Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 5 luglio 2024, n. 26553
PRINCIPIO DI DIRITTO
“La censura inerente all’assenza di colpa specifica propone una nuova lettura dei fatti e trascura che, in ogni caso, la pronuncia di condanna si fonda anche sull’accertamento della colpa generica dell’imputato, consistente nell’aver omesso di assicurare una diretta e continua vigilanza sul posto tramite una postazione fissa o mobile di assistente ai bagnanti tale da poter garantire la prevenzione dell’ulteriore rischio correlato all’uso del galleggiante rispetto agli ordinari rischi connessi alla balneazione.”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
- La Corte territoriale ha ritenuto certo che D.D., poco prima delle ore 17, fosse entrato in acqua insieme a tutti i suoi compagni tuffandosi dalla pensilina del (Omissis) e che avesse raggiunto l’iceberg gonfiabile galleggiante; le testimonianze di E.E. e di H.H. attestavano la consequenzialità tra la caduta di D.D. e il ferimento del F.F.; la presenza delle ciabatte di D.D. ancora sulla pensilina dello stabilimento dimostravano che il ragazzo non fosse uscito dall’acqua. Il confronto tra gli elementi fattuali emersi dalle deposizioni dei compagni della vittima e i risultati delle consulenze tecniche è stato ritenuto idoneo a dimostrare che D.D. fosse caduto in acqua in stato di incoscienza e che ciò fosse stato provocato da una iperestensione del collo dovuta a un colpo netto e forte contro un corpo solido diretto dal basso verso l’alto (compatibile, secondo i consulenti, con la testa di una persona) che aveva determinato un taglio sotto al mento, realizzatosi quando D.D. era in vita.
Con riguardo all’elemento soggettivo del reato, la Corte ha ritenuto manifesta la colpa generica ascrivibile all’imputato, consapevole della pericolosità della struttura gonfiabile, di grosse dimensioni, sulla quale si poteva salire contemporaneamente in più persone e dalla quale ci si poteva buttare in acqua (mentre altre erano alla base) o si poteva cadere, come accaduto alla vittima; il rischio che qualcuno potesse farsi del male, si legge a pag. 16, anche seriamente, era palese ma l’imputato non aveva valutato e gestito adeguatamente tale situazione di pericolo omettendo di assicurare una postazione fissa o mobile di assistenza ai bagnanti o di regolare comunque l’afflusso alla struttura.
Ulteriore profilo di colpa, in questo caso specifica, è stato ravvisato nella violazione dell’art. 6 del “Regolamento di fruibilità del lago B.”, concretato dalla negligenza nell’organizzazione del servizio di assistenza ai bagnanti, anche perché i due addetti erano frequentemente distolti dai loro doveri di controllo per noleggiare canoe, pedalò, ombrelloni e lettini, come da disposizione del datore di lavoro e come evincibile dal cartello esposto nello stabilimento, che invitava i clienti a rivolgersi al bagnino per il noleggio di ombrelloni, lettini e natanti. La Corte ha, dunque, incentrato il giudizio di rimproverabilità sulla generale negligenza nella gestione del rischio insito nell’allestimento della struttura, dimostrata anche dalle modalità del gonfiaggio, attuato senza seguire le procedure previste nella scheda tecnica e in modo occasionale, causalmente collegabile all’evento in quanto D.D. era caduto proprio in conseguenza del flettersi della struttura, evidentemente poco gonfia.
- La difesa, al fine di escludere la riconducibilità della morte di D.D. all’uso dell’attrezzatura gonfiabile presente presso lo stabilimento gestito dall’imputato, sostiene che il corpo esanime del ragazzo sia stato rinvenuto a distanza di m. 10 dal gonfiabile, segno inequivoco della presenza di correnti lacustri, e che tale dato è emerso dalla deposizione del Luogotenente CC R.R. all’udienza del 6 giugno 2017.
Una prima osservazione che s’impone concerne la genesi del rinvenimento del corpo della vittima e la sua posizione rispetto al gonfiabile; a pag.3 della sentenza di primo grado si è specificato che i Vigili del Fuoco avevano orientato le ricerche mediante apparecchiatura sonar “prevalentemente verso la zona dove era ancorata una piramide galleggiante tanto che veniva costituito un campo di ricerca intorno alla piramide attraverso il posizionamento di pedagne e boe in superficie. All’interno di questa zona, utilizzando il sonar, veniva effettuata una scansione del fondale che permetteva di individuare e quindi di recuperare, attraverso due sommozzatori in immersione, il corpo esamine del giovane scomparso”. Il corpo di D.D. era stato rinvenuto a circa 5 metri dal gonfiabile, come ribadito a pag.7 della sentenza di primo grado.
