Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, 05 ottobre 2022 n. 37503
PRINCIPIO DI DIRITTO
In caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, che costituisce elemento essenziale dell’istituto, va fissato dal giudice in sentenza ovvero, in mancanza, dal giudice dell’impugnazione o da quello della esecuzione. Qualora il termine non venga in tal modo fissato, lo stesso coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, qualora non fissato in sentenza, coincida con la data del passaggio in giudicato di quest’ultima o con la scadenza del termine, di cinque o due anni, previsto dall’art. 163 cod. pen.”.
2. Le Sezioni Unite ritengono che gli orientamenti giurisprudenziali in contrasto e richiamati dall’ordinanza di rimessione, pur contenendo validi argomenti a sostegno, non possano essere seguiti nelle conclusioni alle quali giungono.
2.1. L’istituto della sospensione condizionale della pena, nella tradizione legislativa italiana, recepita dal codice Rocco che tuttavia ne modificò la configurazione attraendolo al diritto sostanziale, trova l’antecedente storico nella “condanna condizionale” introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 26 giugno 1904, n. 267 e originariamente concepita come un istituto di carattere processuale, la cui ratio, in parte coincidente con quella attuale, era diretta a contenere la dannosità dell’esecuzione delle pene detentive brevi nei confronti dei delinquenti primari per i quali fosse possibile formulare una prognosi di non recidiva.
Si stabilì, per quanto qui interessa, che – nel pronunziare sentenza di condanna alla reclusione, alla detenzione, al confino o all’arresto non oltre i sei mesi, o alla pena pecuniaria, sola o congiunta a pena restrittiva della libertà personale, che, convertita a norma di legge, avrebbe avuto nel complesso una durata non superiore a sei mesi, contro la persona che non avesse riportato mai condanna alla reclusione – il giudice potesse ordinare che l’esecuzione della pena rimanesse sospesa, entro un termine da stabilire nella sentenza (ma non minore di quello stabilito per la prescrizione della pena e non maggiore di cinque anni).
Si aggiunse che, in caso di delitto, la sospensione della condanna potesse essere subordinata al risarcimento del danno cagionato, che già fosse stato liquidato nella sentenza, o al pagamento di una somma da imputarsi nella liquidazione del danno stesso, o a una riparazione, giusta l’articolo 38 del codice penale, nonché al pagamento delle spese del procedimento, «entro un termine da prefiggersi nella sentenza».
Il codice di procedura penale del 1913 mutuò la disciplina giuridica della “condanna condizionale” (artt. da 423 a 427 e artt. 585 e 586 cod. proc. pen. del 1913), stabilendo che – qualora il giudice avesse ordinato, nei casi consentiti, che l’esecuzione della condanna rimanesse sospesa per il termine di cinque anni, trattandosi di condanna per delitto, o per un termine inferiore a quello stabilito per la prescrizione della pena, trattandosi di contravvenzione (art. 423 cod. proc. pen. del 1913) – la sospensione poteva «essere subordinata al risarcimento del danno liquidato nella sentenza, ovvero al pagamento, entro il termine prefisso nella medesima, di una somma da imputare nella liquidazione definitiva, o assegnata a titolo di riparazione», ed in ciascuno di questi casi, poteva «anche essere subordinata al pagamento delle spese del procedimento» (art. 424 cod. proc. pen. del 1913).
Dispose poi che, qualora il condannato a pena condizionalmente sospesa non avesse commesso, nei termini stabiliti, alcun delitto, e avesse provato di avere adempiuto a tutte le condizioni imposte nella sentenza, la condanna si aveva come non avvenuta.
In caso diverso, la sospensione dell’esecuzione della condanna era revocata di diritto, e la pena doveva essere espiata secondo le norme dell’articolo 76 del codice penale, allora vigente (art. 585 cod. proc. pen. del 1913).
Questa disciplina, trasferita nel codice penale del 1930, fu, con alcune varianti, regolata dall’art. 165 cod. pen. che, nella sua originaria formulazione ha previsto, al primo comma, che «la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso, e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno» e, al secondo comma, che «il giudice, nella sentenza, stabilisce il termine, entro cui gli obblighi debbano essere adempiuti», prevedendosi, infine, all’art. 168 cod. pen. che, «la sospensione condizionale della pena è revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato: 1) commetta un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e non adempia gli obblighi impostigli (…)».
Immutata sino ad oggi la disciplina giuridica degli oneri imposti al condannato relativi all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso, e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno, l’art. 165 cod. pen. è stato ripetutamente modificato con l’inserimento in esso di ulteriori “obblighi”, all’adempimento dei quali il giudice può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena.
Con la legge 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, al primo comma, è stato stabilito che la sospensione condizionale della pena può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, «all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato».
Con la legge 11 giugno 2004, n. 145 è stata aggiunta la possibilità, se non vi è opposizione del condannato, di prestare attività non retribuite in favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa.
La disposizione di cui all’art. 165 cod. pen. è stata anche successivamente oggetto di ripetuti interventi del legislatore che ha previsto ulteriori casi di subordinazione obbligatoria.
Il quarto comma è stato modificato ad opera dell’art. 1, primo comma, lettera g) della legge 16 gennaio 2019, n. 3 “misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”; in esso è stabilito che nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell’articolo 322-quater, fermo restando il diritto all’ulteriore eventuale risarcimento del danno.
Un ulteriore intervento è stato operato dalle disposizioni di modifica al regime della legittima difesa: la legge 26 aprile 2019, n. 36 ha introdotto nell’art. 165 cod. pen, il sesto comma, divenuto in seguito l’attuale settimo comma, in cui si prevede che, nel caso di condanna per il reato previsto dall’articolo 624-bis cod. pen., la sospensione condizionale della pena sia comunque subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa.
Il comma quinto della disposizione in esame, introdotto dall’art. 6 della legge 19 luglio 2019, n. 69 recante “modifica al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, recentemente modificato dalla legge 27 settembre 2021, n. 134, entrata in vigore il 19 ottobre 2021 (cd. Riforma Cartabia), attualmente prevede che nei casi di condanna per il delitto previsto dall’articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609- quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583- quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, nn. 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, n. 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena sia comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.
La tipizzazione, nel modello legale, dei casi specifici in cui la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento di “obblighi” si spiega con la considerazione che i principi di legalità e di tassatività, i quali presiedono al sistema penale, escludono che la sospensione condizionale della pena possa essere sottoposta ad obblighi diversi da quelli espressamente previsti dall’art. 165 cod. pen. (Sez. 1, n. 8863 del 18/06/1992, Varone, Rv. 191627 – 01).
Avuto riguardo alle ripetute modifiche che hanno interessato l’art. 165 cod. pen., il termine che il giudice deve fissare per l’adempimento degli obblighi è stato trasferito, restando immutato nella sua originaria formulazione, dal secondo comma al sesto comma dell’art. 165 cod. pen., fermo il principio, anch’esso immutato, espresso dall’art. 168 cod. pen. secondo il quale, tra l’altro, il beneficio della sospensione condizionale della pena deve essere revocato nel caso in cui, nei termini stabiliti, il condannato non adempia agli obblighi impostigli.
2.2. Ciò posto, la prima questione che va affrontata per la soluzione del quesito rimesso alle Sezioni Unite è quella di stabilire quale funzione, all’interno dell’istituto della sospensione condizionale della pena, esplichi il termine che, a norma del sesto comma dell’art. 165 cod. pen., il giudice deve stabilire nella sentenza ed entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti.
Le Sezioni Unite ritengono che tanto l’evoluzione storica dell’istituto (tutte le disposizioni, che si sono cronologicamente succedute, hanno previsto che il giudice penale assegnasse al condannato un termine per l’adempimento) quanto l’interpretazione letterale dell’art. 165 cod. pen. depongono nel senso che il termine svolge un ruolo centrale all’interno della fattispecie, fungendo da elemento essenziale di essa.
Infatti, alcuna facoltà discrezionale è attribuita al giudice, secondo il testo di legge, in ordine all’obbligatorietà di disporre una tale clausola’ (“il giudice nella sentenza stabilisce…”), ricavandosi che deve esistere una distanza di tempo tra il momento in cui “l’obbligo” sorge e il momento entro il quale “l’obbligo” stesso deve essere soddisfatto, richiedendosi perciò che all’onerato sia concesso un lasso di tempo per l’adempimento dell’obbligo impostogli (“… il termine entro il quale …”) e rendendo perciò anche certo che debba essere fissato necessariamente il dies ad quem.
Pertanto, sia nel caso in cui gli obblighi tipizzati costituiscano un elemento accessorio della sospensione condizionale della pena (quando cioè il giudice può, utilizzando il proprio potere discrezionale adeguatamente motivato, subordinare la pena sospesa all’adempimento di “obblighi”) e sia nel caso in cui gli “obblighi” tipizzati contribuiscano necessariamente a completare la fattispecie-tipo (quando cioè la sospensione condizionale della pena, essendo stata concessa a persona che ne abbia già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli “obblighi” di cui al primo comma dell’art. 165 cod. pen.), il giudice è tenuto a fissare nella sentenza il termine per l’adempimento.
La necessità di provvedere in tal senso si spiega con il fatto che, trattandosi di obblighi condizionanti, in grado, cioè, di incidere sulla revoca del beneficio, essi, oltre ad essere concretamente esigibili, nel senso che l’obbligato deve essere in grado di sopportarli, devono essere certi anche in ordine al tempo concesso all’obbligato affinché possa ragionevolmente adempiervi, e tutto ciò in conformità al generale principio di proporzionalità che ispira l’intero sistema penale.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza di legittimità ha già annotato che detto termine, per il principio di obbligatorietà ed effettività della pena, costituisce un elemento essenziale della concessione del beneficio, la cui inosservanza è causa di revoca di sospensione della pena in sede esecutiva (Sez. 3, n. 20378 del 24/02/2004, Borrello, non massimata sul punto), sottolineando che, nel caso in cui il beneficio della sospensione condizionale della pena sia stato subordinato all’assolvimento di un “obbligo”, la indicazione di un termine per l’adempimento, distinto da quello di sospensione dell’esecuzione della pena previsto dall’art. 163 cod. pen., integra un aspetto necessario ed ineliminabile dello stesso beneficio (Sez. 6, n. 4610 del 22/10/1988, Tornatore, I2v. 180015 – 01).
Per queste ragioni, avuto riguardo al tema specifico della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di oneri risarcitori, non sembra possibile far leva su un orientamento, che pure si riscontra nella giurisprudenza di legittimità, cd. “intermedio”, secondo il quale, occorrendo distinguere caso per caso, l’individuazione del termine dipenderebbe dalla natura e dalla specie degli obblighi stessi, non potendosi stabilire un criterio che abbia validità universale (Sez. 1, n, 5217 del 22/09/2000, Bertoncello„ Rv. 217351- 01).
3. Limitando, pertanto, l’analisi, in aderenza al quesito posto con l’ordinanza di rimessione, alle prestazioni di natura patrimoniale imposte al condannato (specificamente quando il beneficio è subordinato all’adempimento degli “obblighi risarcitori”), la centralità che il termine svolge, all’interno della disposizione che disciplina l’istituto della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di “obblighi risarcitori”, si coglie pienamente laddove si consideri come l’applicazione di siffatti “obblighi” risponda all’esigenza di rafforzare la funzione special-preventiva che la sospensione condizionale della pena esplica nell’ambito del sistema sanzionatorio.
Si richiede, cioè, al condannato non soltanto di evitare, durante il periodo di prova, la commissione di ulteriori reati, confermando in tal modo la prognosi di non recidiva formulata dal giudice al momento dell’applicazione del beneficio, ma anche di tenere, entro un termine stabilito dal giudice, determinati comportamenti che, concepiti anche in funzione satisfattoria degli interessi civili compromessi dal reato, comprovino ulteriormente il ravvedimento del reo attraverso l’adempimento dell’obbligo imposto.
In questa maniera, lo strumento adottato (la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di “obblighi risarcitori”) mira a rafforzare il dovere di adempiere e garantisce “che il comportamento del reo, dopo la condanna, si adegui a quel processo di ravvedimento che costituisce lo scopo precipuo dell’istituto stesso della sospensione condizionale della pena” (Corte cost., sent. n. 49 del 1975), consentendo al condannato di acquisire maggiore consapevolezza delle conseguenze dannose che sono derivate dalla propria condotta illecita ed essendo maggiormente rispondente all’interesse dell’ordinamento a che la risposta sanzionatoria sia la più calibrata possibile al caso concreto.
In questa prospettiva, dove il soddisfacimento del credito liquidato dal giudice alla parte civile è soltanto una conseguenza e non la causa della scelta del modello disegnato nell’art. 165 cod. pen., il rapporto principale a cui è collegato l’obbligo risarcitorio non è perciò qualificabile come rapporto di diritto privato ma di diritto pubblico, perché attiene a una relazione che si stabilisce tra il condannato e la giustizia penale, posto che dall’adempimento o meno dell’obbligo risarcitorio dipende l’applicazione della pena e non è contestabile che tutto quanto concerne l’applicazione delle sanzioni penali sia di interesse pubblico.
Da altra prospettiva, risulta di tutta evidenza come il diritto di credito maturato dalla parte civile non possa subire alcun ritardo o pregiudizio per effetto della statuizione penale collegata alla concessione della sospensione condizionale della pena, quantunque subordinata all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, in conseguenza dell’accertamento del fatto illecito contenuto nella sentenza penale irrevocabile di condanna o, se del caso, conseguente alla condanna, dichiarata provvisoriamente esecutiva, al risarcimento del danno (ex art. 540, comma 1, cod. proc. pen.) ovvero, ancora, conseguente alla condanna al pagamento di una provvisionale (che ex art. 540, comma 2, cod. proc. pen. è immediatamente esecutiva).
In altri termini, la parte civile può legittimamente agire per la tutela del suo diritto patrimoniale che sia fornito di immediata esigibilità, anche ricorrendo all’esecuzione forzata nei casi in cui abbia ottenuto, nel corso del processo, un sequestro conservativo che, con la sentenza irrevocabile di condanna al risarcimento del danno, si converte in pignoramento (ex art. 320 cod. proc. pen.), realizzandosi, dunque, una netta separazione tra il termine, “penalisticamente” rilevante, entro cui l’adempimento deve essere eseguito per continuare a beneficiare della sospensione condizionale della pena, e i principi “civilistici” che governano l’obbligazione pecuniaria nei rapporti tra l’imputato e la parte civile e dove quel termine perciò non rileva.
Da ciò possono trarsi le prime conclusioni.
Innanzitutto, quando il giudice penale concede la sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, valuta, in via prognostica, che l’imputato si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati e, in secondo luogo, compie un giudizio di meritevolezza, stimando l’imputato idoneo a conseguire il beneficio se, nel termine stabilito dalla sentenza, si attivi per risarcire la parte civile del danno cagionato dal reato e liquidato, in tutto o in parte, dal giudice stesso con la sentenza di condanna, in maniera da realizzare un comportamento sintomatico di una maggiore socialità; in linea, pertanto, con un auspicato reinserimento sociale, così da escludere, se entrambi gli obblighi (di non commettere in futuro ulteriori reati e di risarcire il danno cagionato alla parte civile e liquidato dal giudice) saranno adempiuti, la necessità che la pena comminata con la sentenza di condanna debba essere eseguita.
A queste finalità sono collegati due termini: quello legale di cui all’art. 163, primo comma, cod. pen. e quello giudiziale di cui all’art. 165, sesto comma, stesso codice.
Il primo termine, prevedendo un periodo di prova (di cinque anni per i delitti e di due anni per le contravvenzioni), è funzionale alla conferma o meno della prognosi di non recidiva, determinando, nel caso di conferma della prognosi formulata, l’estinzione del reato e, nel caso contrario, la revoca del beneficio.
Trattandosi di una verifica che deve essere compiuta in un tempo predeterminato, il termine è stabilito, una tantum, dalla legge.
