Massima
Un contratto non è qualcosa di statico ed immutabile né sul crinale oggettivo né, tampoco, sul versante dei soggetti che ne sono protagonisti, ciascuno dei quali può – in linea generale – far subentrare nella propria posizione contrattuale integralmente intesa (e dunque comprensiva tanto di diritti quanto di obblighi) un soggetto terzo “cedendogli” la posizione contrattuale della quale egli è, in quanto “parte”, ab origine titolare; se questo è il prototipo della figura, non mancano fattispecie in cui tale cessione è in realtà impedita dalla legge, accanto ad altre in cui invece ne risulta agevolata o financo meccanicamente automatizzata, massime laddove strettamente avvinta alla circolazione di determinati beni (o compendi di beni) che recano seco, per l’appunto, posizioni contrattuali attorno ad essi in guisa indefettibile gravitanti.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Il 20 marzo viene varata la legge n.2248, l’art.39 del cui allegato F vieta all’appaltatore di cedere o subappaltare in tutto o in parte l’opera pubblica assunta senza l’approvazione dell’autorità competente; il successivo art.334 detta i criteri ai quali la ridetta approvazione è condizionata, assumendo come fattore impediente la circostanza onde il nuovo appaltatore non riunisca i requisiti che lo avrebbero fatto ammettere all’asta per la medesima opera.
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile liberale, nel quale non si riscontra una norma esplicita sulla cessione del contratto, e dunque la sostituzione o subingresso di una parte contrattuale ad un’altra viene elaborata dalla dottrina e declinata secondo tre possibili soluzioni in termini di pertinente natura giuridica: a) secondo una prima opzione, che muove dalla non trasmissibilità a titolo particolare dei debiti, si è dinanzi ad una negozio giuridico complesso che ha luogo a valle di una previa scomposizione del rapporto contrattuale in posizioni debitorie, accollate al cessionario, e creditorie, cedute al cessionario; in sostanza, per questa teoria detta “atomistica” è impossibile trasferire l’intera posizione contrattuale, potendosi piuttosto trasferire le rispettive posizioni attive e passive (queste ultime peraltro senza liberazione del cedente accollante), siccome derivanti dalla originaria fonte contrattuale; b) stando invece ad una seconda opzione, del tutto contrapposta e detta “unitaria”, va ammessa la cessione dell’intera posizione contrattuale dal cedente al cessionario, stante come l’intento perseguito dalle parti di tale cessione non sia quello di trasferire, in modo previamente scomposto, i singoli debiti e i singoli crediti, quanto piuttosto appunto l’intera posizione contrattuale comprensiva, tra l’altro, dei diritti potestativi, assunti come “elementi indistaccabili” del rapporto contrattuale oggetto di cessione; c) una terza opzione, detta della renovatio contractus, vede invece nella cessione una rinnovazione della originaria dichiarazione contrattuale che interviene tra uno dei due originari contraenti, il ceduto, ed il terzo cessionario. Il Codice disciplina nondimeno in modo articolato le sorti della locazione in caso di compravendita della res locata, stabilendo in primo luogo (art.1597) che se il locatore vende la cosa locata, il compratore è tenuto a stare alla locazione , quando questa sia anteriore alla vendita e consti da atto pubblico o da scrittura privata di data certa, sempreché il locatore stesso non si sia riservato il diritto dì sciogliere la locazione in caso di vendita; e in secondo luogo (art.1598) che quantunque il conduttore non abbia un atto pubblico o una scrittura di data certa, se il relativo possesso della res è anteriore alla vendita, il compratore è tenuto a lasciarlo continuare per tutto quel tempo per cui si intendono fatte le locazioni senza determinazione di tempo, mentre nel caso che il compratore voglia licenziare il conduttore dopo il detto tempo, è tenuto a renderlo avvertito nel termine stabilito dalla consuetudine del luogo per le denunzie di licenza; norme dalle quali affiora, nella sostanza, la regola “emptio non tollit locatum”, peraltro derogabile a mente dell’art. 1599 onde, se nel contratto di locazione si è convenuto, che nel caso di vendita il compratore possa licenziare il conduttore, questi non ha diritto ad alcuna indennità né verso il locatore (venditore) ne verso il compratore, salvo che si sia pattuito il contrario; sul crinale del compratore poi , laddove questi (art.1600) voglia far uso della facoltà riservata nel contratto di licenziare il conduttore in caso di vendita, è tenuto a rendere anticipatamente avvertito il conduttore nel tempo fissato dalla consuetudine del luogo per le denunzie di licenza (l’affittuario dei beni rustici deve peraltro essere avvertito almeno un anno prima); ai sensi dell’art.1601 il conduttore licenziato dall’acquirente in mancanza di locazione per atto autentico o per scrittura avente data certa ha diritto al risarcimento dei danni verso il locatore (venditore), mentre ai sensi dell’art.1602 il compratore con patto di riscatto non può usare della facoltà di licenziare il conduttore sino a che, allo spirare del termine fissato per il riscatto, egli non divenga irrevocabilmente proprietario.