3.1. La distanza del corpo dal gonfiabile non risulta essere stata oggetto di contestazione da parte della difesa che, anzi, ha su tale dato probatorio fondato la tesi dell’esservi stato un fenomeno di corrente lacustre che avrebbe ivi trascinato il corpo da ben altra zona del lago in cui si sarebbe verificato l’annegamento; altrimenti, secondo la difesa, il corpo esanime sarebbe stato visibile a chiunque fosse nei pressi dell’attrezzatura di gioco. Per converso, il giudice di primo grado aveva ritenuto non casuale che, in un invaso che si estende per un’area di kmq. 5, il corpo fosse stato rinvenuto proprio a cinque metri dal gonfiabile, sottolineando che sia il fondale sabbioso e limoso delle acque lacustri sia il riflesso dei raggi solari all’ora del tramonto, sia l’ombra provocata dalla voluminosa piramide galleggiante avevano impedito ai presenti di percepire la presenza del ragazzo annegato.
3.2. Il dato probatorio, non introdotto per la prima volta come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado […] non si assume travisato nè risulta essere stato contestato nell’atto di appello, come si evince da quanto riportato a pag.10 della sentenza impugnata. Se ne desume che l’asserita manifesta illogicità della motivazione, laddove si fonda sul dato del rinvenimento del corpo della vittima a dieci metri di distanza dal gonfiabile, risulta inammissibile in quanto priva di adeguato confronto con le acquisizioni istruttorie valutate dai giudici di merito.
- Al medesimo fine, la difesa ribadisce la manifesta illogicità della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito. La Corte territoriale ha, tuttavia, replicato ritenendo che non vi sia alcuna contraddizione tra la dinamica dell’incidente, da ritenere provata oltre ogni ragionevole dubbio, e l’assenza di testimoni diretti al fatto, considerato che la prova dichiarativa non ha lasciato dubbi circa il fatto che D.D. avesse raggiunto l’iceberg gonfiabile galleggiante e che fosse scivolato dall’attrezzo di gioco nel medesimo istante in cui il compagno F.F. aveva riportato un taglio alla testa; la prova dichiarativa, si legge a pag. 13, ha trovato un elemento oggettivo di corroborazione nella presenza delle ciabatte di D.D. sulla pensilina dello stabilimento, indicative del fatto che il ragazzo non fosse uscito dall’acqua. Conferma definitiva della ricostruzione emergente dalla prova dichiarativa è stata ravvisata nella prova tecnica fornita dai consulenti in merito alle cause della morte.
La Corte si è soffermata sulle ipotesi alternative fornite dalla difesa ritenendole mere suggestioni, considerando irragionevole ipotizzare che D.D., dopo essere scivolato dall’iceberg, fosse uscito dall’acqua, si fosse allontanato scalzo in un terreno boschivo fino a un luogo dove sarebbe stato aggredito e ridotto in stato di incoscienza per poi essere gettato in acqua e considerando altrettanto illogico ricondurre la morte del ragazzo alla condotta di uno o più compagni che avrebbero tenuto concordemente un comportamento omertoso, peraltro suscettibile di essere contraddetto dai tanti bagnanti presenti nel luogo.
4.1. A fronte di una serie di acquisizioni istruttorie analiticamente esaminate nelle conformi sentenze di merito, che non hanno trascurato i possibili elementi di falsificazione, la censura di manifesta illogicità risulta aspecifica in quanto non si confronta adeguatamente con la congruenza degli elementi valutati nella sentenza impugnata né, a proposito dell’impossibilità che nessuno abbia visto il ragazzo annegare, con quanto già richiamato nel par.3.1. né con l’affermazione a pag. 15 della sentenza di appello, in cui si è osservato che le acque lacustri con fondale sabbioso non possono considerarsi trasparenti fino a una profondità di m. 2,5-3 e si è precisato come sia fatto notorio che si verifichino annegamenti e permanenza di corpi per vari minuti sott’acqua senza che alcuno li noti anche nelle piscine.
La Corte ha, dunque, replicato con motivazione non manifestamente illogica osservando come le acque di un lago in un punto nel quale si accalcano molte persone, tutte intente nella difficile impresa di salire sulla struttura e comunque distratte nel gioco, rendessero priva di pregio la censura qui riproposta.
