Cass. pen., I, ud. dep. 28.08.2024, n.364
PRINCIPIO DI DIRITTO
Condizione imprescindibile per configurare il reato complesso è l’interferenza fra le norme incriminatrici su un fatto oggettivo, comune agli ambiti applicativi delle stesse; situazione, ad avviso del Collegio, non sussistente nel caso che ci occupa.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
La I sezione della Cassazione Penale si è recentemente pronunciata riguardo a un ricorso straordinario, ritenendolo fondato, ma al contempo da rigettare in esito alla celebrazione del giudizio rescissorio. Nell’analisi del fatto concreto la Cassazione si è espressa sulle fattispecie di stalking e di revenge porn, sottolineando la differenza intercorrente tra le medesime.
Ai fini dell’individuazione dell’errore di fatto di cui all’art. 625-bis c.p.p., tale deve ritenersi solo quello che sia costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte nella lettura degli atti del giudizio di legittimità e connotato dall’influenza esercitata sulla decisione, in tal senso “viziata”, dall’inesatta percezione di dati processuali (Sez. U., n. 16103 del 27.3.2002, Basile, Rv. 221284).
Si è chiarito che, esulando dall’errore di fatto ogni profilo di diritto o valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio – secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” ovvero dell'”omissione” – in cui sia incorsa la stessa Corte di cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio.
La mancata considerazione di un motivo di ricorso non integra un errore di fatto, né determina l’incompletezza della motivazione quando, pur in assenza di un’espressa disamina, la censura debba considerarsi inammissibile per manifesta infondatezza, oppure implicitamente disattesa perché incompatibile con il complessivo ordito motivazionale del provvedimento, nonché con le premesse logiche e giuridiche che sintetizzano la ratio deciderteli della sentenza stessa (ex muitis, Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, Piromalli, Rv. 285553; Sez. 5, n. 46806 del 03/11/2021, Desiderato, Rv. 282384; Sez. 2, Sentenza n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268982).
L’omesso esame di un motivo di ricorso è, invece, inquadrabile nella categoria dell’errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista oppure da una disattenzione di carattere percettivo che abbia erroneamente fatto ritenere l’inesistenza della censura, la cui presenza sia, al contrario, rilevabile obbiettivamente e con immediatezza in base ad un semplice controllo del contenuto del ricorso (così, in motivazione, Sez. 6, Sentenza n. 4195 del 08/10/2014, dep. 28/01/2015, Canzonieri, Rv. 262048; in senso conforme, Sez. 4, n. 17178 del 08/04/2015, Giori, Rv. 263443).
«In tema di ricorso straordinario, l’omesso esame, da parte delle Corte di cassazione, di motivi di ricorso non manifestamente infondati e di potenziale rilevanza ai fini del decidere, nel caso in cui sia seguito il rigetto o la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. ed alla conseguente rescissione della sentenza impugnata» (Sez. 2, n. 28513 del 18/06/2019, Lampada, Rv. 276925).
Nella vicenda processuale in esame l’errore percettivo è pacifico, poiché non è stato considerato l’intero atto di ricorso.
nella sentenza della Sezione Quinta non vi è motivazione, neppure implicitamente inferibile dal complessivo ragionamento motivazionale, sul terzo motivo di ricorso dell’atto a firma dell’avv. Casciotti, con cui si denuncia l’omessa delibazione della richiesta di assorbimento del reato di cui all’art. 612-ter cod. pen. in quello di cui all’art. 612-bis cod. pen.
Si tratta di un motivo di ricorso non manifestamente infondato e di potenziale rilevanza ai fini del decidere.
La sentenza oggetto di ricorso straordinario dev’essere, dunque, revocata e dalla revoca della stessa discende l’obbligo di procedere al giudizio rescissorio.
