strong>esercizio scorretto del potere amministrativo</strong>, quantunque <strong>vincolato</strong>, il vizio motivazionale <strong>sembra ormai rilevare <em>ex se</em></strong>, quale strumento di <strong>responsabilizzazione</strong> degli organi pubblici, di <strong>trasparenza</strong> dell’azione amministrativa e di <strong>garanzia di tutela giurisdizionale</strong> del privato interlocutore della PA; proprio questa parabola diacronica <strong>divide la dottrina e la giurisprudenza</strong> tra chi (orientamento <strong>meno accreditato</strong>) ritiene quello motivazionale un <strong>vizio afferente alle “<em>forme formali</em>”</strong>, e dunque una <strong>mera irregolarità</strong> “<strong><em>non invalidante</em></strong>”, peraltro <strong>sanabile dalla PA</strong> in corso di giudizio a mezzo <strong>integrazione successiva</strong> e dunque <strong>non</strong> implicante <strong>annullabilità</strong> del provvedimento che ne risulti affetto, e chi all’opposto (orientamento <strong>più accreditato</strong>) assume tale vizio concernente le “<strong><em>forme sostanziali</em></strong>”, e dunque implicante <strong>annullabilità</strong> del provvedimento (e non già mera irregolarità non invalidante), <strong>senza possibilità</strong> per la PA di procedere ad <strong>integrazione postuma</strong>; a.2) altro <strong>vizio “<em>formale</em>”</strong> appare essere <em>prima facie</em> quello di <strong>incompetenza</strong>, quale <strong>peculiare vizio di violazione di legge</strong> e, precisamente, della <strong>legge</strong> che disciplina il <strong>riparto del potere funzionale</strong> tra i <strong>vari organi</strong> di un <strong>soggetto amministrativo</strong>; anche in questo caso, si dice da una <strong>parte della giurisprudenza e della dottrina</strong>, in caso di <strong>provvedimento vincolato sostanzialmente corretto</strong>, il <strong>vizio “<em>formale</em>”</strong> di <strong>incompetenza</strong> appare idoneo a giustificare la “<strong><em>non annullabilità</em></strong>” dell’atto medesimo; nondimeno, non manca chi ritiene che la <strong>violazione</strong> delle <strong>norme sulla competenza</strong> <strong>non possa escludere l’annullabilità</strong> ex <strong>21.octies e </strong>debba piuttosto confermarsi in simili ipotesi la <strong>piena caducabilità </strong>dell’atto gravato, concernendo le pertinenti norme la <strong>legittimazione dell’organo divisato</strong> ad adottare un determinato provvedimento e avendo il legislatore previsto il <strong>vizio di incompetenza</strong> <strong>accanto</strong> a quello più generale della <strong>violazione di legge</strong>, così conferendo ad esso quel <strong>peculiare (ed autonomo) rilievo</strong> che consente, tra le altre cose, proprio di <strong>escludere</strong> la possibilità di predicare la “<strong><em>non annullabilità</em></strong>” per <strong>l’atto adottato</strong> appunto <strong>da organo incompetente</strong>; ancora, sul <strong>crinale processuale</strong> si rappresenta come in caso di incompetenza <strong>il GA annulli il provvedimento impugnato</strong> con <strong>assorbimento</strong> degli <strong>altri motivi di ricorso</strong> <strong>rimettendo</strong> la questione all’<strong>organo amministrativo competente</strong>, al quale va garantito il <strong>diritto al contraddittorio</strong> con il soggetto privato ricorrente, circostanza che <strong>resterebbe esclusa</strong> laddove il GA – piuttosto che <strong>annullare</strong> appunto l’atto per <strong>incompetenza</strong> e <strong>rimettere</strong> all’organo competente – <strong>potesse “<em>non annullare</em>”</strong> l’atto perché <strong>vincolato</strong> e <strong>nel merito sostanzialmente corretto</strong>; secondo questa interpretazione dunque mentre le “<strong><em>norme sul procedimento o sulla forma</em></strong>”di cui all’art.<strong>21.octies, comma 2, parte I</strong> sono quelle la <strong>frizione con le quali</strong> produce <strong>violazione di legge</strong>, l’eventuale <strong>incompetenza</strong> va <strong>esclusa</strong> dall’ambito della <strong>violazione di legge</strong>, configurando un <strong>vizio a sé stante</strong> che, proprio per questo, <strong>non ammette la “<em>non annullabilità</em>”</strong> dell’atto, dovendo il GA piuttosto procedere ad <strong>annullare per incompetenza</strong> e a <strong>rimettere l’affare all’organo competente</strong>, anche allo scopo di <strong>non precostituire un vincolo anomalo</strong> rispetto ai <strong>futuri provvedimenti</strong> di tale <strong>organo competente</strong>;</li> <li>è <strong>palese</strong>, e dunque <strong>rilevabile d’ufficio dal GA</strong>, che il <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento (vincolato) <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong> rispetto a quello <strong>in concreto adottato</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa occorre rammentare in particolare dell’art.21 <em>octies</em>, comma 2, parte II, della legge 241.