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.267, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), disciplina in modo esplicito la cessione del contratto agli articoli 1406 e seguenti, abbracciando secondo i più la teoria c.d. unitaria anche sulla spinta di quanto avviene ormai nella prassi commerciale, che non vede di buon occhio – dinanzi alla volontà delle parti di trasferire l’intera posizione contrattuale – la necessità di scomporre l’operazione complessiva nella somma della cessione di crediti e dell’accollo di debiti. La stessa dottrina di commento propende ormai per la configurazione unitaria della figura, comprensiva anche dei diritti potestativi che ineriscono alla posizione contrattuale complessivamente trasferita, primi fra tutti il diritto potestativo alla risoluzione del contratto al cospetto di prestazioni inadempiute, ovvero al relativo esatto adempimento; ciò quantunque non manchi chi – facendo perno sulla imprescindibile corrispettività delle prestazioni del contratto oggetto di cessione – assume piuttosto quali protagonisti dell’operazione i singoli rapporti obbligatori (in posizione appunto di reciproca corrispettività) oggetto della cessione, siccome scaturenti dal “contratto” ceduto al quale si riferisce l’art.1406 c.c., laddove proprio il riferimento alla corrispettività implica come assieme alla cessione delle singole posizioni di credito sia sempre associato anche il corredo dei diritti potestativi che li presidiano in caso di inadempimento della controparte. Sotto altro profilo, la collocazione della figura nell’ambito della disciplina dei contratti in generale fa dire alla dottrina più accreditata come si sia al cospetto di uno schema causale generale ed unitario applicabile, in linea di principio, ad ogni contratto di parte speciale ed orientato alla sostituzione di una delle parti contrattuali, configurante dal punto di vista oggettivo una fattispecie negoziale con effetti, per l’appunto, sostitutivi sul crinale soggettivo. Importante l’art.1407 in tema di c.d. cessione preventivamente autorizzata, alla cui stregua se una parte ha consentito preventivamente che l’altra sostituisca a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, la sostituzione è efficace nei relativi confronti dal momento in cui le è stata notificata o in cui essa la ha accettata. Il codice prevede poi talune ipotesi di cessione legale del contratto, tutte collegate all’alienazione di determinati beni, come nel caso della alienazione della cosa locata (art.1599), di quella assicurata (art.1918, comma 3) ovvero dell’alienazione o affitto di azienda (art.2558 c.c.). Altra norma importante è l’art.2112, rubricato “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”, alla cui stregua in caso appunto di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore – in veste di contraente ceduto ex lege – conserva tutti i diritti che ne derivano; nondimeno, stando a quanto previsto al successivo comma 4 il lavoratore ceduto medesimo, laddove le relative condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei 3 mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma e, dunque, può sostanzialmente recedere dal contratto. In tema di locazione importante anche l’art.1594 c.c. alla stregua del cui comma 1 il conduttore, salvo patto contrario, se ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, non può invece cedere il contratto senza il consenso del locatore
1948
Viene varata la Costituzione repubblicana secondo la quale, ai sensi dell’art.41, l’iniziativa economica privata è libera, non potendosi tuttavia svolgere in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; viene demandato alla legge di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Si tratta di una norma che, oltre a fondare l’autonomia negoziale dei privati – anche in termini di possibilità di forgiare contratti atipici ai sensi dell’art.1322 c.c., ne richiama ad un tempo i pertinenti limiti (orientati a tutelare interessi costituzionalmente rilevanti sia dal punto di vista individuale che collettivo).