il Collegio ribadisce di condividere la linea interpretativa che, a partire da Sez. U., n. 16103 del 27 marzo 2002, Basile, Rv. 221284, una volta apprezzata l’esistenza di un errore percettivo, consente una modalità “bifasica” di definizione del ricorso straordinario: «(…) la immediata pronunzia della nuova decisione, ovvero, se necessario, la sola caducazione di questa e celebrazione del nuovo giudizio nelle forme della udienza pubblica o della camera di consiglio; (…) secondo il prudente apprezzamento della Corte, in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni processuali»
La difesa ha presentato quattro motivi di censura : a) eccepisce violazione di legge sul rigetto, da parte della Corte d’Appello, della richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruttoria mediante perizia informatica sui telefoni cellulari dell’imputato, sull’erroneo presupposto di condividere la motivazione del giudice di primo grado circa il fatto che si trattasse di una prova non integrativa, incompatibile con la scelta del rito abbreviato; b) violazione di legge riguardo all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di cui all’art. 612-ter cod. pen., in violazione del canone dell’al di là di ogni ragionevole dubbio; c) insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori, sulla base dei risultati della prova dibattimentale, avuto riguardo al mancato verificarsi degli eventi del reato contestati: la vittima non sarebbe caduta in uno stato d’ansia grave; non avrebbe avuto timore per la sua incolumità né avrebbe cambiato abitudini di vita in ragione del comportamento dell’imputato; d) insufficienza della prova relativa al fatto che il ricorrente sia colui il quale ha diffuso la foto sessualmente esplicita della vittima, inviandola a terze persone.
Inoltre, la relazione del consulente tecnico della difesa ha dimostrato che la fotografia era stata inviata spontaneamente dalla vittima al ricorrente; ricorre, quindi, la seconda ipotesi dell’art. 612-ter cod. pen., che incrimina chi riceve o comunque acquisisce da altri immagini o video a contenuto sessualmente esplicito solo se con l’intento di recare nocumento alle persone rappresentate nei video o nelle fotografie destinati a rimanere privati; è necessario, dunque, un dolo specifico, che nella specie non risulta.
Inoltre, il ricorrente non ha voluto far circolare l’immagine della vittima, ma l’ha solo inviata al figlio della donna, nella consapevolezza che questi mai ne avrebbe proseguito la divulgazione.
Infine, a giudizio del ricorrente, una foto a seno nudo di una donna, che mimi il gesto di un bacio serrando le labbra, non può ritenersi oggettivamente di contenuto sessualmente scandaloso o lascivo: per immagini sessualmente esplicite, in altre parole, dovrebbero intendersi soltanto quelle raffiguranti atti sessuali ovvero organi genitali.
Il ricorso dell’avv. Cestra è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo è manifestamente infondato ed anche formulato secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità, sia per l’orizzonte decisorio evocato sia per la genericità delle deduzioni proposte, aspecifiche riguardo alla decisività della prova richiesta.
Il motivo è inammissibile sotto più aspetti (manifesta infondatezza e genericità), nonché, conclusivamente, poiché la motivazione della sentenza impugnata con cui si è rigettata nuovamente la richiesta di prova integrativa del rito abbreviato, vista la sua logicità e doviziosa ragione argomentativa, è insindacabile in sede di legittimità.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono anch’essi inammissibili, poiché manifestamente infondati, oltre che meramente rivalutativi della prova in atti e costruiti secondo logiche di censura “in fatto”, non consentite in sede di legittimità.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, coerentemente a quanto affermato dal giudice di primo grado, sicché il sindacato di legittimità s’innesta su una doppia pronuncia “perfettamente” conforme nei contenuti e nell’esito, ha ampiamente e soddisfacentemente argomentato, quanto al reato di atti persecutori, in particolare, sull’attendibilità della persona offesa, in termini di chiarezza, precisione ed assenza di interesse economico all’accusa, non essendosi costituita neppure parte civile nel processo; le sue dichiarazioni, peraltro, sono riscontrate in tutte le parti essenziali dai figli, coinvolti nelle condotte delittuose dell’imputato e da reputarsi, allo stesso modo, assolutamente attendibili nel contesto dato (come del tutto convincentemente ha pure sottolineato la sentenza impugnata); dall’amica M.T. e dagli screenshot dei messaggi offensivi inviati dall’imputato.