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="10"> <li>il <strong>provvedimento non annullabile</strong> è viziato da uno <strong>specifico vizio procedimentale</strong>, ovvero la <strong>mancata comunicazione di avvio del procedimento</strong>; la norma viene interpretata maggioritariamente <strong>in senso restrittivo</strong>, ma non manca in giurisprudenza chi <strong>la applica anche</strong> al caso in cui, pur essendo stato <strong>comunicato</strong> al privato <strong>l’avvio del procedimento</strong>, non gli sia stato <strong>poi</strong> comunicato il <strong>preavviso di rigetto</strong> ex <strong>10.bis</strong> della legge 241.90 (additando <strong>anche questa</strong> come ipotesi di “<strong><em>non annullabilità</em></strong>”);</li> <li><strong>la PA prova</strong> (<strong>deve provare</strong>) al GA che il <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento (discrezionale o vincolato) <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong> rispetto a quello <strong>in concreto adottato</strong>, e dunque che <strong>l’apporto partecipativo</strong> del privato <strong>non avrebbe sostanzialmente mutato</strong> l’<strong>esito</strong> del procedimento;</li> <li>il provvedimento è adottato nell’esercizio di un<strong> potere vincolato o anche </strong>di un<strong> potere discrezionale</strong>; mentre per il <strong>potere vincolato</strong> non si sono <strong>mai posti dubbi</strong>, per quello <strong>discrezionale</strong> qualche <strong>dubbio</strong> si è posto dacché <strong>il GA</strong>, nel ritenere “<strong><em>non annullabile</em></strong>” il provvedimento viziato per <strong>mancata comunicazione di avvio del procedimento</strong>, finisce col <strong>sostituirsi alla PA</strong> esercitando un <strong>potere di merito</strong> ed assumendo che la <strong>collaborazione del privato</strong>, anche <strong>ove attivata</strong>, <strong>non avrebbe potuto incidere</strong> sull’<strong>assetto di interessi</strong> siccome alfine <strong>cristallizzato</strong> in seno al <strong>contenuto dispositivo</strong> del <strong>provvedimento discrezionale</strong>; d’altro canto, una <strong>interpretazione restrittiva</strong> della norma che <strong>ne limiti l’area precettiva</strong> alla <strong>sola attività vincolata</strong> sarebbe in <strong>contrasto</strong> con la <strong>lettera</strong> della <strong>parte II</strong> del comma 2 dell’art.21 octies che, a differenza della precedente <strong>parte I</strong>, <strong>non fa alcun esplicito riferimento</strong> al <strong>potere vincolato</strong>, così all’evidenza abbracciando anche il <strong>potere discrezionale</strong>; sono affiorate sul punto 3 tesi: c.1) tra la <strong>parte I</strong> e la <strong>parte II</strong> del comma 2 dell’art.21 octies si configura un <strong>rapporto di genere a specie</strong>, onde laddove il <strong>vizio formale o procedimentale</strong> si compendi nella <strong>omessa comunicazione di avvio del procedimento</strong> al privato, si applica <strong>solo la parte II</strong>, che abbraccia <strong>anche</strong> le ipotesi in cui <strong>il potere esercitato</strong> sia <strong>discrezionale </strong>(oltre che, ovviamente, <strong>vincolato</strong>), salva tuttavia la <strong>necessità per la PA</strong> di <strong>fornire la “<em>prova di resistenza</em>”</strong>, vale a dire che un eventuale apporto del privato <strong>non avrebbe mutato il contenuto dispositivo</strong> (anche discrezionale) del provvedimento alfine adottato (tesi maggioritaria); c.2) tanto la <strong>parte I</strong> quanto la <strong>parte II</strong> del comma 2 in parola fanno riferimento alle <strong>sole ipotesi di potere vincolato </strong>senza che vi rimanga coinvolto<strong> anche il potere discrezionale</strong>, onde nel <strong>peculiare caso</strong> in cui il <strong>vizio procedimentale</strong> sia quello di <strong>omessa comunicazione di avvio</strong>, muta solo il <strong>regime dell’onere della prova</strong> in ordine all’<strong>irrilevanza del vizio</strong> sul <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento finale, che – in questo caso - <strong>grava sulla sola PA o sui controinteressati</strong>, altrimenti <strong>rimanendo dequotate</strong> le <strong>garanzie di partecipazione</strong> al procedimento pur <strong>oggettivamente annettibili</strong> alla legge 241.90 siccome <strong>modificata dalla legge n.15 del 2005</strong>, come palesa l’introduzione dell’istituto del <strong>preavviso di rigetto ex art.10 bis</strong> e i <strong>nuovi contenuti</strong> previsti proprio per la <strong>comunicazione di avvio procedimentale ex art.8, lettere c.bis e c.ter</strong>, quali la <strong>data in cui deve concludersi</strong> il procedimento stesso, l’indicazione dei <strong>rimedi esperibili</strong> dal privato in caso di <strong>inerzia della PA</strong> e, per quanto concerne i procedimenti <strong>a istanza di parte</strong>, la data di <strong>presentazione della ridetta istanza</strong> (tesi minoritaria, massime dottrinale); 3) tra la <strong>parte I</strong> e la <strong>parte II</strong> del comma 2 dell’art.21 octies si configura un <strong>rapporto di specialità “<em>concorrente</em>” o “<em>reciproca</em>”</strong>, con <strong>variabile indipendente</strong> da collocarsi nella <strong>natura del potere esercitato dalla PA</strong>, onde se tale potere <strong>è vincolato</strong>, il vizio di <strong>omessa comunicazione di avvio</strong> del procedimento ricade sotto l’egida della <strong>parte I</strong>, essendo sufficiente che la <strong>non incidenza di tale vizio</strong> sul <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento (vincolato) finale <strong>sia “<em>palese</em>”</strong>, mentre se il potere esercitato ha <strong>foggia discrezionale</strong> scatta la <strong>parte II</strong>, occorrendo dunque che <strong>sia la PA</strong> a dover <strong>provare</strong> l’eventuale partecipazione del privato <strong>non avere inciso</strong> sul <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento (discrezionale) finale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che natura va annessa all’art.21 <em>octies</em>, comma 2, della legge 241.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="15"> <li>tesi <strong>minoritaria</strong>. natura <strong>sostanziale</strong> (corrispondente, sul versante <strong>dell’atto “<em>non annullabile</em>”</strong>, alla tesi della <strong>irregolarità</strong>, del <strong>raggiungimento dello scopo</strong> e della <strong>sanatoria per convalida <em>ex lege</em></strong>); la norma incide sul <strong>paradigma dogmatico</strong> della <strong>invalidità provvedimentale</strong>; la norma <strong>non si applica</strong> dunque ai <strong>provvedimenti adottati prima</strong> dell’avvento della <strong>legge n.15.05</strong>; del resto, la <strong>legge 241.90</strong> disciplina il <strong>procedimento amministrativo</strong> ed ha <strong>natura sostanziale</strong>, onde le <strong>norme in essa contenuta</strong> hanno natura <strong>sostanziale</strong> e non processuale (il legislatore ben avrebbe potuto collocare la disposizione in un provvedimento normativo <strong>di natura processuale</strong> come, ad esempio, nel <strong>codice del processo amministrativo</strong>); che si tratti di <strong>norma sostanziale</strong> (e non processuale) deriva dal fatto che <strong>dell’art.21 octies</strong> è <strong>senz’altro sostanziale il comma 1</strong>, onde non potrebbe <strong>non esserlo anche il comma 2</strong>, contribuendo <strong>l’intera disposizione</strong> a dettare <strong>in modo organico</strong> la disciplina della <strong>annullabilità</strong> o <strong>non annullabilità</strong> dell’atto stesso sul versante, per l’appunto sostanziale; peraltro <strong>l’art.21 nonies</strong>, già <strong>prima</strong> dell’intervento del <strong>d. decreto sblocca-Italia del 2014</strong>, doveva intendersi <strong>impedire</strong> alla PA di <strong>intervenire in autotutela</strong> nel caso del <strong>comma 2</strong>, e <strong>così confermando</strong> la <strong>natura sostanziale dell’intero art.21 octies</strong> medesimo (se la PA <strong>non può annullare in autotutela</strong> vuol dire che <strong>l’atto non è illegittimo</strong> o che comunque <strong>è stato sanato</strong>: il <strong>legislatore del 2014 ha poi espressamente escluso</strong> dall’<strong>area dell’autotutela e dell’annullamento d’ufficio</strong> i <strong>provvedimenti “<em>non annullabili</em>”</strong> ai sensi del <strong>comma 2</strong> dell’art.21 octies, così confermando questa tesi); ancora, poiché secondo un <strong>costante orientamento</strong> della <strong>Cassazione</strong> le <strong>norme</strong> che disciplinano il <strong>riparto dell’onere della prova</strong> hanno <strong>natura sostanziale</strong>, il fatto che il <strong>comma 2, parte II</strong> dell’art.21 octies <strong>gravi la PA dell’onere di provare</strong> che il contenuto del provvedimento adottato <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong> implica che si è al cospetto di <strong>una norma sostanziale</strong> (e non processuale); seguendo la <strong>tesi sostanziale</strong>: a.1) la PA <strong>non può annullare l’atto in via di autotutela</strong> (<strong>come il GA non può caducarlo</strong> nel giudizio); a.2) la norma, dovendosi <strong>escludere</strong> l’operatività del <strong>principio “<em>tempus regit actum</em>”</strong>, si applica <strong>solo ai provvedimenti adottati dopo</strong> l’avvento della <strong>legge 15.05</strong>, e dunque <strong>ormai nel vigore</strong> della legge stessa (in sostanza, <strong>non è retroattiva</strong>); a.3) il fatto che <strong>l’atto</strong> (viziato sul piano formale o procedimentale), oltre che <strong>non caducabile nel giudizio amministrativo</strong>, non sia <strong>neppure illegittimo</strong> chiude la strada a <strong>forme di tutela diverse</strong> dall’annullamento, quali la <strong>disapplicazione da parte del GO</strong> e la <strong>tutela risarcitoria innanzi al GA</strong>, così potendosi paventare <strong>possibili frizioni</strong> con la <strong>Costituzione</strong> ed il <strong>sistema di tutele</strong> in essa inscritto. Dal punto di vista della <strong>pronuncia del GA</strong> <strong>a valle</strong> del processo in cui si faccia applicazione <strong>dell’art.21 octies, comma 2</strong>, della legge 241.90, poiché il provvedimento è “<strong><em>non annullabile</em></strong>” perché “<strong><em>non illegittimo</em></strong>”, il privato si vede <strong>rigettare il ricorso nel merito</strong>; più sfumata la tesi di chi ritiene che il provvedimento, pur essendo “<strong><em>non annullabile</em></strong>” e “<strong><em>non illegittimo</em></strong>”, presenti tuttavia <strong>un vizio</strong> (formale o procedimentale) che <strong>il GA accerta con una pronuncia</strong> che finisce tuttavia con l’essere “<strong><em>dichiarativa</em></strong>” e dunque “<strong><em>atipica</em></strong>” rispetto alla <strong>naturale costitutività</strong> delle decisioni del giudice amministrativo;</li> <li>tesi <strong>maggioritaria</strong>: natura <strong>processuale</strong> (corrispondente, sul versante <strong>dell’atto “<em>non annullabile</em>”</strong>, alla tesi del <strong>d. raggiungimento del risultato</strong>); la norma incide <strong>solo sul potere del GA di annullare</strong> l’atto (escludendo il detto <strong>potere di annullamento del GA</strong> per <strong>carenza di interesse ad agire</strong> in capo al privato ricorrente), e dunque sulle <strong>sole conseguenze processuali</strong> dei <strong>vizi non invalidanti</strong> e <strong>non caducanti</strong>; il limite che pone la norma <strong>non è alla annullabilità sostanziale</strong> del provvedimento, quanto piuttosto al <strong>potere di annullamento del GA</strong> in ambito <strong>processuale</strong>; in sostanza, <strong>l’atto resta illegittimo</strong>, ma attraverso il <strong>peculiare meccanismo conservativo</strong> predisposto dal legislatore, esso <strong>non è caducabile dal GA</strong> nel giudizio ad esso sottoposto, come dimostra <strong>dal punto di vista testuale</strong> il <strong>comma 2, parte II</strong> dell’art.21 octies laddove – con riferimento al <strong>peculiare caso</strong> di <strong>mancata comunicazione di avvio del procedimento</strong> – si richiede <strong>alla PA di dimostrare “<em>in giudizio</em>”</strong> che l’atto non potrebbe avere un <strong>contenuto diverso</strong>; peraltro <strong>l’effetto tipico delle sentenze del GA</strong> è proprio quello <strong>demolitorio</strong>, ed il fatto che <strong>l’atto solo formalmente illegittimo</strong> sia dichiarato dal legislatore “<strong><em>non annullabile</em></strong>” richiama