Corte Costituzionale, ordinanza 09 marzo 2023 n. 39
Va dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Livorno.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Ritenuto che il Giudice di pace di Livorno ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede la multa da 3.000 a 18.000 euro «anziché prevedere l’ammenda e nella misura inferiore, ritenuta congrua alla violazione suddetta»;
che il rimettente deve giudicare della responsabilità penale di un imputato al quale il pubblico ministero contesta il delitto di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, per aver violato l’obbligo di firma impostogli dal Questore di Livorno nelle more del procedimento di allontanamento dal territorio nazionale, in conseguenza di un previo provvedimento prefettizio di espulsione;
che, osserva il giudice a quo, la sanzione pecuniaria prevista dalla disposizione censurata è, nel massimo, più elevata di quella prevista dal comma 5-ter del medesimo art. 14 t.u. immigrazione, che – nell’ipotesi di espulsione disposta ai sensi dell’art. 13, comma 5, t.u. immigrazione – spazia da un minimo di 6.000 a un massimo di 15.000 euro, pur essendo tale delitto più grave di quello previsto dal comma 1-bis, oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale;
che, d’altra parte, la disposizione censurata configura come delitto una condotta costituita dalla mera inosservanza di un ordine dell’autorità, la quale costituisce ordinariamente una mera contravvenzione ai sensi dell’art. 650 del codice penale, suscettibile peraltro di estinzione per effetto di oblazione ex art. 162-bis cod. pen.;
che ciò darebbe luogo a una violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, oltre che dei «principi di proporzionalità e di gradualità della pena, in violazione anche della Dir. 2008/115/CE»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo anzitutto l’inammissibilità delle questioni;
che infatti, secondo l’interveniente, il giudice a quo avrebbe omesso di fornire un’interpretazione conforme alla Costituzione della disposizione censurata, a fronte dell’inesistenza di un diritto vivente «contra Constitutionem»;
che, nel merito, le questioni sarebbero comunque manifestamente infondate;
che la configurazione della violazione come delitto risulterebbe del tutto coerente con l’intero impianto sanzionatorio in materia di immigrazione clandestina, volto ad apprestare una tutela rafforzata del bene giuridico rappresentato dal controllo e gestione dei flussi migratori;
che tale considerazione svuoterebbe di fondamento la censura relativa alla pretesa violazione dell’art. 24 Cost., imperniata sulla impossibilità per l’imputato di ottenere l’estinzione del reato mediante l’oblazione di cui all’art. 162-bis cod. pen.;
che nemmeno sussisterebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla previsione sanzionatoria di cui all’art. 14, comma 5-ter, t.u. immigrazione, che peraltro prevede un minimo edittale significativamente più elevato di quello contemplato dalla disposizione censurata, e che comunque non sanzionerebbe un fatto più grave di quello previsto dal comma 1-bis;
che, in ogni caso, dovrebbe escludersi che la cornice edittale sottoposta all’attenzione di questa Corte vincoli il giudice ad irrogare pene manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità dei fatti da essa sanzionati.
Considerato che il rimettente censura, in sostanza, da un lato la manifesta eccessività della sanzione comminata dalla disposizione censurata in rapporto a quella prevista in due tertia comparationis – l’art. 14, comma 5-ter, t.u. immigrazione e l’art. 650 cod. pen. –, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.; e dall’altro denuncia la mancata possibilità di accesso dell’imputato all’oblazione con effetto estintivo del reato, che discende dalla configurazione del reato come delitto e non come contravvenzione, assumendo che ciò determini la violazione, altresì, dell’art. 24 Cost.;
che non è fondata l’eccezione dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui il rimettente avrebbe omesso di esperire un tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, dal momento che le sue doglianze sono rivolte contro una cornice edittale stabilita dal legislatore in termini precisi, non suscettibili di dar adito ad alcun dubbio interpretativo, e che lo stesso rimettente considera però in contrasto con i parametri costituzionali evocati;
che, nel merito, le censure formulate dal rimettente sono tuttavia manifestamente infondate;
che, anzitutto, l’allegata violazione dell’art. 3 Cost. è motivata unicamente – salvo un cursorio riferimento alla disciplina della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, che resta però privo di ogni sviluppo argomentativo e non sfocia in un’autonoma questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. – sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto ai due tertia comparationis sopra indicati;
che, secondo il rimettente, il primo di tali tertia – l’art. 14, comma 5-ter, t.u. immigrazione – prevederebbe un trattamento sanzionatorio meno gravoso di quello stabilito dalla disposizione censurata, pur essendo più grave la condotta da esso punita;
che, però, l’art. 14, comma 5-ter, t.u. immigrazione commina effettivamente una sanzione meno elevata nel massimo (15.000 euro) rispetto a quella contemplata nella disposizione censurata (18.000 euro), ma stabilisce – al contempo – una sanzione più gravosa nel minimo (6.000 euro) rispetto a quella di 3.000 euro, prevista dal comma 1-bis;
che, pertanto, un eventuale accoglimento della questione sollevata con riferimento al primo tertium – accoglimento che, peraltro, il rimettente neppure prospetta nelle proprie conclusioni – condurrebbe all’assurdo risultato di vincolarlo, nel giudizio a quo, all’irrogazione di una pena pari al doppio a quella minima oggi prevista dalla disposizione censurata, con conseguente aggravamento del vizio di manifesta sproporzionalità prospettato;
che, quanto all’art. 650 cod. pen., questa Corte ha più volte escluso che esso possa costituire idoneo tertium comparationis rispetto alle disposizioni del testo unico sull’immigrazione che sanzionino violazioni commesse dallo straniero sottoposto a una procedura di espulsione, in ragione della particolare rilevanza per l’ordinamento del bene giuridico da esse tutelato – il controllo e la gestione dei flussi migratori – rispetto al generico interesse al rispetto degli ordini dell’autorità tutelato dall’art. 650 cod. pen. (sentenza n. 22 del 2007; ordinanze n. 52 del 2008, n. 354 e n. 167 del 2007);
che, d’altra parte, lo stesso rimettente vorrebbe sostituire all’attuale trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione censurata non già l’intera cornice contemplata dall’art. 650 cod. pen. (l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro), bensì unicamente il segmento relativo alla pena pecuniaria, manipolando così arbitrariamente la stessa scelta sanzionatoria legislativa compiuta in relazione al tertium comparationis: con conseguente auspicata creazione, ad opera di questa Corte, di una cornice edittale del tutto nuova, non riconducibile ad alcuna soluzione “costituzionalmente adeguata” preesistente nell’ordinamento (come, invece, è accaduto, ex multis, nelle sentenze n. 95 e n. 28 del 2022, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 99 e n. 40 del 2019, n. 222 del 2018);
che, alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi manifestamente infondata la censura di irragionevole disparità di trattamento rispetto a entrambi i tertia comparationis indicati;
che dall’evidenziata eterogeneità della contravvenzione di cui all’art. 650 cod. pen. discende, altresì, la manifesta infondatezza della censura formulata con riferimento all’art. 24 Cost., basata a sua volta unicamente sull’asserita irragionevole disparità di trattamento dell’imputato del delitto in esame rispetto a colui al quale sia contestata la contravvenzione ex art. 650 cod. pen., che ha la possibilità di ottenere una declaratoria di estinzione del reato previa oblazione, ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.