La vicenda, in conformità a tali prove, è chiaramente ricostruita: la vittima, nel marzo 2019, ha iniziato una relazione extraconiugale con l’imputato che poi ha deciso di interrompere definitivamente intorno alla fine di settembre dello stesso anno; il ricorrente, non accettando la decisione unilaterale di interrompere la relazione, ha messo in campo una serie di condotte di ingiuria e minaccia tramite messaggi telefonici insistenti ed ossessivi, in particolare prospettando di rendere nota ai suoi familiari la relazione extraconiugale e di rovinare la vita familiare alla vittima, tanto che costei ha “bloccato” il contatto con la sua utenza telefonica; il ricorrente, a quel punto, ha coinvolto nella campagna persecutoria anche i figli della vittima, uno dei quali, all’epoca minorenne, inviando loro, via messaggistica telefonica e tramite Facebook, frasi offensive sulla madre e sul padre, nonché alcune foto; tra queste, una che riprendeva la donna a seno nudo; infine, l’imputato si è appostato anche un giorno presso l’azienda agricola della persona offesa (che ha raccontato di essere rimasta fortemente turbata da ciò) ed ha contattato il marito, più volte, svelandogli il tradimento, tanto che questi ha invitato la moglie a lasciare la dimora familiare. Le foto a seno nudo, peraltro, sono state inviate dal ricorrente, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, anche alla sorella di M.M.T., che poi le aveva girate a costei, per informarla di quanto stava accadendo.
La condotta attuata assume senza dubbio i caratteri di tipicità del delitto di atti persecutori.
Quanto ai motivi (il secondo, ma anche la prima parte del quarto) dedicati a sostenere che non sia stato l’imputato a inviare le foto ai figli e all’amica della vittima, ai fini della sua inammissibilità, valgano le stesse considerazioni sull’attendibilità della prova dichiarativa in atti già svolte al paragrafo precedente e, in aggiunta, si consideri l’evidente formulazione generica, oltre che in fatto, del motivo di ricorso, con cui si enunciano orientamenti ermeneutici sulla valutazione della prova indiziaria, evocando il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio senza confronto con gli argomenti della sentenza impugnata, che hanno accertato la assoluta affidabilità della ricostruzione processuale con cui si è attribuita al ricorrente la condotta rilevante ai fini dell’art. 612-ter cod. pen., né rileva la distruzione del telefono della vittima, da parte del marito.
Il quarto argomento di censura riprende, in parte, le questioni già sollevate con il secondo motivo di ricorso e punta a sostenere la non configurabilità, nel caso di specie, del delitto previsto dall’art. 612-ter cod. pen.
Le ragioni difensive, tuttavia, non hanno fondamento.
Collegando le motivazioni dei due provvedimenti decisori di merito, emerge che il ricorrente è stato condannato per l’ipotesi delittuosa prevista dal secondo comma dell’art. 612-ter cod. pen., – che punisce chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento – con l’indicazione degli esatti presupposti di fattispecie.
Le eccezioni del ricorrente si risolvono essenzialmente nella posizione di tre questioni:
- a) se l’invio della foto al figlio (rectius ai figli) della vittima abbia una connotazione “diffusiva”, visto che l’imputato, inoltrandogliela, aveva la certezza che questi non l’avrebbe a sua volta diffusa;
- b) se sussista, nel caso di specie, il dolo specifico di aver agito con la finalità di recare nocumento alla persona offesa;
- c) se possa essere ricompresa nella categoria delle “immagini a contenuto sessualmente esplicito” la foto che ritrae la vittima a seno nudo, mentre mima un bacio serrando le labbra, che, secondo la difesa, non rientra nella tipicità penale, che ricomprenderebbe soltanto le immagini che raffigurano organi genitali ovvero atti sessuali.
Ebbene, nessun pregio ha la prima delle questioni poste, manifestamente infondata, anzitutto, poiché è evidente che integra un “invio” rilevante ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 612-ter cod. pen. quello che venga effettuato “verso chiunque”, purché senza il consenso della persona ritratta, da parte di chi, “in qualsiasi modo” – fatte salve le condotte che rientrano nella sfera di operatività del primo comma della disposizione – abbia acquisito l’immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito.
Il reato, infatti, è configurabile come istantaneo, secondo la lettera normativa, e si consuma nel momento in cui avviene il primo invio dei contenuti sessualmente espliciti, non importa se diretto a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione.
In realtà, con il primo invio, la diffusione è già avvenuta, per quanto stabilito dalla disposizione incriminatrice, che non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva né “quantifica” o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto; il reato è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale e si rivolge alla sfera d’intimità personale e della privacy, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale.