ancora una volta, secondo questa tesi, <strong>l’operatività in giudizio</strong> del <strong>meccanismo</strong> predisposto dal legislatore, ferma restando <strong>l’illegittimità sostanziale</strong> dell’atto stesso; <strong>prima dell’avvento</strong>, nel <strong>2014</strong>, del c.d. <strong>decreto Sblocca Italia n.133</strong>, una <strong>freccia nell’arco</strong> della tesi processuale si rinviene anche <strong>nel testo dell’art.21 nonies</strong> della legge 241.90, laddove dichiara che il <strong>provvedimento amministrativo illegittimo</strong> ai sensi <strong>dell’art.21 octies</strong> può essere <strong>annullato d’ufficio</strong>, onde il <strong>provvedimento viziato</strong> di cui all’<strong>art.21 octies</strong> doveva assumersi <strong>sempre illegittimo</strong>, e se nel caso di cui al <strong>comma 1</strong> della norma (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere) esso doveva assumersi <strong>annullabile</strong> sia <strong>dalla PA in via di autotutela</strong> che <strong>dal GA in giudizio</strong>, nelle ipotesi di cui al <strong>comma 2</strong> esso doveva assumersi <strong>rimanere annullabile dalla PA in via di autotutela</strong>, ma <strong>non anche dal GA in sede processuale</strong>, trovandosi dunque al cospetto di un <strong>provvedimento illegittimo</strong>, ma <strong>non annullabile in giudizio</strong> (anche <strong>dopo l’avvento </strong>del c.d. decreto Sblocca Italia <strong>n.133.14</strong>, può tuttavia sempre parlarsi di <strong>ipotesi eccezionale</strong>, <strong>prevista <em>ex lege</em></strong>, di provvedimento che <strong>resta illegittimo</strong> e che tuttavia <strong>non è caducabile</strong> – parallelamente - <strong>né dalla PA</strong> in sede di <strong>autotutela</strong>, <strong>né dal GA</strong> a valle del <strong>processo</strong>); seguendo la tesi processuale: b.1) la PA a rigore <strong>potrebbe annullare l’atto</strong> – che resta illegittimo - <strong>in via di autotutela</strong>, quand’anche il GA non possa caducarlo nel giudizio; in realtà il legislatore del 2014 con il <strong>decreto sblocca-Italia</strong> ha <strong>escluso l’operatività dell’annullamento d’ufficio</strong> per gli <strong>atti “<em>non annullabili</em>”</strong> ai sensi del comma 2 dell’art.21 octies della legge 241.90 (e tuttavia, come si diceva, potrebbe configurarsi un <strong>eccezionale caso</strong> di <strong>atto illegittimo</strong> in cui, <strong><em>ex lege</em></strong>, <strong>non opera</strong> <strong>né l’autotutela</strong> di annullamento, <strong>né la caducabilità processuale</strong>); b.2) la norma, in virtù del <strong>principio “<em>tempus regit actum</em>”</strong>, si applica anche ai <strong>provvedimenti adottati prima</strong> dell’avvento della legge 15.05, ma <strong>sottoposti a processo dopo</strong> e dunque ormai <strong>nel vigore della legge stessa </strong>(in sostanza, si tratta di <strong>norma retroattiva</strong>); b.3) il fatto che l’atto (viziato sul piano formale o procedimentale), pur <strong>non caducabile</strong> nel giudizio amministrativo, sia <strong>comunque illegittimo</strong> apre la strada a <strong>forme di tutela diverse dall’annullamento</strong>, come la <strong>disapplicazione da parte del GO</strong> e la <strong>tutela risarcitoria innanzi al GA</strong>, così <strong>scongiurandosi possibili frizioni</strong> con la <strong>Costituzione</strong> ed il <strong>sistema di tutele</strong> in essa inscritto. Dal punto di vista della <strong>pronuncia del GA</strong> a valle del <strong>processo</strong> in cui si faccia <strong>applicazione dell’art.21 octies, comma 2</strong>, della legge 241.90, poiché il provvedimento è “<strong><em>non annullabile</em></strong>”, anche se <strong>l’atto resta illegittimo</strong> il ricorso <strong>va dichiarato inammissibile</strong> per <strong>difetto di interesse a ricorrere</strong>, dacché il relativo <strong>contenuto dispositivo</strong> non potrebbe essere <strong>diverso</strong> da quello che esso <strong>presenta in concreto</strong>; più sfumata la posizione di chi ritiene che, massime in tema di <strong>provvedimenti vincolati</strong>, <strong>l’oggetto</strong> del giudizio amministrativo sia ormai <strong>non più l’atto</strong> quanto piuttosto <strong>la pretesa del privato</strong>, la quale in caso di <strong>provvedimento illegittimo “<em>non annullabile</em>”</strong> <strong>non trova soddisfazione</strong>, con