1955
Il 7 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.2889 che assume incedibile il contratto ad effetti reali dacché la cessione ex art.1406 c.c. presuppone contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite mentre nel caso, ad esempio, della compravendita già con il solo consenso (e, dunque, uno actu) il venditore trasferisce la proprietà della cosa al compratore, residuando il relativo credito al prezzo cui corrisponde il pertinente debito in capo al compratore, potendo essere allora oggetto di cessione non già l’intera posizione contrattuale, quanto piuttosto il solo credito al prezzo dal lato del venditore ed il solo corrispondente debito (giusta accollo a terzi) dal lato del compratore.
1967
Il 28 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.776, in tema di vendita di immobile locato e di cessione del credito per i canoni scaduti, secondo cui mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell’altro contraente, dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all’originario creditore-cedente, e l’esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all’adempimento della prestazione, non venendogli invece trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito.
1970
L’8 settembre esce la sentenza della Cassazione n.1330 alla cui stregua il consenso del contraente ceduto, indispensabile alla cessione del contratto, oltre che in forma espressa può anche essere tacito al pari del consenso degli altri due contraenti la cessione, salvo che per il contratto base ceduto sia necessaria una forma particolare che, in simili ipotesi, va adottata da tutte le parti della cessione, compreso il contraente ceduto in sede di manifestazione del proprio consenso.
1973
*Il 15 giugno esce la sentenza della Cassazione n.1758 alla cui stregua il consenso del contraente ceduto, indispensabile alla cessione del contratto, oltre che in forma espressa può anche essere tacito al pari del consenso degli altri due contraenti la cessione.
1975
Il 29 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.3645 che assume incedibile il contratto ad effetti reali dacché la cessione ex art.1406 c.c. presuppone contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite mentre nel caso, ad esempio, della compravendita già con il solo consenso (e, dunque, uno actu) il venditore trasferisce la proprietà della cosa al compratore, residuando il relativo credito al prezzo cui corrisponde il pertinente debito in capo al compratore, potendo essere allora oggetto di cessione non già l’intera posizione contrattuale, quanto piuttosto il solo credito al prezzo dal lato del venditore ed il solo corrispondente debito (giusta accollo a terzi) dal lato del compratore.
1978
Il 27 luglio viene varata la legge n. 392, alla stregua del cui articolo 36 se la locazione ha ad oggetto immobili urbani adibiti ad uso diverso dall’abitazione (c.d. locazione commerciale), il conduttore che cede o loca l’azienda può cedere anche il contratto di locazione senza il consenso del locatore (in questo caso, ceduto), semplicemente dandogliene comunicazione con raccomandata con avviso di ricevimento, potendo il locatore ceduto opporsi per gravi motivi nei successivi 30 giorni e, in caso di mancata opposizione, potendo agire contro il vecchio conduttore cedente nel caso in cui il nuovo conduttore cessionario non adempia alle obbligazioni assunte, salvo il caso in cui abbia liberato il vecchio conduttore cedente. La cessione si configura dunque, rispetto a quella ordinaria, bilaterale e non trilaterale, il consenso del locatore ceduto rilevando solo come condizione che sospende gli effetti di una cessione già perfezionatasi tra vecchio conduttore commerciale cedente e nuovo conduttore commerciale cessionario; tale aspetto viene controbilanciato dalla mancata liberazione del conduttore cedente per le obbligazioni nei confronti del locatore ceduto (in sostanza, il pagamento dei canoni), come invece accadrebbe laddove si applicasse la disciplina generale di cui all’art.1408 c.c.
