Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza 19 aprile 2022, n. 14941
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il ricorso va rigettato.
- La Corte d’Appello, dopo che il Gup aveva assolto l’imputato evidenziando che l’analisi tossicologica era stata compiuta a seguito di un campionamento arbitrario solo su sei piante delle ventiquattro sottoposte a sequestro e rilevando comunque la loro ridotta capacità drogante, ha ritenuto, invece, corretta l’operazione di campionamento delle piante effettuata dal laboratorio della ASL, previo raggruppamento delle stesse sulla base della loro tipologia, e corretta anche l’estensione dei risultati delle analisi sulle piante campionate alle altre piante facenti parte della stessa tipologia. Sulla base di tali analisi – hanno osservato i giudici – il dato complessivo di THC ricavabile dalla coltivazione praticata da C.era pari a 946 dosi medie singole.
La Corte ha rilevato che gli accertamenti erano stati condotti dal personale del Laboratorio Analisi chimiche dell’ospedale (omissis) su un campione per quattro diverse tipologie omogenee di piante (ovvero piante piccole con influorescenza, piante grandi, piante grandi in vaso e pianta verde) e che in tutti i campioni esaminati era stato riscontrato un principio attivo superiore alla soglia minima. A fronte di tale dato e del rilevante numero di dosi ricavabili, l’imputato non aveva addotto alcuna giustificazione in ordine alla coltivazione, nè esigenze di uso personale.
- I motivi sono entrambi infondati.
3.1 Quanto al primo motivo relativo alle modalità di campionamento ed alla effettuazione delle analisi solo su un esemplare per ciascun gruppo di piante sequestrate, preliminarmente va chiarito che, in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre, e nella selezione delle piante da sottoporre al vincolo, non deve adottare le modalità previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 87, atteso che tale disposizione disciplina la campionatura dello stupefacente già oggetto di cautela reale e non l’estrazione preliminare alla sua apposizione (Sez. 4, n. 43184 del 20/09/2013 Ud., Carioti e altro Rv. 258094 – 01). A fronte del sequestro delle piante, poi, le analisi sulla sostanza stupefacente da parte dei laboratori o dei consulenti tecnici incaricati vengono effettuati non già sull’intero quantitativo di sostanza stupefacente in sequestro, bensì su singoli campioni debitamente repertati, rappresentativi della partita da cui il campione è stato prelevato. Fra l’altro questa Corte ha anche chiarito che la consulenza disposta dal pubblico ministero su campioni di sostanze stupefacenti non costituisce accertamento tecnico irripetibile, atteso che tali sostanze conservano nel tempo le intrinseche caratteristiche e possono, pertanto, ove necessario, essere sottoposte a nuovo esame (Sez. 4, n. 53547 del 08/11/2017 Pisano, Rv. 271684 – 01; Sez. 4, n. 34176 del 19/07/2012, Minniti Rv. 253529 – 01 con riferimento specifico alle piante di canapa indiana).
Nel caso in esame, osserva la Corte, la procedura adottata è stata corretta, in quanto nel verbale della Asl si dà atto che il campionamento è stato operato sulla base della stessa tipologia di piante con un giudizio di tipo tecnico non sindacabile in questa sede. A fronte di un campionamento correttamente attuato, l’estensione dei risultati delle analisi effettuate sul campione alle altre piante facenti parte del medesimo gruppo è operazione esente da censure.
3.2 Il secondo motivo relativo alla illogicità della motivazione della sentenza della Corte nella parte in cui non prende in considerazione l’ipotesi che la coltivazione fosse attuata per il consumo personale del C. è parimenti infondato. Nel caso in esame il ricorrente, all’atto dell’ispezione, aveva affermato il consumo personale in relazione ad un modesto quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marijuana, pari a circa 10 gr., custodita nello zaino e spontaneamente consegnata agli operanti, mentre nulla aveva dichiarato in merito alle ragioni della coltivazione. Così pure nella memoria datata 28.7.2015 il ricorrente si era limitato a chiedere un accertamento tecnico ex art. 360 c.p.p. sulle piante sequestrate al fine di verificarne, per ciascuna di esse natura e quantitativo di principio attivo, e a richiedere che fosse utilizzato quale parametro quello della Q.M.D. (quantità massima detenibile) “idonea per dimostrare la costituzione di una piccola scorta che risulti compatibile con la destinazione del prodotto (detenuto e coltivato) con un consumo esclusivamente personale”. Anche in tale occasione, dunque, non aveva dedotto alcuna indicazione relativa alla sua condizione personale, ma aveva fatto solo una affermazione di carattere generale.
La Corte, dunque, ha rilevato che l’imputato non aveva addotto alcuna giustificazione in merito alle ragioni della coltivazione, conformemente alle emergenze processuali, e, nell’affermare la rilevanza penale della coltivazione in esame, ha posto in risalto il dato relativo al numero delle singole dosi ricavabili dal quantitativo di principio attivo, incompatibile con la nozione di coltivazione domestica di minime dimensioni.
È noto che le Sezioni Unite della Corte avevano in passato affermato la penale rilevanza di ogni condotta che si traduca in un’attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (cfr. Sez. U., n. 28605 del 24/4/2008, Di Salvia, Rv. 239920). Si erano, in seguito, registrate pronunce di legittimità che avevano ratificato decisioni di assoluzione in ordine alla coltivazione “domestica” di stupefacente fondate sull’assenza in concreto della offensività della condotta (cfr. sez. 4, n. 25674 del 17/2/2011, Rv. 250721, sez. 6, n. 33385 del 8/4/2014, Rv. 260170; sez. 6, n. 22110 del 2/5/2013, Rv. 255733). Le Sezioni Unite hanno, così, composto il contrasto affermando che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente, ma che devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore (Sez. U. n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso Giuseppe, Rv. 278624).
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha valorizzato, quale indice di una coltivazione di sostanza stupefacente penalmente rilevante in quanto non rivolta in via esclusiva all’uso personale del coltivatore, l’entità della coltivazione avente ad oggetto ventiquattro piante e il dato ponderale, ovvero il numero di dosi ricavabili dalla sostanza coltivata, pari a 946 dosi singole, giungendo alla conclusione che quella coltivazione non potesse considerarsi neutra, pur in assenza di altri indici. La motivazione adottata, aderente ai dati emergenti dalle indagini e rispondente ai principi adottati da questa Corte in ordine ai presupposti per ritenere la coltivazione di sostanza stupefacente a carattere domestico, vale a supportare l’affermazione della responsabilità penale del ricorrente.
- Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.