4.2. Ulteriore argomento con il quale la censura non si confronta è la logica considerazione operata dai giudici di appello a proposito del fatto che fosse normale che il ragazzo sprofondasse in acqua dopo una caduta dal gonfiabile, che l’impatto con la testa dell’amico era stato istantaneo e tale da poter non essere notato, che l’attenzione dei compagni era stata attirata dalla ferita e dal malore del F.F., così da rendere verosimile che nessuno controllasse se D.D. fosse riemerso o meno dall’acqua. Tanto più ove si osservi che il dato tecnico dei tre-cinque minuti asseritamente riferito al tempo di immersione del corpo era stato, invece, indicato, come peraltro rilevabile anche nel ricorso, quale termine massimo entro il quale si sarebbe verificato l’irreversibile annegamento.
- Il secondo motivo di censura non supera il vaglio di ammissibilità in quanto, oltre a proporre una rilettura dei fatti, deduce la violazione di legge in ipotesi di condanna per mancato rispetto di una norma cautelare laddove la sussistenza di plurimi profili di colpa, non specificamente contestati, non consentirebbe di pervenire a diverso esito del giudizio.
5.1. La difesa parte dal presupposto, contrastante con tutto l’impianto motivazionale delle conformi sentenze di merito, che l’imputato avesse organizzato il servizio di assistenza bagnanti nel rispetto dell’art. 6 del Regolamento di fruibilità del lago B.. Tale assunto trova una frontale smentita in quanto dichiarato dallo stesso imputato e dai due assistenti bagnanti nel corso del giudizio; secondo quanto precisato a pag. 14 della sentenza di primo grado, nel corso dei rispettivi esami A.A., B.B. e C.C. avevano concordemente ammesso che soltanto nei giorni di massima affluenza allo stabilimento era richiesto l’aiuto di un terzo dipendente, il quale provvedeva ad accompagnare i bagnanti all’ombrellone assegnato, oppure ai lettini, oppure consegnava le canoe.
Il Tribunale aveva sottolineato come già tale ammissione fosse in contrasto con il Manuale degli assistenti bagnanti adottato dalla F.I.N., secondo il quale l’assistente bagnanti non può essere adibito ad altri compiti che potrebbero allontanarlo dalla sua postazione, mentre il 29 luglio 2015 ai due assistenti bagnanti erano stati demandati i compiti più disparati, come dimostrato dalla prova dichiarativa da cui era emerso che gli stessi ragazzi del gruppo del quale faceva parte D.D., per noleggiare le canoe, si erano recati direttamente da uno dei bagnini. Tale circostanza era confermata da un cartello apposto nei locali dello stabilimento, che informava i clienti che, per il noleggio di lettini, o ombrelloni, canoe, fosse necessario rivolgersi ai bagnini.
5.2. La censura contrasta frontalmente anche con l’accertata postazione degli assistenti bagnanti che, nel caso in esame, secondo quanto dichiarato dalla stessa teste indicata dal ricorrente, si trovavano sulla spiaggia in posizione non sopraelevata e comunque tale da non garantire un controllo costante ed effettivo del corretto utilizzo del gonfiabile. A fronte di tali accertamenti, la censura inerente all’assenza di colpa specifica propone una nuova lettura dei fatti e trascura che, in ogni caso, la pronuncia di condanna si fonda anche sull’accertamento della colpa generica dell’imputato, consistente nell’aver omesso di assicurare una diretta e continua vigilanza sul posto tramite una postazione fissa o mobile di assistente ai bagnanti tale da poter garantire la prevenzione dell’ulteriore rischio correlato all’uso del galleggiante rispetto agli ordinari rischi connessi alla balneazione. A pag. 17 della sentenza impugnata si legge che la generale negligenza nella gestione del rischio insito nell’allestimento della struttura è stata desunta, con logica ineccepibile, anche dalle modalità di gonfiaggio: gli assistenti bagnanti avevano riferito che il gonfiaggio dell’attrezzatura iceberg veniva attuato senza seguire le procedure previste nella scheda tecnica e in modo occasionale. I giudici di appello hanno ritenuto che tale negligenza abbia inciso sulla verificazione dell’evento in quanto D.D. era caduto proprio in conseguenza del flettersi della struttura, evidentemente poco gonfia.
- Il terzo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, posto che il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato fondato principalmente sulla gravità della colpa ascrivibile all’imputato e sull’assenza di ulteriori elementi positivamente apprezzabili. Occorre, inoltre, ricordare che la valutazione degli elementi sui quali si fonda la concessione dell’attenuanti generiche rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 cod. pen., è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve essere senz’altro escluso.
- Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.