Il secondo termine serve per definire compiutamente il trattamento special-preventivo riservato al condannato a pena condizionalmente sospesa e subordinata all’adempimento di un “obbligo risarcitorio”, che può essere imposto soltanto se vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale (Sez. 6, n. 933 del 22/10/2003, dep. 2004, Rinzivillo, Rv. 227943 – 01), sul rilievo dell’inscindibilità della condanna alle restituzioni ed al risarcimento dei danni dal presupposto dell’accertamento in sede penale di un’obbligazione di interessi civili, per cui sarebbe illegittima l’eventuale pronuncia del giudice, che sottoponga la concessione del beneficio alla condizione dell’adempimento dei suddetti obblighi civilistici, senza che tale richiesta provenga da una parte civile costituita (Sez. 6, n. 13052 del 23/04/1980, Dall’Amore, Rv. 147023 – 01).
Ne consegue altresì l’impossibilità di subordinare la concessione del beneficio all’adempimento in forma generica dell’obbligo dell’integrale risarcimento del danno cagionato alla parte lesa, essendo invece necessario che il giudice penale determini con precisione il quantum di provvisionale o di risarcimento del danno che forma l’oggetto dell’obbligo condizionante (Sez. 3, n. 11637 del 05/06/1991, Di Febo, Rv. 189526 – 01), che, come sarà più chiaro in seguito, può essere imposto soltanto se il condannato versi nelle condizioni di poter adempiere cosicché una tale verifica comporta, anche per tale via, una valutazione diretta a stabilire un termine congruo per l’adempimento.
4. Pertanto, sulla base delle precedenti considerazioni, non risulta pienamente condivisibile il primo orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in forza del quale, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento di una somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o di provvisionale in favore della parte civile, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, qualora non sia stato fissato in sentenza, coincide con quello del passaggio in giudicato della stessa, trattandosi di obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile (tra le altre, Sez. 1, n. 13776 del 15/12/2020, dep. 2021, Ciocci, 281059 – 01; Sez. 1, n. 23742 del 08/07/2020, Priori, Rv. 279458 – 01; Sez. 1, n. 6368 del 28/01/2020, Incalcaterra, Rv. 278075 – 01; Sez. 1, n. 10867 del 16/01/2020, Cirota„ Rv. 278693 – 01; Sez. 1, n. 47649 del 18/04/2019, Pucci, Rv. 277458 – 01; Sez. 1, n. 47862 del 28/06/2017, Gentiluomo, Rv. 271418 – 01).
4.1. In via preliminare, si deve escludere che, con specifico riferimento all’istituto de quo (art. 165 cod. pen.), il termine per l’adempimento degli obblighi risarcitori, ivi compresa la condanna alla provvisionale (che è ex lege esecutiva), possa decorrere ante iudicatum.
Osta a una tale conclusione il dettato costituzionale (art. 27, secondo comma, Cost.) e quello convenzionale (art. 6, n. 2, CEDU), posto che la sospensione condizionale della pena presuppone una condanna (che si deve intendere come affermazione definitiva della responsabilità penale), con la conseguenza che, prima della sentenza irrevocabile, lo status di imputato impedisce, in costanza di una presunzione assoluta di non colpevolezza, che un beneficio possa essere revocato prima ancora che la colpevolezza non sia stata definitivamente accertata.
Diversamente, la presunzione di non colpevolezza sarebbe vulnerata nel suo significato più sostanziale.
Pertanto, nonostante il contrasto tuttora esistente in seno alla giurisprudenza di legittimità, la sospensione condizionale della pena presuppone necessariamente una sentenza di condanna eseguibile, e cioè definitiva, con la conseguente illegittimità di provvedimenti che tendano ad anticiparne gli effetti (ex multis, Sez. 6, n. 2347 del 05/02/1998, Serra, Rv. 209980 – 01).
In altri termini, allorquando il beneficio della sospensione condizionale della pena venga subordinato ad uno degli obblighi, da intendersi tassativi, previsti dall’art. 165 cod. pen., anche il termine per l’adempimento di tale obbligo deve decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, perché la sospensione della esecuzione della pena presuppone necessariamente una sentenza di condanna eseguibile, e, cioè, definitiva.
Ne consegue che, a tali fini, qualsiasi termine stabilito per l’adempimento dell’obbligo risarcitorio, al quale adempimento prima del passaggio in giudicato della sentenza sia stata subordinata la sospensione condizionale della pena, deve essere corrispondentemente differito alla data di irrevocabilità della pronuncia.
Questo approdo consente di ritenere che„ se stabilito in sentenza, il termine per adempiere – tanto per la condanna alla provvisionale quanto per la condanna al risarcimento del danno, al cui adempimento sia subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena – può decorrere solo dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna condizionalmente sospesa e ciò avvalora la tesi per la quale occorre scindere, come in precedenza argomentato, le facoltà concesse alla parte civile di ottenere l’adempimento della prestazione posta a carico dell’obbligato per il soddisfacimento degli interessi civili, facoltà che prescinde dalla fissazione o meno in sentenza del termine ex art. 165 cod. pen., dalla funzione che detto termine esplica o dovrà esplicare ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena per avere il condannato inadempiuto l’obbligo risarcitorio, sempre che questo fosse sopportabile dall’obbligato stesso e l’adempimento non fosse dovuto a cause fortuite o di forza maggiore o a fatti sopravvenuti comunque indipendenti dalla volontà di non adempiere.
4.2. Ciò chiarito, le Sezioni Unite ritengono non condivisibile l’indirizzo, del quale sono espressione le sentenze in precedenza indicate, perché il principio espresso da dette pronunce fonda sul presupposto che, nel caso in cui il giudice della cognizione non abbia fissato un termine per l’adempimento dell’obbligo risarcitorio, l’inadempimento si concretizzerebbe nel momento stesso del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena sospesa subordinata al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.
In tal modo, si farebbe coincidere impropriamente il dies a quo con il dies ad quem, svalutando la lettera della legge che, invece, richiede esplicitamente che sia stabilito un termine (diverso da quello iniziale) entro il quale il condannato debba adempiere la prestazione.
A questo proposito, la dottrina ha sottolineato che il passaggio in giudicato della condanna, mentre può segnare il dies a quo del decorso del termine (sul presupposto che prima del passaggio in giudicato non c’è formalmente condanna), non possa segnare anche la data trascorsa la quale l’obbligo condizionante debba essere immediatamente assolto (senza tolleranza alcuna), perché il concetto di termine (ex art. 165, sesto comma, cod. pen.) postula un tempo per l’adempimento, non un istante.
Va, infine, aggiunto che la ragione giustificatrice di questo orientamento poggia sulla considerazione che, non avendo l’obbligo del pagamento un contenuto nuovo e autonomo rispetto a quello civilistico, il creditore ha il diritto di esigere immediatamente l’adempimento dell’obbligazione ai sensi dell’articolo 1183, primo comma, cod. civ.
Sul punto, la regola dell’immediata esigibilità (quod sine die debetur, statim debetur), stabilita dal primo comma dell’articolo 1183 cod. civ., non esclude – indipendentemente dalle eccezioni di cui al secondo comma e dalla circostanza che, trattandosi di un’obbligazione derivante da fatto illecito, non sia necessaria alcuna intimazione (dies interpellat pro homine) e messa in mora (trattasi di mora ex re) – che un termine, sia pure esiguo, il creditore debba concedere al debitore per l’esecuzione della prestazione, fermo restando il risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento.
Pertanto, anche ragionando in applicazione dei principi di diritto privato, non si dubita che debba comunque essere assicurato al debitore un termine congruo affinché possa predisporre i mezzi per l’adempimento, tant’è che la dottrina civilistica è giunta ad affermare che la regola di cui all’art. 1183 cod. civ. costituisca una specificazione del principio ex art. 1175 stesso codice che individua nel principio di buona fede e correttezza un limite all’operatività dello statim debetur.
Non è perciò condivisibile il principio secondo il quale l’obbligo del pagamento che scaturirebbe ex art. 165 cod. pen., in relazione alle statuizioni sui capi civili espressi nella sentenza di condanna, non avrebbe un contenuto nuovo o autonomo rispetto a quello civilistico.
A diverse conclusioni si poteva pervenire qualora la norma non avesse previsto l’obbligo del giudice di fissare il termine per l’adempimento dell’onere risarcitorio perché, in materia di effetti civili derivanti da atto illecito e di conseguenti obblighi extrapenali, non vi è dubbio che, qualora non fosse stato diversamente stabilito (e il potere-dovere attribuito al giudice di fissare il termine per l’adempimento deroga indubbiamente al principio dello statim debetur), si dovesse fare ricorso alle norme del codice civile in materia di obbligazioni, sicché la previsione del termine si risolve in una disciplina di favore per il condannato che, diversamente, poteva essere chiamato, anche a fine di conservare o meno il beneficio, ad assolvere, al momento dell’irrevocabilità della sentenza penale, l’obbligazione civile.
Ne consegue che è proprio la diversa concezione penalistica del termine ex art. 165 cod. pen. che consente di diversificare le rispettive discipline, lasciando alla parte privata comunque integre le azioni civili, esercitabili nel corso del processo penale, nel caso di condanna alla provvisionale o di condanna alle restituzioni o al risarcimento dichiarata provvisoriamente esecutiva o, dopo il giudicato, di irrevocabilità delle statuizioni civili e ciò indipendentemente da ogni “ricaduta” sulla sospensione condizionale della pena, qualora il giudice penale non abbia stabilito nella sentenza il termine per adempiere all’obbligo risarcitorio.
4.3. Sotto altro profilo, le Sezioni Unite ritengono che non sia pienamente condivisibile anche l’opposto orientamento secondo cui, qualora la sentenza non abbia fissato un termine entro il quale l’imputato debba adempiere all’obbligo cui è condizionato il beneficio, il termine per adempiere coincide con quello previsto dall’art. 163 cod. pen. (due o cinque anni a seconda che trattasi di contravvenzione o delitto), e il dies a quo coinciderebbe con quello del passaggio in giudicato della sentenza (tre le altre, Sez. 5, n. 9855 del 08/11/2018, dep. 2019, Perticari, Rv. 275502 – 01; Sez. 4, n. 21583 del 06/05/2016, Giancane, Rv. 267280 – 01; Sez. 1, n. 24642 del 27/05/2015, Hosu, Rv. 26:3974 – 01; Sez. 1, n. 42109 del 19/06/2013, Damiano, Rv. 256765 – 01; Sez. 1, n. 41428 del 07/10/2004, Raffo, Rv. 229939 – 01).
In primo luogo, anche questo indirizzo svaluta il ruolo che la norma penale attribuisce al termine, il quale partecipa alla definizione della finalità special-preventiva, che la norma stessa richiede che sia perseguita nel caso concreto, e perciò deve, per questo fondamentale motivo„ essere appositamente stabilito dal giudice nella sentenza per rendere, da un lato, esigibile l’adempimento dell’obbligo risarcitorio e, dall’altro, per rafforzare il dovere di adempiere da parte del condannato.
In secondo luogo, affermando che – qualora la sentenza non abbia fissato un termine entro il quale l’imputato debba adempiere all’obbligo risarcitorio cui è condizionato il beneficio – il termine coincide con quello previsto dall’art. 163 cod. pen., tale indirizzo, ricorrendo ad una fictio fondata sul presupposto che il termine sia contenuto per implicito nella sentenza, compie un’operazione interpretativa non consentita perché postula, nella sostanza, che sia l’estinzione del reato ad essere subordinata all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, mentre, dal combinato disposto ex artt. 165, 167 e 168 cod. pen., si ricava che invece è la sospensione condizionale ad essere subordinata all’adempimento della prestazione dovuta.