1980
Il 23 aprile esce la sentenza della Cassazione n.2674 che pur affermando in linea di massima incedibile il contratto ad effetti reali – dacché la cessione ex art.1406 c.c. presuppone contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite mentre nel caso, ad esempio, della compravendita già con il solo consenso (e, dunque, uno actu) il venditore trasferisce la proprietà della cosa al compratore, residuando il relativo credito al prezzo cui corrisponde il pertinente debito in capo al compratore, potendo essere allora oggetto di cessione non già l’intera posizione contrattuale, quanto piuttosto il solo credito al prezzo dal lato del venditore ed il solo corrispondente debito (giusta accollo a terzi) dal lato del compratore – palesa tuttavia qualche dubbio in ordine alla possibile configurabilità della cessione anche in queste peculiari fattispecie.
1991
Il 13 maggio viene varato il decreto legge n.152 recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa. Importante l’art.22, comma 2, alla cui stregua – giusta modifica dell’art.18 della legge n.55 del 1990 – viene previsto che in tema di appalto di lavori pubblici il contratto non può essere ceduto, a pena di nullità della cessione eventualmente disposta.
Il 10 luglio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.7676 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
Il 12 luglio viene varata la legge n.203 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.152 e che, nell’introdurre nell’art.22 un comma 2.bis, abroga l’art.334 della legge n.2248 del 1865, allegato F, stante la ormai disposta nullità di qualunque cessione del contratto di appalto di opera pubblica di cui all’art.18 della legge n.55 del 1990. Trattandosi di norma in materia di appalto di lavori pubblici, la dottrina si chiede se la medesima nullità possa predicarsi laddove ad essere ceduto sia un contratto di pubbliche forniture o di pubblici servizi, approdando ad una soluzione negativa e dunque predicando la libera cedibilità di tali contratti, seppure con il consenso della PA ceduta secondo l’ordinario regime di cui all’art.1406 c.c., rappresentando come la PA possa in effetti negare il consenso alla cessione ogni qual volta il cessionario difetti dei requisiti generali per essere contraente di un’Amministrazione ovvero di quelli specifici richiesti dal contratto cedendo come condizione per partecipare alla pertinente procedura selettiva di evidenza pubblica, risultando tali elementi di valutazione dalla legge ovvero dal singolo contratto oggetto di cessione; ciò a differenza della giurisprudenza che invece si orienta nel senso di applicare anche agli appalti pubblici di forniture e di servizi, per analogia, l’art.18 della legge n.55.90 in tema di incedibilità assoluta del contratto sotto pena di nullità.
1992
Il 24 giugno esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n.7752 che pur affermando in linea di massima incedibile il contratto ad effetti reali – dacché la cessione ex art.1406 c.c. presuppone contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite mentre nel caso, ad esempio, della compravendita già con il solo consenso (e, dunque, uno actu) il venditore trasferisce la proprietà della cosa al compratore, residuando il relativo credito al prezzo cui corrisponde il pertinente debito in capo al compratore, potendo essere allora oggetto di cessione non già l’intera posizione contrattuale, quanto piuttosto il solo credito al prezzo dal lato del venditore ed il solo corrispondente debito (giusta accollo a terzi) dal lato del compratore – palesa tuttavia qualche dubbio in ordine alla possibile configurabilità della cessione anche in queste peculiari fattispecie. La pronuncia si sofferma anche sul diverso aspetto della immodificabilità dei contenuti del contratto oggetto di cessione, giacché per la Corte il presupposto della cessione del contratto ex art.1406 c.c. è che il complesso giuridico oggetto di cessione resti immutato, atteso come il contenuto sostanziale della contrattazione sia rappresentato dalla sostituzione di uno dei soggetti del rapporto base con un terzo che subentra nel ridetto rapporto base e nella titolarità dei diritti e degli obblighi che lo compendiano.
1996
*Il 24 gennaio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.537 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
Il 01 agosto esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n. 6936 che ammette la configurabilità di un accollo meramente interno, ancorché non previsto dal codice civile, quale atto di autonomia negoziale meritevole di tutela. Tale ammissione della giurisprudenza spiega effetti anche sulla cessione del contratto, consentendo di configurarne lo schema anche in termini atomistici, quale cessione di crediti e accollo di debiti tra contraente originario cedente e nuovo contraente cessionario, giacché sul crinale passivo il mancato consenso del contraente (creditore) ceduto implica la natura meramente interna – e non già esterna – dell’accollo tra originario contraente (debitore) cedente e nuovo contraente (debitore) cessionario.
1997
*Il 9 dicembre esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.12454 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
1999
*Il 26 maggio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.5102 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
Il 21 dicembre viene varato il D.p.R. n.554, recante regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, il cui art.231 abroga l’art.39 della legge n.2248 del 1865, allegato F.
2000
Il 2 febbraio esce la sentenza della sezione II della Cassazione n.1133 alla cui stregua è da escludere che vi siano automatismi tra cessione dell’azienda e cessione del contratto di locazione ex art.36 della legge 392.78, come è invece previsto per tutti gli altri contratti inerenti all’azienda dall’art.2558 c.c., dacché il contratto di locazione può (ma non deve automaticamente) essere ceduto dal vecchio conduttore commerciale al nuovo conduttore commerciale, pur configurandosi, come precisa la dottrina, un collegamento negoziale rilevante tra cessione o locazione di azienda e cessione del contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, ove disposta.
*Il 13 aprile esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.4802 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
Il 2 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 7319 che afferma convintamente possibile la cessione del contratto anche al cospetto di contratti ad effetti reali sulla scorta del c.d. consenso traslativo; per la Corte l’ambito dell’istituto della cessione del contratto ex art.1406 c.c., che pure fa letteralmente riferimento ai contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite, è da assumersi estendibile anche ai contratti unilaterali (con obbligazioni a carico di una sola parte) e ai contratti c.d. ad effetti reali nei quali ultimi è il consenso delle parti legittimamente manifestato (art.1376 c.c.) a fondare la trasmissione della proprietà o comunque l’acquisto del diritto, giacché anche in simili fattispecie la posizione contrattuale delle parti non si presta ad essere riguardata nei soli termini del debito o del credito isolatamente considerati, quanto piuttosto appunto come posizione contrattuale globalmente intesa e connotata da aspetti di complessità tali da giustificare il ricorso ad una disciplina diversa da quella prevista, in termini atomistici, dagli articoli 1260 e seguenti (cessione del credito) e 1268 e seguenti (ambulatorietà del debito) del codice civile.
2001
*Il 19 aprile esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.5817 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
2002
*Il 23 gennaio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.741 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
Il 20 settembre esce la sentenza della Sezione II della Cassazione n. 13746 che ammette la configurabilità di un accollo meramente interno, ancorché non previsto dal codice civile, quale atto di autonomia negoziale meritevole di tutela. Tale ammissione della giurisprudenza spiega effetti anche sulla cessione del contratto, consentendo di configurarne lo schema anche in termini atomistici, quale cessione di crediti e accollo di debiti tra contraente originario cedente e nuovo contraente cessionario, giacché sul crinale passivo il mancato consenso del contraente (creditore) ceduto implica la natura meramente interna – e non già esterna – dell’accollo tra originario contraente (debitore) cedente e nuovo contraente (debitore) cessionario.
2003
*Il 15 febbraio esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.2311 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo.
L’11 giugno esce l’importante sentenza della III sezione della Cassazione n.9374 in tema di cessione del contratto di locazione ex latere locatoris, che la Corte assume ammissibile anche senza la contestuale alienazione della cosa locata, così ammettendo la scissione tra la figura di proprietario della res (che resta il cedente) e quella di locatore (che diventa il cessionario). La Corte muove dall’orientamento secondo il quale per essere locatore non è necessario essere anche contestualmente proprietario della cosa locata, ovvero comunque titolare su di essa di altro diritto reale (per lo più) immobiliare, palesandosi piuttosto sufficiente avere la disponibilità (possessoria) di tale res locata in virtù di un titolo giuridico che non sia contrario a norme imperative, ed essere dunque in grado di trasferirne la detenzione ed il godimento al conduttore; proprio sulla scorta di tale orientamento la Corte ammette dunque la cessione del contratto di locazione per iniziativa del locatore che, per essere valida ed efficace, non può tuttavia essere dissociata dal contestuale trasferimento, nei confronti del cessionario, della stessa posizione giuridica della quale il cedente è titolare rispetto alla res, potendo quegli trasferire al cessionario la posizione di locatore e contestualmente assicurare al conduttore ceduto il godimento della res, tale posizione legittimante alla cessione non dovendo necessariamente compendiarsi nella proprietà o in altro diritto reale, e potendo piuttosto procedere a locare anche il comodatario – ex art.1804, comma 2, c.c. – con il consenso del comodante, ovvero lo stesso conduttore che, come noto, è legittimato a sublocare e dunque a farsi lui locatore pur non essendo il proprietario della res locata. A valle della cessione, il cessionario – che ha acquisito il titolo legittimante a farsi locatore dal cedente – è in grado per la Corte di continuare a far godere la res al conduttore il quale ultimo, per parte sua, non vede peggiorato il proprio status dinanzi ad un locatore che, quand’anche non dominus, è comunque titolare di una posizione legittimante alla locazione. Per la Corte anche il locatore può dunque procedere, di propria iniziativa, a cedere il contratto di locazione, purché tuttavia (quand’anche non proprietario) abbia la disponibilità giuridica della res locata sulla scorta di un titolo, in eventuale difetto del quale realizzandosi una fattispecie patologica che non potrebbe essere sanata dall’eventuale consenso prestato dal conduttore ceduto.
Il 18 luglio vede la luce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11240 che si occupa dell’ipotesi in cui su una fattispecie di collegamento negoziale e dunque di assetto di interessi globalmente inteso, siccome divisato dalle parti dei contratti collegati, venga ad incidere una cessione del contratto, con possibilità di una alterazione del ridetto assetto di interessi. Il problema si pone alla Corte in un caso di leasing finanziario che coinvolge concedente (lessor) ed utilizzatore (lessee) e che è collegato ad un contratto c.d. di flessibilità avente ad oggetto un patto di riscatto anticipato e che consente all’utilizzatore di acquisire subito il bene riscattandolo immediatamente; nel caso di specie, a cedere il contratto è il lessor, che tuttavia non cede anche il collegato contratto di flessibilità, sicché quando l’utilizzatore (ceduto) chiede al nuovo lessor (cessionario) il riscatto anticipato, quegli si oppone. La Corte, chiamata a risolvere il caso, premette che il collegamento negoziale non fa luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, configurando piuttosto un meccanismo giusta il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso realizzato non già attraverso un contratto isolato, quanto piuttosto mediante una pluralità di contratti coordinati tra loro che conservano una propria causa autonoma; nella fattispecie, i canoni periodici a carico dell’utilizzatore hanno una consistenza tale da rappresentare dal punto di vista economico, rate di prezzo corrispondenti al valore capitale del bene concesso in leasing, onde – pur trovandosi al cospetto di contratti formalmente autonomi – il lessor originario e l’utlilizzatore hanno avvinto con un collegamento il contratto di leasing e quello c.d. di flessibilità (con possibilità di riscatto anticipato del bene da parte dell’utilizzatore). Proprio per questo motivo, per la Corte trova nel caso di specie applicazione il principio onde le vicende di un contratto si comunicano necessariamente all’altro, onde sullo specifico crinale della cessione è impossibile cedere il contratto di leasing indipendentemente