conseguente <strong>rigetto</strong> dello spiccato ricorso <strong>nel merito</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare dei rapporti tra vizi non invalidanti (o non caducanti) e Costituzione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>rapporto conflittuale</strong>, massime con gli articoli <strong>24, 97, 103 e 113</strong> della Carta e con in <strong>principi</strong> in esse iscritti in tema <strong>buon andamento</strong>, <strong>non discriminazione</strong> dell’azione pubblica e di <strong>tutela del privato nei confronti della PA</strong>;</li> <li>in sostanza, il provvedimento <strong>non è caducabile</strong> pur essendo state <strong>violate delle norme</strong> (<strong>formali</strong> o <strong>procedimentali</strong>) nell’<strong>iter che ha condotto</strong> alla pertinente adozione, e <strong>nessun’altra tutela</strong> è stata <strong>predisposta dal legislatore</strong> per il privato destinatario del provvedimento medesimo (c.d. <strong>vuoto di tutela</strong>);</li> <li>a differenza di quanto accade in Italia, <strong>nell’ordinamento tedesco</strong> esistono <strong>soluzioni alternative</strong> per <strong>tutelare le violazioni procedimentali</strong> in modo <strong>diverso dall’annullamento</strong> del provvedimento finale, laddove tale annullamento <strong>sia <em>ex lege</em> escluso</strong>; al di là dei <strong>più ampi poteri sostitutivi</strong> della PA riconoscibili in capo al <strong>giudice amministrativo tedesco</strong>, è prevista la possibilità che le <strong>violazioni procedimentali</strong> siano <strong>sanate</strong> in sede di (previo) <strong>ricorso amministrativo</strong> (quale <strong>presupposto necessario</strong> per <strong>l’azione giurisdizionale</strong>) ovvero spontaneamente <strong>dalla stessa Amministrazione</strong>, anche <strong>su sollecitazione del giudice</strong>, il quale dispone di <strong>strumenti sanzionatori</strong> a carattere <strong>specifico</strong> finalizzati <a href="http://astratto.info/consumismo-un-nuovo-vizio-v-zio.html">a <strong>rimuovere il vizio</strong></a>, anche ove sia <strong>soltanto formale</strong>, e a <strong>reintegrare <em>ex post</em></strong>la violazione della regola sul procedimento, sulla forma e sulla competenza;</li> <li>in Italia, la situazione di <strong>conflitto con i principi costituzionali</strong> in tema di <strong>tutela nei confronti della PA</strong> appare <strong>particolarmente grave</strong> per chi abbraccia la <strong>tesi sostanzialistica</strong> onde <strong>l’atto affetto da vizi invalidanti</strong> è da intendersi <strong>valido</strong> (perché <strong>meramente irregolare</strong>, ovvero comunque <strong>perché sanato</strong>), con la conseguenza che <strong>non è predicabile</strong> il potere di <strong>autotutela</strong> dell’Amministrazione, né - sul crinale del privato inciso - è possibile spiccare <strong>azione risarcitoria</strong> ovvero un <strong>ricorso amministrativo</strong> (avverso un atto che <strong>alfine</strong> va per l’appunto considerato <strong>legittimo</strong> o “<strong><em>legittimato</em></strong>”), configurandosi allora – per l’appunto - un <strong>vero e proprio vuoto di tutela</strong>; più nel dettaglio, per quanto concerne <strong>l’azione risarcitoria</strong>, ne viene <strong>esclusa la operatività</strong> dacché gli <strong>obblighi partecipativi</strong> gravanti in capo alla PA e dei quali <strong>beneficia il privato</strong> (titolare dei correlati <strong>interessi procedimentali</strong>) debbono assumersi <strong>infungibili</strong>, fruibili <strong>solo nel bacino procedimentale</strong> e dunque <strong>non monetizzabili <em>ex post</em></strong> attraverso il <strong>risarcimento del danno</strong> inferto ad interessi che sono per l’appunto <strong>meramente procedimentali</strong>, la <strong>diversa opzione</strong> esponendo il sistema al rischio di una <strong>PA maliziosa</strong> che – obliterando i <strong>principi di legalità</strong> e <strong>buon andamento</strong> dell’azione amministrativa scolpiti all’art.97 Cost. – finisca per operare <strong>un calcolo costi/benefici</strong> con <strong>scelta <em>ex ante</em> di non rispettare</strong> le <strong>regole formali e procedimentali</strong>, salvo poi <strong>risarcire il danno</strong> al privato che abbia <strong>subito tale violazione.