Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Ordinanza 18 ottobre 2024, n. 27069
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di responsabilità civile per danno da cose in custodia, dev’essere data continuità all’orientamento giurisprudenziale in virtù del quale a proposito della partecipazione all’attività sportiva amatoriale, pur implicante attività agonistica, la consapevolezza del rischio di chi volontariamente vi partecipa riduce la soglia di responsabilità dei custodi del bene sul quale viene svolta la competizione.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 1218,1223,1225e 2697 cod. civ., per violazione delle regole sul riparto dell’onere della prova nella responsabilità contrattuale.
Il ricorrente sostiene che – anche volendo trascurare l’impossibilità di dimostrare l’esistenza di un limite all’indennizzo per infortunio in relazione ad una polizza che non esiste – la sentenza avrebbe comunque violato le norme suindicate. Ed invero, una volta accertato l’inadempimento rispetto all’obbligo di stipula del contratto di assicurazione, la sentenza avrebbe dovuto accogliere la domanda, almeno nel limite dei danni prevedibili. La dimostrazione, da parte del creditore, del fatto dell’inadempimento determinerebbe la ricaduta sul debitore dell’onere di dimostrare l’esattezza del proprio adempimento. Il ricorrente ritiene, in sostanza, che l’avvenuta dimostrazione dell’esistenza di postumi invalidanti a seguito dell’infortunio sposti sul debitore l’onere di «provare eventuali limitazioni dell’entità dell’indennizzo» spettante al danneggiato (come una sorta di massimale di polizza), mentre la Corte d’appello avrebbe addossato al danneggiato un onere probatorio di impossibile soddisfacimento.
1.1. Il motivo è fondato.
Pur essendo indubbia l’obiettiva modestia dell’intera vicenda qui in discussione, la Corte non può fare a meno di rilevare che l’impugnata sentenza contiene un evidente errore di diritto, consistente nell’errata applicazione delle regole sull’onere della prova.
La Corte territoriale, infatti, ha dato per dimostrato – senza che vi siano contestazioni sul punto – il fatto che il torneo di calcio nel corso del quale si determinò l’incidente in danno dell’odierno ricorrente era stato disputato dai partecipanti nella convinzione di essere coperti da apposita assicurazione; e ha aggiunto che l’organizzatrice del torneo aveva fornito apposite «rassicurazioni» ai partecipanti circa il fatto che una parte della quota di iscrizione sarebbe stata destinata, appunto, alla stipula del contratto di assicurazione. Ciò nonostante, è pacifico che quel contratto non fu mai stipulato.
Partendo da tale ricostruzione in fatto – la quale, contenendo un accertamento di merito, non è sindacabile in questa sede – la Corte napoletana ha tratto la conclusione secondo cui «l’attore avrebbe dovuto fornire riscontro probatorio del beneficio che avrebbe tratto se una polizza assicurativa fosse stata effettivamente stipulata», posto che simili assicurazioni prevedono, di norma, uno scoperto non inferiore al 5 per cento dei postumi invalidanti.
In questo modo, però, la Corte d’appello ha rovesciato sul creditore danneggiato l’onere di provare l’utilità dell’ipotetica polizza non sottoscritta. Siffatta conclusione è errata perché, vertendosi in ambito di responsabilità contrattuale, al creditore non può essere posto alcun altro onere che non sia quello di dimostrare l’esistenza del contratto (nella specie, cioè, l’esistenza dell’impegno a stipulare una polizza assicurativa) e l’inadempimento del debitore. Rimane invece a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare o che l’inadempimento non sussiste o che è stato determinato da causa a lui non imputabile o che, eventualmente, si tratta di un inadempimento irrilevante a fini risarcitori. La digressione che la sentenza impugnata ha compiuto in ordine al fatto notorio per cui le assicurazioni per attività sportive amatoriali prevedono solitamente determinate franchigie non elimina l’errore in diritto, che risulta poi in modo palese dalle ulteriori considerazioni compiute dalla Corte d’appello, secondo cui doveva essere l’attore a «dedurre e provare le effettive conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’omessa stipula» del contratto di assicurazione. Una volta dimostrato, come nel caso in esame, che l’obbligo di stipulare il contratto c’era e che vi era stato inadempimento, avrebbe dovuto essere il debitore a dimostrare l’irrilevanza dell’inadempimento derivante dall’esistenza – affermata in via meramente teorica – di una franchigia tale da rendere comunque non indennizzabile il sinistro.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata su questo punto.
- Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2051 cod. civ.in ordine alla concorrente responsabilità extracontrattuale del Comune e dell’Associazione.
Sostiene il ricorrente che sarebbe emerso dalle testimonianze escusse che il campo sportivo teatro dell’incidente era dotato di un precario impianto di illuminazione e che per tale motivo non era omologato allo svolgimento di partite in notturna. La responsabilità del Comune e dell’Associazione per l’insufficiente illuminazione sarebbe fonte di violazione dell’obbligo di custodia, dal momento che aveva alterato la percezione delle distanze in capo ai giocatori. Né, d’altronde, potrebbe giovare al rigetto della domanda l’argomento, utilizzato in sentenza, dell’accettazione del normale rischio insito nelle gare sportive agonistiche, perché comunque l’organizzatore di un evento sportivo è tenuto a garantire la predisposizione delle normali cautele atte a contenere i relativi rischi.
2.1. Il motivo non è fondato.
La censura in esso contenuta, infatti, si infrange contro due semplici osservazioni contenute nella sentenza impugnata: 1) da un lato, l’accertata esclusione di zone d’ombra e di scarsa visibilità (punto in realtà non contestato) e 2) dall’altro, il fatto che la dinamica del sinistro induceva ad affermare che era stato proprio il C.G. a commettere fallo sul portiere (punto ugualmente non contestato), per cui invocare l’art. 2051 cod. civ. era, evidentemente, fuori luogo (ne è ulteriore indiretta conferma, del resto, il fatto che la domanda risarcitoria contro il portiere avversario è stata poi abbandonata).
Rileva la Corte, in relazione alla propria giurisprudenza, che è improprio il richiamo, compiuto dal ricorrente, all’ordinanza 28 luglio 2017, n. 18903, circa i maggiori oneri che gravano in capo all’organizzatore di un’attività sportiva intrinsecamente pericolosa (come il rafting, oggetto appunto di quella decisione, ovvero la manifestazione di autovetture fuoristrada di cui all’ordinanza 19 settembre 2023, n. 26860), dal momento che la partecipazione ad un torneo di calcio amatoriale non può certamente considerarsi un’attività in sé pericolosa. Occorre invece richiamare l’ordinanza 18 febbraio 2020, n. 3997, la quale, a proposito della partecipazione all’attività sportiva amatoriale, pur implicante attività agonistica, ha osservato che la consapevolezza del rischio di chi volontariamente vi partecipa riduce la soglia di responsabilità dei custodi del bene sul quale viene svolta la competizione.
- Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per nullità della sentenza conseguente all’asserita incongruenza della motivazione con cui la Corte di merito ha rigettato la domanda.
Secondo il ricorrente, la motivazione resa in sentenza sarebbe addirittura nulla perché non conferente rispetto alle censure svolte.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Esso, infatti, oltre ad essere in parte ripetitivo di considerazioni già svolte nel motivo precedente, è del tutto generico nella sua formulazione e pone una censura che è destituita di ogni fondamento, posto che la motivazione sul punto sussiste ed è pienamente logica e priva di incongruenze.
- In conclusione, è accolto il primo motivo di ricorso, mentre sono rigettati il secondo e il terzo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione personale, la quale tornerà ad esaminare il merito dell’appello nei limiti del primo motivo di ricorso qui accolto, attenendosi alle indicazioni della presente decisione in relazione alle regole sull’onere della prova.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
Rileva la Corte, peraltro, che il rigetto del secondo e del terzo motivo di ricorso determina il definitivo rigetto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dal C.G. contro il COMUNE DI (OMISSIS). Ne consegue che il ricorrente, benché vincitore in questa sede, è tuttavia soccombente in relazione al Comune suindicato e va perciò condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio nei confronti di tale controricorrente, liquidate come da dispositivo secondo i criteri di cui al d.m. 10 marzo 2014, n. 55.