Nella specie, peraltro, il motivo di ricorso è anche in parte generico, poiché, come si è già evidenziato, oltre che ai figli della vittima, la foto che ritraeva costei in parte nuda e nell’atto di mimare un bacio, qualificato come “erotizzato” (con le labbra serrate) dalla sentenza impugnata, è stata diffusa anche a una terza persona (raggiungendo l’imputato, un’amica della vittima).
La seconda questione posta, strettamente collegata alla prima, è priva di fondamento: il dolo specifico del reato previsto dal secondo comma dell’art. 612-ter cod. pen. è stato diffusamente richiamato, in fatto, dalla sentenza impugnata e da quella conforme di primo grado e, in parte, è ammesso dallo stesso ricorso, poiché risulta accertato che l’invio della foto a seno nudo della vittima è stato effettuato dall’imputato evidentemente senza il suo consenso, proprio con la finalità di provocarle un nocumento, costituito dal minarne la reputazione aggredendone la moralità con offese ed ingiurie dirette anche ai suoi figli ed al marito, informandoli della relazione extraconiugale tra lei ed il ricorrente, mosso, nel suo agire, per di più, nel caso di specie, da quel finalismo ulteriore e tipico del cd. revenge porne, dato dalla “vendetta” nei suoi confronti ed integrato dal movente di “punirla” per aver deciso unilateralmente di interrompere il rapporto tra loro; finalismo che è parte preponderante, a monte, della scelta legislativa di nuova criminalizzazione.
E quanto la condotta abbia nuociuto alla vita della persona offesa, diventata dapprima “impossibile” e poi del tutto naufragata nella fine del rapporto coniugale e nella perdita della serenità familiare, è evidentemente richiamato nelle decisioni di merito.
In conclusione, può affermarsi che integra il reato previsto dal comma secondo dell’art. 612-ter cod. pen. la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito – anche dalla stessa persona ritratta, come accaduto nel caso di specie – immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso della persona rappresentata e con il dolo specifico di recarle nocumento (nella specie, rappresentato dalla volontà di minarne la reputazione aggredendone la moralità con offese ed ingiurie dirette anche ai suoi figli ed al marito, informandoli, altresì, della relazione extraconiugale tra lei e l’imputato).
Infine, è infondato anche il quesito circa il contenuto sessualmente esplicito della foto al centro della contestazione di cui all’art. 612-ter cod. pen.
Il ricorrente intende limitare la nozione di “contenuti sessualmente espliciti” soltanto alle immagini o ai video che ritraggano organi genitali – e dunque non ricomprendendo il seno femminile tra questi, ancorché nudo – ovvero atti sessuali veri e propri.
La prospettiva ermeneutica da cui muove il ricorso non è esatta, invece, poiché il testo normativo non pone esplicite riserve in tal senso, né l’interpretazione giurisprudenziale mostra accenti contrari, in materie analoghe sulle quali già questa Corte regolatrice ha avuto modo di pronunciarsi.
ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612-ter cod. pen., la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti può avere ad oggetto immagini o video che ritraggano atti sessuali ovvero organi genitali ovvero anche altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualità.
Nella fattispecie all’esame del Collegio, l’immagine diffusa, che ritrae la vittima a seno nudo, in un contesto intimo e nell’atto di mandare un bacio “erotizzante”, mimato da un particolare atteggiamento delle labbra serrate, descritto nelle sentenze di merito (ed anche nel ricorso), entra senza dubbio nel novero di quelle “a contenuto sessualmente esplicito”.
Dev’essere, ora, valutato il ricorso dell’avv. Casciotti.
Con l’atto di ricorso sono dedotte quattro censure: a) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 612-bis cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza di uno degli eventi alternativamente previsti dalla disposizione normativa per la configurabilità del delitto di stalking; b) erronea applicazione dell’art. 612-ter cod. pen., in punto di ritenuta natura “erotica” dell’immagine oggetto di diffusione e violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza; c) omessa valutazione dell’ipotesi del concorso tra il reato di stalking e quello di revenge porn; d) inosservanza degli artt. 121,233 e 234 cod. proc. pen., in punto di mancato vaglio da parte della Corte di appello della relazione tecnica allegata all’impugnazione.
Anche il ricorso dell’avv. Casciotti dev’essere complessivamente rigettato.