</strong> Si rappresenta da taluno che dinanzi ad un <strong>provvedimento “<em>sanato</em>”</strong> o comunque “<strong><em>legittimato</em></strong>” <strong>non vi sarebbero esigenze di tutela</strong> e dunque il pertinente vuoto sarebbe <strong>giustificato</strong> da un <strong>difetto di interesse al presidio giurisdizionale</strong>, ma a ciò si obietta da talaltro che, anche <strong>prima del varo della legge 15.05</strong>, la giurisprudenza amministrativa <strong>ha annesso rilievo</strong> agli <strong>interessi c.d. procedimentali</strong> ed alla relativa <strong>tutela</strong>, laddove ha <strong>garantito</strong> in particolare la <strong>partecipazione del privato al procedimento</strong>, così avvincendo <strong>l’interesse a ricorrere</strong> del privato medesimo <strong>non già soltanto</strong> al <strong>mancato conseguimento dell’utilità finale</strong>, ma anche solo alla <strong>possibilità di un nuovo confronto in contraddittorio</strong> con la PA (<strong>a valle</strong> dell’<strong>annullamento</strong> dell’atto per <strong>vizi formali o procedimentali</strong>). Chi sposa la <strong>tesi sostanzialistica</strong> finisce dunque per dovere ammettere <strong>la frizione dell’art.21 octies, comma 2</strong>, della legge 241.90 <strong>con gli articoli 24, 103, 113 e con lo stesso art.97 Cost.</strong>, venendo compromessi da un lato <strong>l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione</strong> (giusta <strong>sanatoria <em>ex post</em></strong> di atti che <strong>nascono inficiati da invalidità</strong>, o quanto meno <strong>irregolari</strong>) e dall’altro la <strong>tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi del privato</strong> nei confronti degli <strong>atti</strong> (nati invalidi o comunque quanto meno irregolari) dell’Amministrazione medesima; una <strong>possibile soluzione</strong> viene offerta da quella <strong>parte della dottrina</strong> che, pur ammettendo compendiare <strong>l’azione di annullamento</strong> la <strong>principale forma di tutela</strong> (<strong>in forma specifica</strong>) prevista dal <strong>sistema</strong> a beneficio del privato destinatario del provvedimento, <strong>non la considera costituzionalmente imposta</strong> dall’<strong>113</strong> <strong>Cost.</strong>, potendo essa trovare <strong>un surrogato</strong> nella <strong>tutela “<em>per equivalente</em>”</strong> o <strong>risarcitoria</strong>, che <strong>escluderebbe</strong> appunto il denunciato <strong>vuoto di tutela</strong>: essendo ormai <strong>generalmente ammessa</strong> la <strong>tutela risarcitoria dell’interesse legittimo</strong>, tale tutela ben può <strong>ricomprendere</strong> secondo questa opzione ermeneutica <strong>anche forme di reazione</strong> avverso <strong>vizi meramente formali o procedimentali</strong> “<strong><em>non invalidanti</em></strong>”, se si tiene conto <strong>in ottica civilistica</strong> dell’orientamento della Cassazione in tema di <strong>distinzione</strong> tra c.d. “<strong><em>regole dell’atto</em></strong>” e c.d. “<strong><em>regole del comportamento</em></strong>”, potendo allora ben darsi che <strong>un atto o un provvedimento</strong> siano “<strong><em>non annullabili</em></strong>” ex <strong>art.21 octies, comma 2</strong>, legge 241.90, inserendosi tuttavia <strong>in un comportamento della PA</strong> che, <strong>complessivamente considerato</strong>, va <strong>assunto illecito</strong> e produttivo di <strong>danno</strong>, con conseguentemente <strong>spiccabile azione risarcitoria</strong> da parte <strong>privata</strong>; si tratta di una affermazione che tuttavia, secondo altre voci, <strong>lascia scettici</strong> in termini di <strong>effettività della tutela</strong> per il privato inciso <strong>da atti viziati sul crinale formale o procedimentale</strong>, e ciò in quanto – sul crinale <strong>sostanziale</strong> – occorrerebbe ammettere che <strong>la responsabilità della PA non è aquiliana</strong> (come invece continua a ribadire la <strong>giurisprudenza amministrativa maggioritaria</strong>), ma piuttosto “<strong><em>contrattuale da contatto</em></strong>”, onde il privato rimarrebbe <strong>leso dall’inadempimento della PA</strong> in termini di <strong>lesione del relativo affidamento</strong> sul <strong>pieno rispetto</strong> <em>ex parte publica</em> di <strong>tutte le regole</strong> che disciplinano l’azione amministrativa, ivi comprese <strong>quelle formali o procedimentali</strong>; premesso che anche <strong>ove tale