In altri termini, l’obbligo condizionante esplica la funzione di una clausola risolutiva apposta alla sospensione condizionale della pena (non all’estinzione del reato), nel senso che se l’onere risarcitorio non è adempiuto, il condannato decade dal beneficio della sospensione, la quale, inizialmente produttiva di effetti nelle more della scadenza del termine per adempiere, non produrrà ex tunc effetto alcuno, essendo perciò suscettibile di revoca.
Queste considerazioni portano a ritenere che il termine di cui al sesto comma dell’art. 165 cod. pen. debba essere necessariamente individuato dal giudice in un momento precedente alla rispettiva scadenza dei termini di cui all’art. 163 cod. pen. in conformità al trattamento che, nel caso specifico, si ritiene di riservare al condannato a pena condizionalmente sospesa per il migliore perseguimento delle esigenze special-preventive in funzione del reinserimento sociale; come segnalato dalla dottrina, invero, il processo di rieducazione deve tradursi nell’offerta al condannato di opportunità per un autonomo impegno di assunzione di responsabilità verso i valori sociali, impegno che sarebbe ampiamente disatteso qualora si lasciasse al condannato la facoltà di adempiere in corrispondenza della scadenza del periodo di prova, salvo che tale periodo sia stato espressamente indicato in sentenza perché ritenuto congruo in funzione della definizione del trattamento, circostanza esclusa dalla tesi di partenza che vuole che il giudice penale abbia omesso di stabilire il termine per l’adempimento.
Ne consegue che i termini previsti dall’art. 163 cod. pen. non possono svolgere alcuna funzione meramente integrativa rispetto alla statuizione omessa dal giudice e imposta dall’art. 165, sesto comma, cod. peri., cosicché il condannato, così come non può essere obbligato ad adempiere, ai fini dell’efficacia della sospensione condizionale della pena, immediatamente dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna (che segna il solo dies a quo), non può, mutatis mutandis, essere autorizzato ad adempiere quando lo voglia, purché prima della scadenza dei termini legali, ma al più si dovrà ricorrere a “norme di chiusura del sistema” (ossia al combinato disposto degli artt. 167 e 168 cod. pen.), nei casi in cui il termine per adempiere all’onere risarcitorio non sia stato fissato né dal giudice della cognizione e neppure dal giudice dell’esecuzione entro la scadenza dei termini legali, di cui all’art. 163 cod. pen.
5. Posto che il termine, di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen., è un elemento essenziale dell’istituto, occorre chiedersi quali siano le conseguenze giuridiche qualora il giudice ometta, in sentenza, di stabilirlo.
5.1. Innanzitutto, non è percorribile la tesi, pure prospettata con il ricorso, secondo la quale si dovrebbe attivare, in questi casi, la procedura della correzione dell’errore materiale.
Infatti, la mancata fissazione del termine si traduce in una omessa statuizione obbligatoria ma a contenuto non predeterminato, perché il termine per adempiere concorre a definire il trattamento special-preventivo del condannato e perciò deve essere stabilito dal giudice della cognizione attraverso il bilanciamento di una serie di elementi non predefiniti, atteso che, quanto agli oneri risarcitori, occorre verificare se ed in quale misura la condizione sia ragionevolmente sopportabile dal condannato soprattutto in considerazione della sua capacità economica ed anche in relazione all’entità della somma da risarcire e agli altri elementi desumibili dagli atti o allegati dagli interessati.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che soltanto l’omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell’atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’art. 130 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, in motivazione), con la conseguenza che, quando si è al cospetto, come nel caso di specie, di una statuizione obbligatoria ma a contenuto non predeterminato, non è consentito il ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale.
5.2. Esclusa siffatta opzione, osserva la Corte come il fatto che il termine per adempiere concorra a definire il trattamento special-preventivo del condannato in consonanza con il principio rieducativo (art. 27, terzo comma, Cost.) induce a ritenere che sussista l’obbligo del giudice della cognizione di procedere, secondo le evidenze disponibili, all’accertamento delle condizioni economiche dell’imputato nel caso in cui la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena sia subordinato all’adempimento dell’obbligo risarcitorio.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, che ha fatto registrare nel tempo opposti orientamenti, si è espressa recentemente, in modo compatto, nel senso che, nel caso di sospensione condizionale subordinata all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno, il giudice della cognizione non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato, salva l’ipotesi in cui emergano situazioni che ne facciano dubitare della capacità economica di adempiere ovvero quando tali elementi siano forniti dalla parte interessata (Sez. 6, n. 46959 del 19/10/2021, P., Rv. 282:348 – 01; Sez. 6, n. 22094 del 18/03/2021, Orsi, Rv. 281510 – 01; Sez. 5, n. 3187 del 26/10;2020, dep. 2021, Genna, Rv. 280407 – 01; Sez. 2, n. 26958 del 24/07/2020, Valente, Rv. 279648 – 01; Sez. 5, n. 40480 del 24/06/2019, P., Rv. 278381 – 02; Sez. 4, n. 50028 del 04/10/2017 Pastorelli, Rv. 271179-01; Sez. 6, n. 52730 del 28/09/2017, S., Rv. 271731 – 01).