Per il primo e secondo motivo valgono le considerazioni svolte in relazione ai motivi terzo e quarto dell’atto di ricorso dell’avv. Cestra.
È infondato il terzo motivo di ricorso, che lamenta che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto i reati contestati avvinti dal vincolo della continuazione, dovendosi invece ritenere il reato di revenge porn assorbito in quello di stalking.
Condizione imprescindibile per configurare il reato complesso è l’interferenza fra le norme incriminatrici su un fatto oggettivo, comune agli ambiti applicativi delle stesse; situazione, ad avviso del Collegio, non sussistente nel caso che ci occupa.
I due reati differiscono, in primo luogo, per ciò che riguarda le condotte incriminate, costituite nell’art. 612-bis da comportamenti minacciosi o molesti e nell’art. 612-ter cod. pen. nella diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito (in assenza del requisito della violenza o della minaccia).
In secondo luogo sono diversi gli eventi, ravvisabili per lo stalking nell’induzione nella vittima di stati di ansia, paura o timore per l’incolumità propria o di congiunti, ovvero nella costrizione della persona offesa all’alterazione delle proprie abitudini di vita; eventi all’evidenza non richiesti per la configurabilità del revenge porn.
Sono altresì differenti i beni giuridici tutelati. Nonostante, invero, i due reati siano collocati nel codice penale tra quelli che ledono la libertà morale, l’art. 612-ter si atteggia quale reato plurioffensivo, incidendo anche sulla privacy della persona offesa (come impone di ritenere l’inciso «destinati a rimanere privati»), nonché sulla sfera sessuale, a causa del carattere «sessualmente esplicito dei materiali diffusi».
Dirimente, quanto all’esclusione dell’ipotesi del reato complesso, è poi la considerazione che, affinché si realizzi tale fattispecie, il fatto deve essere previsto dalla norma incriminatrice, che si assume configurare un reato complesso, quale elemento necessario della relativa fattispecie astratta, non essendo rilevante l’eventuale sua ricorrenza, nel caso concreto, quale occasionale modalità esecutiva della condotta.
Nel caso che ci occupa, nel ricorso si assume che tra le condotte di stalking vi fosse anche quella del revenge porn, ma si tratta di un’occasionale modalità esecutiva della condotta e non un elemento necessario della fattispecie astratta.
Stante, dunque, l’obiettiva diversità tra il fatto idoneo a integrare ciascuno dei due delitti (dei quali, peraltro, il primo ha natura abituale e l’altro è reato istantaneo), non può assumere rilievo il riferimento, svolto nel ricorso, alla clausola di riserva contenuta nell’art. 612-ter, primo comma, cod. pen. («salvo che il fatto costituisca più grave reato», presente anche nel reato di stalking), che sembra piuttosto evocare altre fattispecie incriminatrici (ad es. il reato di estorsione).
Non coglie nel segno neppure l’argomento, evocato dal ricorrente a sostegno della propria tesi, sull’innalzamento della pena per il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., posto che tale dato non è in alcun modo riconducibile all’intenzione del legislatore ricomprendervi le condotte di cui all’art. 612-ter cod. pen., ma che risponde a scelte di politica criminale affatto differenti.
Da ultimo, va qui richiamata la giurisprudenza di legittimità che, sebbene con riferimento al rapporto intercorrente tra il delitto di stalking e altre fattispecie criminose, ha chiarito che «Il delitto di atti persecutori concorre con quello di diffamazione anche quando nelle modalità della condotta diffamatoria si esprimono le molestie reiterate costitutive del reato previsto dall’art. 612-bis cod. pen.» (Sez. 5, n. 49288 del 15/11/2023, C., Rv. 285559; Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262636).
Infondato è anche il quarto motivo di ricorso.
Sul punto, vanno richiamate le argomentazioni svolte in relazione al primo motivo di ricorso dell’avv. Casciotti, cui è appena il caso di aggiungere che la Corte di appello ha correttamente ritenuto che la relazione tecnica di sviluppo delle Chat, allegata all’atto di appello, costituisse atto estraneo al compendio probatorio del giudizio abbreviato su cui la sentenza di primo grado è stata fondata, laddove la sua natura di documento meramente ricognitivo e la sua decisività è meramente, genericamente dedotta dal ricorrente.
Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso dev’essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deve essere disposto che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, poiché imposto dalla legge.