orientamento</strong> sulla responsabilità c.d. “<strong><em>da contatto</em></strong>” trovasse <strong>credito</strong> in giurisprudenza, il privato si <strong>vedrebbe comunque riconosciuto</strong> un <strong>risarcimento limitato</strong> al solo “<strong><em>interesse negativo</em></strong>” (corrispondente al <strong>mero ristoro</strong> per <strong>l’affidamento leso</strong>), in ogni caso si registra in giurisprudenza una <strong>consolidata posizione favorevole</strong> alla <strong>natura aquiliana</strong> della responsabilità della PA <strong>ex art.2043</strong> c.c., con conseguente <strong>imprescindibilità di un danno “<em>ingiusto</em>”</strong> inferto al ricorrente che <strong>non è tuttavia riscontrabile</strong> allorché il GA abbia <strong>accertato</strong> che il <strong>contenuto dispositivo</strong> del provvedimento <strong>non avrebbe potuto essere diverso</strong>, che si è dunque al cospetto di <strong>un provvedimento “<em>sanato</em>”</strong> (o “<strong><em>legittimato</em></strong>”) e che in definitiva <strong>non gli è mai spettato l’anelato bene della vita</strong>, onde – in <strong>difetto</strong> di <strong>concreta lesione dell’interesse sostanziale</strong> del privato – <strong>non</strong> configurandosi “<strong><em>danno ingiusto</em></strong>”, la giurisprudenza <strong>non riconoscerebbe comunque</strong> al privato il <strong>ristoro del danno</strong> inferto ad un <strong>interesse meramente procedimentale</strong>; non potrebbe invece <strong>più essere considerato un ostacolo</strong> alla <strong>tutela risarcitoria</strong> del privato (pur <strong>in difetto</strong> di quella previa <strong>demolitoria</strong>) la c.d. “<strong><em>pregiudizialità amministrativa</em></strong>”, essendo ormai <strong>spiccabile in forma autonoma</strong> l’<strong>azione risarcitoria</strong> (rispetto a <strong>quella di annullamento</strong>) ex <strong>art.30</strong> c.p.a.; <strong>prima</strong> dell’avvento di questa <strong>rivoluzionaria disposizione</strong>, <strong>condizione di ammissibilità</strong> della <strong>tutela risarcitoria</strong> (a <strong>qualunque titolo</strong>, <strong>aquiliano</strong> o “<strong><em>contrattuale</em></strong>”) era la <strong>pregiudiziale caducazione</strong> del <strong>provvedimento annullabile</strong>, che <strong>non avrebbe mai potuto verificarsi </strong>– in caso di applicazione dell’<strong>art.21 octies, comma 2</strong>, legge 241.90 - per <strong>l’esitare del pertinente giudizio caducatorio</strong> in una <strong>pronuncia di rigetto nel merito</strong> (ricorso <strong>infondato</strong> perché <strong>l’atto è stato sanato</strong> o “<strong><em>legittimato</em></strong>”, o è comunque <strong>solo irregolare</strong>), a meno di <strong>non voler assumere</strong> (come pure fece <strong>parte della dottrina</strong>) la c.d. “<strong><em>pregiudizialità</em></strong>” <strong>rispettata</strong> non già solo <strong>giusta annullamento</strong> del provvedimento impugnato, ma anche <strong>giusta mero accertamento della illegittimità procedimentale dell’atto</strong>, <strong>senza</strong> tuttavia procedere alla <strong>pertinente caducazione</strong>, con provvedimento finale assunto dunque “<strong><em>non annullabile</em></strong>” e <strong>ad un tempo</strong> (formalmente o procedimentalmente) <strong>illegittimo</strong>, con conseguente possibilità di una <strong>tutela risarcitoria</strong>;</li> <li>per chi invece abbraccia la <strong>tesi processualistica</strong> (proprio per questo <strong>maggioritaria</strong>), l’atto affetto da vizi non invalidanti <strong>non è caducabile</strong>, ma <strong>rimane illegittimo</strong>, con <strong>danno</strong> “<strong><em>ingiusto</em></strong>” inferto al privato e conseguente <strong>esperibilità di forme alternative di tutela </strong>(anche se ormai <strong>l’art.21 nonies</strong> <strong>vieta l’autotutela della PA</strong>), con particolare riferimento alla <strong>tutela risarcitoria</strong>, onde la <strong>frizione con i principi costituzionali</strong> appare <strong>più sfumata</strong>, se non addirittura <strong>evanescente</strong>, massime <strong>oggi</strong> che – in forza dell’<strong>30</strong> del c.p.a. – il <strong>risarcimento del danno</strong> può essere <strong>chiesto anche</strong> in <strong>difetto di previa caducazione</strong> del provvedimento amministrativo.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>