Peraltro, in passato, la Corte aveva ritenuto che il giudice della cognizione, qualora avesse subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno contestualmente liquidato, dovesse procedere, con apprezzamento motivato, alla valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche dell’imputato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento pecuniario (Sez. 5, n. 21557 del 02/02/2015, Solazzo, Rv. 263675 – 01; Sez. 2, n. 22342 del 15/02/2013, Cafagna, Rv. 255665 – 01), giungendo successivamente ad affermare che, in tali casi, sussistesse comunque l’obbligo di valutare le reali condizioni economiche del condannato e, ancor di più, quando vi fosse un accenno di prova dell’incapacità di questo di sopportare l’onere del pagamento risarcitorio (Sez. 5, n. 40041 del 18/06/2019, Peron, Rv. 277604 – 01) e, nel pervenire a tale conclusione, aveva sottolineato come l’obbligo in questione fosse coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 Cost.
Questi ultimi approdi, del tutto compatibili con l’indirizzo in precedenza richiamato e che si è andato delineando all’interno della giurisprudenza di legittimità, fondano il proprio assunto privilegiando un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 165 cod. pen., in relazione all’art. 3 Cost. e facendo perciò leva sulle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui consente di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ha sottolineato che spetta comunque al giudice la valutazione, caratterizzata da un apprezzamento motivato pur se discrezionale, della capacità economica del condannato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento del danno (Corte cost., sentenza n. 49 del 1975).
Pertanto, la necessità di una tale preventiva valutazione, sia pure sommaria, consente di evitare che si realizzi in concreto un trattamento di sfavore a carico dello stesso condannato in ragione delle sue condizioni economiche, ancor più quando vi sia già un accenno di prova dell’incapacità dell’imputato di adempiere all’obbligazione risarcitoria, con la conseguenza che il dovere di scandagliare le effettive possibilità del condannato di fruire del beneficio della sospensione condizionale subordinandolo ad un obbligo risarcitorio che egli possa realmente assolvere è coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 Cost. e tutto ciò, vale la pena ricordare, si pone in linea con la tradizione giuridic:a italiana che, sin dall’introduzione dell’istituto della condanna condizionale, aveva posto in rilievo la necessità che con l’imposizione dell’obbligo risarcitorio, al cui adempimento fosse subordinata la sospensione della pena, si potesse realizzare, qualora affrancato da ogni valutazione sulla capacità di adempiere, una disparità cli trattamento tra imputati abbienti e non abbienti.
La circostanza poi che una tale valutazione competa anche e comunque al giudice dell’esecuzione, qualora si verta in tema di revoca del beneficio, non esime il giudice della cognizione dall’eseguire un accertamento non necessariamente approfondito ma tale da escludere che, come è stato sottolineato in dottrina, la sospensione condizionale della pena “nasca già morta”, perché condizionata all’assolvimento di un onere che il condannato non può ab initio sopportare, essendo l’adempimento per lui non esigibile in partenza.
5.3. Quanto poi alle conseguenze giuridiche che conseguono alla circostanza che il giudice della cognizione addirittura ometta, in sentenza, di stabilire il termine di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen., le Sezioni Unite ritengono che, in tal caso, tale omissione si traduce, per le ragioni in precedenza enunciate, in un vizio di legittimità che affligge la sentenza ed è inquadrabile nella violazione della legge penale sostanziale.
Pertanto, il ruolo di elemento essenziale della fattispecie, che la norma penale assegna al termine di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen., e la necessità che la sua fissazione definisca compiutamente il trattamento special-preventivo in conformità al principio rieducativo, comporta che le parti interessate, principalmente il pubblico ministero, possono impugnare la sentenza che tale omissione contenga, azionando il mezzo di impugnazione appositamente previsto.
Qualora la sentenza che contenga tale omissione non venga impugnata sul punto, il giudice d’appello può, d’ufficio o su sollecitazione delle parti, colmare la lacuna, fissando il termine per l’adempimento dell’onere risarcitorio.
A questo proposito, la giurisprudenza di legittimità si è già espressa affermando come tale omissione possa essere prontamente riparabile ex officio dal giudice dell’impugnazione (Sez. 6, n. 4610 del 22/10/1988, Tornatore, cit., in motivazione).
Sotto tale profilo, con specifico riferimento alla condanna al pagamento di una provvisionale (ma il principio è valido per tutti gli obblighi ex art. 165 cod. pen. e, in particolare, per quelli risarcitori), la giurisprudenza di legittimità, proprio richiamando la sentenza Tornatore, ha escluso la violazione del divieto della reformatio in peius da parte del giudice di appello che fissi il termine, per il pagamento della “provvisionale” in favore della parte civile, non indicato dal giudice di primo grado che, al pagamento della “provvisionale”, aveva appunto subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Pertanto, è stato ritenuto che non sarebbe predicabile, in siffatti casi, la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen., in quanto la doverosa indicazione di un termine per il pagamento della provvisionale, lungi dal comportare la revoca di benefici in precedenza concessi, è connaturata alla subordinazione, ex art. 165 cod. pen., della sospensione condizionale della pena all’adempimento delle statuizioni civili, tanto più che l’indicazione di un termine per l’adempimento integra un aspetto necessario ed ineliminabile del beneficio medesimo, cosicché il giudice del merito ha il potere-dovere di riparare a tale mancanza, concludendo che non si verifica mai violazione del principio devolutivo né del divieto di reformatio in peius ove la statuizione emessa dal giudice d’appello si ponga come mero atto dovuto (Sez. 2, n. 35351 del 17/09/2010, Rabbia, Rv. 248545 – 01 e in motivazione).
