Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza 25 settembre 2023, n. 6892
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2. Deve preliminarmente rammentarsi che, secondo consolidati principi anche risalenti nel tempo e che appare opportuno qui ribadire, “La situazione preveduta dall’art. 626, comma 1, n. 2, c.p., pur avendo alcuni elementi in comune con quella contemplata nell’art. 54, appare tuttavia da questa ben distinta: mentre infatti l’art. 54 richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto, l’art. 626, n. 4, prescinde da questa condizione e richiede soltanto l’urgenza del bisogno, la quale può profilarsi anche in mancanza di un pericolo attuale come quello che caratterizza lo stato di necessità” (Sez. 2, n. 239 del 16/02/1966, Luser, Rv. 101554) e “Il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che il furto di 61 confezioni di lamette e di 2 confezioni di assorbenti, per un valore totale di 886 Euro, potesse configurare l’ipotesi attenuata)” (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu, Rv. 261658).
Tenuta presente tali puntualizzazioni, occorre convenire sulla correttezza del percorso argomentativo, non illogico nè incongruo, che si rinviene nelle sentenze di merito, ove si è esclusa la sussistenza di una situazione di vera e propria costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile (ciò che avrebbe scriminato l’azione: art. 54 c.p.), mentre si è ritenuto sussistente un generale stato di indigenza e condizioni di salute della donna tali da rendere difficile provvedere agli elementari bisogni di vita ma, comunque, stimando evitabile l’azione furtiva (qualificando conseguentemente l’agire ex art. 626, comma 1, num. 2,c.p.)
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente, per legge (art. 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali.