Massima
Correre un rischio significa, nella sostanza, esporsi ad un pericolo che, qualora concretizzatosi, produce in capo alla vittima (o a chi lo circonda) un pregiudizio alla propria sfera personale (infortunio) o patrimoniale (più genericamente, danno); la potenziale vittima può tuttavia trasferire il profilo economico di tale rischio, giusta contratto all’uopo (e previa eventuale consulenza di un professionista, il c.d. broker), su di un soggetto terzo che se lo assume in luogo di essa, purché il ridetto rischio si concretizzi – traducendosi dunque in evento pregiudizievole, detto “sinistro” – all’interno di un dato torno temporale, siccome contrattualmente stabilito dalle parti. Se poi (come è normale) l’evento pregiudizievole che concretizza il rischio assicurato si compendia in un impoverimento di chi lo subisce (o di terzi che egli ha a cuore), tale impoverimento può essere concomitante al fatto dannoso – come normalmente accade nelle ipotesi di responsabilità contro i danni o gli infortuni, laddove pregiudizio subito e “sinistro” appunto si identificano – ovvero successivo a tale fatto dannoso, come accade nella assicurazione della responsabilità civile, allorché esso fatto dannoso resta “latente” per lungo tempo, esplodendo poi di colpo – e traducendosi appunto in “sinistro” – solo nel momento in cui il terzo danneggiato concretamente chiede il risarcimento dei danni subiti dal danneggiante: circostanza quest’ultima che può rendere assolutamente “relativo” (sul piano degli effetti) il periodo di vigenza contrattuale siccome tradizionalmente inteso, tale periodo potendo coinvolgere il fatto dannoso, ovvero la richiesta di risarcimento (da parte di terzi) ad esso riconnessa, ovvero entrambi, senza poter escludere l’ammissibile configurarsi di ipotesi di retroattività (il fatto dannoso è anteriore al periodo contrattualmente rilevante, mentre vi rientra la richiesta risarcitoria) ovvero di ultrattività (il fatto dannoso rientra nel periodo contrattualmente rilevante, ma la traslazione del rischio si estende anche ad ipotesi di richiesta risarcitoria intervenuta in data successiva).
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia secondo il quale, su di un piano molto generale, per l’art.1102 il contratto di assicurazione è un “contratto di sorte” o aleatorio che si caratterizza per il fatto che – “per ambidue i contraenti o per uno di essi” – il vantaggio dipende da un avvenimento incerto.
1882
Il 31 ottobre viene varato il R.D. n.1062, codice di commercio del Regno d’Italia, che disciplina in modo ormai organico il contratto di assicurazione come contratto di impresa definendolo, all’articolo 417, come il contratto giusta il quale l’assicuratore si obbliga, mediante un premio, a risarcire le perdite o i danni che possono derivare all’assicurato da determinati casi fortuiti o di forza maggiore, ovvero a pagare una somma di denaro secondo la durata o gli eventi della vita di una o più persone. Il Libro I, Titolo XIV del codice dedica al ridetto contratto di assicurazione ben 3 capi, il primo dei quali (articoli 417-422) viene dedicato alle disposizioni generali, mentre il secondo (articoli 423-448) disciplina l’assicurazione contro i danni – con due sezioni dedicate, rispettivamente, alle disposizioni generali e ad alcune specifiche specie di assicurazione contro i danni – ed il terzo (articoli 449-453) disciplina le assicurazioni sulla vita. Significativo l’art.418 alla cui stregua le assicurazioni marittime sono disciplinate in modo speciale dal libro II del codice, dedicato al commercio marittimo ed alla navigazione; nonché l’art.419, alla cui stregua le associazioni di mutua assicurazione – disciplinate dal precedente Titolo IX dedicato a società ed associazioni commerciali, e segnatamente dagli articoli 239 e seguenti (dell’associazione di mutua assicurazione) – vengono dichiarate soggette anche alle norme che il codice detta sul contratto di assicurazione, laddove compatibili con la relativa, speciale natura. Dalle disposizioni generali affiora la forma scritta ad probationem del contratto (art.420), le figure dell’assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetti (art.421) e la riassicurazione (art.422).
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.267, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), che disciplina il contratto di assicurazione agli articoli 1882 e seguenti. Più nel dettaglio, gli articoli 1904 e seguenti disciplinano l’assicurazione contro i danni, mentre gli articoli 1919 e seguenti disciplinano l’assicurazione sulla vita. Per quanto riguarda l’assicurazione contro i danni, particolarmente importanti gli articoli 1904 e 1909 che prevedono, rispettivamente, il principio c.d. indennitario – il contratto di assicurazione contro i danni è nullo se, nel momento in cui l’assicurazione deve avere inizio non esiste un interesse dell’assicurato al risarcimento del danno (rectius, all’indennizzo: art.1904) – e la relativa inderogabilità stante come l’indennizzo erogato dall’assicuratore all’assicurato non possa mai superare l’ammontare del danno assicurato (art.1909). Sempre in tema di assicurazione contro i danni, una peculiare menzione merita la disciplina – nuova rispetto all’impianto del codice del 1865, ed avvinta alla crescente industrializzazione e connesso implementare dei rischi collegati a comportamenti umani potenzialmente dannosi – della assicurazione della responsabilità civile, quale peculiare assicurazione contro i danni non già subiti dall’assicurato, quanto piuttosto prodotti a terzi, laddove il pregiudizio per l’assicurato discende appunto dalla necessità di risarcire con propri mezzi patrimoniali il danno prodotto a terzi: il riferimento è all’art.1917 c.c., secondo il cui comma 1 nell’assicurazione appunto della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della propria responsabilità dedotta nel contratto, venendo tuttavia esplicitamente esclusi i danni derivanti da fatti dolosi. Dal punto di vista soggettivo, importante l’art.1891 che – sul crinale di chi si assicura – prevede una possibile scissione tra la figura del contraente e quella del soggetto nel cui interesse l’assicurazione viene stipulata (ed in capo al quale vengono acquisiti i pertinenti diritti), attraverso le due figure dell’assicurazione per conto altrui (il beneficiario viene da subito individuato nel contratto) e dell’assicurazione per conto di chi spetti (il beneficiario viene identificato al momento del sinistro). Interessante anche l’art.1890 c.c. che, derogando alle norme sul c.d. falsus procurator (art.1398 e seguenti), prevede che se il contraente stipula l’assicurazione in nome altrui senza averne il potere, il dominus interessato può ratificare il contratto anche dopo la scadenza o dopo il verificarsi del sinistro ma se non ratifica, il contraente che ha stipulato senza averne i poteri è tenuto personalmente ad osservare gli obblighi derivanti dal contratto fino al momento in cui l’assicuratore ha avuto notizia della ratifica o del rifiuto di questa, dovendo peraltro all’assicuratore i premi del periodo in corso nel momento in cui l’assicuratore ha avuto notizia del rifiuto della ratifica. Su un piano generale, importanti gli articoli 1448, comma 4, laddove si esclude la rescindibilità per lesione dei contratti aleatori; 1469, laddove viene esclusa la risolubilità dei contratti aleatori per eccessiva onerosità sopravvenuta; nonché lo stesso articolo 1453, laddove si ammette la risolubilità per inadempimento dei soli contratti a prestazioni corrispettive.
Il 30 marzo viene varato il R.D. n.327, codice della navigazione, che disciplina tanto l’assicurazione connessa alla navigazione marittima che quella avvinta alla navigazione aerea. Per quanto concerne la navigazione marittima, le norme pertinenti vengono collocate agli articoli 514-547; particolarmente importante l’art.514, che ammette il rischio c.d. putativo, onde se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere ovvero se il sinistro è avvenuto prima della conclusione del contratto, l’assicurazione è nulla (non sempre, ma solo) quando la notizia dell’inesistenza o della cessazione del rischio ovvero dell’avvenimento del sinistro è pervenuta, prima della conclusione del contratto, nel luogo della stipulazione o in quello dal quale l’assicurato diede l’ordine di assicurazione; si presume, fino a prova contraria, che la notizia sia tempestivamente pervenuta nei luoghi suddetti, mentre l’assicuratore che non sia a conoscenza dell’inesistenza o della cessazione del rischio ovvero dell’avvenimento del sinistro, ha diritto al rimborso delle spese; ha diritto invece all’intero premio convenuto se dimostra una tale conoscenza da parte dell’assicurato. In ambito aereo l’assicurazione è invece disciplinata dagli articoli 996 e seguenti (assicurazione obbligatoria dei passeggeri; assicurazione di cose; assicurazioni per danni a terzi in superficie e per danni da urto).
1948
La Costituzione prevede all’art.41, comma 1, la libertà della iniziativa economica privata (entro i limiti del successivo comma 2) e, con essa, la garanzia dell’autonomia negoziale, che si sostanzia nella libertà riconosciuta alle parti, nel perseguimento dei rispettivi interessi, di stipulare contratti, massime se tipici, come appunto nel caso del contratto di assicurazione. Importante anche l’art.45, comma 1, alla cui stregua la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata, la legge dovendo promuoverne e favorirne l’incremento con i mezzi più idonei, assicurandone altresì, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. Significativo infine l’art.38, comma 2, onde i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria, dovendo provvedere a tali compiti (comma 4) organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
1962
Il 31 dicembre viene varata la legge n.1860 recante “impiego pacifico dell’energia nucleare”, che prevede all’art.21 un obbligo per l’esercente un impianto nucleare e per il trasportatore di stipulare una polizza assicurativa della responsabilità civile per i danni eventualmente arrecati a terzi. Si tratta di un nuovo caso di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile.
1965
Il 30 giugno viene varato il D.p.R. n.1124, testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
1969
Il 24 dicembre viene varata la legge n.990, che disciplina l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.
1975
Il 10 maggio viene varato il D.p.R. n.519, che conferma l’obbligo per l’esercente un impianto nucleare di stipulare una polizza assicurativa, prevedendolo al nuovo art.22 della legge 1860.62.
Il 21 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.117, che dichiara costituzionalmente illegittimo l’art.1916, comma 2, c.c. nella parte in cui non include, tra i soggetti verso i quali non è ammessa (salvo il caso di dolo) la surrogazione dell’assicuratore indennizzante, anche il coniuge dell’assicurato.
1984
Il 28 novembre viene varata la legge n.792, recante istituzione e funzionamento dell’albo dei mediatori di assicurazione. Alla luce della complessiva disciplina di cui agli articoli 1, 4 lett. f) e g), 5 lett. e) ed f), 8), il “broker” assicurativo svolge – accanto all’attività imprenditoriale di mediatore di assicurazione e riassicurazione – un’attività di collaborazione intellettuale con l’assicurando nella fase che precede la messa in contatto con l’assicuratore, durante la quale non è equidistante dalle parti, ma agisce per iniziativa dell’assicurando e come consulente dello stesso, analizzando i modelli contrattuali sul mercato, rapportandoli alle esigenze del cliente, allo scopo di riuscire a ottenere una copertura assicurativa il più possibile aderente a tali esigenze e, in generale, mirando a collocarne i rischi nella maniera e alle condizioni più convenienti per lui. Più precisamente, ai sensi dell’art.1, agli effetti della legge è mediatore di assicurazione e riassicurazione, denominato anche broker, chi esercita professionalmente attività rivolta a mettere in diretta relazione con imprese di assicurazione o riassicurazione, alle quali non sia vincolato da impegni di sorta, soggetti che intendano provvedere con la sua collaborazione alla copertura dei rischi, assistendoli nella determinazione del contenuto dei relativi contratti e collaborando eventualmente alla loro gestione ed esecuzione.
1988
Il 14 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2961 alla cui stregua, conformemente tuttavia all’indirizzo minoritario, le forme di assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetti di cui all’art.1891 c.c. non possono assumersi configurare un contratto a favore di terzo, stante la distanza che separa appunto le fattispecie di cui all’art.1891 c.c. da quella di cui agli articoli 1411 e seguenti c.c.
1990
Il 27 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3544 alla cui stregua il c.d. principio indennitario nella assicurazione contro i danni presuppone un interesse dell’assicurato all’indennizzo (anteriore all’inizio della copertura assicurativa) che non deve necessariamente essere collegato alla proprietà di una cosa, essendo sufficiente una relazione giuridica con la cosa stessa da parte dell’assicurato in parola.
1995
Il 25 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.5747, che si inserisce nel solco pretorio maggioritario alla cui stregua il contratto di assicurazione per conto di chi spetti integra un contratto a favore di terzo, con conseguente applicabilità degli articoli 1411 e seguenti del codice civile, oltre alle norme dettate in tema di assicurazione.
1996
Il 14 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4484 alla cui stregua, in tema di assicurazione sulla vita a favore di terzo, il terzo beneficiario acquista il diritto iure proprio per atto inter vivos, e non già iure successionis; l’atto inter vivos dal quale nasce l’acquisto è la designazione (contenuta nel testamento) del terzo medesimo. Può accadere che nel testamento venga indicato come terzo beneficiario dell’assicurazione sulla vita l’erede, circostanza al cospetto della quale, per la Corte, il diritto alla rendita o al capitale matura in capo al beneficiario in parola senza che quegli debba accettare l’eredità, in quanto la menzione che nel testamento viene fatta all’”erede” quale beneficiario del contratto di assicurazione a favore di terzo serve solo a designarlo come tale.
1997
Il 26 settembre esce la sentenza della III Sezione della Cassazione n.9462, alla cui stregua – poiché l’art.1901 c.c. figura tra le norme che l’art.1932 considera inderogabili, ma solo se non in senso più favorevole per l’assicurato – deve assumersi legittima (perché appunto più favorevole all’assicurato) la clausola del contratto che preveda la decorrenza della copertura assicurativa da una data contrattualmente convenuta anche in difetto di mancato pagamento del premio o della rata di premio (art.1901, comma 1, c.c.) da parte dell’assicurato.
1998
Il 18 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6062, alla cui stregua, inserendosi nell’indirizzo maggioritario – in difetto di esplicita presa di posizione normativa – l’assicurazione contro gli infortuni va qualificata come assicurazione sulla vita, dovendosi dunque applicare le disposizioni previste dal codice civile per questo prototipo contrattuale. Tale affermazione viene suffragata sulla scorta dell’osservazione onde – massime laddove all’infortunio consegua la morte dell’assicurato – le due tipologie assicurative presentano identità di contenuto e di finalità, orientandosi a coprire il rischio della morte dell’assicurato (o del minore evento in concreto realizzatosi a danno della relativa persona), a vantaggio del c.d. beneficiario.
1999
Il 17 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4798, che si occupa della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile connessa alla circolazione di veicoli e che afferma come si tratti di una fattispecie particolare in cui – derogandosi rispetto a quanto previsto dall’art.1917 c.c. – nel rischio assicurato è da intendersi automaticamente compresa anche la fattispecie di dolo del soggetto assicurato danneggiante.
Il 23 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.8826, alla cui stregua, inserendosi nell’indirizzo minoritario – in difetto di esplicita presa di posizione normativa – l’assicurazione contro gli infortuni va qualificata come assicurazione contro i danni, dovendosi dunque applicare le disposizioni previste dal codice civile per questo prototipo contrattuale. Si tratta di un orientamento che viene supportato dalla dottrina maggioritaria, e che fa perno sull’infortunio come danno alla persona, che può in casi estremi tradursi nel decesso dell’assicurato.
2000
Il 4 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1239 che si occupa della conclusione del contratto di assicurazione che avviene quando il proponente (normalmente l’assicuratore) ha conoscenza dell’accettazione della controparte (il contraente); all’accettazione non è equiparabile il semplice silenzio e dunque essa deve essere espressa, potendo peraltro le parti prevedere che il contratto si perfezioni al momento del pagamento del premio.
2002
Il 10 aprile esce la sentenza delle SSUU n.5119 alla cui stregua, risolvendo (col dar seguito ad un peculiare indirizzo della dottrina) il pertinente contrasto – in difetto di esplicita presa di posizione normativa – l’assicurazione contro gli infortuni va qualificata come assicurazione contro i danni laddove copre i rischi invalidanti (stante la evidente funzione indennitaria del pertinente contratto), e come assicurazione sulla vita laddove copre il rischio connesso ad infortuni mortali (stante il ruolo da annettersi al decesso, capace di distinguere la pertinente tipologia assicurativa).
Il 18 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.5556 alla cui stregua, al fine di legittimare il contraente a far valere i diritti nascenti dall’assicurazione nei confronti dell’assicuratore allorché tali diritti vengano acquisiti da un soggetto terzo beneficiario (assicurazione per conto altrui o assicurazione per conto di chi spetti ex art1891 c.c.) occorre un consenso espresso da parte del terzo assicurato beneficiario, dovendosi assumere irrilevante un consenso meramente presunto o tacito. La pronuncia è importante anche perché abbraccia l’indirizzo minoritario affermando che le fattispecie di cui all’art.1891 c.c. non possono essere assimilate alla figura del contratto a favore di terzo ex art.1411 e seguenti c.c. La Corte affronta in particolare la questione di cosa accade nel caso in cui il terzo assicurato beneficiario rifiuti di avvalersi dei diritti che la stipulazione del contratto di assicurazione gli garantisce nei confronti del promittente assicuratore; se si applicasse l’art.1411, ultimo comma, c.c. in simili fattispecie – salvo che non risulti diversamente dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto – la prestazione assicurativa rifiutata dall’assicurato beneficiario potrebbe essere acquisita dal contraente originario, in veste di stipulante. Senonché, per le SSUU occorre tenere in debito conto il c.d. principio indennitario, che informa il contratto di assicurazione e che giustifica la inapplicabilità dell’art.1411, ultimo comma, c.c., dovendosi escludere che la prestazione dell’indennità possa essere operata a favore del contraente stipulante il quale – proprio perché tale – non è il titolare dell’interesse esposto al rischio assicurato, non essendo appunto egli l’assicurato, ed essendo tale il (solo) terzo beneficiario. Le SSUU rimarcano peraltro come questa considerazione sia appannaggio anche di parte della corrente maggioritaria che pure afferma l’applicabilità degli articoli 1411 e seguenti c.c. all’assicurazione “a soggettività scissa” di cui all’art.1891 c.c., figura che viene assunta presentare caratteri di ambiguità massime con riguardo all’interesse dello stipulante (che qui è il contraente dell’assicurazione), siccome previsto dall’art.1411, comma 1, c.c. in relazione allo schema generale del contratto a favore di terzo, ma (che è interesse) del tutto ininfluente nell’ipotesi dell’art.1891 c.c., laddove rileva piuttosto l’interesse di chi è “altrui” rispetto allo stipulante, ovvero di colui “per conto del quale spetti” il diritto all’indennizzo rispetto sempre al ridetto stipulante. Peraltro, soggiunge la Corte, sia che il beneficiario assicurato sia stato predeterminato in seno al contratto (assicurazione per conto altrui), sia che non lo sia stato e sia determinabile solo ex post (assicurazione per conto di chi spetti), si profilano ulteriori differenze rispetto alla disciplina generale del contratto a favore di terzo, non potendo in primis essere dal contraente-stipulante revocata la stipulazione a favore del terzo (revoca prevista invece dall’art.1411, comma 2, c.c.); inoltre, mentre nel caso dell’assicurazione sulla vita di cui all’art.1920 c.c. il terzo beneficiario viene additato proprio come tale – e dunque come beneficiario – nel contesto di uno schema che lo stesso legislatore espressamente definisce quale assicurazione “a favore del terzo”, ciò non accade nell’ipotesi di cui all’art.1891 c.c., laddove il contraente originario ha diritto al rimborso da parte del terzo beneficiario dei premi che ha pagato all’assicuratore e delle spese del contratto, con privilegio all’uopo sull’indennità che l’assicuratore ha erogato al terzo assicurato (proprio debitore).
Il 9 dicembre viene varata la Direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla c.d. intermediazione assicurativa (broker).
2003
Il 19 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12101 alla cui stregua il diritto di surrogazione dell’assicuratore contro i danni nei confronti del terzo danneggiante (art.1916 c.c.) non opera automaticamente, ma presuppone una esplicita manifestazione di volontà dell’assicuratore medesimo nei confronti del terzo danneggiante.
Il 4 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12880 che si occupa della evenienza in cui – dopo la stipulazione del contratto – si verifichino delle circostanze in grado di influire sul rischio assicurato. Per la Corte, laddove l’assicurato (o il contraente, se persona diversa) non comunichi all’assicuratore tali circostanze, e laddove si tratti di circostanze che avrebbero implicato un premio maggiore (per aumento del rischio), l’assicuratore in caso di sinistro è legittimato a ridurre l’indennizzo in modo proporzionale al maggior premio che l’assicurato avrebbe dovuto versare se avesse inteso fruire della garanzia per il maggior rischio siccome ex post palesatosi.
*Il 10 novembre esce la sentenza delle III sezione della Cassazione n.16826 alla cui stregua, al fine di legittimare il contraente a far valere i diritti nascenti dall’assicurazione nei confronti dell’assicuratore allorché tali diritti vengano acquisiti da un soggetto terzo beneficiario (assicurazione per conto altrui o assicurazione per conto di chi spetti, ex art1891 c.c.) occorre un consenso espresso da parte del terzo assicurato beneficiario, dovendosi assumere irrilevante un consenso meramente presunto o tacito.
2004
Il 21 aprile viene varato il Regolamento 785/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti assicurativi applicabili ai vettori aerei e agli esercenti di aeromobili, il cui articolo 4 detta norme fondamentali in materia di assicurazione disponendo che i vettori aerei e gli esercenti di aeromobili (di cui all’articolo 2) sono assicurati in materia di responsabilità specifica nei trasporti aerei per quanto concerne i passeggeri, i bagagli, le merci e i terzi, i rischi assicurati includendo atti di guerra, terrorismo, pirateria aerea, atti di sabotaggio, sequestro illegale di aeromobile e tumulti popolari. I vettori aerei e gli esercenti di aeromobili sono obbligati ad una copertura assicurativa minima per ciascun volo, sia che essi dispongano dell’aeromobile in quanto di loro proprietà sia che ne dispongano in base a qualsiasi tipo di accordo di noleggio, o attraverso operazioni in comune o in franchising, codici condivisi (code sharing) o per qualsiasi altro accordo della stessa natura. Alla stregua del successivo articolo 6, per la responsabilità riguardo ai passeggeri, la copertura assicurativa minima obbligatoria ammonta a 250 000 DSP (diritti speciali di prelievo) per passeggero (tuttavia, per le operazioni non commerciali con aeromobili di MTOM pari o inferiore a 2 700 kg gli Stati membri possono stabilire un livello di copertura assicurativa minima inferiore, purché almeno pari a 100 000 DSP per passeggero). Per la responsabilità riguardo ai bagagli, la copertura assicurativa minima ammonta invece a 1000 DSP per passeggero nelle operazioni commerciali; per la responsabilità riguardo alle merci, la copertura assicurativa minima ammonta a 17 DSP per chilogrammo nelle operazioni commerciali. Si tratta di disposizioni che non non si applicano ai voli sopra il territorio degli Stati membri effettuati da vettori aerei non comunitari e da esercenti di aeromobili che utilizzano aeromobili immatricolati al di fuori della Comunità, che non implichino un atterraggio in tale territorio o un decollo dallo stesso.
Il 27 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4014, alla cui stregua in caso di subentro dell’assicuratore contro i danni nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili del danno, ex art.1916 c.c., il terzo danneggiante può opporre all’assicuratore tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all’assicurato danneggiato, escluse tuttavia quelle derivanti dal contratto di assicurazione (rispetto al quale egli resta terzo).
Il 19 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9469, alla cui stregua il subentro dell’assicuratore contro i danni nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili del danno, ex art.1916 c.c., non configura una ipotesi di surrogazione legale ex art.1203 c.c., quanto piuttosto una figura peculiare di successione nella titolarità del credito.
Il 21 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11471 che, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la circolazione di veicoli, assume rientrare nella copertura assicurativa anche i danni inferti ai terzi trasportati a qualsiasi titolo, compreso il coniuge in regime di comunione legale.
2005
Il 4 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9284 che si inserisce nel solco pretorio maggioritario alla cui stregua il contratto di assicurazione per conto di chi spetti integra un contratto a favore di terzo, con conseguente applicabilità degli articoli 1411 e seguenti del codice civile, oltre alle norme dettate in tema di assicurazione. Nella stessa pronuncia si afferma che tanto l’assicurazione per conto altrui quanto quella per conto di chi spetti, di cui all’art.1891 c.c., costituiscono una forma contrattuale sui generis.
Il 9 maggio viene varato il decreto legislativo n.96, il cui articolo 18 abroga le norme del codice della navigazione aerea sulla assicurazione obbligatoria dei passeggeri.
Il 7 settembre viene varato il decreto legislativo n.209, c.d. codice delle assicurazioni private, il cui articolo 2, comma 3, include esplicitamente le assicurazioni contro gli infortuni tra le assicurazioni contro i danni, fatto salvo il caso delle assicurazioni complementari di cui al relativo comma 2, che rientrano invece nelle assicurazioni sulla vita. Gli articoli 122 e seguenti si occupano in particolare della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile connessa alla circolazione di veicoli o di natanti: per quanto riguarda la copertura assicurativa con riguardo a potenziali soggetti danneggiati, ai sensi degli articoli 122, comma 2, e 129, comma 1, vi rientrano anche i terzi trasportati a qualsiasi titolo, ma il conducente responsabile del sinistro non può mai essere considerato un terzo capace come tale di fruire della copertura assicurativa; stando a quanto prescritto dall’art.144, il rischio assicurato comprende anche le ipotesi in cui il danneggiante agisce con dolo (in deroga a quanto in generale prescrive l’art.1917 c.c. che, in tema di assicurazione della responsabilità civile, esclude appunto le ipotesi in cui il danno sia dovuto a dolo del responsabile); inoltre, il rischio assicurato comprende in via automatica anche la possibilità per il terzo danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del veicolo responsabile del sinistro, essendo tuttavia riconosciuto all’assicuratore medesimo il diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato (titolare del veicolo adibito alla circolazione) nella misura in cui – se non vi fosse stata azione diretta – egli avrebbe avuto il diritto, sulla base del contratto di assicurazione, di rifiutare o ridurre la propria prestazione di indennizzo assicurativo, interamente erogata al terzo che ha agito in via diretta; un caso particolare di “risarcimento diretto” disciplinato dall’art.149 è quello dell’incidente tra due veicoli entrambi assicurati per la responsabilità civile (molto frequente), circostanza nella quale ciascuno dei danneggiati deve chiedere l’indennizzo direttamente alla propria assicurazione che ha assunto il rischio della responsabilità civile connesso al veicolo utilizzato e circolante: ciascuna “propria” assicurazione è ex lege obbligata alla liquidazione del danno al proprio assicurato per conto dell’impresa di assicurazione dell’altro veicolo responsabile, configurandosi dunque un accollo ex lege; a liquidare il danno è invece il fondo di garanzia per le vittime della strada, ai sensi dell’art.285, laddove il veicolo che ha cagionato il danno non sia coperto da assicurazione obbligatoria ovvero, pur essendo (potenzialmente) coperto, non sia stato identificato. Gli articoli 106 e seguenti disciplinano poi l’attività di intermediazione assicurativa, ed in particolare il fenomeno del c.d. broker.
2006
Il 2 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4656 alla cui stregua, in caso di scissione tra contraente e beneficiario acquirente dei diritti che nascono dal contratto di assicurazione (art.1891 c.c.: assicurazione per conto altrui e per conto di chi spetti), laddove tali diritti vengano esercitati dal contraente nei confronti dell’assicuratore, il contraente stesso va assunto quale mero sostituto, legittimato con consenso espresso dal beneficiario dell’assicurazione stessa a tale esercizio sostitutivo.
Il 15 marzo viene varato il decreto legislativo n.151, che detta disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 9 maggio 2005, n. 96, recante la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione.
Il 29 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12803, che si occupa della fattispecie in cui l’assicuratore contro i danni assuma un rischio illimitato, garantendo l’intero patrimonio dell’assicurato, con fissazione tuttavia di un limite massimo alla copertura assicurativa detto “massimale”; la fissazione del massimale per la Corte non esclude in ogni caso la corresponsione degli interessi moratori e del maggior danno all’assicurato, anche al di sopra del ridetto massimale, laddove vi sia ritardo colposo dell’assicuratore medesimo nella corresponsione dell’indennità all’assicurato.
Il 9 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.23892 alla cui stregua il contratto di assicurazione viene normalmente concluso attraverso contratti standard, trovando allora applicazione gli articoli 1341 e 1342 c.c. a tutela dei contraenti consumatori.
2007
Il 28 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.4631, che si occupa della applicabilità della sospensione della copertura assicurativa allorché il contratto di assicurazione presenti una c.d. clausola di regolazione del premio, onde l’ammontare del premio è stabilito sia in una misura minima fissa da pagarsi al momento della conclusione del contratto, sia in una ulteriore misura che è invece variabile alla scadenza di ciascun periodo assicurativo e che va determinata sulla base di informazioni che l’assicurato è periodicamente tenuto a fornire all’assicuratore. La giurisprudenza ha ventilato in proposito che, laddove l’assicurato ometta la comunicazione dovuta, o la renda in modo inesatto, l’assicuratore finisce col non essere in possesso delle informazioni necessarie per determinare la misura variabile del premio, circostanza che potrebbe configurare una causa di sospensione della copertura assicurativa. La Corte afferma, al contrario, che in questi casi non opera l’art.1901 c.c., dacché tale norma prevede la sospensione della copertura assicurativa (e dunque dell’efficacia del contratto) in caso di mancato pagamento del premio (o della rata di premio) integralmente considerato (o considerata), mentre nei ridetti contratti con clausola di adeguamento del premio si assiste in ogni caso ad un pagamento da parte dell’assicurato dell’anticipo del premio (riferito al periodo successivo) in una data anteriore a quella in cui scade per l’assicuratore il termine per comunicare la variazione che sia eventualmente intervenuta, onde l’assicuratore accetta dall’assicurato tale anticipo di premio come pagamento integrale (salvo, appunto, variazione integrativa); per questo motivo l’eventuale mancato pagamento del maggior premio dovuto al cospetto di una clausola di regolazione del premio stesso va considerato, per le SSUU, come inadempimento di una obbligazione diversa rispetto a quella scolpita all’art.1901 c.c. (e condizionante la copertura assicurativa), con l’ulteriore precipitato onde il comportamento dell’assicurato obbligato deve essere valutato alla stregua del canone di buona fede contrattuale oggettiva, sicché in caso di mancata comunicazione all’assicuratore degli elementi variabili da parte dell’assicurato (che ha comunque pagato l’anticipo di premio, il solo avvinto alla operatività dell’art.1901 c.c.), l’assicuratore non è autorizzato ad avvalersi in modo automatico della sospensione della copertura assicurativa e della connessa garanzia per i rischi contrattualmente assunti, potendo piuttosto beneficiare delle conseguenze che l’ordinamento normalmente riconnette all’inadempimento delle obbligazioni civili.
Il 2 aprile esce l’ordinanza delle SSUU n.8095, alla cui stregua il broker, quale mediatore di assicurazione e riassicurazione, nello svolgere tale attività, la esercita professionalmente quale attività rivolta a mettere in diretta relazione l’assicurando con imprese di assicurazione e riassicurazione, alle quali ultime non è vincolato da impegni di sorta; egli agisce nell’interesse di soggetti che intendano provvedere – avvalendosi della relativa collaborazione – alla copertura di determinati rischi, assistendoli nella determinazione del contenuto dei relativi contratti e collaborando eventualmente alla relativa gestione ed esecuzione. Proprio per questo motivo, chiosa la Corte, con riguardo alla conclusione del contratto di assicurazione poi stipulato, il broker non può essere considerato rappresentante di entrambe le parti (assicurando/assicurato e assicuratore), essendo piuttosto parte di un differente contratto, quello di brokeraggio, stipulato con il solo soggetto (assicurando) che gli si è rivolto per lo svolgimento della pertinente attività.
Il 5 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.13058 alla cui stregua – in contrario avviso rispetto alle SSUU del 2002 – va riaffermata la natura di contratto a favore di terzo delle figure di assicurazione previste dall’art.1891 c.c. (per conto altrui e per conto di chi spetti), dacché la validità del pertinente contratto deve assumersi influenzata non già solo dall’interesse del beneficiario assicurato (avvinto come esso è al rischio oggetto appunto di assicurazione, e dunque al rischio al quale è esposto un bene del beneficiario assicurato in rapporto ad un evento futuro ed incerto potenzialmente dannoso), ma anche dall’interesse dell’originario contraente, in veste di stipulante, che non necessariamente deve atteggiarsi ad interesse giuridicamente rilevante, potendo anche connotare una posizione soggettiva di tipo meramente fattuale, con risvolti solo morali o di immagine.
2009
Il 23 aprile viene varata la Direttiva 2009/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi.
2011
Il 28 giugno viene varato il decreto legislativo n.111, recante attuazione della direttiva 2009/20/CE recante norme sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi.
Il 13 agosto viene varato il decreto legge n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, il cui art. 3, comma 5, nell’elencare i principi ai quali devono ispirarsi le riforme degli ordinamenti professionali da approvarsi nel termine di un anno dall’entrata in vigore del decreto medesimo, prevede alla lett. e) l’obbligo per tutti di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, nonché di rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata e il relativo massimale;
Il 14 settembre viene varata la legge n.148 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.138.
2012
Il 7 agosto viene varato il D.p.R. n. 137 che, nel ribadire per tutti professionisti l’obbligo assicurativo – la cui violazione costituisce peraltro illecito disciplinare – e nel precisare che la stipula dei contratti pertinenti può avvenire anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti medesimi, proroga di un anno dall’entrata in vigore della norma, e dunque fino al 15 agosto 2013, l’obbligo di assicurazione ridetto.
Il 13 settembre viene varato il decreto legge n. 158 che, con specifico riferimento agli esercenti le professioni sanitarie, demanda a un decreto del Presidente della Repubblica la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti.
L’8 novembre viene varata la legge n.189 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge 158.
Il 31 dicembre viene varata la legge n.247, recante nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, il cui articolo 12 prevede l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la categoria degli avvocati. La norma non è tuttavia immediatamente operativa giacché, ai sensi del comma 5, le condizioni essenziali e i massimali minimi delle polizze sono stabiliti (e aggiornati ogni 5 anni) dal Ministro della giustizia, sentito il CNF, sicché per la operatività concreta della norma occorre un Decreto del Ministro della Giustizia.
2013
Il 21 giugno viene varato il decreto legge n.69 (c.d. decreto fare), che allunga al 13 agosto 2014 l’obbligo degli esercenti le professioni sanitarie di munirsi di assicurazione di responsabilità civile.
Il 9 agosto viene varata la legge n.98 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.69 (c.d. decreto del fare).
2015
Il 29 aprile esce la sentenza delle SSUU n.8620, che definisce la nozione di “circolazione” ai fini della responsabilità civile connessa appunto alla circolazione di veicoli (e di natanti) e della pertinente assicurazione obbligatoria. Per la Corte, il concetto di circolazione stradale di cui all’art.2054 c.c. include anche la posizione di arresto del veicolo e ciò in relazione sia all’ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per le quali può circolare sulle strade. Ne consegue per la Corte che per l’operatività della garanzia per RCA è necessario che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull’area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali e, quindi, in relazione alle relative funzionalità non solo sotto il profilo logico, ma anche delle eventuali previsioni normative, risultando invece indifferente l’uso che in concreto se ne faccia, sempre che esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo.
2016
Il 6 maggio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.9140, che si occupa delle c.d. clausole claims made. La Corte rammenta in primis come la prassi contrattuale abbia forgiato modelli proteiformi di clausole claims made, che tuttavia si riconducono fondamentalmente a 2 tipologie di massima: a) quelle “pure”, in cui l’assicurazione copre tutte le richieste risarcitorie che il danneggiato spicchi nei confronti dell’assicurato danneggiante e che questi denunci all’assicuratore nel periodo di efficacia e di conseguente copertura della polizza, anche se il fatto illecito generatore di danno sia stato commesso in un periodo anteriore; b) quelle “impure”, in cui l’assicurazione copre tutte le richieste risarcitorie che il danneggiato spicchi nei confronti dell’assicurato danneggiante e che questi denunci all’assicuratore nel periodo di efficacia e di conseguente copertura della polizza, solo tuttavia se anche il fatto illecito generatore di danno sia stato commesso nel periodo di copertura della polizza (e non anche in un momento anteriore), onde il periodo di polizza investe tanto il fatto dannoso che la pertinente richiesta risarcitoria al danneggiante e la conseguente denuncia di quest’ultimo all’assicuratore; in qualche caso, le clausole “impure” si caratterizzano come “miste” perché ammettono che la garanzia “retrodati” anche ai fatti illeciti produttivi di danno anteriori rispetto al periodo di polizza di un torno temporale predeterminato (normalmente 2 o 3 anni). Per le SSUU le clausole claims made “impure” o “miste” non possono essere considerate tout court vessatorie; e tuttavia in presenza di determinate condizioni tali clausole possono essere dichiarate nulle per difetto di meritevolezza degli interessi perseguiti con esse dalle parti; laddove poi sia applicabile il decreto legislativo 206.05 (c.d. codice del consumo), tali clausole possono essere assunte nulle per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi che per lui derivano dal pertinente contratto. Sul crinale della validità del contratto assicurativo con clausole claims made, per la Corte occorre in generale guardare al momento in cui assicurato e assicuratore hanno raggiunto il consenso funzionale alla stipula del pertinente contratto: si assiste infatti alla estensione della copertura a responsabilità dell’assicurato scaturenti da fatti commessi prima della stipula del contratto stesso che, nondimeno, non fa per ciò solo venir meno l’alea tipica del contratto si assicurazione – e con essa la validità del contratto medesimo (che è contratto “aleatorio”) – se al momento appunto in cui le parti hanno raggiunto il consenso esse, ed in particolare l’assicurato, ignorano l’esistenza di detti fatti illeciti; laddove invece l’assicurato sappia, nel momento in cui stipula il contratto con clausola claims made, di propri precedenti fatti illeciti senza dichiararli all’assicuratore, scatta per la Corte l’applicabilità degli articoli 1892 e 1893 in tema di dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato. Precisa peraltro la Corte come il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro dal medesimo cagionato a terzi si concretizzi secondo uno schema progressivo, onde detto rischio non si esaurisce nella sola condotta materiale (alla quale pure è causalmente riconducibile il danno) occorrendo anche l’esercizio da parte del danneggiato del proprio diritto al risarcimento giusta domanda risarcitoria (che è poi il vero e proprio “sinistro” che il danneggiante assicura); per la Corte quando si stipula dunque un contratto con clausola claims made “mista”, nella quale si assiste ad una garanzia assicurativa estesa al pregresso rispetto al periodo di copertura della polizza, tale clausola è da intendersi valida in quanto la condotta illecita (colposa) posta già in essere dall’assicurato danneggiante (e peraltro da lui ignorata) esprime solo una parte del rischio garantito, rimanendo impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo di quelli che sono gli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante assicurato, tra i quali appunto la concreta richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato. Precisa ancora la Corte che l’art.1917, comma 1, c.c. non rientra tra le norme che il successivo art.1932 c.c. considera inderogabili, circostanza che – in via di principio – consente alle parti di modulare l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne il danneggiante assicurato di quanto questi “in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” deve pagare ad un terzo danneggiato, laddove tale “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” potrebbe dunque anche essere non già la condotta illecita colposa (antecedente), quanto piuttosto la successiva (ed eventuale) richiesta risarcitoria da parte del ridetto terzo danneggiato. Non potrebbe poi, su altro crinale, affermarsi la nullità per asserito contrasto della previsione pattizia delle clausole claims made con le regole di comportamento da osservarsi nel corso della formazione del contratto e nello svolgimento del rapporto obbligatorio: non è qui in discussione – chiosa la Corte – che i reiterati richiami del codice alla correttezza come regola alla quale il debitore e il creditore devono improntare il proprio comportamento (art. 1175 cod. civ.), alla buona fede come criterio informatore della interpretazione e della esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375 cod. civ.), e all’equità, quale parametro delle soluzioni da adottare in relazione a vicende non contemplate dalle parti (art. 1374 cod. civ.), facciano della correttezza (o buona fede in senso oggettivo) un metro di comportamento per i soggetti del rapporto, e un binario guida per la sintesi valutativa del giudice, il cui contenuto non è a priori determinato; né che il generale principio etico-giuridico di buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri doveri, insieme alla nozione di abuso del diritto, che ne è l’interfaccia, giochino un ruolo fondamentale e in funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore, e quale limite all’esercizio delle corrispondenti pretese; né, ancora, che, attraverso le richiamate norme, possa venire più esattamente individuato, e per così dire arricchito, il contenuto del singolo rapporto obbligatorio, con l’estrapolazione di obblighi collaterali (di protezione, di cooperazione, di informazione), che, in relazione al concreto evolversi della vicenda negoziale, vadano in definitiva a individuare la regula iuris effettivamente applicabile e a salvaguardare la funzione obbiettiva e lo spirito del regolamento di interessi che le parti abbiano inteso raggiungere. Ciò che tuttavia rileva per la Corte è che, in disparte le considerazioni in ordine al giudizio di meritevolezza di regolamenti negoziali oggettivamente non equi e gravemente sbilanciati, la violazione di regole di comportamento ispirate a quel dovere di solidarietà che, sin dalla fase delle trattative, richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore, secondo l’icastica enunciazione della Relazione ministeriale al codice civile, in nessun caso potrebbe avere forza ablativa di un vincolo convenzionalmente assunto, essendo al più destinato a trovare ristoro sul piano risarcitorio (confr. Cass. civ. 10 novembre 2010, n. 22819; Cass. civ. 22 gennaio 2009, n. 1618; Cass. civ. sez. un. 25 novembre 2008, n. 28056). Ora (con specifico riguardo alle censure svolte nel terzo motivo) ciò di cui l’impugnante si duole nel caso di specie è – precisa la Corte – che l’inserimento della clausola sarebbe avvenuto in maniera asseritamente subdola, posto che la relativa denominazione “inizio e termine della garanzia” avrebbe fuorviato il consenso dell’aderente, affatto inconsapevole di un contenuto che stravolge Io schema codicistico del contratto assicurativo, ispirato alla formula loss occurence: da tanto inferendo non già l’esistenza di ipotesi di annullabilità per errore o dolo o di variamente modulati diritti risarcitorí dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ma la nullità radicale e assoluta della clausola sub specie di illiceità che vitiatur sed non vitiat, con conseguente attivazione del meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1419, secondo comma, cod. civ., implicitamente, ma inequivocabilmente evocato. E tuttavia, soggiunge la Corte, è principio consolidato nella giurisprudenza della Corte medesima, al quale essa dà continuità, che, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di precetti inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, non già l’inosservanza di norme, quand’anche imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, inosservanza che può costituire solo fonte di responsabilità per danni (cfr. Cass. civ. 10 aprile 2014, n. 8462; Cass. civ. 19 dicembre 2007, n. 26724). Tanto premesso, l’ampiezza dello scrutinio nomofilattico sollecitato e le peculiarità proprie della fattispecie dedotta in giudizio, inducono le SSUU ad esaminare un ulteriore, possibile profilo di invalidità della clausola in contestazione, per vero assai dibattuto soprattutto in dottrina e nella giurisprudenza di merito. Merita per la Corte preliminarmente evidenziare, sul piano fattuale: a) che il sinistro, e cioè l’omessa diagnosi dei cui effetti pregiudizievoli X ha chiesto di essere ristorato, si è verificato nell’agosto 1993; b) che l’arco temporale di vigenza della polizza dedotta in giudizio andava dal 21 febbraio 1996 al 31 dicembre 1997, con effetto retroattivo al triennio precedente; c) che la copertura assicurativa era in ogni caso limitata alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di operatività dell’assicurazione, e quindi entro il 31 dicembre 1997; d) che nella fattispecie la domanda del paziente venne avanzata nel giugno 2001. E allora, considerato che il sinistro di cui la chiamante ha chiesto di essere indennizzata si è verificato in epoca antecedente alla stipula del contratto, risulta ineludibile il confronto con la vexata quaestio della validità dell’assicurazione del rischio pregresso. La Corte ricorda all’uopo che l’assicurabilità di fatti generatori di danno verificatisi prima della conclusione del contratto, ma ignorati dall’assicurato, è stata ed è fortemente osteggiata da coloro che ravvisano nella clausola claims made così strutturata una sostanziale mancanza dell’alea richiesta, a pena di nullità, dall’art. 1895 cod. civ.. Ed invero – si sostiene – posto che il rischio dedotto in contratto deve essere futuro e incerto, giammai il cd. rischio putativo potrebbe trovare copertura. Da tale opinione le SSUU assumono tuttavia di dovere dissentire, così confermando l’orientamento già espresso negli arresti precedenti n. 7273 del 22 marzo 2013, e n. 3622 del 17 febbraio 2014. Affatto convincente appare in proposito il rilievo che l’estensione della copertura alle responsabilità dell’assicurato scaturenti da fatti commessi prima della stipula del contratto non fa venir meno l’alea e, con essa, la validità del contratto, se al momento del raggiungimento del consenso le parti (e, in specie, l’assicurato) ne ignoravano l’esistenza, potendosi, in caso contrario, opporre la responsabilità del contraente ex artt. 1892 e 1893 cod. civ. per le dichiarazioni inesatte o reticenti. A ciò aggiungasi che, chiosa ancora la Corte, il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza, si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento: ne deriva che la clausola claims made con garanzia pregressa è lecita perché afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato. Non a caso, del resto, il rischio putativo è espressamente riconosciuto nel nostro ordinamento dall’art. 514 del codice navigazione, con disposizione che non v’è motivo per la Corte di ritenere eccezionale. L’affermato carattere grandangolare del giudizio di nullità (cfr. Cass. civ. sez. un. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243), impone a questo punto al Collegio di farsi carico degli ulteriori rilievi – disseminati qua e là, nel corpo delle complesse e articolate argomentazioni formulate dalla ricorrente a illustrazione della sua linea difensiva – volti a evidenziare la consustanziale e invincibile contrarietà della clausola claims made con la struttura propria del contratto di assicurazione, posto che essa, legando la copertura dei sinistri alla condizione che ne venga chiesto il ristoro entro un certo periodo di tempo, decorso il quale cessa ogni obbligo di manleva per la compagnia, stravolgerebbe, a danno dell’assicurato, la struttura tipica del contratto, quale delineato nell’art. 1917 cod. civ. che, conformata, come si è detto, sul modello c.d. loss occurrence, assicura la copertura di tutti i sinistri occorsi nel periodo di tempo di vigenza della polizza. Secondo tale prospettiva, che ha trovato riscontro in talune pronunce della giurisprudenza di merito e adesioni in dottrina, la clausola sarebbe nulla perché vanificherebbe la causa del contratto di assicurazione, individuata, con specifico riferimento all’assicurazione sulla responsabilità professionale, nel trasferimento, dall’agente all’assicuratore, del rischio derivante dall’esercizio dell’attività, questa e non la richiesta risarcitoria essendo oggetto dell’obbligo di manleva. Sul piano strettamente dogmatico la tesi dell’intagibilità del modello codicistico si scontra tuttavia per la Corte contro il chiaro dato testuale costituito dall’art. 1932 cod. civ., che tra le norme inderogabili non menziona – come supra rilevato – il comma 1 dell’art. 1917 cod. civ. Il che per la Corte, in via di principio, consente alle parti di modulare, nella maniera ritenuta più acconcia, l’obbligo del garante di tenere indenne il garantito “di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione“, deve pagare a un terzo. Si tratta piuttosto di stabilire fino a che punto i paciscenti possano spingersi nella riconosciuta loro facoltà di variare il contenuto del contratto e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia in concreto idonea ad avvelenarne la causa. Non a caso, al riguardo, la tesi della nullità viene declinata nella ben più scivolosa chiave della immeritevolezza di tutela dell’assicurazione con clausola claims made, segnatamente di quella mista, in ragione della significativa delimitazione dei rischi risarcibili, del pericolo di mancanza di copertura in caso di mutamento dell’assicuratore e delle conseguenti, possibili ripercussioni negative sulla concorrenza tra le imprese e sulla libertà contrattuale. In realtà, prosegue la Corte, al fondo della manifesta insofferenza per una condizione contrattuale che appare pensata a tutto vantaggio del contraente forte, c’è la percezione che essa snaturi l’essenza stessa del contratto di assicurazione per responsabilità civile, legando l’obbligo di manleva a una barriera temporale che potrebbe scattare assai prima della cessazione del rischio che ha indotto l’assicurato a stipularlo, considerato che l’eventualità di un’aggressione del suo patrimonio persiste almeno fino alla maturazione dei termini di prescrizione. Peraltro una risposta soddisfacente e conclusiva a siffatto genere di dubbi non può prescindere da una più approfondita esegesi della natura della contestata clausola, operazione che, in quanto indispensabile alla identificazione del relativo regime giuridico. Si tratta invero – chiosa ancora la Corte – di stabilire se essa vada qualificata come limitativa della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 cod. civ., ovvero dell’oggetto del contratto, tenendo conto che, in linea generale, per clausole limitative della responsabilità si intendono quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito (Cass. civ. 7 agosto 2014, n. 17783; Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 8235; Cass. civ. 10 novembre 2009, n. 23741). In siffatta prospettiva si predica che si ha delimitazione dell’oggetto quando la clausola negoziale ha Io scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti, laddove è delimitativa della responsabilità quella che ha l’effetto di escludere una responsabilità che, rientrando, in tesi, nell’oggetto, sarebbe altrimenti insorta. Orbene, funzionale al divisato obbiettivo esegetico – precisa la Corte – è anzitutto la considerazione che il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione di cui parla l’art. 1917 cod. civ. non può essere identificato con la richiesta di risarcimento: non par dubbio infatti che il lemma – inserito all’interno di un contesto normativo in cui sono espressamente esclusi dall’area della risarcibilità i danni derivati dai fatti dolosi (art. 1917, primo comma, ultimo periodo); in cui sono imposti all’assicurato, con decorrenza dalla data del sinistro, significativi oneri informativi (art. 1913 cod. civ.); e in cui, infine, è espressamente sancito e disciplinato l’obbligo di salvataggio (art. 1914 cod. civ.) – si riferisce inequivocabilmente alla vicenda storica di cui l’assicurato deve rispondere (cfr. Cass. civ. 15 marzo 2005, n. 5624). Il che, se vale a far tracimare i contratti assicurativi con clausola claims made pura fuori della fattispecie ipotetica delineata nell’art. 1917 cod. civ., non è invece sufficiente a suffragare l’assunto secondo cui anche la clausola claims made mista inciderebbe sulla tipologia stessa del rischio garantito nel senso che questo non sarebbe più la responsabilità tout court, ma la responsabilità reclamata. L’affermazione che, si ripete, è certamente sostenibile con riferimento ai contratti assicurativi con clausola claims made pura, non resiste per la Corte, con riguardo alle altre, al dirimente rilievo che, nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, il sinistro delle cui conseguenze patrimoniali l’assicurato intende traslare il rischio sul garante, è collegato non solo alla condotta dell’assicurato danneggiante, ma altresì alla richiesta risarcitoria avanzata dal danneggiato, essendo fin troppo ovvio che ove al comportamento lesivo non faccia seguito alcuna domanda di ristoro, nessun diritto all’indennizzo – e specularmente nessun obbligo di manleva – insorgeranno a favore e a carico dei soggetti del rapporto assicurativo. Se tutto questo è vero, il discostamento dal modello codicistico introdotto dalla clausola claims made impura, che è quella che qui interessa, mirando a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell’art. 1905 cod. civ., l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato. E poiché non appare seriamente predicabile che l’assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 cod. civ., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità. Infine, e conclusivamente, nessuna consistenza hanno gli altri profili di vessatorietà evocati nel caso di specie da X, a sol considerare che la pretesa, pattizia imposizione di decadenze è resistita dai medesimi rilievi svolti a proposito dell’eccepita nullità della clausola per contrarietà al disposto dell’art. 2965 cod. civ.; che la deduzione di un’incisione della libertà contrattuale del contraente non predisponente costituisce al più un inconveniente pratico che, in quanto effetto riflesso delle condizioni della stipula, è semmai passibile di valutazione in sede di scrutinio sulla meritevolezza della tutela, di cui appresso si dirà; che inesistente, infine, è la prospettata limitazione alla facoltà dell’assicurato di opporre eccezioni. Ne deriva che, per la Corte, correttamente il giudice di merito ha escluso sia le ragioni di nullità fatte valere dall’esponente che il carattere vessatorio della clausola. Assunta inoperante la tutela, del resto meramente formale, assicurata dall’art. 1341 cod. civ., e conseguentemente infondate le critiche pertinentemente svolte, si tratta ora per la Corte di considerare i possibili esiti di uno scrutinio di validità condotto sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime legale contrattualmente stabilita. Peraltro, se è approdo pacifico della teoria generale del contratto la possibilità di estendere il sindacato al singolo patto atipico, inserito in un contratto tipico, è di intuitiva evidenza che qualsivoglia indagine sulla meritevolezza deve necessariamente essere condotta in concreto, con riferimento, cioè, alla fattispecie negoziale di volta in volta sottoposta alla valutazione dell’interprete. Ed invero, i dubbi avanzati dalla Corte allorché, interrogandosi in un obiter dictum sulla validità dell’esclusione dalla copertura assicurativa di un sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto, in quanto la domanda risarcitoria era stata per la prima volta proposta dopo la scadenza della polizza, ebbe a ipotizzare problemi di validità della clausola, considerato che, in casi siffatti, verrebbe a mancare, “in danno dell’assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo” (cfr. Cass. civ. 17 febbraio 2014, n. 3622), non appaiono passibili di risposte univoche, in disparte il loro indiscutibile impatto emotivo. E’ sufficiente al riguardo – chiosa ancora la Corte – considerare che la prospettazione dell’immeritevolezza è, in via di principio, infondata con riferimento alle clausole c.d. pure, che, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito, mentre l’esito dello scrutinio sembra assai più problematico con riferimento alle clausole c.d. impure, a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limita la copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell’assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento. Quanto poi alle clausole che estendono la garanzia al rischio pregresso, l’apprezzamento non potrà non farsi carico dei rilievo che, in casi siffatti, il sinallagma contrattuale, che nell’ultimo periodo di vita del rapporto è destinato a funzionare in maniera assai ridotta, quanto alla copertura delle condotte realizzate nel relativo arco temporale, continuerà nondimeno a operare con riferimento alle richieste risarcitorie avanzate a fronte di comportamenti dell’assicurato antecedenti alla stipula, di talché l’eventualità, paventata nell’arresto n. 3622 del 2014, di una mancanza di corrispettività tra pagamento del premio e diritto all’indennizzo, non è poi così scontata. Peraltro è evidente per la Corte che della copertura del rischio pregresso nulla potrà farsene l’esordiente (ad esempio, il medico che ha appena intrapreso la sua attività), il quale non ha alcun interesse ad assicurare inesistenti sue condotte precedenti alla stipula, di talché anche tale circostanza entrerà, se del caso, nella griglia valutativa della meritevolezza. Non è poi superfluo aggiungere che, laddove risulti applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, l’indagine dovrà necessariamente confrontarsi con la possibilità di intercettare, a carico del consumatore, quel “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” presidiato dalla nullità di protezione, di cui all’art. 36 d.lgs. n. 206 del 2005. E ancorché la pacifica limitazione della tutela offerta dalla menzionata fonte alle sole persone fisiche che concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata – dovendosi per contro considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell’esercizio di una siffatta attività o per uno scopo a questa connesso (cfr. Cass. civ. Cass. civ. 12 marzo 2014, n. 5705; Cass. civ. 23 settembre 2013, n. 21763) – escluda la possibilità che essa risulti applicabile ai contratti di assicurazione della responsabilità professionale e marchi comunque di assoluta residualità l’ipotesi di una relativa rilevanza in parte qua, va nondimeno sottolineata la maggiore incisività del relativo scrutinio. Questo, in quanto volto ad assicurare protezione al contraente debole, non potrà invero – per la Corte – che attestarsi su una soglia di incisione dell’elemento causale più bassa rispetto a quella necessaria per il positivo riscontro dell’immeritevolezza, affidato ai principi generali dell’ordinamento. Va poi da sé che l’esegesi, ove non approdi a risultati appaganti sulla base di dati propri della clausola, che risultino in sé di fulminante evidenza in un senso o nell’altro, non può prescindere dalla considerazione, da un lato, dell’esistenza di un contesto caratterizzato dalla spiccata asimmetria delle parti e nel quale il contraente non predisponente, ancorché in tesi qualificabile come “professionista“, è, in realtà, il più delle volte sguarnito di esaustive informazioni in ordine ai complessi meccanismi giuridici che governano il sistema della responsabilità civile; dall’altro, di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresi altri profili della disciplina pattizia, quali, ad esempio, l’entità del premio pagato dall’assicurato, così in definitiva risolvendosi in un giudizio di stretto merito che, se adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità. Quanto poi agli effetti della valutazione di immeritevolezza, essi, in via di principio – esorbitando dall’area della mera scorrettezza comportamentale presidiata, per quanto innanzi detto, dalla sola tutela risarcitoria – non possono non avere carattere reale, con l’applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula loss occurence. E tanto sull’abbrivio degli spunti esegetici offerti dal secondo comma dell’art. 1419 cod. civ. nonché del principio, ormai assurto a diritto vivente, secondo cui il precetto dettato dall’art. 2 della Costituzione “che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa” (Corte cost. n. 77 del 2014 e n. 248 del 2013), consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (cfr. Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106; Cass. sez. un. 13 settembre 2005, n. 18128). Prima di chiudere, non possono le SSUU ignorare la delicata questione della compatibilità della clausola claims made con l’introduzione, in taluni settori, dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa all’esercizio della propria attività. Esse rammentano in proposito: a) che l’art. 3, comma 5, decreto legge n. 138 del 2011, convertito con legge n. 148 dello stesso anno, nell’elencare i principi ai quali devono ispirarsi le riforme degli ordinamenti professionali da approvarsi nel termine di un anno dall’entrata in vigore del decreto, ha previsto alla lett. e), l’obbligo per tutti di stipulare “idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale“, nonché di rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata e il relativo massimale; b) che il successivo d.P.R. n. 137 del 7 agosto 2012, nel ribadire siffatto obbligo – la cui violazione costituisce peraltro illecito disciplinare – e nel precisare che la stipula dei contratti possa avvenire “anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti“, ha prorogato di un anno dall’entrata in vigore della norma, e dunque fino al 15 agosto 2013, l’obbligo di assicurazione; c) che con specifico riferimento agli esercenti le professioni sanitarie il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con la legge 8 novembre 2012, n. 189, ha poi demandato a un decreto del Presidente della Repubblica la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti, mentre il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. decreto fare), convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha allungato al 13 agosto 2014 l’obbligo degli stessi di munirsi di assicurazione di responsabilità civile. Ciò posto, e rilevato che è stata da più parti segnalata l’incongruenza della previsione di un obbligo per il professionista di assicurarsi, non accompagnata da un corrispondente obbligo a contrarre in capo alle società assicuratrici, quel che rileva per la Corte è che il giudizio di idoneità della polizza difficilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura, essendo peraltro di palmare evidenza che qui non sono più in gioco soltanto i rapporti tra società e assicurato, ma anche e soprattutto quelli tra professionista e terzo, essendo stato quel dovere previsto nel preminente interesse del danneggiato, esposto al pericolo che gli effetti della colpevole e dannosa attività della controparte restino, per incapienza del patrimonio della stessa, definitivamente a relativo carico. E di tanto dovrà necessariamente tenersi conto al momento della stipula delle “convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti“, nonché in sede di redazione del decreto presidenziale chiamato a stabilire, per gli esercenti le professioni sanitarie, le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti.
Il 22 settembre viene varato il D.M. (Ministero della Giustizia) che prevede la operatività della assicurazione obbligatoria degli avvocati per la relativa responsabilità professionale, la cui entrata in vigore è tuttavia posticipata.
2017
Il 4 agosto viene varata la legge n.124, legge annuale per la concorrenza ed il mercato, il cui art.1, comma 26 – nel modificare l’art.3, comma 5, del decreto legge 138.11 – prevede che, in tema di polizze assicurative per la responsabilità civile professionale, nelle relative condizioni generali sia inserito dall’assicuratore un periodo di ultrattività della copertura della polizza stessa per le richieste di risarcimento che gli eventuali terzi danneggiati presentino per la prima volta nei 10 anni successivi alla scadenza di tale periodo “ordinario” di copertura, se riferite a fatti generatori della responsabilità civile verificatisi nel periodo di copertura “ordinaria” della polizza stessa; fatta salva dunque la libertà contrattuale delle parti, nelle polizze di assicurazione per responsabilità civile professionale, le condizioni generali offerte dall’assicuratore non devono contemplare clausole che limitino la prestazione assicurativa (e dunque l’indennizzo) ai soli sinistri denunciati nel periodo di validità del contratto, dovendo piuttosto gli assicuratori offrire ai potenziali assicurati prodotti che prevedano una copertura assicurativa anche per richieste risarcitorie che gli eventuali terzi danneggiati spicchino nei 10 anni successivi alla scadenza della polizza, sempre che siano riferite a fatti illeciti commessi dal professionista durante il periodo di vigenza “ordinaria” della polizza stessa. Si tratta di una ultrattività obbligatoria ex lege particolarmente vincolante, dacché essa si applica anche alle polizze assicurative che siano già in corso di operatività al momento in cui la legge entra in vigore, prevedendosi all’uopo che, ferma sempre la libertà contrattuale ed a richiesta del contraente interessato, gli assicuratori propongano la rinegoziazione dei pertinenti contratti (già operativi) secondo nuove condizioni di premio. Sempre dell’art.1, importante il comma 2 che modifica, sostituendolo, l’art.132, comma 1, del codice delle assicurazioni private (di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209) onde le imprese di assicurazione stabiliscono preventivamente le condizioni di polizza e le tariffe relative all’assicurazione obbligatoria, comprensive di ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e sono tenute ad accettare le proposte che sono loro presentate secondo le condizioni e le tariffe ridette (c.d. obbligo di contrarre), fatta salva la necessaria verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa; qualora da tale verifica – effettuata anche mediante consultazione delle banche dati di settore e dell’archivio informatico integrato istituito presso l’IVASS (di cui all’articolo 21 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni), risulti che le informazioni fornite dal contraente non siano corrette o veritiere, le imprese di assicurazione non sono tenute ad accettare le proposte loro presentate, dovendo in tali casi ricalcolare il premio e inviare un nuovo preventivo al potenziale contraente. Ancora, sempre dell’art.1 significativi il comma 6 che – nell’inserire nel codice delle assicurazioni private un nuovo articolo 132.bis – impone agli intermediari l’obbligo, prima della sottoscrizione di un contratto assicurativo RC auto, di informare l’assicurato consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo in ordine ai premi offerti da tutte le imprese assicurative delle quali sono mandatari relativamente al contratto base; il comma 12, che modifica il comma 1 dell’articolo 133 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 onde, in caso di contratti con clausola bonus-malus, la variazione del premio in aumento o in diminuzione (a seconda della sinistrosità dell’assicurato) rispetto alla tariffa in vigore applicata dall’impresa deve essere indicata, in valore assoluto ed in percentuale, nel preventivo del nuovo contratto o del rinnovo di quello già stipulato; il comma 17, molto importante, che sostituisce l’art.138 del codice delle assicurazioni private, rinviando ad un D.p.R. per la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio nazionale, delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra 10 e 100 punti (c.d. macrolesioni) e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensivo di coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto rimasto vittima di lesione, al fine di contemperare il diritto delle vittime di sinistri ad un risarcimento pieno ed effettivo del subito danno non patrimoniale (personale) con la imprescindibile razionalizzazione dei costi gravanti sul sistema assicurativo e sugli stessi consumatori; la tabella unica nazionale deve essere redatta, tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla pertinente, consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo i seguenti principi e criteri: a) agli effetti della tabella, per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrita’ psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla relativa capacità di produrre reddito; b) la tabella dei valori economici si fonda sul sistema a punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità; c) il valore economico del punto e’ funzione crescente della percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi; d) il valore economico del punto e’ funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale; e) al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) e’ incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione; f) il danno biologico temporaneo inferiore al 100 per cento e’ determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno; ancora, qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2 del nuovo art.133, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%., mentre l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi dell’articolo in parola e’ da assumersi esaustivo del risarcimento del danno conseguente alle lesioni fisiche; infine, gli importi stabiliti nella tabella unica nazionale sono aggiornati annualmente, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, in misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’ISTAT.
L’11 ottobre entra in vigore il D.M. 22 settembre 2016 che rende ormai concretamente operativo l’obbligo per gli avvocati di munirsi di una assicurazione per la responsabilità professionale.
Il 13 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 24077 secondo cui la richiesta di risarcimento del danneggiato alla assicurazione del danneggiante, a mezzo lettera raccomandata, quale condizione di proponibilità dell’azione ai sensi e nei termini di cui all’art. 22, L. n. 990 del 1969, integra un atto giuridico in senso stretto, e non piuttosto un atto negoziale, né una proposta transattiva, sicché l’indicata condizione deve ritenersi soddisfatta anche quando la richiesta stessa venga formulata da un legale in nome e per conto del danneggiato, pure se privo di procura scritta, o se lo stesso sia minorenne.
2018
Il 19 gennaio vede la luce l’ordinanza interlocutoria della III sezione della Cassazione n.1465 con la quale il Collegio chiede alle Sezioni Unite di stabilire se siano corretti i taluni principi in tema di clausole assicurative c.d. claims made e di meritevolezza di tutela ex art.1322 c.c. La III sezione chiede alle SSUU – più nel dettaglio ed a valle di un articolato percorso argomentativo – se siano corretti i seguenti due principi: a) nell’assicurazione contro i danni, non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c. ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, comma primo, c.c.; b) nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito.
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Il 4 settembre esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, C-80/ 2017, Fundo de Garantia Automòvel, alla cui stregua l’art. 3, par. 1, Dir. 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità, come modificata dalla Dir.2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, deve essere interpretato nel senso che la stipulazione di un contratto di assicurazione della responsabilità civile relativa alla circolazione di un autoveicolo è obbligatoria qualora il veicolo – pur trovandosi, per sola scelta del suo proprietario che non ha più intenzione di guidarlo – stazionato su un terreno privato, sia tuttora immatricolato in uno Stato membro e sia idoneo a circolare. Per la Corte l’art. 1, par. 4, della seconda Dir. 84/5/CEE del Consiglio, del 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, come modificata dalla Dir. 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che prevede che l’organismo (fondo di garanzia per le vittime di sinistri stradali) contemplato in tale disposizione abbia diritto di proporre un’azione, oltre che contro il responsabile o i responsabili del sinistro, anche contro la persona che era soggetta all’obbligo di stipulare un’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione del veicolo che ha causato i danni risarciti da tale organismo, ma che non aveva stipulato alcun contratto a tal fine, quand’anche detta persona non sia civilmente responsabile dell’incidente nell’ambito del quale tali danni si sono verificati (perché semplicemente proprietaria di un veicolo che era fermo ma non assicurato).
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Il 01 agosto esce l’ordinanza della Sezione lavoro della Cassazione n.20392, alla cui stregua le somme eventualmente versate dall’INAIL a titolo di indennizzo ex art. 13, d.lgs. n. 38 del 2000, non possono sempre considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato onde, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all’espletamento dell’attività lavorativa, il giudice, accertato l’inadempimento datoriale, dovrà verificare se, in relazione all’evento lesivo concreto, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R .n.1124 del 1965,ed in tal caso può poi procedere, anche d’ufficio, alla verifica dell’applicabilità dell’art. 10, d.P.R. n. 1124, ossia alla individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa, da risarcire da parte del datore secondo le comuni regole della responsabilità civile.
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Il 20 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.20786 alla cui stregua, in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, la garanzia assicurativa copre anche il danno dolosamente provocato dal conducente nei confronti del terzo danneggiato, che pertanto ha diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno, non trovando applicazione la norma di cui all’art. 1917 c.c. – che deve assumersi non costituire il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione stradale, rinvenibile piuttosto, per la Corte, nella legislazione in tema di RCA e nelle pertinenti Direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato – rimanendo peraltro salva la facoltà della compagnia assicuratrice di rivalersi nei confronti dell’assicurato-danneggiante laddove la copertura contrattuale non operi (in relazione a fatti dolosi di quegli).
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Il 5 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 24563, che – quale primo precedente rilevante – richiama la pronuncia resa dalla Sez. 3, Sentenza n. 7245 del 29/03/2006, laddove ha sancito che in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento del contratto ex art. 1892 cod. civ., quando si verificano all’atto della conclusione del contratto, simultaneamente, 3 condizioni: 1) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; 2) che l’assicurato abbia reso la dichiarazione con dolo o colpa grave; 3) che la reticenza sia stata determinante ai fini della formazione del consenso dell’assicuratore. Inoltre, prosegue la Corte, il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa (nella specie, è stata assunta rilevante ai fini dell’annullamento del contratto di assicurazione la mancata indicazione dell’anomalia congenita rappresentata dall’aorta bicuspide accompagnata da un soffio cardiaco presente fin dall’infanzia, in nesso causale con il complesso morboso presentato dall’assicurato, condizione nota all’assicurato e la cui ignoranza da parte dell’assicuratore è stata determinante del consenso). Occorre poi rilevare – soggiunge la Corte – che nel caso concreto si versa nella situazione, non adeguatamente considerata dalla Corte di merito, in cui l’assicurato non ha risposto a uno specifico questionario che, in ipotesi, lo doveva indurre a dare risposte più circostanziate sul proprio stato di salute. Il contratto di assicurazione è annullabile per reticenza o dichiarazioni inesatte ex art. 1892 c.c. quando l’assicurato abbia con coscienza e volontà omesso di riferire all’assicuratore, nonostante gli sia stata rivolta apposita domanda, circostanze suscettibili di esercitare una effettiva influenza sul rischio assicurato, non essendo necessaria anche la consapevolezza di essere affetto dalla specifica malattia che abbia poi dato luogo al sinistro; in caso specifico la S.C. ha in proposito confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sussistere colpa grave del contraente che, al momento della stipula della polizza, pur non essendo consapevole di avere una patologia tumorale, aveva sottoscritto una dichiarazione attestante una circostanza non vera, ossia di non aver subito interventi chirurgici nei 5 anni precedenti (Sez. 3 -, Ordinanza n. 19520 del 04/08/2017). Ancora, soggiunge la Corte proseguendo il proprio excursus, in tema di annullamento del contratto di assicurazione per reticenza o dichiarazioni inesatte ex art. 1892 cod. civ., sotto il profilo dell’elemento soggettivo, al fine di integrare il dolo non è necessario che l’assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente; quanto alla colpa grave, occorre invece per la Corte che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza che presupponga la coscienza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza in uno con la consapevolezza dell’importanza dell’informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto ed alle relative condizioni (Sez. 3 -, Ordinanza n. 19520 del 04/08/2017; Sentenza n. 12086 del 10/06/2015); difatti nel contratto di assicurazione gli obblighi informativi hanno la precipua funzione di garantire un giusto equilibrio tra i rischi che ogni parte si assume in ordine all’evento futuro e incerto che costituisce l’oggetto del contratto. Per valutare la correttezza del comportamento assunto dall’assicurato in rapporto agli obblighi informativi cui era tenuto nello stipulare la polizza “vita“, il giudice deve dunque per il Collegio porre la propria attenzione sugli elementi denotanti le condizioni di salute, presenti al tempo della sottoscrizione della polizza medesima, già noti o conoscibili da parte dell’assicurato in base a un criterio di ordinaria diligenza, senza tener conto di quanto accaduto ex post se non in termini di ulteriore elemento di riscontro circa il collegamento logico-temporale con lo stato pregresso di salute. La pronuncia impugnata nel caso di specie dimostra invece, per la Corte, di non aver adeguatamente considerato i criteri dettati dalla Corte medesima per svolgere una corretta applicazione della norma, laddove essa impone un adeguato scrutinio del complessivo contegno tenuto dall’assicurato al momento della stipula del contratto di assicurazione, riportando la situazione ex ante, dacché la Corte d’appello ha in particolare trascurato la rilevanza del questionario sottoposto al paziente, le cui mancate risposte sono da valutarsi unitamente agli esiti di pregressi ricoveri, indagini e analisi mediche e alle eventuali cure intraprese, conosciuti dall’assicurato al tempo della stipula del contratto.
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Il 24 settembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.22437 che rammenta come, nel caso di specie, sono stati i primi due motivi imbastiti dal ricorrente ad indurre la Terza Sezione civile a sollecitare (giusta ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018) un nuovo intervento delle Sezioni Unite medesime, dopo quello recente di cui alla sentenza del 6 maggio 2016, n. 9140, sulle problematiche giuridiche che, nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, si agitano intorno alle c.d. “clausole claims made” (di seguito anche soltanto claims made o claims). Per la Corte giova anzitutto rammentare che dette clausole – come già evidenziato dalla citata sentenze delle ridette Sezioni Unite n. 9140 del 2016 – operano una deroga al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall’art. 1917, primo comma, c.c., poiché la copertura assicurativa viene ad operare non “in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nell’arco temporale di operatività del contratto, quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata” (modello c.d. loss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall’assicurato al proprio assicuratore. Se questo è lo schema essenziale al quale si ispira il sistema c.d. “claims made” (letteralmente: “a richiesta fatta“), esso trova poi per la Corte concretizzazione, nella prassi assicurativa, in base a più varianti, la cui riduzione alle due categorie più generali della claims “pura” (siccome imperniata sulle richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito) e della claims “impura” (o mista: poiché operante là dove tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con possibile retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente) è frutto unicamente di convenzionale semplificazione, la quale, tuttavia, non può elidere la complessità del fenomeno. Complessità che si apprezza, anzitutto, proprio a motivo di quelle varianti cui si faceva cenno, che introducono ulteriori previsioni pattizie orientate in più direzioni: per un verso, volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto (cd. sunset clause o clausola di ultrattività o di “postuma“); per altro verso, dirette a consentire all’assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all’assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria (c.d. deeming clause). Sono ben note – chiosa la Corte – le ragioni storiche che hanno dato luogo, nell’ambito del mercato assicurativo, a partire da quello anglosassone e, poi, statunitense della prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, alle clausole claims made, affermatesi – in estrema sintesi – come risposta all’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell’area dei rischi c.d. lungo-latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale (segnatamente, in ambito di responsabilità sanitaria). Di qui, per l’appunto (come ricordato dalla citata sentenza n. 9140 del 2016), l’esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l’operatività della assicurazione ai soli sinistri “reclamati” durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia “di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi“, con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo (un fatto dannoso potrebbe infatti talvolta rimanere nascosto per lunghissimo tempo, obbligando l’assicuratore ad una copertura sostanzialmente sine die). Volgendo per un momento lo sguardo a quelle aree di cultura giuridica più vicine al nostro ordinamento, non è superfluo evidenziare come l’assicurazione “on claims made basis” sia stata oggetto già da tempo, in alcuni Paesi (ad es., Francia, Spagna e Belgio), di riconoscimento a livello di diritto positivo, sebbene con modulazioni particolari e (come accenna la stessa ordinanza interlocutoria n. 1475 del 2018) quale risposta al sostanziale sfavore della giurisprudenza (seppure una tale dinamica non colga propriamente la realtà spagnola). In Francia, dapprima la legge 30 dicembre 2002-1577 (c.d. Loi About), in materia di responsabilità sanitaria, ha previsto che la relativa assicurazione possa prevedere clausole c.d. “base reclamation“, per cui l’operatività della garanzia presuppone la richiesta risarcitoria del danneggiato ed è modulata con la previsione di una retroattività illimitata ed una ultrattività (“garantie subséquente“) non inferiore a 5 anni ovvero di 10 anni per i medici liberi professionisti in caso di cessazione dell’attività o di decesso. Di poco successiva è stata, quindi, l’emanazione della legge 10 agosto 2003-706 (di “Securité Financieré“), che, novellando il Code des Assurances, ha introdotto, accanto alla assicurazione incentrata sul “fait dommageable” e per i soli rischi industriali e professionali, il meccanismo di garanzia “base reclamation“, imponendo, tuttavia, una durata quinquennale del relativo contratto. In Spagna, all’esito di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla validità o meno delle claims made, il legislatore (modificando l’art. 73 della legge 8 novembre 1995, n. 30, sull’ordinamento delle assicurazioni private) ha introdotto le claims made come clausole “limitative” dei diritti dei contraenti deboli, configurandone l’ammissibilità in base a due tipologie: 1) quella (post- copertura) che estende la garanzia ad un periodo minimo di almeno un anno rispetto alla scadenza del contratto; 2) quella che estende la copertura in modo retroattivo, ad evento dannoso verificatosi prima della conclusione del contratto, ma con richiesta di risarcimento intervenuta durante la vigenza del contratto. Il dibattito rimane aperto (non sulla validità in astratto delle clausole claims made, ma) sulla qualificazione legislativa di “clausola limitativa dei diritti degli assicurati“, là dove la giurisprudenza (Trib. S. n. 2508/2014) sembra orientata a ritenere che le claims made siano piuttosto previsioni limitative dell’oggetto del contratto. Infine, in Belgio, il meccanismo di garanzia improntato sulle clausole claims made è stato previsto dall’art. 78 della legge 25 giugno 1992 sul contratto di assicurazione terrestre, successivamente modellato (nel dicembre 1994) con una ultrattività di 36 mesi dalla scadenza della polizza (“garantie de posteritè“) ed escluso per i c.d. rischi di massa. Invero – ed è opportuno per la Corte darne conto -, anche nel nostro ordinamento l’assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dagli artt. 11 della legge 8 marzo 2017, n. 24 e 3, comma 5, lett. e), del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dall’art. 1, comma 26, della legge 4 agosto 2017, n. 124. La prima disposizione, concernente l’obbligo (previsto dall’art. 10 della medesima legge n. 24) di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari “liberi professionisti“, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 10, per i quali trova applicazione l’art. 3 innanzi citato), stabilisce, anzitutto, che la “garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei 10 anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza“. La norma prevede, poi, che, in caso di “cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa“, la garanzia debba contemplare “un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i 10 anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura“. Una tale ultrattività “è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta“. E’ evidente che il meccanismo presupposto dall’art. 11 in esame non sia quello legato al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c., non avendo altrimenti ragion d’essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura, sebbene, poi, la norma, in base alla relativa formulazione letterale, evochi, per la copertura retroattiva, lo schema della deeming clause, innanzi richiamata, facendo riferimento alla sola “denuncia” dell’evento alla compagnia di assicurazione. Il comma 5 dell’art. 3 del d.l. n. 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011), novellato nel 2017, riguarda invece l’obbligo di “stipulare idonea assicurazione” posto a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti. Ferma la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali di polizza “prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i 10 anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura“. La previsione è, poi, resa applicabile “alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione“. Nel caso dell’illustrato comma 5, sembra evidente, quindi, che il meccanismo prefigurato sia quello di una clausola claims made su cui si viene ad innestare una sunset clause. Non può non rammentarsi infine – chiosa ancora la Corte – che, sulla scia dell’originario art. 3, comma 5, del d.l. n. 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011) e del correlato art. 5 del d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, l’art. 12, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, sul nuovo ordinamento della professione forense, ha imposto agli avvocati analogo espresso obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, demandando (comma 5) al Ministro della giustizia la previsione, e l’aggiornamento, delle condizioni essenziali e dei massimali minimi di polizza. Ne è scaturito il d.m. 22 settembre 2016, il cui art. 2, rubricato “Efficacia nel tempo della copertura assicurativa“, ha stabilito, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la “assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza“, con esclusione, in capo all’assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto “a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività“. L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile, riprende allora la Corte dopo questo lungo excursus, si è interrogata sulla tenuta giuridica del sistema assicurativo “claims made“, adducendo che le censure di parte ricorrente suscitavano “problemi … ulteriori e diversi rispetto a quelli esaminati e decisi” dalla citata sentenza n. 9140 del 2016, per poi sintetizzare le “soluzioni preferibili” a detti “problemi” in due “principi“, dei quali si chiede che ne venga saggiata la correttezza. Il primo di detti “principi” è così declinato: «Nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art.. 1882 c.c., ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, comma primo, c.c.». Il “sinistro” – esordisce l’ordinanza interlocutoria – è soltanto un evento avverso, dannoso, e non voluto dall’assicurato. Ciò è confermato non soltanto da plurimi dati normativi, sia di rango primario, che secondario, e pure di matrice eurounitaria (Direttiva 2009/103/CE; Direttiva 2009/138/CE), ma anche dall’interpretazione sistematica, per cui il sinistro (o rischio in concreto/avverato) di cui all’art. 1882 c.c. è l’avveramento del rischio di cui all’art. 1895 c.c. (rischio in astratto) e il rischio assicurabile, nell’assicurazione contro i danni, è quello che ha ad oggetto un evento futuro, possibile, incerto, oggettivamente esistente e non artificialmente creato, derivante da causa non voluta pregiudizievole per l’assicurato. Dunque, se le parti hanno la facoltà di assicurare qualsiasi tipo di rischio, non hanno, invece, la facoltà di definire “sinistro” un evento che non costituisca avveramento del rischio assicurato, e sia privo dei caratteri di quello, ovvero non volizione e dannosità (altrimenti, nulla più distinguerebbe un’assicurazione da una scommessa). Un patto di tal genere sarebbe nullo se concluso da un’impresa di assicurazione, la quale ha l’obbligo di limitare la propria attività alla stipula di contratti assicurativi ex art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, salve le eccezioni previste dalla legge, tra le quali non rientra di certo la raccolta di scommesse. Analogamente, nell’assicurazione della responsabilità civile, che costituisce un sottotipo dell’assicurazione contro i danni, la definizione di cui all’art. 1917, primo comma, c.c., consente di affermare che il rischio in astratto è l’impoverimento dell’assicurato, mentre il rischio in concreto (o sinistro) è la causazione, da parte dell’assicurato, di un danno a terzi del quale debba rispondere. Le parti di un contratto di assicurazione della responsabilità civile non potrebbero quindi pattuire che il sinistro, ovvero il rischio avverato, possa consistere in un fatto diverso dalla commissione di un illecito aquiliano da parte dell’assicurato. Il rischio si avvera con il fatto illecito, perché è questo che fa sorgere l’obbligazione risarcitoria di cui si intende traslare il rischio stesso e non già la richiesta risarcitoria del danneggiato. Se ciò avvenisse e se si ritenesse valida la clausola che qualifica “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, si verificherebbero “6 conseguenze talmente paradossali, da risultare inaccettabili a qualsiasi ordinamento civile“, e precisamente: a) si farebbe dipendere l’obbligazione dell’assicuratore da un evento non dannoso, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1882 c.c.; b) si farebbe dipendere l’obbligazione dell’assicuratore “dall’avverarsi di un evento al cui avverarsi l’assicurato non ha un interesse contrario“, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1882 c.c.; c) si renderebbe impossibile l’adempimento dell’obbligo di salvataggio, di cui all’art. 1914 c.c., atteso che per adempiere tale obbligo l’assicurato dovrebbe rendersi irreperibile alle richieste del terzo, ovvero non accettare le raccomandate o le notificazioni da questo speditegli; d) l’assicurato non potrebbe mai avere nessuna copertura nell’ipotesi di assicurazione della responsabilità civile per conto altrui (art. 1891 c.c.; ad esempio quella stipulata dal datore di lavoro a beneficio dei dipendenti), perché il contraente che avanzasse una richiesta di risarcimento porrebbe in essere un atto volontario, e quindi doloso, la cui copertura è esclusa dall’art. 1900 c.c.; e) si perverrebbe all’assurdo che anche una richiesta infondata costituirebbe un “sinistro“, e farebbe scattare per l’assicuratore il diritto di recesso; f) nel caso di morte dell’assicurato, cesserebbe il rischio ex art. 1896 c.c. e si scioglierebbe il contratto, e gli eredi dell’assicurato che avesse commesso un danno sarebbero sempre e comunque privi della copertura assicurativa. Il secondo “principio” è così enunciato: «Nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito». La meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c. – argomenta il Collegio rimettente – non si esaurisce nella liceità del contratto, del relativo oggetto o della relativa causa. Essa è, piuttosto, un giudizio che investe non il contratto in sé, ma il risultato con esso perseguito, e tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, alla economia, al buon costume o all’ordine pubblico, ossia ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Il “diritto vivente” ha ravvisato l’immeritevolezza di contratti o patti con lo scopo di: a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra (Cass. n. 19559 del 2015 e Cass. n. 22950 del 2015); b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra (Cass. n. 9975 del 1995, Cass. n. 1898 del 2000, Cass. n. 12454 del 2009, Cass.n. 3080 del 2013 e Cass. n. 4222 del 2017); c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (Cass. n. 14343 del 2009). Dunque, la claims made, “nella parte in cui esclude il diritto dell’assicurato all’indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto“, è immeritevole sotto tutti e tre gli anzidetti profili, in quanto: 1) procura all’assicuratore un ingiusto vantaggio senza contropartita, poiché esclude dalla copertura i sinistri verificatisi in prossimità della scadenza della polizza e che verosimilmente verranno denunciati all’assicurato dopo la scadenza, determinando così uno iato tra il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione (e pagato il premio) e il tempo nel quale può avverarsi il rischio; 2) pone l’assicurato in una posizione di soggezione rispetto al danneggiato, che può liberamente decidere il momento in cui inoltrare all’assicurato la richiesta di risarcimento, momento che potrebbe cadere dopo la scadenza della polizza [e ciò comporterebbe 2 conseguenze paradossali: a) l’interesse dell’assicurato a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in contrasto col principio desumile dall’art. 1904 c.c.; b) l’aporia in forza della quale l’assicurato che tace e aspetta la richiesta perde la copertura, ma se si attiva e sollecita il danneggiato, viola l’obbligo di salvataggio ex art. 1915 c.c.]; 3) se l’assicurato adempisse spontaneamente all’obbligazione risarcitoria, secondo correttezza e buona fede, mancherebbe una richiesta di risarcimento fatta dal danneggiato e di conseguenza l’assicuratore potrebbe anche rifiutare l’indennizzo. Reputano tuttavia le SSUU, dopo aver riepilogato le motivazioni di cui all’ordinanza di rimessione, che agli interrogativi posti dall’ordinanza interlocutoria medesima occorra dare una risposta unitaria, che affronti e risolva direttamente la problematica di fondo che gli stessi, pur evocando aspetti apparentemente diversi, mettono al centro del discorso giuridico, ossia quella che, a partire dal profilo della meritevolezza degli interessi coinvolti, investe il piano della validità delle clausole “claims made“. Una problematica, dunque, da esaminare anzitutto in ragione dell’astratto declinarsi di un siffatto meccanismo assicurativo, sia pure tenendo conto delle variabili operative in precedenza ricordate. Il percorso decisionale non è per la Corte pregiudicato, né comunque ingessato, nella scelta, tra più opzioni possibili, della soluzione interpretativa da preferire, dalla sentenza n. 4912 del 2 marzo 2018, nel frattempo intervenuta in controversia tra le medesime parti del giudizio, sorta a seguito dello stesso fatto illecito di danno (sebbene con conseguenze dannose differenti), dovendosi escludere che, nella specie, detta pronuncia possa configurarsi come giudicato esterno che, altrimenti, avrebbe impedito il più ampio margine di esercizio dei compiti che l’art. 65 del r.d. n. 12 del 1941 assegna alla Corte. Dunque, proseguono ancora le SSUU, la vitalità dello spazio così interamente conservato alla funzione nomofilattica consente di esercitare quest’ultima in modo armonico rispetto alla relativa, specifica vocazione di costituire in precedente orientativo il principio di diritto che si andrà ad enunciare. Il delineato contesto induce il Collegio a privilegiare un’impostazione di metodo che fa muovere l’ermeneusi dall’analisi di una complessità già risolta sul piano del diritto positivo di più recente conio – seppure esso si collochi in un momento successivo ai fatti generatori della controversia in esame -, per poi trarne un risultato capace, insieme ad altri elementi convergenti, di alimentare l’argomentazione giuridica sino a condurla nel porto della regula (o delle regulae) iuris da somministrare anche nel presente caso concreto. L’intervento del legislatore nazionale innanzi illustrato, in sostanziale consonanza con la regolamentazione di settore presente in altri ordinamenti di comune cultura giuridica, illumina il “fenomeno” delle clausole claims made (complessivamente inteso, nelle varie formulazioni in cui esso si manifesta) con una luce retrospettiva, che ne consente una lettura disancorata dal mero dato diacronico costituito dal momento di emanazione delle disposizioni dettate dalla fonte formale di rango primario (art. 11 della legge n. 24 del 2017; art. 3, comma 5, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011 e novellato dall’art. 1, comma 26, della legge n. 124 del 2017) o da quella espressamente abilitata a normare (art. 2 del d.m. 22 settembre 2016), giacché il diritto legislativo (o di immediata derivazione) ha recuperato nel substrato della realtà materiale socio-economica una regolamentazione giuridica pattizia già diffusa nel settore assicurativo. La legge, dunque, nell’imporre l’adozione di “idonea” assicurazione per la responsabilità civile sanitaria e dei professionisti in genere, ha individuato, tra le coordinate di base, inderogabili in pejus, della disciplina del relativo contratto, il modello della clausola claims made, seppure con le modulazioni e le varianti di cui innanzi si è detto. Nel porsi, dunque, sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale di ciò che, espressamente, è qualificata come assicurazione della responsabilità civile e, quindi, riannodandosi alla fattispecie di cui all’art. 1917 c.c., che, a sua volta, è modello innestato nel corpo del tipo dell’assicurazione contro i danni (artt. 1882 e 1904- 1918 c.c.), il legislatore ha in tal modo evidenziato che, nello spazio concesso dalla derogabilità (art. 1932 c.c.) del sotto-tipo delineato dal primo comma del citato art. 1917 (ossia dello schema improntato al loss occurence o all’act committed), ben si colloca, e non da ora soltanto, il modello claims made, da accettarsi, dunque, nell’area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni, rifluendo nell’alveo proprio dell’esercizio dell’attività assicurativa (secondo il combinato disposto degli artt. 2, comma 3, n. 13 e 11, comma 2, dell’art. 11 del d.lgs. n. 209 del 2005). E ciò, ovviamente, prosegue la Corte, è conclusione che si fa apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle professioni, ma in linea più generale, perché quella standardizzazione attiene anzitutto al meccanismo di base di operatività della claims made, comune, dunque, agli altri campi di elezione in cui detto modello si trova ad essere praticato, in quanto aggregati, e giustificati dalla medesima logica assicurativa, ossia quella della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza. La chiave interpretativa fornita dal diritto positivo vigente – chiosa ancora la Corte – non solo consente una lettura, di per sé, concludente del “fenomeno” in esame, ma, al tempo stesso, esalta ulteriori virtualità ermeneutiche, già sperimentabili nel contesto soltanto codicistico e in nuce presenti nella stessa sentenza n. 9140 del 2016 di queste Sezioni Unite, ma, in parte, predicate anche dall’ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018. Non si dubita, infatti, che nell’assicurazione contro i danni (art. 1882 c.c.) la garanzia riguardi il danno “prodotto da un sinistro” e che, quest’ultimo, alla stregua del linguaggio giuridico fatto proprio dal “diritto vivente” (a prescindere, quindi, dalla anfibologia del linguaggio della prassi assicurativa), è da ravvisarsi nel fatto, materiale e storico (o come, si esprime l’art. 1917 c.c. il “fatto accaduto“), idoneo a provocare il danno. Tuttavia, proprio perché il danno rappresenta l’ubi consistam dell’interesse dell’assicurato a stipulare il contratto, altrimenti nullo in assenza di esso (richiamando l’art. 1904 c.c., per l’appunto, l’interesse al “risarcimento del danno” e venendo, dunque, a configurare la c.d. “causa indennitaria” del tipo assicurativo in esame), occorre centrare l’attenzione proprio su quest’ultimo fattore, che integra il rischio assicurabile, la cui incertezza deve permanere intatta sino al momento di inizio dell’assicurazione, come incertezza – nel caso della assicurazione della responsabilità civile – sull’impoverimento del patrimonio del danneggiante-assicurato, quale conseguenza del relativo fatto generatore (ossia il sinistro). Ciò che, del resto, segna anche la diversa portata che il binomio sinistro/danno assume nell’assicurazione contro i danni per la perdita o il danneggiamento di cose rispetto a quella che garantisce il patrimonio dalla responsabilità civile, là dove solo nel primo caso detto binomio palesa una inscindibilità, intrinseca, tra i due termini, essendo proprio e soltanto l’evento a determinare il danno da cui scatta l’obbligo di indennizzo. In questa prospettiva è da assumersi l’approdo nomofilattico della citata sentenza n. 9140 del 2016 sulla assicurabilità dei rischi pregressi, là dove si pone in risalto, segnatamente, che “il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento“. Sicché, la liceità della claims made con “garanzia pregressa” si apprezza “perché afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante- assicurato“. Ove, poi, si riconduca ancora nell’area del concetto di rischio assicurabile l’argomentazione giuridica, le conclusioni anzidette trovano ulteriore conforto in quel successivo passaggio della sentenza in cui la clausola claíms made (seppure con uno sguardo incentrato su quella “impura“, ma in base ad assunti già spesi in linea più generale) è vista in termini di delimitazione dell’oggetto del contratto (con conseguente esclusione, quindi, della natura vessatoria della clausola ai sensi dell’art. 1341 c.c., in quanto non limitativa della responsabilità: approdo, questo, di un’interpretazione nomofilattica che va anche qui per la Corte ribadito), correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle “conseguenze patrimoniali” di cui “l’assicurato intende traslare il rischio“: cioè, del “danno“) e della richiesta del danneggiato. Se così è, prosegue ancora la Corte, l’ambito delineato risulta allora consentaneo ad una deroga convenzionale, abilitata dall’art. 1932 c.c., alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile (o sotto-tipo) di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c., senza che ciò comporti una deviazione strutturale della fattispecie negoziale tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe. La già ricordata scelta legislativa di questi ultimi tempi lo conferma, avendo portato ad emersione quella circolarità tra impianto codicistico e micro-sistema speciale che, nella evidenziata saldatura tra i due ambiti, esprime una forza ordinante particolarmente efficace, consentendo anche una simbiosi di categorie e rimedi. La prima conseguenza di un tale esito ermeneutico è quella del superamento di un giudizio improntato alla logica propria della “meritevolezza“, siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322, secondo comma, c.c.) e, quindi, frutto di una autonomia privata che, in quel determinato e peculiare esercizio, sebbene abbia già trovato riconoscimento nella realtà socio-economica, non ancora rinviene il proprio referente nel “tipo” prefigurato dalla legge. Là dove, poi, quest’ultima, la legge, non può evidentemente soggiacere, in quanto tale, al test anzidetto, bensì solo ad una verifica (ove ritenuta rilevante e con un fumus di consistenza) di rispondenza ai parametri recati dalla relativa fonte di validazione, ossia quelli costituzionali. Rimane però, chiosa ancora la Corte, vivo e vitale il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i “limiti imposti dalla legge“, che il primo comma dell’art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del relativo farsi concreto regolamento dell’assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi “causa in concreto” del negozio. Ed è un test che non prescinde, però, dalla stessa tensione ispiratrice dello scrutinio di meritevolezza di cui al capoverso del citato art. 1322 c.c. e che guarda – come la Corte ha in più di un’occasione evidenziato (tra le altre, Cass., 1° aprile 2011, n. 7557; Cass., 10 novembre 2015, n. 22950; Cass., S.U., 17 febbraio 2017, n. 4224) – alla complessità dell’ordinamento giuridico, da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali (nel loro porsi come vincolo cogente: art. 117, primo comma, Cost.) e segnatamente delle Carte dei diritti, le quali norme non imprimono all’autonomia privata una specifica ed estraniante funzionalizzazione, bensì ne favoriscono l’esercizio, ma non già in conflitto con la dignità della persona e l’utilità sociale (art. 2 e 41 Cost.), operando, dunque, in una prospettiva promozionale e di tutela. In tale contesto, quindi, si rende opportuna un’indagine a più ampio spettro, che non si arresti alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma ne investa anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all’attuazione del rapporto. Si tratta, del resto, di un territorio esplorato anche dalla menzionata sentenza n. 9140 del 2016 delle SSUU, che, sebbene proprio nell’ottica del giudizio di meritevolezza dell’esercizio dell’autonomia privata, ha, comunque, messo in risalto varie criticità – come l’asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l’operatività di un meccanismo penalizzante all’esordio e allo scadere della garanzia contrattuale, tale da determinare “buchi di copertura” assicurativa -, le quali non evaporano per il solo fatto che quel giudizio più non si imponga come tale. Sul piano della fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, gli obblighi informativi sul relativo contenuto devono essere assolti dall’impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell’altro contraente, nell’ottica di far conseguire all’assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle relative esigenze. E tanto si imponeva (Cass., 24 aprile 2015, n. 8412) ben prima della posizione delle regole specificamente dettate dalle disposizioni del codice delle assicurazioni private di cui al d.lgs. n. 209 del 2005 (tra le altre, artt. 120, 166, 183-187), essendo già scolpita nel sistema più generale la necessità che, nella fase precontrattuale, il contatto tra le parti, in quanto qualificato dall’affidamento reciproco e dallo scopo perseguito, sia improntato, alla stregua del formante normativo di cui agli artt. 1175, 1375 c.c. e 2 Cost., al rispetto degli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (Cass., 12 luglio 2016, n. 14188), che, nella specie (e, segnatamente, quelli informativi), devono tendere alla trasparenza ottimale dei contenuti negoziali predisposti, così da consentire alla controparte di rappresentarsi al meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali. La violazione di tali obblighi nella fase precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) potrà assumere rilievo anche in ipotesi di contratto validamente concluso, allorquando si accerti che la parte onerata abbia omesso, nella fase delle trattative, informazioni rilevanti che avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso (Cass., 23 marzo 2016, n. 5762). Tanto a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 c.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell’ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.). Sicché, il rimedio risarcitorio al quale potrà aspirare il contraente pregiudicato (nell’ottica, che va ribadita, della separazione tra regole di condotta, che attengono alla dinamica del rapporto, e regole di validità o di struttura, come delineata da Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e ripresa anche dalla citata sentenza n. 9140 del 2016) dovrà essere in grado di far conseguire ad esso un effettivo ristoro del danno patito, commisurabile all’entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso. La stipulazione del contratto di assicurazione della responsabilità civile “on claims made basis” introduce poi, prosegue la Corte, l’indagine sul contenuto negoziale. Sotto questo profilo, non può escludersi, anzitutto, che, all’esito dell’interpretazione rimessa al giudice del merito e da condursi secondo i criteri legali (tra cui quello del comportamento delle parti che precede la genesi del vincolo contrattuale: art. 1362, secondo comma, c.c.), si possa giungere a riconoscere un’implementazione del regolamento negoziale ad opera di quelle prestazioni oggetto di informativa precontrattuale, inclini a modulare un adeguato assetto degli interessi dell’operazione economica, che non abbiano poi trovato puntuale e congruente riscontro nel contratto assicurativo concluso. E l’ottica di adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti è proprio quella che costituisce il fulcro dell’indagine in esame, che veicola, per l’appunto, una verifica di idoneità del regolamento effettivamente pattuito rispetto all’anzidetto obiettivo. Verifica che transita attraverso la portata che assume la c.d. “causa concreta” del contratto, ossia quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (per tutte, Cass., 8 maggio 2006, n. 10490). E’ evidente che si tratta di una verifica condizionata dalle circostanze del caso concreto, ma essa trova per la Corte già su un piano di generica astrazione le proprie coordinate, selezionate, a loro volta, dalla diversità della tipologia dei rapporti assicurativi, rispetto ai quali la risposta in termini di tutela non potrà che essere diversificata. Con la precisazione, che sin d’ora per la Corte si rende opportuna, che – come ricordato dalla sentenza n. 9140 del 2016 – rimane soltanto residuale la possibilità di avvalersi della tutela consumeristica somministrata dall’art. 36 del d.lgs. n. 206 del 2005 (in ragione del “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” presidiato da una nullità di protezione), giacché riservata alle persone fisiche che concludono un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata (tra le molte, Cass., 23 settembre 2013, n. 21763; Cass., 12 marzo 2014, n. 5705), ossia ai settori cui, in modo quasi assorbente, il mercato assicurativo “claims made” è rivolto. Sicché, chiosa ancora la Corte, ove venga in rilievo l’assicurazione della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti, la legge (speciale) – come si è evidenziato – ne detta ora, in regime di obbligatorietà, le coordinate di base, inderogabili in pejus, individuando in esse non solo il substrato del modello negoziale “meritevole“, ma, con ciò, la stessa “idoneità” del prodotto assicurativo a salvaguardare gli interessi che entrano nel contratto, ai quali non è estraneo quello, di natura superindividuale, di una corretta allocazione dei costi sociali dell’illecito, che sarebbe frustrata ove il terzo danneggiato non potesse essere risarcito del pregiudizio patito a motivo dell’incapienza patrimoniale del danneggiante, siccome, quest’ultimo, privo di “idonea” assicurazione. In tal prospettiva, la disciplina legislativa si colloca ancora sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale che salvaguardia la garanzia minima per evitare i c.d. “buchi di copertura”, là dove, però, come del resto impone lo stesso codice delle assicurazioni – tramite l’art. 183, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, che è norma comunque ricognitiva di un obbligo già inscritto nel principio più generale della condotta improntata a buona fede e correttezza -, il prodotto assicurativo offerto deve comunque adeguarsi alle esigenze dell’assicurato. Sicché rimane intatta, per l’appunto, l’indagine sulla causa concreta del contratto, che spazia dalla verifica di sussistenza (ossia della adeguatezza rispetto agli interessi coinvolti) a quella di liceità (intesa come lesione di interessi delle parti tutelati dall’ordinamento). In quest’ottica, prosegue la Corte, l’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta un veicolo utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo (tale da superare le criticità innanzi ricordate), là dove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica. Ciò in quanto, come già affermato dalla Corte, la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell’individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l’equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni (Cass., 30 aprile 2010, n. 10596; ma, in forza di analoga prospettiva, anche Cass., S.U., 28 febbraio 2007, n. 4631). Non è, dunque, questione di garantire, e sindacare perciò, l’equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale, ma occorre indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale “on claims made basis” presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale. Del resto, una significativa chiave interpretativa in tal senso è fornita dal considerando n. 19 della direttiva 93/13/CEE, che, sebbene abbia riguardo specificamente alla tutela del consumatore, esprime, tuttavia, un principio di carattere più generale, che trae linfa proprio dall’anzidetta relazione oggettiva rischio/premio, sterilizzando la valutazione di abusività della clausola di delimitazione del rischio assicurativo e dell’impegno dell’assicuratore “qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore“. Il regolamento contrattuale dovrà, quindi, modularsi, nell’assicurazione della responsabilità professionale, anzitutto in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell’assicurazione. Ne deriva che lo iato tra il primo e la seconda [per aver la stipulazione ignorato e/o violato quanto dalla legge disposto, come esito al quale può approdarsi alla luce, soprattutto (ma non solo), dell’indagine sull’equilibrio sinallagmatico anzidetto] comporterà la nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418 c.c. A tanto il giudice potrà porre rimedio, per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (Cass., S.U., n. 9140 del 2016, citata), in forza della norma di cui al secondo comma dell’art. 1419 c.c., così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all’art. 1917, primo comma, c.c., bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l’equilibrio dell’assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa. Regolamentazione che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle “regole di struttura“, siccome orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell’assicurato, oltre che delle ricordate istanze sociali. Con la precisazione che la stessa legge di settore presenta, come si è visto, multiformi calibrature, modellando l’assicurazione “claims made” secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare. Nondimeno, l’obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo, come detto (con il richiamo alla citata Cass. n. 8412 del 2015) già presente nell’ordinamento in forza del principio di buona fede e correttezza (artt. 1375 c.c. e 2 Cost.) prima ancora che fosse esplicitato dalla legislazione speciale (il citato art. 183, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005), consente, fin dove reso possibile dall’operare coerente del meccanismo della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., l’osmosi dei rimedi innanzi illustrati anche nel contesto di rapporti assicurativi sorti prima dell’affermarsi del regime di obbligatorietà dell’assicurazione della responsabilità civile professionale. Del pari, la giuridica esigenza che il contratto assicurativo sia adeguato allo scopo pratico perseguito dai paciscenti (secondo quanto messo in risalto dalla Corte supra) sarà criterio guida nell’interpretazione della stipulazione intercorsa al fine di garantire l’assicurato dalla responsabilità civile anche in settori diversi da quello sanitario o professionale e, segnatamente, in quelli che postulano l’esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza. Quanto, infine, alla fase dinamica del rapporto assicurativo “on claims made basis“, si colloca per la Corte su un piano di assoluta criticità – come del resto fatto palese, in guisa di ricognizione della prassi esistente, dalla normativa di settore innanzi richiamata – la clausola che attribuisce all’assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati, la cui abusività si rivela tale in ragione della frustrazione dell’alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti. Di qui, il vulnus destrutturante la funzionalità del contratto, non emendabile con la liberazione dell’assicurato dal versamento della parte dei premi residui. La Corte enuncia alfine il riassuntivo principio di diritto onde il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis“, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell’art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore; ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro).
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L’11 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.25167, secondo la quale la legge n. 792 del 1984 definisce l’attività professionale del broker come concernente anche la assistenza durante l’esecuzione del pertinente contratto. Per il Collegio la Corte territoriale non affronta, nel caso di specie, la questione appunto dell’attività di esecuzione del contratto e degli adempimenti relativi all’ipotesi in cui, durante la ridetta esecuzione del contratto, si verifichino delle criticità che richiedano l’assistenza da parte di un soggetto qualificato (broker). L’interpretazione letterale data dalla Corte di appello alla convenzione non tiene conto dunque per il Collegio del ruolo professionale del broker che, erroneamente viene ricostruito solo sulla figura del mediatore, cioè di un intermediario che opera nella fase genetica del rapporto, al fine di favorire la conclusione del contratto. Al contrario l’attività di intermediazione assicurativa propria del broker consiste appunto anche nell’assistenza durante l’esecuzione e la gestione contrattuale (Cass. n. 6874/2003 e Cass. n. 8467/98). Alla luce della complessiva disciplina di cui alla legge 28 novembre 1984, n. 792 (artt. 1, 4 lett. f) e g), 5 lett. e) ed f), 8), il “broker” assicurativo, rammenta la Corte, svolge – accanto all’attività imprenditoriale di mediatore di assicurazione e riassicurazione – un’attività di collaborazione intellettuale con l’assicurando nella fase che precede la messa in contatto con l’assicuratore, durante la quale non è equidistante dalle parti, ma agisce per iniziativa dell’assicurando e come consulente dello stesso, analizzando i modelli contrattuali sul mercato, rapportandoli alle esigenze del cliente, allo scopo di riuscire a ottenere una copertura assicurativa il più possibile aderente a tali esigenze e, in generale, mirando a collocarne i rischi nella maniera e alle condizioni più convenienti per lui (Cass. Sez. 3, n. 12973 del 27/05/2010). Il Codice delle Assicurazioni Private definisce attività di intermediazione assicurativa quella che consiste nel presentare o proporre prodotti assicurativi o nel prestare assistenza e consulenza finalizzata a tale attività e, se previsto dall’incarico intermediativo, nella conclusione dei contratti ovvero nella collaborazione alla gestione o all’esecuzione, segnatamente in caso di sinistri, dei contratti stipulati. L’attività del broker si sviluppa dunque per la Corte nei tre principali momenti della fisiologia negoziale: un’attività di studio volta ad individuare la soluzione consona alle esigenze dell’assicurando, la contrattazione con la compagnia per conto del cliente al fine di pervenire alla stipula del contratto e l’assistenza all’assicurato per tutta la durata della polizza, sotto il profilo della gestione ed esecuzione del contratto.
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Il 12 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.25366 che assume errata l’affermazione secondo cui – in tema di assicurazione e di procedura di risarcimento diretto – il soggetto danneggiato (e, per esso, la ricorrente del caso di specie, in veste di cessionaria dei crediti risarcitori spettanti al primo), il quale si avvalga appunto della procedura di risarcimento diretto, non può beneficiare dell’applicazione dell’art. 1901, comma 2, cod. civ. allorché il sinistro si verifichi dopo la scadenza della polizza stipulata con il proprio assicuratore ma comunque – come nella specie – entro i 15 giorni successivi a tale evento. Per la Corte, non può negarsi che un veicolo circolante con polizza assicurativa scaduta da meno di 15 giorni sia comunque un veicolo “assicurato“, posto che la durata della copertura in tema di r.c.a. è sempre prorogata per tale arco temporale, sia nel caso di scadenza della rata di premio, ai sensi dell’art. 1901, cod. civ., sia nel caso di scadenza della polizza, ai sensi dell’art. 170-bis cod. assicurazioni. Il presupposto, dunque, per potersi avvalere della procedura di risarcimento diretto ex art. 149 cod. assicurazioni, ovvero l’esistenza di un valido contratto assicurativo, deve ritenersi, nel caso in esame, per la Corte comunque integrato. Né – chiosa ancora la Corte – a diversa conclusione potrebbe pervenirsi sulla base dell’art. 127 del medesimo cod. assicurazioni, e ciò sull’assunto che esso farebbe salva l’applicazione dell’art. 1901, comma 2, cod. civ. soltanto nei confronti dei “terzi danneggiati“, e non dello stesso assicurato, che sia, però, tale (e dunque “terzo danneggiato”). In senso contrario, infatti, deve osservarsi che – come già chiarito dalla Corte – l’azione che l’art. 149 cod. assicurazioni accorda al danneggiato, nei confronti del proprio assicuratore, non è altro che la medesima azione prevista dall’art. 144 cod. ass. per le ipotesi ordinarie (e della quale, pertanto, mutua l’intera disciplina), con l’unica particolarità che destinatario ne è l’assicuratore della vittima anziché quello del responsabile, in una sorta di accollo liberatorio “ex lege” del debito di quest’ultimo; non a caso l’art. 149, comma 4, cit. attribuisce al pagamento compiuto dall’assicuratore del danneggiato effetti liberatori anche nei confronti del responsabile del sinistro e del suo assicuratore (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 9 ottobre 2015, n. 20374). Se, dunque, l’azione che il danneggiato può esperire verso il proprio assicuratore “è la stessa” che potrebbe far valere nei confronti dell’assicuratore del responsabile del sinistro, mutuandone “l’intera disciplina“, non vi è ragione di distinguere la posizione del danneggiato – ai fini dell’operatività dell’art. 1901, comma 1, cod. civ. – a seconda che egli sia “terzo” (convenendo, pertanto, in giudizio l’altrui assicuratore) o “assicurato” (agendo, invece, verso il proprio assicuratore), bastando, in ambo i casi, che l’iniziativa si indirizzi in presenza di un valido contratto di assicurazione, ancorché “prorogato” ai sensi della norma “de qua“, specie considerando che tale circostanza – l’esistenza di un valido contratto assicurativo – è solo il presupposto di un obbligazione dell’assicuratore che nasce, in entrambe le ipotesi, dalla legge e non dal contratto. In conclusione, la Corte formula il principio di diritto onde, anche in caso di applicazione della procedura di risarcimento diretto ex art. 149 cod. assicurazioni opera il disposto dell’art. 1901, comma 2, cod. civ., sicché ove il sinistro si sia verificato posteriormente alla scadenza del termine per il pagamento di premi successivo al primo, l’assicurazione resta sospesa solo dalle ore 24 del 15°giorno dopo quello della scadenza.
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Il 15 ottobre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.25635 secondo la quale nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell’art. 1920, comma 3, c.c., un diritto proprio che trova la propria fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante e non può, quindi, essere oggetto delle sue (eventuali) disposizioni testamentarie né di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicché la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che qualora i beneficiari siano individuati, come nella specie, negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità (Cass. Sez. 2 n. 26606 del 21/12/2016 e Cass. n. 9388 del 1994; Cass. n. 6531 del 2006); nel momento in cui l’assicurato individua il beneficiario, questi acquista un diritto iure proprio (giurisprudenza costante), ma nello stesso tempo la liquidazione dell’indennizzo da parte dell’assicuratore non farà più parte del patrimonio dell’assicurato, al momento della morte di questi. Residua in capo all’assicurato un unico potere, quello previsto dall’articolo 1921 c.c. di revocare la designazione del beneficiario. Ma la designazione del beneficiario – prosegue la Corte – non si realizza attraverso la modificazione della generica categoria degli eredi legittimi, ma attraverso una specifica individuazione di un nuovo soggetto beneficiario. Quest’ultimo, infatti, acquista un diritto iure proprio del tutto autonomo rispetto alle vicende successorie. La polizza configura infatti per la Corte un contratto a favore del terzo, dal quale deriva il diritto del beneficiario al pagamento dell’indennità; la designazione può essere compiuta con il contratto o con il testamento; nella specie la designazione a favore degli eredi legittimi contenuta in contratto era una modalità per individuare i beneficiari fra i quali andava divisa l’indennità prevista nel contratto, restando esclusa l’applicabilità delle norme sulla successione ereditaria; la revoca deve avvenire nelle stesse forme della designazione; nella specie, prosegue ancora la Corte, il testamento non contiene pacificamente alcuna revoca; la questione risolutiva concerne infatti la interpretazione della clausola apposta nel contratto di assicurazione in caso di morte dell’assicurata, laddove individua i beneficiari negli eredi legittimi. Escluso dunque che l’attribuzione del diritto avvenga in applicazione e per effetto della disciplina che regola la successione ereditaria, il riferimento contenuto in tale clausola alla qualità di eredi (legittimi) integra un criterio di determinazione per relationem dei beneficiari in funzione della loro appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, non incidendo sulla fonte del diritto (che, come si è detto, è l’atto inter vivos). Peraltro, la individuazione dei soggetti designati – seppure va compiuta necessariamente al momento della morte dell’assicurato – non postula che i medesimi si identifichino con coloro che siano effettivamente chiamati all’eredità: nell’ipotesi in cui siano individuati con riferimento alla categoria degli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che in astratto, seppure con riferimento alla qualità esistente al momento della morte, siano i successibili per legge, e ciò indipendentemente dalla effettiva vocazione e anche se poi interviene una successione testamentaria; la
Corte ribadisce in proposito che, quando la designazione sia avvenuta con il contratto di assicurazione, che è stato stipulato in epoca anteriore alla redazione del testamento, la volontà negoziale va correttamente interpretata, ritenendo che i beneficiari debbano identificarsi negli eredi ab intestato, così da escludere rilevanza alla successiva istituzione testamentaria dell’attrice (odierna ricorrente), quale erede universale: infatti, per la Corte deve negarsi che, in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto, tale disposizione testamentaria possa di per se sola integrare univoca manifestazione di volontà di revoca, anche tacita, della (ovvero che sia incompatibile con la) designazione avvenuta nel contratto di assicurazione, atteso che, per quel che si è detto, il diritto azionato nel caso di specie trova fonte nel contratto di assicurazione stipulato dal(la) de cuius a favore dei terzi ivi indicati e pertanto, al momento della morte dell’assicurata, non rientra nel patrimonio ereditario. La Corte si sofferma poi sul passaggio in cui, nel contesto letterale della sentenza innanzi ad essa gravata, la Corte territoriale rileva l’articolo 1921 c.c. consentire all’assicurato di revocare la designazione del beneficiario attraverso il testamento e osserva che la redazione di un testamento successivo alla stipula del contratto di assicurazione con istituzione di un erede assumerebbe chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario, individuato negli “eredi legittimi“; anche questa seconda motivazione è per la Corte in contrasto con il citato orientamento secondo cui in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto, la disposizione testamentaria non può di per se sola integrare univoca manifestazione di volontà di revoca; è evidente – precisa la Corte – che la volontà dell’assicurato è quella di beneficiare chi le è stato vicino, ma tale parametro riguarda la volontà del testatore, più che quella del contraente, rispetto alla quale operano i principi affermati dalla giurisprudenza sopra indicata, secondo cui, una cosa è il contratto di assicurazione per la vita, altra cosa è la regola della successione legittima e testamentaria. L’articolo 1920 c.c. consente di legare i due ambiti, prevedendo che la revoca della indicazione del beneficiario possa essere fatta con successiva dichiarazione scritta, cioè negoziale, o per testamento. Nell’ipotesi in esame non vi è tuttavia per la Corte una revoca esplicita, essendo pacifico e sufficientemente allegato che il testamento non tratta dell’assicurazione sulla vita e la motivazione della Corte è esclusivamente sostanziale laddove si limita a precisare che una delle forme di revoca della designazione del beneficiario è il testamento (ma la dichiarazione di revoca va interpretata con i criteri stabiliti dall’articolo 1362 e seguenti c.c. e non con le norme in tema di successione testamentaria, con il favor testamenti). Pertanto, per il Collegio c’è un salto logico laddove la Corte afferma che la stessa redazione di un testamento successivo alla stipula del contratto di assicurazione, che contenga l’istituzione di erede, assumerebbe chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario, individuato negli “eredi legittimi“. In sostanza la Corte non interpreta il contenuto del testamento per individuare una implicita dichiarazione di revoca della designazione del beneficiario, ma erroneamente considera il fatto storico dell’esistenza in sé di un testamento – che quindi sostituisce la categoria degli eredi legittimi con quella degli eredi testamentari – quale elemento che assumerebbe chiara valenza di revoca della ridetta designazione.
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Il 14 novembre viene pubblicato il provvedimento 14 novembre 2018 dell’Istituto sulla Vigilanza delle Assicurazioni (IVASS) contenente il criterio per il calcolo dei costi e le delle franchigie ai fini della compensazione tra imprese di assicurazioni nell’ambito del risarcimento diretto.
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Il 15 novembre esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, C-648/17, alla cui stregua, in tema di danni causati da veicolo fermo e di copertura obbligatoria RCA deve assumersi rientrare nella nozione di “circolazione dei veicoli”, di cui all’ art. 3, paragrafo 1, direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972 «una situazione in cui il passeggero di un veicolo fermo in un parcheggio, nell’aprire la portiera del suddetto veicolo, ha urtato e danneggiato il veicolo parcheggiato accanto ad esso». Quello stesso giorno esce l’ordinanza della sezione Lavoro della Cassazione n. 29422, alla cui stregua deve assumersi esclusa la responsabilità di una società per i danni subiti da un proprio dipendente a cagione dell’intervenuta prescrizione del proprio diritto ad un indennizzo assicurativo previsto da un contratto di assicurazione a lui ignoto; per i Giudici, tale società non ha infatti alcun obbligo di comunicare la sottoscrizione di una polizza assicurativa per il caso di malattia non professionale, essendo tale polizza prevista obbligatoriamente dal contratto collettivo nazionale; deve piuttosto assumersi responsabile il lavoratore, che dovrebbe informarsi meglio al fine di esercitare tempestivamente i propri diritti.
2019
Il 18 gennaio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 1279 onde l’art. 141 cod. ass., in base al quale il terzo trasportato viene risarcito in via diretta dall’assicuratore del conducente, salva l’ipotesi del sinistro dovuto a “caso fortuito”, ha disancorato il soddisfacimento del diritto risarcitorio del terzo, comunque dovuto, dalla necessità di coinvolgere in giudizio il responsabile civile e il suo assicuratore, e così anche dagli aspetti puramente interni alla convenzione assicurativa, che riguarda l’assicurazione del trasportato o del responsabile civile, trasferendo sull’assicurazione del trasportante il rischio inerente a irregolarità o invalidità della assicurazione, entro i limiti del massimale convenuto.
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Lo stesso giorno esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 1280 che si inserisce nel solco del consolidato orientamento secondo cui, ai fini dell’operatività della garanzia per la RCA, occorre che il veicolo mantenga le caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l’uso che in concreto si faccia dell’automezzo, sempreché rientri in quello proprio rispetto alle sue caratteristiche.
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Il 30 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 2688 onde in materia di assicurazione fideiussoria non ricorre automaticamente l’impossibilità del beneficio assicurativo allorché la norma contrattuale non esplicita una espressa decadenza dal diritto del terzo beneficiario onerato di obbligo informativo nell’ipotesi in cui tale obbligo sia adempiuto col superamento del termine previsto per la comunicazione di fatto o inadempienza del contraente garantito.
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Il 14 febbraio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 4306 onde, in tema di risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, sono comunque dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore, dovendosi altrimenti ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l’art. 24 Cost., e perciò da disapplicare, ove volta ad impedire del tutto la risarcibilità del danno consistito nell’erogazione di spese legali effettivamente necessarie.
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Il 5 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 6315 onde ai fini dell’esercizio del diritto di surroga ex art. 1916 cod. civ., l’assicuratore può adempiere all’onere di provare la sua qualità di assicuratore ed il danno risarcito con la sola produzione della quietanza, se essa contiene la prova del contratto d’assicurazione e l’individuazione del danno risarcito. Tuttavia, quando l’assicuratore agisce nei confronti del terzo responsabile, questi, mentre non può far valere ragioni di annullabilità, rescissione o risoluzione del contratto, deducibili soltanto dall’altro contraente, è legittimato a contrastare, in via d’eccezione, i presupposti della surrogazione medesima e, quindi, può opporre la nullità del contratto stesso, inclusa quella per inesistenza del rischio o per carenza di interesse, oppure per l’avvenuto pagamento dell’indennizzo a persona diversa dal titolare del relativo diritto. In tal caso è necessario che l’assicuratore esibisca la polizza, ovvero provi in altra forma documentale il contenuto del contratto, non essendo sufficiente il solo richiamo al numero di polizza contenuto nella quietanza rilasciata dal terzo danneggiato.
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Lo stesso giorno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 6319 secondo la quale la previsione generale contenuta nell’art. 2 D.Igs. 209/2005 in ordine alle polizze denominate “linked”, e cioè quelle nelle quali l’obbligazione principale dell’assicuratore è collegata al valore di organismi di investimento del risparmio o di fondi interni o comunque ad indici predeterminati di riferimento, non vale a far concludere apoditticamente per l’inclusione automatica di tali polizze nello schema legale (artt. 1882 – 1895 c.c.) del contratto di assicurazione, la cui causa deve essere rinvenuta nel trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore, rischio che, a pena di nullità, deve esistere alla stipula del contratto. Rientrano senz’altro nella fattispecie tipica di cui all’articolo 1882 c.c. le polizze che operano la sostituzione della prestazione fissa dell’assicuratore con una variabile, agganciata a parametri di mercato, ma che mantengono comunque il rischio demografico; in tal caso, pur attuandosi un parziale trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato in ordine al valore finale della prestazione, il contratto mantiene comunque una funzione assicurativa, individuabile quale causa concreta del contratto, secondo gli ordinari criteri ermeneutici. La Suprema Corte richiama il proprio orientamento in virtù del quale in tema di contratto di assicurazione sulla vita stipulato prima dell’entrata in vigore della legge 28 dicembre 2005, n.262 e del d.lgs. 29 dicembre 2006 n.303, nel caso in cui sia stabilito che le somme corrisposte dall’assicurato a titolo di premio vengano versate in fondi d’investimento interni o esterni all’assicuratore, rispetto alle quali, alla scadenza del contratto o al verificarsi dell’evento in esso dedotto, l’assicuratore sarà tenuto a corrispondere all’assicurato mediante una somma pari al valore delle quote del fondo mobiliare al momento stesso (polizze denominate unit linked), il giudice di merito, al fine di stabilire se l’impresa emittente, l’intermediario ed il promotore abbiano violato le regole di leale comportamento previste dalla specifica normativa e dall’art.1337 cod. civ., deve interpretare il contratto al fine di stabilire se esso, al di là del “nomen iuris” attribuitogli, sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore) oppure si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio di “performance” sia per intero addossato all’assicurato). La Suprema Corte, infine, statuisce che nelle polizze unit linked, caratterizzate dalla componente causale mista (finanziaria ed assicurativa sulla vita ), anche ove sia prevalente la causa “finanziaria”, la parte qualificata come “assicurativa” deve comunque rispondere ai principi dettati dal codice civile, dal codice delle assicurazioni e dalla normativa secondaria ad essi collegata con particolare riferimento alla ricorrenza del “rischio demografico” rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l’entità della copertura assicurativa che, avuto riguardo alla natura mista della causa contrattuale, dovrà essere vagliata con specifico riferimento all’ammontare del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale ed alla tipologia dell’investimento. Il giudice di merito dovrà valutare, con adeguata e logica motivazione se, in relazione a tali indici, la misura prevista sia in grado di integrare concretamente il “rischio demografico”.
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L’8 marzo esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 6725 onde la richiesta – che può essere rivolta dai contraenti e dai danneggiati alle imprese di assicurazione esercenti l’assicurazione obbligatoria “r.c.a.” – di accesso agli atti, a conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni che li riguardano, non è riconducibile (come assume, invece, l’odierno ricorrente) alla disciplina in tema di accesso ai dati personali recata dal cd. “codice della privacy”.
Questa conclusione, per vero, è suggerita già dallo stesso “incipit” dell’art. 146 cod. assicurazioni (che tale richiesta prevede e regolamenta), laddove – nel “tenere fermo” (“fermo restando”, è l’espressione esattamente adoperata) quanto previsto per l’accesso ai singoli dati personali dal codice in materia di protezione dei dati personali – intende, con tutta evidenza, precisare che le due normative operano su piani diversi, seppur in rapporto di complementarietà.
La riconducibilità, invece, della disciplina recata da tale norma a quella in tema di protezione dei dati personali, alla stregua di una relazione che individua nella prima una “species” del più ampio “genus” costituito dalla seconda (come, in sostanza, pretende di sostenere il ricorrente) avrebbe, infatti, richiesto l’uso di altra locuzione, del tipo “in base a quanto previsto da” oppure “in applicazione di quanto previsto da”, o altre consimili.
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Il 3 maggio esce la sentenza delle SU della Cassazione n. 11748 secondo cui l’obbligazione menzionata nell’articolo 1476, n. 3) c.c. risulta normativamente descritta come l’obbligazione di «garantire il compratore … dai vizi della cosa»: questa formulazione ha indotto parte della dottrina ad attribuire alla nozione di garanzia richiamata dalla disposizione, mediante l’uso della parola “garantire”, un significato genericamente assicurativo, di accollo di un rischio in ordine al verificarsi di eventi che non si è obbligati ad evitare.
La garanzia per vizi, secondo tale prospettiva, andrebbe inquadrata come prestazione contrattuale indennitaria di tipo restitutorio, finalizzata – secondo uno schema di tipo, appunto, assicurativo – a realizzare in forma sostitutiva l’interesse deluso del compratore ad una res immune da vizi; la consegna di una cosa viziata, in definitiva, non darebbe luogo ad alcun inadempimento, ma determinerebbe l’operare della garanzia, con la correlativa pretesa indennitaria di tipo restitutorio a tutela dell’interesse deluso dell’acquirente.
L’ inquadramento della garanzia di cui all’articolo 1476 n. 3 in uno schema di tipo assicurativo, cui sopra si è fatto cenno, non è condiviso dal Collegio, perché, per un verso, non appare sormontabile la difficoltà di ricondurre ad uno schema di tipo indennitario i rimedi (che pure prescindono dalla colpa del venditore) della risoluzione del contratto e della riduzione del prezzo previsti dall’articolo 1492 c.c.; per altro verso, il risarcimento del danno di cui all’articolo 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore, mentre l’assicurazione contrattuale (l’assunzione del rischio) postula che l’evento che rende attuale l’obbligazione indennitaria esuli da qualunque giudizio di imputabilità e di illiceità.
La suddetta opinione dottrinale – che, come è noto, costituisce solo una delle molteplici teorizzazioni che si registrano sul controverso tema della natura della garanzia per i vizi della cosa venduta – è stata, tuttavia, richiamata per evidenziare quanto distante sia il meccanismo di operatività della garanzia per vizi della cosa venduta dallo schema dell’obbligo di prestazione, tipico del rapporto obbligatorio, dovendo essere infatti evidenziato che l’immunità da vizi non può assurgere a contenuto del precetto negoziale, perché l’obbligazione può avere ad oggetto una prestazione futura, ma non il modo di essere attuale della cosa dedotta in contratto; poiché la proprietà di quest’ultima si trasferisce, nella compravendita di cosa determinata, nel momento del perfezionamento dell’accordo tra i contraenti, e, nella compravendita di cose determinate solo nel genere, nel momento dell’individuazione effettuata ai termini dell’articolo 1378 c.c. (necessaria perché all’effetto obbligatorio segua quello reale del trasferimento della proprietà dal venditore al compratore), l’obbligazione di consegna di cui all’articolo 1476 n. 1 c.c. ha ad oggetto esattamente quella cosa o quelle cose – ancorché, eventualmente, viziate – che hanno formato oggetto dell’accordo traslativo o della individuazione effettuata dopo la conclusione di tale accordo, nello stato in cui esse si trovavano al momento del contratto o della loro successiva individuazione. Del resto, può aggiungersi, le obbligazioni di individuazione e di consegna restano concettualmente distinte anche quando il loro adempimento avvenga uno actu, ossia quando la individuazione sia contestuale alla consegna (al compratore o allo spedizioniere o al vettore): la vendita di cosa appartenente ad un genere, infatti, fa sorgere a carico del venditore una obbligazione duplice, ossia, in primo luogo, l’ obbligazione di individuazione della cosa la cui proprietà viene trasferita (la quale, ai sensi dell’articolo 1178 c.c., deve essere «di qualità non inferiore alla media») e, in secondo luogo, l’obbligazione di consegna della cosa (precedentemente o contestualmente) individuata (cfr. Cass, 14025/14, dove, appunto, si sottolinea che la vendita di cose determinate solo nel genere «fa sorgere a carico del venditore il duplice obbligo di individuare la res e di consegnarla nel luogo pattuito»).
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Il 21 maggio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 13600 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui in ipotesi di azione di rivalsa a norma dell’art. 18, comma secondo della legge n. 990 del 1969 (sostituito dall’art. 144, 2° comma C.D.A.), il termine di prescrizione è quello di cui al secondo comma dell’art. 2952 c.c. e decorre dal giorno in cui l’assicuratore abbia provveduto al pagamento dell’indennizzo a favore del terzo danneggiato, con la precisazione che il diritto di rivalsa «decorre da quando tale diritto può essere fatto valere e perciò, nel caso di pluralità di pagamenti parziali in tempi diversi, il predetto termine inizia a decorrere dalla data di corresponsione di ciascuno di essi, e non invece dall’ultimo pagamento, pur se con questo si realizza il globale depauperamento dell’assicuratore» (Cass. n. 4363/1997; conforme Cass. n. 6769/2001).
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Il 23 maggio esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 14107 onde, a norma dell’art. 1917, comma 3, c.c., l’assicuratore della responsabilità civile è obbligato a tenere indenne l’assicurato delle spese di difesa erogate per resistere all’azione del danneggiato (nei limiti fissati in tale disposizione e anche in caso di contraria clausola di polizza, stante l’invalidità della medesima, ai sensi dell’art 1932 c.c.). Tale obbligo opera, peraltro, pure indipendentemente dalla stipulazione di un patto di gestione della lite, giacché è fondato sulla attualità della domanda del terzo danneggiato e sul perseguimento di un risultato utile per entrambe le parti, interessate nel respingerla. L’obbligo di pagare il legale dell’assicurato indicato dall’assicuratore nel giudizio promosso dal danneggiato (indipendentemente dal rilascio della procura ad litem da parte dell’assicurato, che occorre per attribuire al difensore scelto dall’assicuratore lo ius postulandi, nonché per attuare l’eventuale diritto pattizio dell’assicuratore di gestire la causa) concreta, dunque, a norma del terzo comma dell’art. 1917 c.c., un debito proprio dell’assicuratore.
La difesa dell’assicurato – rendendosi necessaria per il solo fatto dell’instaurazione di un giudizio da parte di chi assuma di aver subito un danno – viene, invero, svolta anche nell’interesse dell’assicuratore, inteso come interesse all’obbiettivo e imparziale accertamento dell’esistenza dei presupposti del suo obbligo all’indennizzo, sicché lo stesso assicuratore non può essere esonerato dal sopportarla, sia pure nei limiti fissati dal terzo comma dell’art 1917 c.c., anche nell’ipotesi in cui rimanga accertato che nessun danno debba essere risarcito al terzo che ha promosso l’azione di risarcimento contro l’assicurato.
L’art. 1917, comma 3, c.c., si riferisce, peraltro, alle spese sostenute “per resistere”, restando pertanto fuori dall’ambito di diretta applicabilità della norma le spese che siano state sostenute non per attività di resistenza alle pretese del terzo ma per attività complementari ad essa.
Ove si sia in presenza, però, di un patto di gestione della lite accessorio al contratto di assicurazione, è l’impresa che assume, di regola, la gestione delle vertenze in sede stragiudiziale come giudiziale, e tanto in sede civile che penale, a nome dell’assicurato, designando, ove occorrano, legali e periti.
Secondo un ormai risalente precedente della Cassazione, “il patto con cui l’assicuratore assume la gestione della lite configura un negozio atipico, ma è accessorio al contratto di assicurazione e rappresenta un mezzo attraverso il quale viene data esecuzione al rapporto assicurativo (Cass. Sez. 3, 24/04/1994, n. 9744).
In particolare, il patto di gestione della lite costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell’obbligo di rimborso delle spese di resistenza posto dall’art. 1917, comma 3, c.c.
La qualificazione del patto di gestione della lite come modalità esecutiva dell’obbligo di cui all’art. 1917, comma 3, c.c., letta in combinato con gli ultimi due commi dell’art. 1914 c.c., implica per l’assicuratore, che assuma la lite, l’onere di anticipare o di concorrere direttamente alle spese di giudizio, restando l’assicurato esonerato dal dover anticipare le stesse proprio perché immediatamente corrisposte dalla compagnia al legale o al perito da essa nominati.
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Il 31 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14873 onde la norma contenuta nell’art. 22 della legge n. 990 del 1969, e quindi trasfusa nell’art. 145 del Codice delle Assicurazioni Private (Dlgs n. 209/2005) nel subordinare l’esercizio dell’azione risarcitoria diretta alla preventiva richiesta del danno all’assicuratore ed al decorso del termine di sessanta giorni dalla medesima, fissa una condizione di proponibilità dell’azione stessa, la cui ricorrenza deve essere riscontrata anche d’ufficio ed in sede di legittimità, salva la preclusione derivante dalla formazione del giudicato per la mancata impugnazione sul punto. Detta condizione di proponibilità è posta dalla legge senza distinzione tra le persone contro cui venga proposta, cumulativamente o singolarmente, per cui è improponibile anche la domanda ex art. 2054 cod. civ. promossa contro il proprietario ed il conducente del veicolo, qualora non sia stata inviata oltre il termine di sessanta giorni dalla richiesta di risarcimento all’assicuratore r.c.a..
La esigenza sottesa alla norma, chiaramente individuata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 depositata in data 1 marzo 1973 (“la disposizione dell’art. 22 [ndr della legge n. 990/1969], la quale, col subordinare la proponibilità dell’azione del danneggiato alla previa comunicazione all’istituto assicuratore, o agli istituti previsti dall’art. 20, della richiesta di risarcimento del danno e al successivo decorso di sessanta giorni, intende, come precisato nei lavori preparatori della legge, porre le imprese e gli istituti predetti in grado di istruire la pratica e raccogliere tutti gli elementi di valutazione e favorire la possibilità di liquidazione dell’indennizzo in via di composizione stragiudiziale, evitando una troppo sollecita proposizione di giudizi, le cui spese, quando non finissero col gravare, almeno in parte, sullo stesso danneggiato, nel caso di eccessività delle sue pretese risarcitorie, si risolverebbero comunque in un aggravio del costo di gestione delle imprese, con riflessi pregiudizievoli per l’intero settore del servizio assicurativo…“) ricorre in tutte le ipotesi in cui venga esercitata l’azione risarcitoria del danno, rimanendo pertanto ininfluente, sull’onere di preventiva comunicazione ex lege, la posizione processuale -di attore, convenuto, terzo chiamato- assunta dal soggetto danneggiato che intende esercitare detta azione di condanna. Con la conseguenza che, da un lato, risultano del tutto irrilevanti le vicende inerenti l’acquisto o la cessione del diritto al risarcimento del danno, essendo quindi assoggettato alla condizione di proponibilità colui che esercita l’azione risarcitoria, indipendentemente dall’essere egli il soggetto danneggiato od il soggetto subentrato nella titolarità del credito, come avviene con la surrogazione ex lege dell’assicuratore -che ha pagato l’indennizzo, ai sensi dell’art. 1916, comma 1, c.c.- nei diritti del “proprio assicurato -danneggiato” contro i terzi responsabili ed il loro assicuratore RCA; dall’altro lato, tale onere di previa comunicazione si impone anche al convenuto che rivolga contro l’attore la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno da lui subito nel medesimo sinistro, non contrastando tale condizione di proponibilità con il diritto di difesa ex art. 24 Cost. atteso che “il legislatore non impone al convenuto, il quale intenda far valere delle pretese contro l’attore in dipendenza dal titolo già dedotto in giudizio, di proporle in via riconvenzionale, ma lo lascia libero di agire in separato giudizio, salva l’applicazione – ove si renda possibile il simultaneus processus – della disciplina della connessione, dettata per criteri relativi di economia processuale.” (cfr. Corte cost. sentenza n. 24/1973 cit.).
Pertanto, è stato già precisato in numerosi precedenti della Cassazione che l’onere è imposto in via generale al “danneggiato” che voglia esperire azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti e non esclusivamente al soggetto che, instaurando il processo, riveste la posizione processuale di attore. Ed azione per il risarcimento è anche quella avanzata in via riconvenzionale dal convenuto che, a sua volta danneggiato, mira ad ottenere un provvedimento positivo a suo favore, il ristoro cioè di un danno diverso da quello già richiesto da controparte.
Ed ancora è stato chiarito che la mera circostanza della “pendenza del giudizio” non assolve i soggetti già parti in causa dall’osservanza della previa comunicazione, qualora alcuna di esse intenda proporre od estendere la domanda di risarcitoria nei confronti di eventuali terzi chiamati, ricorrendo anche in tali casi la medesima esigenza cui è preordinata la norma di legge (cfr. Corte cost., ordinanza n. 251 del 15 luglio 2003 che ha ravvisato la necessità della previa comunicazione all’assicuratore, anche nel caso in cui la necessità della chiamata in causa del terzo autore o coautore dell’illecito sia insorta, nel processo pendente, in conseguenza delle difese svolte dall’originario convenuto: in tal caso l’attore che intenda chiamare in causa il terzo è onerato della previa comunicazione all’assicuratore di quello. Più oltre si è spinta Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9700 del 21/05/2004 laddove ha ritenuto che, nel caso di chiamata in causa del terzo, effettuata dal convenuto che 14 ha indicato quale esclusivo responsabile, l’attore -ove intenda estendere la domanda risarcitoria al terzo chiamato- è tenuto ad osservare la condizione di proponibilità dell’azione; conf. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8074 del 31/03/2007. Tali arresti vengono quindi a subordinare, nelle controversie in materia di RCA, alla condizione di proponibilità la applicazione del principio di “automatica” estensione della domanda risarcitoria attorea nei confronti del terzo chiamato in causa quale esclusivo autore dell’illecito dall’originario convenuto. Nella stessa linea argomentativa si pongono Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3449 del 06/03/2012 ed id. Sez. 3 – , Ordinanza n. 29034 del 13/11/2018 con riguardo alla ipotesi in cui il convenuto chiami in causa, con azione contrattuale, il proprio assicuratore RCA per essere garantito in caso di soccombenza: in tal caso l’attore che intenda estendere – esperendo l’azione diretta- la domanda risarcitoria nei confronti dell’assicuratore del convenuto, è tenuto ad assolvere all’onere della condizione di proponibilità).
Tutti i precedenti giurisprudenziali passati in rassegna, sulla base della inequivoca espressione letterale della norma di legge “il danneggiato abbia chiesto alla impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento… “, correlano in via esclusiva la condizione di proponibilità dell’azione alla domanda proposta dal soggetto danneggiato dal sinistro, in quanto diretta ad ottenere la condanna dei soggetti civilmente responsabili (conducente, proprietario) o tenuti ex lege (assicuratore RCA) all’adempimento della obbligazione di risarcimento del danno, dato che solo in relazione a tale domanda vengono in rilievo le esigenze di natura sociale volte ad evitare la introduzione e moltiplicazione di gravose iniziative giudiziarie.
Consegue che, al di fuori dell’azione risarcitoria, la condizione di proponibilità non opera per tutte quelle domande, eventualmente connesse per il titolo o per l’oggetto ovvero collegate da nessi di dipendenza alla domanda principale di condanna al risarcimento del danno, in relazione alle quali le esigenze predette non si pongono essendo stata già esercitata dal danneggiato l’azione risarcitoria in giudizio.
Pertanto non debbono ritenersi assoggettate al previo adempimento della comunicazione all’assicuratore della RCA, le azioni svolte dalle parti in causa con le quali non viene fatto valere un proprio diritto al risarcimento dei danni ma, che, in via esemplificativa, possono ricondursi alle ipotesi di chiamata del terzo, effettuata dal convenuto: ai fini della indicazione di esclusiva o concorrente responsabilità del terzo nella causazione del7f danno; ovvero ai soli fini dell’opponibilità del giudicato di accertamento della quota di responsabilità, secondo il grado della colpa, in funzione di successiva azione di rivalsa/regresso; od ancora ai fini della proposizione alla azione di condanna condizionata in via di regresso ex art. 2055 c.c.; o per esperire le 5.1.Ke azioni contrattuali inerenti il rapporto di garanzia impropria tra il convenuto od il terzo -assicurati- ed i propri assicuratori; ovvero ai fini alla azione rivalsa proposta dall’assicuratore nei confronti del proprio assicurato ex art. 18 legge 990/1969 e art. 144, comma 2, CAP (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 5996 del 13/10/1986, id. Sez. 3, Sentenza n. 10804 del 29/10/1998, in relazione alla domanda condizionata di regresso, tra coobbligati solidali e quindi anche tra assicuratori; Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8115 del 03/04/2013 ed id. Sez. 3, Sentenza n. 7089 del 09/04/2015 con riferimento alla domanda del coobbligato solidale di mero accertamento delle rispettive quote percentuali di responsabilità; Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9224 del 16/09/1997, in relazione all’azione di rivalsa dell’assicuratore inerente al proprio contratto assicurativo).
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Lo stesso giorno esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 14887 secondo cui in tutte le ipotesi di azione diretta disciplinate dal codice delle assicurazioni (d.lgs. n. 209/2005), compresa quella di cui all’art. 149, il proprietario del veicolo danneggiante deve essere chiamato in causa così da rendergli «opponibile l’accertamento della responsabilità in vista dell’azione di regresso dell’assicuratore».
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Il 13 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 15869 in tema di comunicabilità dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’assicurazione al danneggiante rimasto contumace.
Osserva preliminarmente il Collegio come, in relazione alla questione sollevata dal ricorrente principale, risultano essersi contrapposti due diversi orientamenti nella giurisprudenza della Cassazione.
Secondo le indicazioni offerte dal primo degli orientamenti richiamati, risalente nel tempo, l’eccezione di prescrizione opposta da alcuni dei condebitori solidali non opera automaticamente a favore degli altri, avendo costoro, al fine di potersene giovare, l’onere di farla esplicitamente propria e, quindi, di sollevarla tempestivamente.
Viceversa, secondo l’alternativa prospettazione ricordata, all’esplicito scopo di ‘rimeditare’ e ‘rimodellare’ il contrario principio di diritto andatosi consolidando, si è affermato che l’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale ha effetto anche a favore dell’altro (o degli altri) coobbligati, tutte la volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti degli altri possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente, come nel caso dell’assicuratore per la r.c.a., coobbligato solidale con il responsabile del sinistro, nell’ipotesi in cui quest’ultimo non si sia costituito in giudizio. Di converso, nell’ipotesi in cui, costituiti in giudizio entrambi, assicuratore e danneggiante, quest’ultimo espressamente rinunci ad eccepire la prescrizione in presenza di una contestuale eccezione sollevata dall’assicuratore, ovvero nulla eccepisca in corso di procedimento, tale comportamento avrà, in entrambi i casi, univoca significazione di manifestazione tacita di volontà di rinunciare altresì all’azione contrattuale nei confronti dell’assicuratore medesimo, e di altrettanto tacita volontà di proseguire personalmente il giudizio (onde sentir in ipotesi accertare la propria non colpevolezza in ordine all’illecito così come rappresentato e contestato dall’attore).
Ritiene il Collegio di aderire al secondo orientamento atteso che le decisioni (adesive al ‘primo’ orientamento) rese successivamente a Sez. 3, Sentenza n. 6934 del 22/03/2007, Rv. 596752 – 01, non risultano aver in alcun modo affrontato funditus le questioni da quella esaminate, né essersi affatto confrontate con le relative argomentazioni, essendosi viceversa limitate all’acritico richiamo di un consolidato e tralatizio orientamento, senza farsi carico di confutare le persuasive e articolate argomentazioni illustrate nella motivazione della ricordata sentenza n. 6934 del 2007, che, viceversa, il Collegio condivide integralmente e fa proprie, al fine di assicurarne continuità.
Ciò posto, viene ribadito come la norma di cui all’art. 2939 c.c. (secondo cui “la prescrizione può essere opposta dai creditori e da chiunque vi ha interesse, qualora la parte non la faccia valere. Può essere opposta anche se la parte vi ha rinunziato”) non possa essere intesa in modo appagante là dove interpretata nel senso che essa segni un’invalicabile linea di confine, da un lato, tra il creditore del soggetto avente diritto all’eccezione e, dall’altro, tutti gli “altri soggetti interessati”, onde inferirne la conseguenza per la quale soltanto nel primo caso l’obbligazione è destinata tout court all’estinzione, mentre in tutte le altre ipotesi contemplate dall’art. 2939 c.c. l’effetto estintivo dell’obbligo andrebbe rigorosamente circoscritto alla sola sfera giuridica del terzo eccipiente, così creandosi una sorta di causa di inesigibilità soggettiva nei suoi confronti, ma senza che il rapporto obbligatorio possa dirsi legittimamente estinto, e senza che il soggetto passivo del rapporto stesso (id est il “primo titolare” dell’eccezione, ovvero qualsiasi altro coobbligato diverso dal terzo eccipiente) possa ritenersi a sua volta liberato.
In linea preliminare, andrà osservato come legittimata a far valere la prescrizione sia, in primo luogo, proprio la “parte interessata”, intendendosi come tale il soggetto passivo del rapporto del quale si invochi l’estinzione per decorso del tempo (nei diritti di credito, il debitore; nei diritti reali in re aliena, il proprietario del fondo gravato dai medesimi).
La norma in parola, peraltro, equiparando ad ogni effetto l’ipotesi in cui il “prescrivente” (con tale termine volendo intendersi il titolare del diritto a sollevare l’eccezione di prescrizione), chiamato in giudizio, rimanga inerte, omettendo di eccepire la prescrizione, con quella in cui, invece, abbia addirittura rinunciato a farla valere, offre un efficace strumento di tutela al terzo interessato al rapporto su cui incide con effetto estintivo la prescrizione, riconoscendogli una speciale legittimazione a farla valere.
Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: “L’eccezione di prescrizione sollevata da un co-obbligato solidale ha effetto estintivo anche nei confronti dell’altro (o degli altri) co-obbligati tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti degli altri possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente, come nel caso dell’assicuratore, co-obbligato solidale con il responsabile del sinistro, nell’ipotesi in cui quest’ultimo non si sia costituito in giudizio.
Di converso, nell’ipotesi in cui, costituiti in giudizio entrambi, assicuratore e danneggiante, quest’ultimo espressamente rinunci ad eccepire la prescrizione in presenza di una contestuale eccezione sollevata dall’assicuratore, ovvero nulla eccepisca in corso di procedimento, tale comportamento avrà, in entrambi i casi, univoca significazione di manifestazione tacita di volontà di rinunciare altresì all’azione contrattuale nei confronti dell’assicuratore medesimo, e di altrettanto tacita volontà di proseguire personalmente il giudizio (onde sentir in ipotesi accertare la propria non colpevolezza in ordine all’illecito così come rappresentato e contestato dall’attore)”.
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Il 17 giugno esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 16148 che ribadisce l’orientamento secondo cui, in caso di sinistro stradale, Il diritto del danneggiato al risarcimento del danno nasce limitato, per volontà di legge, con la conseguenza che il relativo limite massimale, entro cui è tenuta la compagnia di assicurazione, valendo a delimitare normativamente il suddetto diritto, è rilevabile anche d’ufficio dal giudice e «deve essere riferito alla tabella vigente al momento in cui il danno si è verificato».
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Il 20 giugno esce la sentenza della Corte di Giustizia UE nella causa C-100/18 che, conferma l’orientamento della Cassazione sulla nozione di “circolazione stradale” di un veicolo e, conseguentemente, sull’operatività della relativa copertura assicurativa.
Secondo la Corte, l’art. 3, comma 1, Direttiva 2009/103/CE, concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità, deve essere interpretato nel senso che rientra nella nozione di «circolazione dei veicoli», contemplata da tale disposizione, una situazione, come quella in discussione nel procedimento principale, nella quale un veicolo parcheggiato in un garage privato di un immobile, utilizzato in conformità della sua funzione di mezzo di trasporto, abbia preso fuoco, provocando un incendio avente origine nel circuito elettrico del veicolo stesso, e abbia causato dei danni a tale immobile, malgrado il fatto che detto veicolo non fosse stato spostato da più di 24 ore prima del verificarsi dell’incendio.
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Il 3 luglio esce la sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Lombardia n. 171 in tema di responsabilità contabile legata alla responsabilità medica e contemporanea operatività di polizze assicurative.
Anche prima della novella della legge Gelli in materia di malpractice medica, le scelte transattive, giudiziali o stragiudiziali, al pari delle condanne in sede civile della P.A., non avevano (e non hanno) un effetto vincolante assoluto sul giudizio di rivalsa per danno indiretto innanzi alla Corte dei conti in quanto la doverosa rivalutazione interna da parte del giudice contabile, espressiva del suo irrinunciabile libero convincimento, interviene sempre e soprattutto qualora l’esborso risarcitorio da parte dell’Azienda sanitaria sia avvenuto non già in sede giudiziale civile, ma in sede transattiva, le cui motivazioni, soprattutto se gestite da Compagnie assicurative, sono spesso molto pragmatiche e meno ancorate (rispetto ad una sentenza civile) a ragionamenti tecnico-giuridici in punto di reale ed esatta imputazione al medico di una colpevolezza (grave) tutta da dimostrare in sede giuscontabile.
La previsione di franchigie (c.d. aggregate) è una prassi abituale nell’ambito delle polizze di responsabilità civile medica poiché, consentendo all’assicuratore ed all’Azienda assicurata di giungere a un accordo economico che comporta costi più contenuti e di mantenere in equilibrio tecnico il rischio, permette da un lato di responsabilizzare l’assicurato, rendendolo partecipe, sebbene in quota minoritaria, delle conseguenze economiche derivanti da una propria condotta illecita e, dall’altro, solleva l’assicuratore dalla cura di alcuni sinistri, ovvero i sinistri inferiori alla soglia di franchigia.
A fronte del risarcimento danni civili da parte di una Azienda sanitaria per errori medici (malpractice), la rivalsa in sede contabile opera solo se la polizza assicurativa aziendale non operi a seguito della non erosione della franchigia gravante sulla p.a. al momento del pagamento del sinistro dall’azienda, che quindi non potrà ottenere refusione da parte dell’assicuratore. Tale meccanismo si connota per profili di aleatorietà in capo al medico, evocabile dalla Corte dei conti a seconda della avvenuta erosione o meno del massimale al momento del pagamento aziendale: ne consegue l’esercitabilità di un notevole potere riduttivo dell’addebito sia per la complessità dell’attività medica, sia per tale peculiare funzionamento del prodotto assicurativo.
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Il 28 agosto esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 21758 secondo la quale le clausole di un contratto di assicurazione contro il furto, che subordinano la garanzia assicurativa all’adozione di speciali dispositivi di sicurezza o all’osservanza di oneri diversi, non hanno carattere vessatorio, in quanto non realizzano una limitazione della responsabilità dell’assicuratore, ma definiscono il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa, specificando il rischio garantito. Ne consegue che, non trattandosi di clausole limitative della responsabilità, non è necessaria la loro specifica approvazione preventiva per iscritto ex art. 1341 c.c..
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Lo stesso giorno esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 21764 secondo la quale, nel caso in cui la somma del risarcimento del danno venga rideterminata nel giudizio di seconde cure in diminuzione rispetto a quella inizialmente calcolata, il danneggiato dovrà restituire le somme eccedenti percepite a titolo di anticipo.
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Il 10 settembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 22543 secondo la quale, nelle ipotesi di rinnovo tardivo del contratto assicurativo, ai fini di ottenere il risarcimento dei danni derivanti da sinistro stradale, è necessario ricorrere all’azione nei confronti del Fondo garanzia delle vittime della strada, prevista proprio per i casi di mancata copertura assicurativa del veicolo.
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Il 12 settembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 22736 secondo cui, nell’ipotesi ove sussista un rapporto qualificato, come quello contraddistinto dal contratto di assicurazione, la costituzione in giudizio della compagnia, vincolata alla prestazione della garanzia oggetto del contratto, è consentita e deve essere qualificata, a prescindere dalla vocatio in ius, come in un intervento adesivo che le assegna una posizione procedurale, che il giudice è obbligato a valutare, con tutte le potenziali ricadute rispetto alle pretese vantate dall’attore, compresa quella sulle spese di lite
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Il 17 settembre esce la sentenza del Giudice di pace di Firenze, n. 2624 secondo la quale nella procedura di risarcimento diretto, se manca la prova dell’invio per conoscenza della richiesta stragiudiziale di risarcimento danni anche all’assicuratore del responsabile civile, la domanda deve essere dichiarata improponibile.
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Il 20 settembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. lav., n. 23517 secondo la quale, nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il tasso specifico aziendale deve essere calcolato includendo le malattie professionali o gli infortuni purché tali eventi siano ricompresi nell’ambito di tutela stabilito dal d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124. In materia di tutela assicurativa delle malattie professionali, la tabellazione rappresenta l’approdo e la cristallizzazione di giudizi scientifici specifici sull’esistenza del nesso di causalità. La tabella è prevista dalla legge, viene redatta ed aggiornata in base alla legge, proprio allo scopo di agevolare il lavoratore esposto a determinati rischi nella dimostrazione del nesso di causalità sul terreno assicurativo INAIL. Quando, pertanto, la malattia è inclusa nella tabella INAIL, al lavoratore basterà provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva (anch’essa tabellata) perché il nesso eziologico tra i due termini sia presunto per legge (sempre che la malattia si sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella).
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Il 30 settembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III. n. 24210 secondo la quale,in tema di assicurazione contro i danni, laddove l’assicurato non osservi l’obbligo di dare avviso del sinistro secondo le modalità ed i tempi previsti dall’art. 1913 c.c. ed eventualmente dalla polizza, la garanzia assicurativa non viene meno di per sé occorrendo a tal fine accertare se tale inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all’indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto e provato dall’assicuratore, ai sensi dell’art. 1915 comma 2 c.c. L’onere di provare la natura, dolosa o colposa dell’inadempimento spetta all’assicuratore; nel caso previsto dall’art. 1915 comma 1 c.c. dovrà provare il fine fraudolento dell’assicurato; in quello regolato dall’art. 1915 comma 2 dovrà invece dimostrare che l’assicurato volontariamente non ha adempiuto all’obbligo di dare l’avviso, nonché la misura del pregiudizio sofferto.
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Il 1 ottobre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 24509 secondo la quale la surrogazione dell’assicuratore sociale, in tutte le sue forme (art. 1916 c.c.; art. 10 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124, ecc.) è una successione a titolo particolare del solvens nel diritto di credito vantato dall’accipiens nei confronti d’un terzo. Tale surrogazione si realizza ipso facto al momento del pagamento effettuato dal surrogante nelle mani del creditore originario (il danneggiato), a prescindere da qualsiasi manifestazione di volontà del danneggiato o dell’assicuratore.
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Il 7 ottobre esce la sentenza della Corte dei Conti, sez. giur. Reg. Lombardia, n. 245 secondo la quale nel processo contabile per responsabilità amministrativa è inammissibile la chiamata in giudizio della Compagnia assicuratrice del convenuto, in quanto non è parte del relativo giudizio.
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L’8 ottobre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III. n. 25033 secondo la quale, in tema di risarcimento del danno subito dal terzo trasportato, il presupposto per l’operatività dell’art. 141 c.a.p. consiste in un sinistro, anche in assenza di collisione, che coinvolga più (e, quindi, almeno due) veicoli.
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Il 14 ottobre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 25785 secondo la quale la clausola di rivalsa in caso di guida in stato di ebbrezza, inserita in un contratto assicurativo, integra una mera clausola delimitativa della copertura assicurativa, che precisa l’oggetto del contratto assicurativo, ma che non esclude la responsabilità dell’assicuratore, dovendosi quindi escludere il relativo carattere vessatorio o abusivo.
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Il 15 ottobre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 25922 secondo la quale, ai fini di ottenere l’effetto favorevole di risarcimento dei danni in forma diretta dalla propria compagnia assicuratrice, è imposto il rispetto di determinate formalità anche con riguardo al contenuto delle informazioni da rendere ad essa, che non può risultare lacunoso o incompleto.
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Il 17 ottobre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 26300 secondo la quale, in tema di risarcimento del danno del terzo trasportato derivante da sinistro stradale, laddove sussiste la responsabilità dell’assicurato, sussiste anche quella dell’assicuratore ed è, pertanto, possibile che questi sia sottoposto all’esercizio del diritto di surroga. La solidarietà tra assicuratore per la r.c.a. ed assicurato, infatti, è una solidarietà c.d. sbilanciata o imperfetta, a tutela della finalità sociale che essa è chiamata ad assolvere, infatti l’assicuratore può essere chiamato a rispondere anche laddove l’assicurato non risponde.
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Il 21 ottobre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 26813 secondo la quale, in tema di assicurazione per responsabilità civile, il massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione, che può essere validamente stipulato senza la relativa pattuizione, e neppure costituisce fatto generatore del credito assicurato, configurandosi piuttosto come elemento limitativo dell’obbligo dell’assicuratore, sicché grava su quest’ultimo l’onere di provare l’esistenza e la misura del massimale, dovendosi altrimenti accogliere la domanda di garanzia proposta dall’assicurato a prescindere da qualsiasi limite di massimale.
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Il 7 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 28625 secondo la quale, ai fini della perdita dei benefici assicurativi ai sensi dell’articolo 1915 c.c.., non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all’assicuratore, essendo sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla suddetta norma e la cosciente volontà di non osservarlo. Nel caso di assicurazione dal rischio di insolvenza di crediti commerciali, non è conforme ai canoni di corretta ermeneutica contrattuale l’interpretazione della polizza che imputi i pagamenti successivi alla scadenza del periodo assicurato ai crediti più recenti, né rilevano in contrario accordi diretti tra assicurata e debitrice società di capitale, neppure ove le quote di questa fossero sottoposte a sequestro penale.
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Il 13 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 29365 secondo la quale il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ex art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale; tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.
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Il 13 novembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 29328 secondo la quale, in tema di assicurazione per i danni conseguenti alla circolazione stradale, l’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore è contenuta nei limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione e la solidarietà fra assicurato ed assicuratore ha natura atipica, atteso che il debito aquiliano del primo discende “ex delicto” ed è illimitato, mentre quello del secondo di natura indennitaria deriva “ex lege” e trova limite nella capienza del massimale. Secondo la Corte, nessuna influenza può attribuirsi, per derogare a quest’ultimo limite, al fatto che in sede penale, con sentenza passata in giudicato, l’assicuratore sia stato condannato quale responsabile civile, in solido con l’imputato assicurato, al risarcimento del danno in via generica nei confronti del danneggiato, giacché la solidarietà, disposta in via generale ed astratta dall’art. 489 cod. proc. pen. (ora abrogato e sostituito dall’art. 538 cod. proc. pen.), non preclude ed, anzi, impone, l’accertamento, nei singoli casi concreti, del titolo in forza del quale ciascuno dei coobbligati è tenuto alla prestazione e se l’unicità di quest’ultima soffre o meno limitazioni per effetto di particolari disposizioni convenzionali o legali.
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Il 21 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. lav., n. 30428 secondo la quale, in tema di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, non sussiste l’obbligo assicurativo nei confronti dei componenti di studi professionali associati, in quanto la tendenza ordinamentale espansiva di tale obbligo può operare, sul piano soggettivo, solo nel rispetto e nell’ambito delle norme vigenti, che, come per il libero professionista, in nessun luogo ne contemplano l’assoggettamento per le associazioni professionali. Per la Corte, nel caso dell’associazione di professionisti, trattandosi pur sempre di attività libero professionale resa in forma autonoma, in difetto di attività manuale o di attività intellettuale di vigilanza sul lavoro altrui resa in regime di subordinazione, non può pertanto ravvisarsi la copertura assicurativa obbligatoria gestita dall’INAIL.
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Il 21 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. 30314 che stabilisce che un contratto di assicurazione possa operare ‘in eccesso’ rispetto ad altra polizza solo se i due contratti coprono il medesimo rischio. Tale condizione non si riscontra tra la polizza personale del medico e quella che copre la responsabilità civile della struttura sanitaria presso cui questi opera. L’assicurazione “personale” della responsabilità civile del medico, infatti, copre per definizione il rischio di depauperamento del patrimonio di quest’ultimo; l’assicurazione della responsabilità civile della clinica, invece, copre il rischio di depauperamento del patrimonio della struttura sanitaria. I due contratti sono diversi, i due rischi sono diversi, i due assicurati sono diversi: e nulla rileva che tanto la responsabilità della clinica, quanto quella del medico, possano sorgere dal medesimo fatto illecito, che abbia causato in capo al terzo il medesimo danno.
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Il 22 novembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 30524 secondo la quale, in tema di contratto di assicurazione, il superamento della franchigia è un fatto costitutivo della domanda perché la circostanza attiene agli elementi che consentono alla parte assicurata di giovarsi della manleva pattuita, esclusa contrattualmente al di sotto di un certo importo. La prova di tale elemento costitutivo deve, pertanto, essere data dalla parte onerata al più tardi entro il secondo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. con facoltà della controparte di offrire prova contraria con la memoria di cui al terzo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c..
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Il 28 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 31071 secondo la quale l’assicuratore della responsabilità civile (non obbligatoria) dell’autore di un fatto illecito, quando sia chiamato in causa dall’assicurato, è legittimato a sollevare l’eccezione di prescrizione del diritto vantato dal terzo danneggiato nei confronti dell’assicurato. Tale eccezione, se fondata, ha effetto estintivo del credito vantato dal terzo nei confronti dell’assicurato, quand’anche quest’ultimo l’abbia sollevata tardivamente. L’assicuratore della responsabilità civile, secondo la Corte, subisce un effetto “riflesso e pregiudizievole” nella propria sfera giuridica per effetto della permanenza del debito dell’assicurato-danneggiante verso il terzo danneggiato, giacché il debito di questi è presupposto giuridico dell’obbligo indennitario gravante sull’assicuratore e, pertanto, rientra nella categoria dei “terzi interessati” ai quali l’art. 2939 c.c. consente di sollevare l’eccezione di prescrizione.
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Il 16 dicembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 33195 in tema di determinazione dei criteri di ripartizione del risarcimento pagato in caso di evento morte dalla compagnia assicurativa che aveva assicurato il de cuius. La Corte con l’ordinanza in parola rimette alle Sezioni Unite la questione se, in materia di assicurazione sulla vita in favore di un terzo, in presenza della diffusa formula contrattuale genericamente riferita ai “legittimi eredi”, detta espressione sia meramente descrittiva di coloro che, in astratto, rivestono la qualità di eredi legittimi o se debba intendersi, invece, che sia riferita ai soggetti effettivamente destinatari dell’eredità. La Corte rimette alle Sezioni Unite anche la questione se la designazione degli eredi in sede testamentaria possa interferire, in sede di liquidazione di indennizzo, con la individuazione astratta dei legittimi eredi e se, in tale seconda ipotesi, il beneficio indennitario debba ricalcare la misura delle quote ereditarie spettanti ex lege o se la natura di “diritto proprio” sancita dalla norma imponga una divisione dell’indennizzo complessivo fra gli aventi diritto in parti uguali.
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Il 17 dicembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 33444 secondo la quale, nel caso di sinistro causato da veicolo non identificato, l’obbligo risarcitorio nei confronti della vittima – in linea con l’art. 1, quarto comma, della direttiva CE del Consiglio del 30 dicembre 1983, n. 84/5, trasfuso nell’art. 10, comma 1, della direttiva CE del 16 settembre 2009, n. 2009/103 – sorge non soltanto nei casi in cui il responsabile si sia dato alla fuga nell’immediatezza del fatto ma anche quando la sua identificazione sia stata impossibile per circostanze obiettive da valutare caso per caso e non imputabili a negligenza della vittima. La Corte, dunque, cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello che aveva respinto la domanda risarcitoria proposta dalla vittima nei confronti della compagnia assicuratrice, designata dal FGVS, per aver omesso di provvedere all’acquisizione delle generalità del responsabile del sinistro.
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Il 18 dicembre esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 33675 che rimette alle Sezioni Unite la questione se l’art. 122 cod. ass. private debba interpretarsi, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, nel senso che la nozione di circolazione su aree equiparate alle strade di uso pubblico comprenda e sia riferita a quella su ogni spazio in cui il veicolo possa essere utilizzato in modo conforme alla sua funzione abituale. Secondo la Suprema Corte, infatti, la giurisprudenza comunitaria, in termini suscettibili di essere definiti quale “acte clair”, lega l’obbligo di assicurazione r.c.a. all’utilizzo del veicolo quale mezzo di trasporto a prescindere dal tipo accessibilità della strada su cui avvenga. Si riscontra, pertanto, la possibilità di rivisitazione ermeneutica dell’art. 122 del codice delle assicurazioni private, con disapplicazione della norma regolamentare di cui all’art. 3, comma 2, lettera a), del d.m. 1° aprile 2008 n. 86, nel senso che la nozione di circolazione stradale cui l’obbligo assicurativo e dunque l’assicurazione potrebbero intendersi riferiti, debba essere parametrata a ogni uso del veicolo conforme alla sua funzione abituale.
2020
Il 5 febbraio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 6592 secondo la quale, in caso di malattia professionale di un odontotecnico, deve essere considerato, ai fini della valutazione dell’esposizione dello stesso a sostanze nocive, anche il periodo di frequentazione della scuola per odontotecnico. L’art. 4, n. 5, d.P.R. n. 1164/1965, infatti, include tra le persone a cui si applica la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali anche gli insegnanti e alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati, che attendano ad esperienze tecnico-scientifiche o a esercitazioni pratiche o che svolgano esercitazioni di lavoro.
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Il 12 febbraio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 3367 secondo la quale le clausole del contratto di assicurazione devono essere interpretate alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 1366, 1367, 1369 e 1370 c.c. tenendo dunque conto del principio di buona fede e della necessità di fornire alla polizza un’interpretazione che non la privi di senso effettivo, in coerenza con la natura e l’oggetto del contratto.
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Il 18 febbraio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 3999 che richiama il principio secondo cui “all’assicuratore della responsabilità civile il quale pur non avendo partecipato al relativo giudizio abbia, per gli effetti di cui al comma secondo dell’art. 1917 cod. civ., pagato direttamente al danneggiato la somma che l’assicurato è stato condannato a corrispondere a titolo di risarcimento con sentenza di primo grado immediatamente esecutiva, spetta, qualora detta sentenza sia riformata in appello con il rigetto della domanda risarcitoria, l’azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ., attesa la inesistenza di una legittima “causa solvendi”, senza che importi che il pagamento sia avvenuto spontaneamente.”.
Tuttavia, il caso in esame induce la Corte a meglio precisare il principio di cui sopra in quanto vi si riscontra il differente presupposto consistente nella piena conferma della condanna risarcitoria in favore del danneggiato al quale la compagnia di assicurazione ha spontaneamente pagato la somma determinata nella sentenza di primo grado in ragione del diritto di manleva dedotto dall’assicurato, disconosciuto all’esito del giudizio di gravame: l’omessa conferma dell’operatività della polizza ed il diritto della compagnia alla ripetizione di quanto indebitamente pagato per conto ed in sostituzione dell’assicurato deve, infatti, essere coniugato – in presenza della “causa solvendi” che era stata, invece, esclusa nella diversa ipotesi sopra riportata – sia con le conseguenze restitutorie dipendenti dall’adempimento del terzo (la cui controparte è rappresentata dal debitore ) ex art. 1180 c.c, sia con l’esigenza sostanziale del più celere soddisfacimento dei diritti del danneggiato.
Ne deduce la Corte che la congiunta applicazione dei due principi consente di ritenere che l’azione di ripetizione dovesse, dunque, essere indirizzata nei confronti dell’assicurato tenuto al risarcimento del danno, in nome e per conto del quale la compagnia ha indebitamente adempiuto.
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Il 19 febbraio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 4202 secondo la quale il patto di gestione della lite non si pone in contrasto con la previsione di cui all’art. 1917, comma terzo, cod. civ. (che pone a carico dell’assicuratore le spese c.d. di resistenza in giudizio sostenute dall’assicurato), dal momento che, con esso, si realizza comunque lo scopo voluto dalla norma, che è quello di tenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza in giudizio. Tale valutazione, secondo la Corte, non può non estendersi anche alla clausola in virtù della quale, in presenza di detto patto, il diniego di rimborso da parte dell’assicuratore diviene giustificato ove l’assicurato decida di non avvalersi della difesa offerta direttamente dalla compagnia, trattandosi di ragionevole corollario di quel patto volto a tutelare il sinallagma contrattuale.
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Il 25 febbraio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 5119 che, nel respingere la pretesa di indennizzo avanzata nei confronti della compagnia di assicurazione per l’investimento subito dal Presidente della Provincia mentre faceva jogging, afferma la corretta applicazione da parte della Corte d’Appello dei principi previsti in materia di infortuni in itinere. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ritenuto che il contratto di assicurazione, che copriva gli infortuni in itinere senza tuttavia definirli, avesse rinviato alla disciplina dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (art. 2 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124, come modificato dall’art. 12 d. lgs. 38/2000); secondo tale disciplina non sussiste rischio in itinere quando il tragitto seguito dal lavoratore non sia necessitato, ma costituisca una “devidzione del tutto indipendente dal lavoro”.
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L’8 aprile esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 7749 secondo la quale nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo assicurativo è onere dell’attore provare che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi” e, cioè, nella categoria generale dei rischi oggetto di copertura assicurativa. Secondo la Corte, la circostanza che l’evento dannoso rientri tra i cosiddetti “rischi inclusi” è infatti fatto costitutivo della pretesa risarcitoria e, come tale, va provata dall’assicurato; la circostanza che l’evento verificatosi rientri fra i rischi “non compresi” costituisce, invece, un fatto impeditivo della pretesa attorea, e va provato dall’assicuratore.
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Lo stesso giorno esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 7755 che, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, statuisce come nell’ambito della procedura di risarcimento diretto di cui all’art. 149 d.lgs. n. 209/2005, promossa dal danneggiato nei confronti del proprio assicuratore, sussista litisconsorzio necessario rispetto al danneggiante responsabile. Ove, dunque, il proprietario del veicolo assicurato non sia stato citato in giudizio, il contraddittorio dev’essere integrato ex art. 102 c.p.c. e la relativa omissione, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, comporta l’annullamento della sentenza ex art. 383, co. 3, c.p.c.
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Il 13 maggio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 8894 alla cui stregua la clausola con la quale viene posta una decadenza a carico dell’assicurato non dipendente da una sua condotta (nel caso di specie l’assicurato poteva fare denuncia dell’evento nei 12 mesi dalla cessazione del contratto solo se avesse ricevuto in quei termini temporali la richiesta di risarcimento del danno) contrasta con disposizioni imperative di legge, non solo con l’articolo 1341 c.c. che vieta, se non sottoscritte, le clausole vessatorie, e che tra queste annovera espressamente quelle che impongono decadenze, ma altresì con l’articolo 2965 c.c. che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto. Ed invero, il termine apposto alla escussione dell’assicurazione, ossia al diritto di far valere la prestazione assicurativa a carico dell’assicuratore, è un termine di decadenza, che è nullo proprio perché rende eccessivamente difficile l’esercizio del diritto dell’assicurato. La difficoltà di esercitare il diritto non è da valutarsi in termini temporali, ma va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai ridotta se l’assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire. Secondo la Suprema Corte, infatti, le clausole che rendono difficile l’esercizio del diritto (art. 2965 c.c.) sono anche quelle che prescindono dalla diligenza della parte, e che fanno dipendere quell’esercizio da una condotta del terzo, autonoma e non calcolabile.
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Lo stesso giorno esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 8895 che, in materia di assicurazione della responsabilità civile, statuisce che l’onere di denuncia delle circostanze rilevanti (tra queste la malattia) sorge solo che l’assicurazione manifesti interesse a conoscere gli stati rilevanti che possano condizionare il suo impegno contrattuale, interesse che è validamente e sufficientemente manifestato attraverso un generico questionario, volto a stimolare la dichiarazione della controparte. La predisposizione di un questionario da parte dell’assicuratore, benché non abbia la funzione di “tipizzare” le possibili cause di annullamento del contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenti, evidenzia tuttavia l’intenzione dell’assicuratore di annettere particolare importanza a determinati requisiti e richiama l’attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere sui quesiti medesimi e, quindi, dev’essere valutata dal giudice in sede di indagine sul carattere determinante, per la formazione del consenso, dell’inesattezza o della reticenza, cosi che è sufficiente che l’assicuratore chieda all’assicurato di denunciare ogni possibile situazione che possa aumentare il rischio o concretizzarlo del tutto (fattispecie in cui era stata dichiarata la decadenza dalla garanzia assicurativa in quanto gli assicurati avevano taciuto, all’epoca della sottoscrizione, una circostanza determinante).
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Sempre il 13 maggio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 8896 secondo la quale le spese effettuate per resistere in giudizio sono spese che l’assicuratore si impegna (nel contratto) o comunque è tenuto nei limiti di cui all’articolo 1917 c.c. solo che il suo assicurato abbia avuto la necessità, perché evocato in giudizio, di affrontare una lite, a prescindere dalla circostanza che l’assicuratore lo abbia o meno sostenuto, ossia abbia o meno aderito alle ragioni dell’assicurato. Le spese di resistenza presuppongono che l’assicurato sia stato costretto a iniziare o a difendersi in una lite, che ha causa situazioni rientranti nella garanzia assicurativa. Secondo la Suprema Corte, non ha rilievo alcuno che la presenza in giudizio dell’assicurato non sia stata causata da una posizione difensiva dell’assicurazione, quanto piuttosto da una richiesta del danneggiato; le spese legali per affrontare il processo prescindono da questa circostanza processuale mutevole, e sono dovute oggettivamente quale rimborso per il fatto stesso di aver dovuto affrontare un processo causato dal fatto assicurato.
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Il 3 luglio esce l’ordinanza della sezione VI-3 della cassazione n. 13738 la quale, in materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, afferma che la posizione giuridica del proprietario del veicolo che si trovava a bordo del medesimo al momento del sinistro, non come conducente, bensì come passeggero, deve essere assimilata a quella di qualsiasi altro passeggero vittima dell’incidente. Al riguardo, la Suprema Corte statuisce, altresì, che il diritto dell’Unione osta alla possibilità che l’assicuratore della responsabilità civile per la guida di autoveicoli si avvalga di disposizioni legali o di clausole contrattuali allo scopo di negare a detti terzi il risarcimento del danno conseguente ad un sinistro causato dal veicolo assicurato, ivi comprese quelle che escludono la copertura assicurativa a causa dell’utilizzo o della guida del veicolo assicurato da parte di persone non autorizzate a guidano o non titolari di una patente di guida. Ai sensi della normativa europea, l’unica eccezionale ipotesi in cui all’assicuratore è consentito opporre alla vittima che viaggiava sul veicolo la clausola che escluda la copertura assicurativa a causa della guida da parte di persona non autorizzata è quella in cui venga data la prova che la vittima stessa era a conoscenza del fatto che il veicolo aveva formato oggetto di furto.
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L’8 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14255 alla cui stregua l’impresa di assicurazione che abbia risarcito, ai sensi dell’art. 141, 1° co. C.d.A., il terzo trasportato a bordo del veicolo da essa assicurato ha diritto di rivalsa nei confronti dell’impresa assicuratrice del responsabile civile, nei limiti e alle condizioni previste dall’art. 150 C.d.A. Nel caso in cui il veicolo del responsabile civile non risulti coperto da assicurazione, la rivalsa può essere esercitata nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, nei limiti previsti dall’art. 283, commi 2° e 4° C.d.A.
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Il 31 agosto esce l’ordinanza della sezione VI-3 della Cassazione n. 18097 onde la vittima di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato non ha alcun obbligo, per ottenere il risarcimento da parte dell’impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada, di presentare una denuncia od una querela contro ignoti, la cui sussistenza o meno non è che un mero indizio, visto che l’accertamento da compiere non deve concernere il profilo della diligenza della vittima nel consentire l’individuazione del responsabile, ma esclusivamente la circostanza che il sinistro sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato, sicché il giudice di merito potrà tener conto delle modalità con cui, fin dall’inizio, il sinistro è stato prospettato dalla vittima e del fatto che sia stata presentata una denuncia o una querela, ma ciò dovrà fare nell’ambito di una valutazione complessiva degli elementi raccolti e senza possibilità di stabilire alcun automatismo fra presentazione della denunzia o querela e accoglimento della pretesa, come pure fra mancata presentazione e rigetto della domanda.
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Il 3 novembre esce l’ordinanza della sezione VI-3 della Cassazione n. 24409 onde nell’assicurazione per la responsabilità civile, la costituzione e difesa dell’assicurato, giustificata dall’instaurazione del giudizio da parte di chi assume di aver subito un danno, è svolta anche nell’interesse dell’assicuratore, ritualmente chiamato in causa, in quanto finalizzata all’obbiettivo ed imparziale accertamento dell’esistenza dell’obbligo di indennizzo. Pertanto, anche nel caso in cui nessun danno venga riconosciuto al terzo che ha promosso l’azione, l’assicuratore è tenuto a sopportare le spese di lite dell’assicurato, nei limiti stabiliti dall’art. 1917, comma 3, c.c..
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Il 5 novembre esce l’ordinanza della sezione VI-3 della Cassazione n. 24633 che conferma la propria precedente giurisprudenza secondo la quale dall’ammontare del risarcimento dovuto dal responsabile del sinistro, va detratto quanto corrisposto al danneggiato allo stesso titolo da parte dell’ente gestore di assicurazione sociale, trattandosi di prestazione economica a contenuto indennitario erogata in funzione di copertura del pregiudizio occorso che soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo al quale sia addebitabile il sinistro, salvo il diritto del danneggiato di agire nei confronti del danneggiante per ottenere l’eventuale differenza tra il danno subito e quello indennizzato. Le somme che il danneggiato si sia visto liquidare dall’ente gestore di assicurazione sociale a titolo di rendita per l’invalidità civile, dunque, vanno detratte dall’ammontare dovuto, allo stesso titolo, dal responsabile civile al predetto danneggiato, giacché quest’ultimo diversamente conseguirebbe un importo maggiore di quello cui ha diritto. Le prestazioni previdenziali o indennitarie dell’assicuratore sociale assumono infatti carattere di mera anticipazione rispetto all’assolvimento dell’obbligo a carico del responsabile. Al danneggiato non è, pertanto, consentito reclamare un risarcimento superiore al danno effettivamente sofferto, bensì se del caso agire nei confronti del terzo responsabile del danno per ottenere la differenza tra il danno subito e quello indennizzato, allo stesso titolo, dall’assicuratore sociale. Il danneggiato perde quindi la legittimazione all’azione risarcitoria per la quota corrispondente all’indennizzo assicurativo riscosso o riconosciuto in suo favore, mentre conserva il diritto ad ottenere il residuo risarcimento nei confronti del responsabile, ove il danno sia solo in parte coperto dalla detta prestazione. Inoltre, secondo la Suprema Corte, l’assicuratore il quale abbia pagato l’indennità può surrogarsi nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiante ex art. 1916 c.c. (che trova applicazione anche in favore degli enti esercenti le assicurazioni sociali in caso di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali), in quanto la surrogazione comporta -per effetto del pagamento dell’indennità- una sostituzione personale ope legis di detto assicuratore all’assicurato-danneggiato nei diritti di quest’ultimo verso il terzo responsabile del danno. L’art. 142 d.lgs. n. 209 del 2005 (c.d. Codice delle assicurazioni private) stabilisce d’altro canto che, ove il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale, l’ente gestore ha diritto di ottenere direttamente dall’impresa di assicurazione il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei regolamenti che disciplinano detta assicurazione. All’esito del pagamento da parte dell’assicuratore sociale dell’indennità, il danneggiato perde la legittimazione all’azione risarcitoria per la quota corrispondente all’indennizzo riscosso e ciò impedisce il cumulo tra somme già riscosse ed il rischio di duplicazioni risarcitorie. Tutto ciò premesso, la Suprema Corte nella pronuncia in parola statuisce il principio secondo cui la surrogazione impedisce che il danneggiato possa cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo, e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito.
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Il 13 novembre esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia n. 1442 alla cui stregua sussiste in capo ad una compagnia di assicurazioni il diritto di visionare, estrarre copia e di accedere alla registrazione e/o trascrizione della richiesta telefonica di intervento pervenuta alla centrale operativa del 118, nel caso in cui l’istanza ostensiva sia finalizzata a conoscere la corretta ricostruzione di fatti relativi ad un incidente stradale, nel quale è rimasto coinvolto un assicurato della compagnia istante; in tal caso, infatti, la società accedente è titolare di un interesse diretto, concreto e attuale alla conoscenza degli atti richiesti in ostensione.
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Il 23 dicembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 29464 alla cui stregua deve ritenersi procedibile la domanda risarcitoria formulata ai sensi dell’art. 145 del Codice delle Assicurazioni, ancorchè inoltrata con strumenti diversi dalla raccomandata – tra cui il fax- qualora tale diversa modalità consenta di provare l’avvenuta ricezione da parte del destinatario, ritenendosi in tal caso possibile l’equipollenza tra diversi strumenti di comunicazione della domanda risarcitoria.
2021
Il 9 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 3011 secondo la quale, qualora la medesima polizza copra contemporaneamente sia il rischio di responsabilità civile, sia quello di tutela legale (c.d. polizza multirischio), le spese sostenute dall’assicurato per resistere alla domanda risarcitoria contro di lui proposta dal terzo danneggiato rientrano nella prima copertura e non nella seconda, fino al limite del 25% del massimale, ai sensi dell’art. 1917, comma terzo, c.c.. Ne consegue, per la Suprema Corte, che eventuali clausole limitative del rischio, contrattualmente previste per la sola assicurazione di tutela legale, sono inopponibili all’assicurato che domandi la rifusione delle spese di resistenza ai sensi dell’art. 1917 c.c.
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Il 19 febbraio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 4475 in virtù della quale la prova fornita dall’assicurazione al proprio assicurato circa l’avvenuto risarcimento del danno, al fine di tenerlo indenne dalle pretese risarcitorie di soggetti terzi, non può prevalere sul diritto alla riservatezza e alla tutela dei dati personali di quei soggetti terzi, assumendo fondamentale rilievo, al riguardo, il rispetto dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza di cui all’art. 11 d.lgs. n. 196/2003 ratione temporis applicabile (nel caso di specie la compagnia assicuratrice aveva trasmesso al proprio assicurato la copia dell’atto di liquidazione con in calce le coordinate bancarie dei soggetti terzi).
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Il 23 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 4786 secondo la quale la persona che abbia stipulato un’assicurazione contro i rischi della responsabilità civile, se convenuta in giudizio dal terzo danneggiato, ha diritto alla rifusione da parte del proprio assicuratore delle spese sostenute per contrastare la pretesa attorea; tale diritto sussiste sia nel caso in cui la domanda di garanzia venga accolta, sia nel caso in cui resti assorbita, e può essere negato solo in due ipotesi: o quando manchi o sia inefficace la copertura assicurativa (circostanza che spetta al giudice accertare, anche incidentalmente), oppure quando le spese di resistenza sostenute dall’assicurato siano state superflue, eccessive o avventate.
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Il 25 febbraio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 5259 che ribadisce il proprio orientamento secondo il quale, in tema di assicurazione della responsabilità civile, il danneggiato non può agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno (salvi i casi eccezionali previsti dalla legge), atteso che egli è estraneo al rapporto tra il danneggiante-assicurato e l’assicuratore dello stesso, né può trarre alcun utile vantaggio da una pronuncia che estenda all’assicuratore gli effetti della sentenza di accertamento della responsabilità, anche quando l’assicurato chieda all’assicuratore di pagare l’indennizzo direttamente al danneggiato, attenendo tale richiesta alla modalità di esecuzione della prestazione indennitaria. Soltanto l’assicurato è legittimato, pertanto, ad agire nei confronti dell’assicuratore, e non anche il terzo-danneggiato, nei confronti del quale l’assicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale, né a titolo di responsabilità aquiliana.
Con riferimento alla questione concernente la validità della clausola “claims made” apposta nelle polizze assicurative della responsabilità civile, nella pronuncia in parola viene richiamato il principio in precedenza espresso dalle Sezioni Unite secondo il quale nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd clausola “claims made” mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina di del D.Lgs. n. 206/2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali. Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetta al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale.
Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti – ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati. Nella sentenza in esame, inoltre, la Suprema Corte statuisce che il giudizio di “tenuta” della clausola “claims made” deve estendersi al controllo delle complessive clausole del contratto assicurativo e del risultato operativo finale che, dall’interpretazione sistematica delle stesse e dall’esecuzione in concreto attuata dai contraenti, viene ad emersione; risultato che deve essere, pertanto, valutato alla stregua del parametro fornito dalla effettiva funzionalità del modello a regolare gli interessi per la cura dei quali le parti hanno inteso definire il programma negoziale, venendo a tal fine in rilievo, come elemento unificante della verifica, l’applicazione della clausola generale di buona fede (artt. 1366, 1375 c.c.).
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Il 23 marzo esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n. 11144 secondo la quale, anche nel caso in cui sia attivata la procedura amministrativa prevista dall’art. 148, D.Lgs. n. 209 del 2005, per la compagnia di assicurazione il termine per la proposizione della querela rimane quello stabilito dall’art. 124 c.p., con la sola precisazione che, ove ravvisi la necessità di effettuare ulteriori accertamenti in ordine al sinistro, grava sulla compagnia l’onere di comunicare al danneggiato le sue determinazioni conclusive, e, in tal caso, detto termine decorre dallo spirare di quello di trenta giorni dalla comunicazione all’interessato della decisione di effettuare approfondimenti, anche senza formulare l’offerta, quando entro il termine di cui al terzo periodo dell’art. 148 richiamato (quindi trenta giorni dalla comunicazione di voler approfondire) ritenga di proporre querela nelle ipotesi in cui è prevista: in tal caso i termini di cui ai commi 1 e 2 sono sospesi e il termine per la presentazione della querela di cui all’art. 124 c.p. decorre dallo spirare di quello di trenta giorni dalla comunicazione all’interessato della decisione di effettuare approfondimenti.
Questioni intriganti
Che s’intende per contratto di assicurazione e quali caratteristiche lo connotano?
- ne è protagonista, ex art.1882 c.c. un soggetto detto assicuratore;
- questi si obbliga nei confronti di altro soggetto detto assicurato;
- come corrispettivo delle obbligazioni assunte, l’assicuratore incassa un premio dall’assicurato;
- l’obbligo dell’assicuratore è alternativo, ovvero: d.1) rivalere l’assicurato dei danni prodotti da un sinistro, entro i limiti pattuiti (assicurazione contro i danni: articoli 1904 e seguenti c.c.); qui l’assicurazione ha dunque lo scopo di risarcire il danno prodottosi in capo al patrimonio dell’assicurato, con indennizzo che, ai sensi dell’art.1904 c.c., va commisurato al danno provocatosi (c.d. principio indennitario, inderogabile giacché l’indennizzo non può mai superare, ex art.1909 c.c., il danno subito); d.2) pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un fatto attinente alla vita umana dell’assicurato (articoli 1919 e seguenti c.c.); qui, se in passato non è mancato chi ha voluto vedere – in ottica unitaria – un “danno” nella morte o nella vecchiaia dell’assicurato (secondo la c.d. teoria indennitaria), si assume ormai la non configurabilità di un danno (e, con essa l’irrilevanza del principio indennitario), dacché l’indennizzo dovuto dall’assicuratore viene commisurato esclusivamente all’ammontare dei premi corrisposti dall’assicurato;
- sul crinale della natura giuridica, si fronteggiano 2 tesi: e.1) secondo la tesi più accreditata, trattasi di contratto aleatorio per entrambi i contraenti: quando si conclude il contratto, campeggia un evento incerto, solo al cui realizzarsi scatta l’obbligo di indennizzo in capo all’assicuratore; se l’evento incerto non si realizza, l’assicuratore incamera i premi senza corrispondere alcunché a chicchessia; se l’evento incerto si realizza, l’assicuratore resta obbligato a corrispondere l’indennizzo che è – quantitativamente – di gran lunga superiore all’importo dei premi incassati dall’assicurato; e.2) secondo la tesi meno accreditata, si tratta di un contratto che non presenta i caratteri della aleatorietà né sul versante dell’assicurato, la cui obbligazione di versare i premi risulta ab origine predeterminata e certa nel relativo ammontare, né tampoco sul crinale dell’assicuratore che, svolgendo una attività professionale e gestendo una massa di rischi omogenei tra loro, può avvalersi del calcolo statistico per estrapolare un “rischio medio” di verificazione dell’evento incerto assicurato, potendo dunque in tal modo correlarlo a ciascun assicurato ed operare ragionevoli riduzioni dei premi da richiedersi in ragione appunto del calcolo statistico operato; anche tuttavia a voler considerare la “massa” dei contratti che coinvolgono l’assicuratore (in termini dunque di operazione economica complessa), resta nondimeno la circostanza onde, con riguardo al singolo contratto di assicurazione, è difficile non predicarne la aleatorietà proprio a fronte del rischio che entrambe le parti contrattuali si accollano di erogare una prestazione o senza corrispettivo (è il caso dell’assicurato che paghi premi senza che poi l’evento il cui rischio egli ha assicurato si verifichi) o in misura del tutto sproporzionata rispetto al corrispettivo ricevuto (è il caso dell’assicuratore che, in presenza dell’evento il cui rischio è stato assicurato, versa un indennizzo di gran lunga superiore all’importo dei premi incassati); la natura aleatoria del contratto – per chi la ammette – esclude che sia applicabile la rescissione per lesione (art.1448, comma 4, c.c.) e la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (art.1469 c.c.);
- il contratto può definirsi aleatorio quando l’evento che concreta il rischio assicurato è per entrambe le parti futuro ed incerto; laddove l’evento sia, per una delle parti, probabile o certo, la valutazione del rischio è evidentemente diversa rispetto a quella della controparte (per la quale esso resta incerto); di qui la rilevanza del patrimonio informativo in possesso di ciascuna delle parti contrattuali; per questo motivo il contraente (o, qualora diverso, l’assicurato) che – tanto in fase di trattative che in fase esecutiva – sia o venga a conoscenza di circostanze capaci di influire sul rischio, è tenuto (articoli 1892, 1893 e 1894 c.c.) a comunicarle all’assicuratore, il quale in forza di tali circostanze potrebbe decidere di non stipulare il contratto o di stipularlo a condizioni diverse; per quanto riguarda l’omessa comunicazione di tali circostanze all’assicuratore, occorre distinguere: f.1) le ipotesi di dolo o colpa grave: la reticenza o la mancata comunicazione gravemente colposa di circostanze capaci di influire sul rischio assicurato inducono in errore l’assicuratore, il quale può chiedere l’annullamento del contratto nel termine di 3 mesi da quando ne è venuto a conoscenza (e dunque da quando è divenuto consapevole delle iniziali inesattezze), senza comunque perdere i premi per il periodo assicurativo in corso (ed in ogni caso il premio convenuto per il primo anno), e senza essere tenuto a corrispondere l’indennizzo laddove l’evento rischioso (sinistro) si verifichi nel periodo in cui egli può efficacemente chiedere l’annullamento del contratto; f.2) le ipotesi di colpa lieve o assenza di colpa: la mancata comunicazione lievemente colposa o incolpevole di circostanze capaci di influire sul rischio assicurato consente all’assicuratore di recedere nei 3 mesi da quando le ha conosciute (e dunque da quando è divenuto consapevole delle iniziali inesattezze) e di corrispondere un indennizzo in misura ridotta laddove si sia medio tempore verificato il sinistro concretizzazione del rischio assicurato;
- proprio perché il contratto è (per i più) aleatorio, laddove l’alea (e dunque il rischio: di verificazione del sinistro, nell’assicurazione contro i danni; di verificazione dell’evento attinente alla vita umana, nell’assicurazione sulla vita) venga meno prima della stipula del contratto di assicurazione, se la stipula interviene in ogni caso si assiste ad un contratto nullo (art.1895 c.c.) evidentemente per vizio della causa; laddove invece il difetto della causa, anziché genetico, sia funzionale, con il venir meno del rischio assicurato dopo la conclusione del pertinente contratto, il contratto si scioglie con effetti ex nunc (art.1896), potendo in ogni caso l’assicuratore trattenere i premi riscossi durante il periodo in cui il contratto ha prodotto effetti; proprio queste norme confermano che il rischio è essenziale per la venuta in essere del contratto di assicurazione (ex ante) o per la effettiva sopravvivenza ed operatività effettuale del medesimo (ex post), che – non potendo prescindere dunque dal rischio – si conferma contratto di natura aleatoria;
- sempre la natura aleatoria del contratto giustifica la disciplina della mutazione del rischio in corso di contratto, di cui agli articoli 1897 (diminuzione) e 1898 (aggravamento) c.c.: si produce in capo al contraente che ne venga a conoscenza – a seconda dei casi – l’onere ovvero l’obbligo di comunicare all’assicuratore le circostanze che abbiano diminuito il rischio da lui assunto (e che, se note al tempo delle trattative, avrebbe implicato un premio minore a carico del contraente/assicurato: se la comunicazione avviene, l’assicuratore può recedere dal contratto entro 2 mesi, con effetto dopo 1 mese dal recesso, ovvero alternativamente esigere il minor premio per il diminuito rischio), ovvero che lo abbiano aggravato (e che, se note al tempo delle trattative, avrebbero implicato un premio maggiore a carico del contraente/assicurato, o addirittura la non stipula del pertinente contratto: se la comunicazione avviene, l’assicuratore può recedere entro 1 mese, con effetti diversi a seconda se il pertinente contratto sarebbe stato stipulato con premio maggiore, in tal caso con recesso dell’assicuratore che produce i propri effetti decorsi 15 giorni ed obbligo di indennizzo ridotto in modo proporzionale rispetto al maggior premio che si sarebbe potuto pretendere, in caso di sinistro accaduto nelle more; ovvero non sarebbe stato affatto stipulato, in tal caso con recesso dell’assicuratore ad effetto immediato e nessun obbligo di indennizzo in caso di sinistro verificatosi nelle more); si tratta di una disciplina derogabile solo a favore dell’assicurato (art.1934 c.c.) e che affiora in modo parzialmente differente – massime per quanto concerne il c.d. aggravamento del rischio – in tema di assicurazione sulla vita, laddove il cambiamento di professione dell’assicurato sortisca appunto l’effetto di aggravare il rischio (art.1926 c.c.);
- ai sensi dell’art.1900 c.c., viene assicurato il rischio di un evento che non dipende né da dolo, né da colpa grave del contraente / assicurato / beneficiario, coprendo la polizza i rischi che derivino ab externo a tali soggetti o, al più, che siano imputabili a loro colpa lieve; è esclusa solo l’ipotesi in cui il dolo o la colpa grave siano da riconnettersi al disimpegno di doveri di solidarietà sociale ovvero al tentativo di tutelare gli interessi dello stesso assicuratore; lo stesso art.1900 c.c. prevede la possibilità che – giusta patto contrario all’uopo e dunque con il consenso dell’assicuratore – il rischio assicurato possa coprire anche eventi dipendenti da colpa grave del contraente / assicurato / beneficiario, disciplina pienamente coerente con quella di cui all’art.1917, comma 1, c.c. in tema di assicurazione della responsabilità civile, laddove si prevede la possibile copertura di rischi la cui concretizzazione compendi eventi riconducibili appunto a colpa grave (ma non anche a dolo) del contraente / assicurato / beneficiario;
- il fatto che si tratti di contratto aleatorio non esclude che esso possa, sul crinale strutturale, atteggiarsi a contratto a prestazioni corrispettive, con possibile risoluzione per inadempimento di una delle parti ex art.1453 c.c.; l’obbligo dell’assicuratore – a fronte del pagamento dei premi da parte dell’assicurato – nasce infatti al momento della conclusione del contratto e si incentra, in modo corrispettivo rispetto ai premi medesimi, nell’assunzione del rischio che, solo una volta verificatosi l’evento incerto assicurato, si traduce in obbligo di versare l’indennizzo dovuto.
Quali soggetti gestiscono contratti di assicurazione, ex art.1883 c.c.?
- istituti di diritto pubblico;
- società per azioni di diritto privato, governate tuttavia da norme speciali ratione materiae e, segnatamente, soggette a vigilanza da parte di Autorità pubbliche – quali in origine l’Isvap (Istituto di vigilanza sulle assicurazione private) e, oggi, l’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) – con autorizzazione preventiva all’esercizio dell’attività assicurativa e, in via successiva, giusta vigilanza sulla gestione finanziaria, patrimoniale, contabile e tecnica delle ridette società assicurative, oltre che attraverso il pedissequo controllo degli operatori del settore assicurativo quanto a rispetto di leggi e regolamenti pertinenti.
Cosa occorre rammentare del contratto di assicurazione sul crinale dei soggetti che lo animano?
- da una parte vi è sempre un soggetto, detto assicuratore;
- dall’altra vi è un altro soggetto, l’assicurato, che normalmente coincide con chi contrae l’assicurazione;
- è possibile tuttavia, proprio sul piano soggettivo di chi si assicura, una scissione tra il contraente e l’assicurato, potendo quest’ultimo non coincidere con il primo (art.1891 c.c.);
- il contratto di assicurazione può allora essere stipulato dal contraente: d.1) nell’interesse proprio: in tal caso egli coincide con l’assicurato; d.2) nell’interesse di altro soggetto che viene da subito specificato nel contratto (assicurazione per conto altrui); d.3) nell’interesse di uno o più soggetti non predeterminati ex ante, ma che vengono identificati nel momento in cui si produce il sinistro (assicurazione per conto di chi spetti);
- nelle due ipotesi in cui il contraente non coincide con l’assicurato (assicurazione per conto altrui; assicurazione per conto di chi spetti), gli obblighi derivanti dall’assicurazione sono a carico del contraente (ad esempio, il pagamento dei premi), mentre i diritti derivanti dall’assicurazione (segnatamente, il diritto all’indennizzo) sono acquisiti in capo all’assicurato, che può farli valere direttamente ovvero legittimare con consenso espresso il contraente (in veste di sostituto) a farli valere;
- il contratto di assicurazione può anche essere stipulato da un rappresentante munito di procura, che dunque si assicura in nome e per conto altrui; quando tuttavia l’assicurazione sia conclusa da un falsus procurator, si producono ai sensi dell’art.1890 c.c. (assicurazione in nome altrui) effetti derogatori rispetto alla disciplina di cui all’art.1398 c.c., poiché il contratto di assicurazione non è inefficace (con obbligo di risarcimento del danno), ma sorge l’obbligo in capo allo stipulante falsus procurator di pagare i premi fino al momento in cui l’assicuratore abbia avuto notizia, alternativamente, della ratifica dell’interessato (che può anche essere successiva alla scadenza del contratto o successiva al verificarsi del sinistro), ovvero del rifiuto da parte di quest’ultimo di ratificare.
Cosa occorre rammentare del contratto di assicurazione con riguardo alle trattative ed alla fase di stipula ed efficacia?
- normalmente le trattative vengono avviate da un intermediario del quale si avvale l’assicuratore al fine di reperire contraenti;
- il contraente assicurando normalmente inserisce i propri dati su moduli seriali predisposti dall’assicuratore, onde è l’assicurando che viene tecnicamente considerato proponente;
- la proposta del contraente è irrevocabile per un periodo pari a 15 giorni; nel caso sia necessaria una visita medica, il periodo di irrevocabilità della proposta è pari a 30 giorni;
- il periodo di irrevocabilità della proposta consente all’assicuratore di accertare e di valutare la completezza e la veridicità dei dati fornitigli dal contraente assicurando, dovendo l’assicuratore medesimo assumersi il pertinente rischio;
- si definisce “nota di copertura” il contratto di assicurazione provvisorio che le parti facoltativamente stipulano al fine di garantire all’assicurato una copertura nel periodo di irrevocabilità della proposta di contratto vero e proprio;
- regole particolari vigono in tema di assicurazione sulla vita, l’art.177 del codice delle assicurazioni 209.05 prevedendo il diritto dell’assicurato di recedere nei 30 giorni dalla conclusione del contratto, con conseguente facoltà di ripensamento;
- per quanto riguarda gli effetti del contratto, occorre distinguere il contratto di assicurazione sulla vita da tutte le altre assicurazioni; queste ultime hanno effetto – a differenza delle prime – dalle ore 24 del giorno della conclusione fino alle ore 24 dell’ultimo giorno di copertura fissato nel contratto, ai sensi dell’art.1899 c.c.; se la durata del contratto supera i 10 anni, trascorso il decennio il contraente ha comunque il diritto di recedere dal contratto dando all’assicuratore un preavviso di 6 mesi; eventuali proroghe tacite sono ammesse, ma di durata comunque non superiore ai 2 anni;
- importante individuare bene la c.d. “copertura assicurativa”, e dunque il periodo di tempo nel corso del quale il rischio grava sull’assicuratore: essa inizia con il pagamento del premio o – se rateizzato – con il pagamento della prima rata di premio, ex art.1901, comma 1, c.c.; mentre il mancato pagamento del premio o della prima rata di premio non fa decorrere la copertura assicurativa (salva deroga sempre possibile se più favorevole per l’assicurato: art.1932 c.c.), il mancato pagamento delle rate successive o comunque dei premi successivi alle scadenze convenute non fa cessare immediatamente la copertura assicurativa, che resta sospesa solo dalle ore 24 del 15° giorno successivo alla scadenza di volta in volta considerata, ex art.1901, comma 2, c.c.
Cosa occorre rammentare in particolare dell’assicurazione contro i danni e dell’assicurazione della responsabilità civile?
- l’assicurato è titolare di diritti patrimoniali (ad esempio, la proprietà di un bene);
- vi è il rischio che tali diritti patrimoniali subiscano dei danni;
- stipulando il contratto di assicurazione, l’assicurato trasferisce tale rischio sull’assicuratore;
- tra questi danni, vi sono quelli che al patrimonio dell’assicurato possono derivare, in termini di depauperamento, dal fatto che egli ha cagionato danni ad altri giusta contegno illecito, di tipo “contrattuale” o aquiliano, e dei quali è dunque “responsabile civile”;
- l’assicurazione della responsabilità civile (art.1917 c.c.) è dunque un sotto-tipo dell’assicurazione contro i danni, laddove il danno per l’assicurato (garantito dall’assicuratore) consiste nel dover risarcire i danni cagionati ad altri giusta illecito; l’assicurazione può tuttavia coprire i soli danni colposi, e non anche quelli cagionati con dolo dall’assicurato (esclusa la fattispecie della responsabilità civile obbligatoria connessa alla circolazione di veicoli, laddove la copertura assicurativa ricomprende anche danni cagionati a terzi con dolo);
- l’assicurazione della responsabilità civile è talvolta imposta dalla legge (come appunto nel caso della circolazione di veicoli o di natanti) ed è pertanto obbligatoria; ciò allo scopo di tutelare tutti quei terzi che sono esposti a rischi peculiari (come appunto nel caso del rischio derivante dalla circolazione dei ridetti veicoli o natanti);
- peculiare il caso dell’assicurazione contro gli infortuni: previa corresponsione di un premio, l’assicuratore si obbliga a pagare all’assicurato che sopravvive una determinata somma nel caso quegli subisca una lesione dovuta ad una causa fortuita, violenta ed estrema che ne determini l’inabilità temporanea o l’invalidità permanente; in caso di morte dell’assicurato in conseguenza dell’infortunio, si obbliga invece ad erogare la medesima somma ad un terzo beneficiario;
- in difetto una esplicita presa di posizione normativa, è stata a lungo dubbia la qualificazione dell’assicurazione contro gli infortuni come assicurazione contro i danni (alla persona), ovvero di assicurazione sulla vita, fino alle SSUU del 2002 alla cui stregua se l’infortunio è mortale si discorre di assicurazione sulla vita, mentre se l’infortunio è (anche gravemente) invalidante deve parlarsi piuttosto di assicurazione contro i danni;
- l’assicurazione contro i danni è tale – e si identifica come tale – se a governarla vi è c.d. principio indennitario, e se dunque il contratto dispiega una “funzione indennitaria”: perché il contratto sia valido, occorre che l’assicurato sia interessato all’indennizzo (in caso di futuro, eventualmente subito danno) in un momento anteriore a quello in cui interviene la copertura assicurativa (art.1904 c.c.), e che tale interesse – suscettibile di valutazione economica (perché appunto collegato al pregiudizio patrimoniale subito dalla res assicurata) – perduri per tutto il periodo di esecuzione del contratto; laddove l’assicurato abbia un interesse che non sia tuttavia suscettibile di valutazione economica (non patrimoniale: personale), ciò non esclude a priori la validità del contratto di assicurazione, che potrebbe atteggiarsi ad assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetti (circostanza nella quale l’interesse economico si configura, ma in capo a taluno di tali terzi);
- il principio indennitario impone che l’assicurato abbia interesse alla conservazione del bene (attraverso eventuale erogazione dell’indennizzo da parte dell’assicuratore laddove tale bene subisca un danno), e non già un interesse alla verificazione del sinistro (per specularci);
- per questo motivo, in caso di sinistro, nell’accertare il danno non può attribuirsi alle cose perite o danneggiate un valore superiore a quello che avevano al momento del sinistro (art.1908, comma 1, c.c.);
- sempre per il medesimo motivo, il risarcimento (indennizzo) non può mai essere di importo superiore al danno subito; ai sensi dell’art.1909 c.c., in caso di assicurazione per una somma eccedente il valore della cosa assicurata, il contratto è nullo se l’assicurato è in dolo, o resta valido se l’assicurato non è in dolo, ma in questo caso gli effetti indennitari sono limitati al solo valore della cosa assicurata e l’assicurato ha diritto ad una corrispettiva riduzione del premio; in sostanza, l’art.1909 c.c. conferma la assoluta inderogabilità del principio indennitario, siccome scolpito al precedente art.1904 c.c.;
- al contrario, il danno (indennizzo) può essere inferiore al danno subito dall’assicurato in virtù di clausole apposite che escludono l’indennizzo per una parte del danno subito (c.d. franchigia semplice), ovvero abbattono il ridetto indennizzo sempre e in ogni caso (e dunque indipendentemente dall’importo del danno subito: c.d. franchigia assoluta): si tratta di clausole che, secondo la tesi dominante, non limitano la responsabilità dell’assicuratore, ma piuttosto circoscrivono l’oggetto del contratto, e come tali non possono essere considerate vessatorie;
- con la sottoassicurazione (art.1907 c.c.), le parti convengono che la copertura assicurativa abbia ad oggetto un valore inferiore a quello della cosa assicurata, configurandosi dunque una assicurazione parziale; in caso di danno, è il rapporto tra valore concretamente assicurato e valore assicurabile che consente, giusta proporzione, di giungere al calcolo dell’ammontare dell’indennità dovuta dall’assicuratore;
- quello coperto dalla garanzia assicurativa è solo il danno emergente, ma le parti possono – ai sensi dell’art.1905, comma 2, c.c. – prevedere che la copertura assicurativa abbia ad oggetto anche i c.d. risultati sperati e, dunque, il lucro cessante;
- con riguardo al valore della cosa assicurata, le parti possono convenire – giusta c.d.. “polizza stimata” ex art.1908, comma 2, c.c., stipulata con forma scritta ad substantiam – la stima della cosa stessa al momento della conclusione del contratto, vincolandosi a tale misura in modo da sganciarla dal danno effettivamente subito dalla cosa stessa, che potrebbe essere di ammontare minore: si tratta dunque di una deroga pattizia al principio indennitario ammessa dalla legge;
- altra possibile deroga è quella compendiantesi nella clausola c.d. “di valore a nuovo”, giusta la quale l’assicuratore si obbliga a versare all’assicurato la somma necessaria al riacquisto della cosa perduta, nuova, in modo sganciato dal valore della cosa stessa quando essa subisce il sinistro (generalmente minore, trattandosi ormai di cosa usata); al fine tuttavia di scoraggiare alla realizzazione dell’evento dannoso, gli effetti di tale clausola vengono normalmente subordinati alla condizione dell’effettivo riacquisto della cosa nuova da parte dell’assicurato;
- quando ad assicurare il rischio nei confronti di un medesimo assicurato provvedano più assicuratori, si presentano alternativamente le seguenti 2 fattispecie: r.1) la coassicurazione: è particolarmente elevato il rischio da assicurare e, proprio per questo, vi provvedono una pluralità di assicuratori che, collettivamente, si assumono l’intero (elevato) rischio ciascuno limitatamente ad una pertinente quota, essendo dunque eventualmente tenuti all’indennizzo – giusta obbligazione parziaria – in ragione della quota rispettivamente assicurata; r.2) l’assicurazione cumulativa: la fattispecie è analoga alla precedente, ma qui il rischio è assunto per intero, solidalmente, da ciascuno degli assicuratori, ferma l’impossibilità per l’indennità dovuta di superare il danno effettivamente subito dall’assicurato (in forza ancora una volta del principio indennitario: art.1911 c.c.); qui l’assicurato è tenuto ad avvisare ciascuna assicuratore “successivo” delle assicurazioni eventualmente già stipulate e laddove non lo faccia dolosamente non può pretendere di far valere il proprio diritto all’indennità nei confronti dell’assicuratore non reso destinatario di tale obbligatorio avviso;
- tra gli obblighi più rilevanti che gravano sull’assicurato, particolarmente importanti quelli di avviso (comunicazione del sinistro, entro 3 giorni da quando si è verificato, all’assicuratore: art.1913 c.c.) e di salvataggio (compimento di tutto quanto è possibile per evitare o diminuire il danno: art.1914 c.c.); in caso di inadempimento, l’assicurato perde il diritto all’indennità se è in dolo, ovvero ne subisce una riduzione se è in colpa (art.1915 c.c.);
- l’art.1916 c.c. prevede l’importante diritto di surrogazione (personale) dell’assicuratore il quale, una volta prodottosi il sinistro e pagata l’indennità all’assicurato, subentra nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili del sinistro stesso, salvo che si tratti di persone a lui vicine (coniuge, figli, ascendenti, parenti ed affini stabilmente conviventi, domestici: ma in caso di dolo il subentro dell’assicuratore opera anche in questi casi); si tratta di un diritto di surrogazione che presuppone tuttavia una pertinente manifestazione di volontà dell’assicuratore nei confronti del terzo responsabile, e che dunque non opera in via automatica;
- un regime particolare disciplina l’alienazione delle cose assicurate, ex art.1918 c.c.: qualora infatti l’assicurato alieni le cose assicurate, il contratto continua in capo all’acquirente delle cose stesse che subentra nel rapporto assicurativo originariamente facente capo all’assicurato (cessione del contratto di assicurazione) con acquisizione dei pertinenti diritti a titolo derivativo: l’assicuratore, in veste di contraente ceduto, può opporre all’acquirente nuovo assicurato cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all’originario assicurato cedente; l’originario assicurato cedente deve tuttavia comunicare sia all’assicuratore ceduto l’avvenuta alienazione della res assicurata, sia al nuovo assicurato cessionario la operatività del contratto di assicurazione, rimanendo in caso contrario obbligato al versamento del premio anche dopo l’intervenuta alienazione; si tratta di obblighi comunicativi funzionali a consentire all’assicuratore ceduto e al nuovo assicurato cessionario di recedere dal contratto di assicurazione, che ha alla propria base anche un rapporto di fiducia tra le parti che lo animano.
Cosa occorre rammentare in particolare – nell’ambito dell’assicurazione contro i danni – delle c.d. clausole “claims made” o “a richiesta fatta”?
- si tratta di un particolare caso di assicurazione contro i danni e, in particolare, di assicurazione della responsabilità civile, affiorato nell’ambito del mercato assicurativo, dapprima anglosassone e poi statunitense a partire dalla prima metà degli anni ’80 del secolo scorso;
- nell’assicurazione contro i danni, l’assicurato è il danneggiato; in quella particolare assicurazione contro i danni che è l’assicurazione della responsabilità civile, l’assicurato è il danneggiante;
- ciò perché il fatto di aver prodotto un danno a terzi si traduce, attraverso la richiesta di risarcimento danni spiccata dal terzo danneggiato, in un danno “attualizzato” per il patrimonio del danneggiante, che rischia un depauperamento del patrimonio medesimo proprio in forza della richiesta di risarcimento che riceve dal danneggiante;
- nel modello “classico” di assicurazione della responsabilità civile di cui all’art.1917 c.c., la copertura assicurativa opera in relazione a tutte le condotte produttive di danno – e dunque generatrici di domande risarcitorie – poste in essere nel periodo assicurativo al quale la copertura si riferisce; in sostanza, se il periodo assicurativo va dal giorno X al giorno Y, quello che conta è che la condotta produttiva di danno sia stata posta in essere dal danneggiante in questo torno temporale, anche laddove la domanda risarcitoria sia poi spiccata dal danneggiato in un successivo momento Z (c.d. modello “loss occurrence”, o di “insorgenza del danno”);
- nel modello “claims made” di assicurazione della responsabilità civile – di cui alla clausola all’uopo predisposta, accettata e stipulata dalle parti – la copertura assicurativa opera non già se il fatto dannoso viene prodotto dal danneggiante (condotta illecita) nel torno temporale di tale copertura, quanto piuttosto se, nel periodo assicurativo che va dal giorno X al giorno Y, viene denunciato dal danneggiato il pertinente sinistro, così palesandosi la volontà del danneggiato medesimo di chiedere il risarcimento del danno al danneggiante, quand’anche la condotta generativa di danno sia stata posta in essere dall’assicurato danneggiante nel precedente momento A;
- una variante della clausola “claims made” (richiesta fatta) è quella nella quale la copertura assicurativa si estende anche alle richieste (e dunque alle denunce) risarcitorie successive al torno temporale previsto nella polizza (da X a Y), e dunque anche alle richieste risarcitorie spiccate in un successivo giorno Z (clausola c.d. “sunset clause”);
- in sostanza, se le parti stipulano una clausola “claims made”, l’assicurazione è operativa per i soli sinistri con riguardo ai quali – a prescindere da quando accadono i fatti dannosi – il danneggiato richieda all’assicurato danneggiante il risarcimento del danno nel periodo di vigenza del pertinente contratto e l’assicurato danneggiante medesimo, destinatario di tale richiesta, ne faccia denuncia alla propria assicurazione al fine di essere tenuto indenne delle conseguenze pregiudizievoli per il relativo patrimonio che ne derivano;
- in tal modo l’assicuratore è in grado di conoscere con precisione sino a quando può assumersi obbligato a tenere indenne l’assicurato danneggiante, in relazione alle richieste risarcitorie da questi ricevute e tempestivamente denunciategli; ciò consente all’assicuratore medesimo di calcolare più agevolmente il premio da esigere dall’assicurato e, sotto altro profilo, di meglio appostare in bilancio le somme occorrenti per le obbligazioni che potrebbero sorgere a relativo carico; ciò in quanto, laddove la richiesta venga fatta dal terzo danneggiato (e conseguentemente venga spiccata denuncia dall’assicurato danneggiante) oltre il periodo di copertura della polizza, l’assicuratore non è tenuto a versare l’indennizzo (o può recedere dal contratto di assicurazione) anche laddove il fatto dannoso dell’assicurato danneggiante si sia prodotto durante il periodo di validità e vigenza della polizza stessa;
- le clausole c.d. “claims made” si rivelano allora particolarmente funzionali alla copertura di rischi (di responsabilità civile) “lungolatenti” che, come tali, possono rimanere a lungo nascosti, come nel caso del professionista (si pensi ad un medico con riguardo ad una diagnosi o una terapia, o ad un avvocato con riguardo alla gestione di un contenzioso) che ponga in essere nel momento A una condotta dannosa i cui effetti pregiudizievoli restano tuttavia, per l’appunto, a lungo nascosti, palesandosi come tali – con conseguente richiesta risarcitoria da parte del danneggiato – in un successivo periodo B ricompreso tra il giorno X ed il giorno Y, fatto oggetto di copertura dalla pertinente polizza;
- la prassi contrattuale ha forgiato modelli proteiformi di clausole claims made, che tuttavia si riconducono fondamentalmente a 2 tipologie di massima: j.1) quelle “pure”, in cui l’assicurazione copre tutte le richieste risarcitorie che il danneggiato spicchi nei confronti dell’assicurato danneggiante e che questi denunci all’assicuratore nel periodo di efficacia e di conseguente copertura della polizza, anche se il fatto illecito generatore di danno sia stato commesso in un periodo anteriore; j.2) quelle “impure”, in cui l’assicurazione copre tutte le richieste risarcitorie che il danneggiato spicchi nei confronti dell’assicurato danneggiante e che questi denunci all’assicuratore nel periodo di efficacia e di conseguente copertura della polizza, solo tuttavia se anche il fatto illecito generatore di danno sia stato commesso nel periodo di copertura della polizza (e non anche in un momento anteriore), onde il periodo di polizza investe tanto il fatto dannoso che la pertinente richiesta risarcitoria al danneggiante e la conseguente denuncia di quest’ultimo all’assicuratore; in qualche caso, le clausole “impure” si caratterizzano come “miste” perché ammettono che la garanzia “retrodati” anche ai fatti illeciti produttivi di danno anteriori rispetto al periodo di polizza di un torno temporale predeterminato (normalmente 2 o 3 anni);
- dal punto di vista sistematico, le clausole claims made hanno posto problemi di possibile vessatorietà ai danni dell’assicurato “consumatore”, oltre che – sul crinale della causa – di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, atteggiandosi per lungo tempo a clausole “atipiche”, fino alla esplicita presa di posizione del legislatore;
- altro possibile motivo di frizione si rintraccia tra le clausole claims made – al cospetto delle quali possono sempre configurarsi c.d. “buchi di copertura” per l’assicurato danneggiante – ed il modello dell’assicurazione obbligatoria ex lege della responsabilità civile, in fase di grande espansione (come dimostra la recente estensione dell’obbligatorietà assicurativa all’attività dei professionisti); tale prototipo assicurativo “obbligatorio” ex lege prevede appunto un obbligo di assicurarsi che è posto dalla legge a garanzia dei preminenti interessi del terzo (eventuale) danneggiato, che rischia di vedersi addossate le conseguenze di una attività dannosa colpevole di determinate categorie di soggetti laddove questi abbiano patrimoni incapienti e non siano, per l’appunto, assicurati, onde è qui assai più significativo il rapporto tra assicurato danneggiante e terzo danneggiato (protetto) rispetto a quello tra assicurato danneggiante ed assicuratore, col precipitato evidente che in queste fattispecie le clausole claims made stipulate tra questi ultimi – proprio laddove capaci di implicare buchi di copertura assicurativa – possano rivelarsi perseguire interessi non meritevoli di tutela (nell’ottica della garanzia ex lege del terzo danneggiato).
Cosa occorre rammentare in particolare dell’assicurazione sulla vita?
- è un particolare contratto di assicurazione;
- esso è legato al verificarsi di un evento della vita umana;
- laddove tale evento si verifichi, l’assicuratore si obbliga a corrispondere un capitale una tantum, ovvero una rendita;
- quando l’evento considerato è la morte, di essa viene trasferito il rischio dal contraente all’assicuratore, potendosi suddistinguere: d.1) assicurazione “caso morte a vita intera”: è del tutto indifferente quando si verifica la morte del contraente; d.2) assicurazione “caso morte temporanea”: perché maturi il diritto al capitale o alla rendita a carico dell’assicuratore è necessario che la morte del contraente avvenga entro un termine stabilito in sede contrattuale; in queste ipotesi l’assicurazione può essere stipulata con riferimento alla vita propria, e dunque a favore di un terzo (che sopravvive al contraente), ovvero con riferimento alla vita di un terzo, circostanza quest’ultima che richiede tuttavia (ex art.1919, comma 2, c.c.) il consenso di quest’ultimo (o quello del relativo legale rappresentante legale) in forma scritta ad probationem, dovendosi disincentivare da parte dell’assicurato la produzione dell’evento lesivo, per esservi invogliato dalla prospettiva di incassare il capitale o la rendita;
- quando l’evento considerato è la vita, o meglio la “sopravvivenza”, di tale sopravvivenza (o mantenimento in vita) viene trasferito il rischio dal contraente all’assicuratore, potendosi suddistinguere: e.1) assicurazione di capitale differito: il capitale o la rendita sono erogati dall’assicuratore solo ex post, nel momento in cui sopraggiunge il termine prestabilito in sede contrattuale; e.2) assicurazione di rendita immediata: la rendita viene corrisposta dall’assicuratore ex ante e dunque immediatamente); allorché sia la vita o la sopravvivenza di un terzo l’evento umano al quale viene ricondotta la traslazione del rischio, di quest’ultimo non è peraltro richiesto il consenso scritto ad probationem (non dovendo egli essere tutelato in modo rigoroso come accade allorché tale evento umano sia invece la relativa morte);
- quando l’evento considerato è la morte intrecciata con la sopravvivenza (c.d. assicurazione sulla vita “mista”), l’assicuratore si obbliga a pagare il capitale una tantum o la rendita alla scadenza del termine divisato o, in caso di premorienza, a corrispondere il capitale siccome predeterminato in sede contrattuale;
- un regime particolare concerne il terzo, potendo l’assicurazione sulla vita essere stipulata a relativo favore, nel qual caso – assicurazione a favore di terzo – assicurato è lo stipulante, assicuratore il promittente e beneficiario il terzo, il quale ultimo può essere individuato giusta designazione, anche in modo generico (o per relationem) nel corpo del contratto di assicurazione medesimo, ovvero in una dichiarazione successiva, ovvero ancora in un testamento (art.1920 c.c.), circostanza quest’ultima in cui il beneficiario è tale per atto inter vivos, e non già iure successionis (non potendosi dunque assumere erede), dacché il testamento serve solo, per l’appunto, ad individuare il ridetto beneficiario; se normalmente, nel contratto a favore di terzo, il terzo acquista il diritto in virtù della stipulazione, nel caso dell’assicurazione sulla vita a favore di terzo è la designazione l’atto che fa acquistare il diritto al terzo (e non già, dunque, il contratto di assicurazione), designazione che può essere revocata in ogni momento prima che si sia verificato l’evento (art.1921), anche nel caso in cui il beneficiario abbia dichiarato di volerne profittare (altra eccezione alla generale disciplina del contratto a favore di terzo); dal momento in cui il terzo beneficiario ha dichiarato di voler profittare dell’assicurazione sulla vita stipulata a proprio favore, diventa efficace tuttavia la eventuale rinunzia al potere di revoca eventualmente posta in essere dall’assicurato stipulante, con obbligo di comunicazione per iscritto al promittente assicuratore tanto della rinuncia al potere di revoca (da parte dello stipulante assicurato) quanto della dichiarazione di voler profittare (da parte del terzo beneficiario) che rende tale rinuncia efficace. Il terzo beneficiario può poi decadere – ex art.1922 c.c. – dal proprio diritto siccome attribuitogli dal contratto di assicurazione e dalla pertinente designazione: g.1) nel caso in cui attenti alla vita dell’assicurato stipulante: si tratta di decadenza automatica, e non già di semplice potere di revoca come invece accade in tema di donazione (art.801 c.c.); g.2) nel caso di ingratitudine e di sopravvenienza di figli, laddove la designazione del terzo sia stata fatta a titolo di liberalità (parallelamente a quanto previsto in tema di donazione dall’art.800 c.c.): la decadenza opera peraltro indipendentemente dalla (eventualmente) intervenuta rinuncia al potere di revoca da parte dell’assicurato stipulante; g.3) nel caso di omicidio dell’assicurato: si tratta di una fattispecie di decadenza non prevista esplicitamente dal codice e forgiata dalla dottrina, palesandosi irragionevole una disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di suicidio dell’assicurato, esplicitamente previsto dall’art.1927 c.c. ed implicante – laddove avvenuto entro 2 anni dalla stipula del contratto di assicurazione e salvo patto contrario – il venir meno dell’obbligo dell’assicuratore di versare al terzo beneficiario le pertinenti somme;
- l’assicurazione sulla vita si assume avere natura previdenziale, e non già indennitaria (come l’assicurazione contro i danni), sol che si consideri come essa sia orientata a soccorrere l’assicurato (sopravvivenza) ovvero il terzo beneficiario (morte) senza che le somme dovute dall’assicuratore possano essere sequestrate o pignorate (art.1923, comma 1, c.c.: sono tuttavia salve, ma rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all’imputazione e alla riduzione delle donazioni); peraltro all’interno della polizza va sempre indicato il valore dei diritti di riscatto e di riduzione (art.1925 c.c.), dovendo l’assicurato essere sempre in grado di conoscere quale sarebbe appunto il valore di riscatto e di riduzione della propria assicurazione; il riscatto si configura come diritto personale dell’assicurato, come tale non surrogabile dai creditori del medesimo, e determina lo scioglimento – con effetto ex nunc e dunque non retroattivo – del contratto di assicurazione, dacché quando l’assicurato lo esercita, gli viene anticipata la prestazione da parte dell’assicuratore in misura (ridotta) proporzionale ai premi versati, valendo altresì come revoca della designazione del terzo beneficiario; la riduzione opera invece laddove l’assicurato stipulante sospenda il pagamento dei premi, su richiesta dell’assicurato medesimo onde da un lato liberarsi dall’obbligo di versamento dei premi futuri e, dall’altro, garantire un seppur ridotto capitale o una seppur ridotta rendita al terzo beneficiario; ai sensi dell’art.1924 c.c.; laddove peraltro l’assicurato stipulante non corrisponda il premio per il primo anno, l’assicuratore ha 6 mesi per poter agire per l’esecuzione del contratto, mentre laddove a non essere pagati siano i premi successivi a quello del primo anno, trascorsi 20 giorni dalla scadenza il contratto si risolve ipso iure e l’assicurato perde tutti i premi già versati (sempre a meno che non sussistano le condizioni per esercitare il diritto di riscatto o di riduzione);
- nel caso in cui l’assicurato cambi la propria professione (art.1926 c.c.), ciò potrebbe tradursi in un aumento del rischio per l’assicuratore; si profilano in proposito 2 possibili opzioni: i.1) l’assicurato non comunica all’assicuratore il mutamento di professione che incide sul rischio: se l’aumento è tale che l’assicuratore non avrebbe ex ante stipulato il pertinente contratto, l’assicurazione cessa di produrre i propri effetti e si risolve di diritto; se invece tale aumento è tale che comunque, riguardato ex ante, non avrebbe impedito all’assicuratore di stipulare il contratto (sostanzialmente, se si tratta di un più trascurabile aumento del rischio), laddove si verifichi l’evento della vita dedotto in contratto l’assicuratore è tenuto al pagamento di una somma inferiore rispetto a quella divisata, con cifra che – sulla scorta del rischio effettivo siccome ingeneratosi in forza del cambio di professione dell’assicurato – viene ridotta proporzionalmente sulla base del premio contrattualmente dovuto; i.2) l’assicurato comunica tempestivamente all’assicuratore il proprio mutamento di professione che incide sul rischio: qui l’assicuratore può scegliere se recedere dal contratto, ovvero ridurre la somma assicurata, ovvero ancora aumentare il premio, ed in caso di aumento del premio la modifica del contratto deve essere accettata (quand’anche tacitamente) dall’assicurato nei 15 giorni successivi alla comunicazione relativa.
Cosa occorre rammentare della figura del broker e di quella dell’intermediario di assicurazione?
- si ha riguardo alla c.d. attività di intermediazione assicurativa;
- essa si compendia nel presentare o proporre prodotti assicurativi o riassicurativi, ovvero nel prestare assistenza o consulenza rispetto a tali attività, eventualmente concludendo i pertinenti contratti ovvero collaborando alla gestione ed esecuzione dei medesimi (art.106 del codice delle assicurazioni private 209.05);
- si tratta di una attività che, ai sensi dell’art.108 del codice, è vietata agli enti pubblici, agli enti e alle società da essi controllati e ai pubblici dipendenti con rapporto lavorativo a tempo pieno ovvero parziale, allorché quest’ultimo superi la metà dell’orario lavorativo a tempo pieno;
- si tratta poi di attività (privata) riservata, occorrendo essere iscritti al registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi tenuto originariamente dall’Isvap (oggi dall’Ivass);
- in caso di esercizio di attività da parte di soggetto non iscritto nel registro, sono previste dall’art.108 del codice delle assicurazioni private sanzioni penali (reclusione da 6 mesi a 2 anni e multa da 10.000 a 100.000 Euro);
- del pari riservato è l’uso, nella ragione o nella denominazione sociale, di termini e locuzioni (anche in lingua estera) idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento di attività di intermediazione assicurativa;
- il registro, ai sensi dell’art.109 del codice, è diviso in distinte sezioni di iscrizione, dedicate: a) agli agenti di assicurazione; b) ai mediatori di assicurazione o di riassicurazione, o broker; c) ai produttori diretti; d) alle banche autorizzate (ai sensi dell’art.14 del T.U.B.), alle società di intermediazione mobiliare autorizzate (ai sensi dell’art.19 del T.U.F.) ed alla società Poste Italiane – Divisione servizi di bancoposta (autorizzata ai sensi dell’art.2 del D.p.R. 144.01); e) ai soggetti addetti all’intermediazione, quali dipendenti, collaboratori, produttori ed altri incaricati degli intermediari iscritti alle sezioni di cui alle lettere a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al di fuori dei locali dove l’intermediario opera;
- tra tutte queste categorie, la più problematica è quella del broker, o mediatore di assicurazione e riassicurazione;
- questi agisce su incarico non già dell’assicuratore, quanto piuttosto dell’assicurando, senza al contempo avere poteri di rappresentanza delle imprese di assicurazione o riassicurazione (ex art.109, comma 2, lettera b del codice);
- alla stregua della giurisprudenza delle SSUU, il broker non può essere assunto rappresentante di entrambe le parti del contratto di assicurazione, ma del solo assicurando nel cui interesse egli opera.
Cosa occorre rammentare della riassicurazione e della retrocessione?
- la riassicurazione è un contratto che presuppone un contratto di assicurazione, facendo luogo ad una figura di collegamento negoziale;
- tale contratto può avere ad oggetto un rischio molto gravoso;
- l’assicuratore trasferisce allora il rischio (o una parte del rischio) che si è ab origine (interamente) assunto ad un altro assicuratore;
- in tal modo l’assicuratore originario assume le vesti del riassicurato, e il nuovo assicuratore le vesti del riassicuratore;
- quando il riassicurato, a propria volta, si riassicura presso un altro assicuratore, si configura la c.d. retrocessione;
- l’assicurato ha rapporti solo con l’assicuratore, e questi – in veste di riassicurato – con il riassicuratore, che ai sensi dell’art.1929 c.c. si obbliga esclusivamente nei confronti del riassicurato (originario assicuratore), e dunque non ha rapporti diretti con l’originario assicurato medesimo; nella coassicurazione invece l’originario assicurato ha rapporti diretti con tutti gli assicuratori ai quali trasferisce contrattualmente il rischio;
- quando ha ad oggetto un singolo rischio, si parla di riassicurazione singola; se invece essa investe singoli (ma interi) rami del riassicurato ovvero l’intera attività di quest’ultimo, si parla ex art.1928 c.c. di riassicurazione per trattati.