Ora, proprio partendo da tali considerazioni deve escludersi la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen., che in caso di appello del solo imputato vieta (comma 3) l’aggravamento della pena per specie o quantità, l’applicazione di misure di sicurezza nuove o più gravi o la revoca di benefici (tutti casi che, nella specie, non ricorrono), tanto sul condivisibile rilievo che la doverosa indicazione di un termine per il pagamento della provvisionale o del risarcimento del danno liquidato dal giudice penale, lungi dal revocare il beneficio concesso dal giudice di primo grado, è connaturata alla subordinazione ex art. 165 cod. pen. della sospensione condizionale della pena all’adempimento delle statuizioni civili, subordinazione che nel caso di specie è stata già disposta dal primo giudice.
Tanto più che, in tema di oneri risarcitori, il termine è concepito a vantaggio del condannato che, diversamente, sarebbe stato chiamato ad adempiere immediatamente dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, anche con una ricaduta sulla conservazione o sulla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Pertanto, le Sezioni Unite ritengono che, al cospetto di una clausola obbligatoria per legge, il giudice di appello possa, anche d’ufficio, emanare una statuizione che, non contenuta nella sentenza di primo grado, si ponga come un mero atto dovuto in quanto costitutiva della fattispecie di cui all’art. 165 cod. pen.
5.4. Passata in giudicato la sentenza, perdurando l’omissione perché non riparata d’ufficio o a seguito di impugnazione di parte, il giudice dell’esecuzione, su richiesta di una parte interessata o del pubblico ministero e a prescindere dalla circostanza che sia stata presentata una domanda di revoca della sospensione condizionale della pena, può provvedere alla fissazione del termine.
Trattandosi di una statuizione obbligatoria ma omessa, il giudice dell’esecuzione non trova preclusioni di sorta nel risolvere la questione devolutagli, ossia di fissare il termine per l’adempimento, posto che la violazione del termine comporta la revoca del beneficio e perciò costituisce, nel caso di specie, un presupposto per la revoca.
Infine, qualora il giudice della cognizione non abbia stabilito il termine nella sentenza e successivamente il giudice dell’esecuzione non sia stato investito della fissazione del termine per l’adempimento dell’obbligo risarcitorio, lo stesso coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen.
Tanto si deduce dal combinato disposto di cui agli artt. 167 e 168 cod. pen., quali norme di chiusura della disciplina de qua„ in considerazione della circostanza che il dies ad quem, in relazione al quale è commisurato l’onere risarcitorio, non può mai superare i termini previsti dall’art. 163 cod. pen., per la fondamentale ragione che, comunque decorso il rispettivo periodo di tempo, o il condannato a pena sospesa non ha commesso ulteriori reati ed ha ottemperato all’onere restitutorio oppure, pur essendosi astenuto dalla commissione di ulteriori reati, non risulta che abbia adempiuto agli oneri restitutori, con la conseguenza che, in mancanza di cause sopravvenute che abbiano reso impossibile la prestazione, il reato non può estinguersi (art. 167 cod. pen.) e la sospensione della pena dovrà, quindi, essere revocata (art. 168 cod. pen.).
Per cui se il termine manca e non è stato fissato dal giudice della cognizione o da quello della esecuzione, secondo le cadenze in precedenza ricostruite, esso coinciderà con quello di cinque o due anni previsto dall’alt. 163 cod. pen., per cui l’adempimento degli obblighi deve avvenire prima della scadenza del termine di sospensione.
6. In conclusione, la questione posta dall’ordinanza di rimessione va risolta enunciando il seguente principio di diritto: «In caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, che costituisce elemento essenziale dell’istituto, va fissato dal giudice in sentenza ovvero, in mancanza, dal giudice dell’impugnazione o da quello della esecuzione. Qualora il termine non venga in tal modo fissato, lo stesso coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen.».
7. Alla stregua delle precedenti considerazioni, il primo motivo di ricorso deve ritenersi fondato per quanto di ragione.
Il giudice dell’esecuzione, pur mancando nella sentenza irrevocabile di primo grado la fissazione del termine di cui all’art. 165, sesto comrna, cod. pen., ha accolto l’istanza di revoca della sospensione condizionale della pena avanzata dal pubblico ministero, su sollecitazione della parte civile, ritenendo il ricorrente inadempiente sull’erroneo presupposto che il termine per adempiere coincidesse con la data di irrevocabilità della sentenza di condanna, trattandosi di un’obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile dal creditore, ossia dalla parte civile.
Il pubblico ministero, da parte sua, avrebbe dovuto previamente investire il giudice dell’esecuzione della fissazione di detto termine prima di poter chiedere la revoca della sospensione condizionale della pena, atteso che dalla condanna irrevocabile, intervenuta per il delitto di lesioni, non era ancora decorso il termine di cinque anni ex art. 163 cod. pen.
A sua volta, il giudice dell’esecuzione, nel contraddittorio delle parti, avrebbe dovuto stabilire, se richiesto, il termine di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen., tenuto conto del tempo già trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza e delle condizioni economiche del condannato anche in relazione alla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in favore della parte civile o ad altre circostanze desumibili dagli atti o allegate dalle parti.
Il primo motivo di ricorso va, pertanto, accolto e da ciò consegue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata con trasmissione degli atti al pubblico ministero per le sue determinazioni in ordine alla presentazione di istanza al giudice dell’esecuzione per la fissazione del termine di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen. per l’adempimento degli obblighi risarcitori disposti in favore della parte civile.
Il secondo motivo di ricorso è, all’evidenza, assorbito dall’accoglimento del primo.