da quello, collegato (c.d. contratto di flessibilità), che prevede il diritto dell’utilizzatore di chiedere il riscatto anticipato. Per la Corte, la cessione del solo contratto di leasing, operando la scissione del godimento della proprietà (dal lessor cedente a quello nuovo cessionario), altererebbe le modalità di esercizio del patto di riscatto ed inciderebbe sulla posizione dell’utilizzatore ceduto al punto che il medesimo, pur dopo aver esercitato nei confronti del lessor cedente il riscatto ed avere per conseguenza acquistato la proprietà del bene, dovrebbe comunque continuare a pagare i canoni di godimento al lessor cessionario. In sostanza, la Corte sembra dire che laddove il contratto oggetto di cessione sia collegato ad altre posizioni contrattuali, il fatto che si tratti di una realtà giuridica complessa finisce con l’incidere sull’intera operazione, sia in termini di acquisizione del consenso globale del contraente ceduto, sia in termini di cessione globale dei contratti tra loro collegati, a differenza del caso di specie in cui, pur al cospetto di un conclamato collegamento negoziale, è stata ceduta solo una delle posizioni contrattuali “frazione” dell’operazione complessa frutto del collegamento ridetto. In sostanza dunque in presenza di negozi collegati il principio di immutabilità dell’oggetto della cessione sembra coinvolgere non già ciascun singolo contratto collegato ad altri, quanto piuttosto l’intera gamma dei contratti base stipulati in connessione tra loro.
2004
Il 15 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5244 che – uniformandosi alla giurisprudenza maggioritaria – afferma la natura plurilaterale (e precisamente trilaterale) della cessione del contratto, senza che possa predicarsene piuttosto la struttura contrattuale bilaterale con efficacia subordinata al consenso del terzo contraente ceduto. Per la Corte, che segue espressamente la dottrina più accreditata, la cessione del contratto va configurata non come contratto bilaterale con efficacia subordinata al consenso del terzo, bensì come contratto plurilaterale, precisamente con tre parti.
2006
Il 10 marzo esce l’ordinanza della Corte costituzionale n. 95 che si sofferma sulla distinzione tra cessione del credito e cessione del contratto, assumendole non comparabili tra loro. Per la Corte, nel caso di specie le questioni sollevate relativamente all’art. 1260, comma 1, cod. civ. ed agli artt. 58, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, e 4, comma 1, della legge n. 130 del 1999 sono manifestamente infondate sotto tutti i profili prospettati dal rimettente, dal momento appunto che il diritto di credito costituisce un bene, come tale idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei relativi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto (assunta come tertium comparationis) presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, in capo ad entrambe le parti di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive, e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare (anche) delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente.
Il 12 dicembre esce la sentenza delle SSUU n.26420 alla cui stregua – con riguardo al pubblico impiego – la mobilità volontaria prevista dall’art. 33 d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, come modificato dall’art. 16 l. 28 novembre 2005 n. 246, integra una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del contratto, onde è da assumersi illegittima la pretesa di un nuovo patto di prova nell’Amministrazione di destinazione, ove il patto di prova sia stato già superato nell’Amministrazione di provenienza.
Il 12 aprile viene varato il decreto legislativo n.163 recante codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE che, proprio per attuare le ridette Direttive, prevede esplicitamente anche in tema di contratti pubblici di forniture e di servizi all’art.118 la incedibilità della posizione contrattuale di appaltatore sotto pena di nullità.
2007
*Il 16 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 6157 che – uniformandosi alla giurisprudenza maggioritaria – afferma la natura plurilaterale (e precisamente trilaterale) della cessione del contratto, senza che possa predicarsene piuttosto la struttura contrattuale bilaterale con efficacia subordinata al consenso del terzo contraente ceduto.
Il 20 aprile esce la sentenza della Sezione III della Cassazione n.9486 alla cui stregua, in tema di cessione o locazione di azienda e di connessa cessione (da parte del conduttore) del contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo di cui all’art.36 della legge n.392 del 1978, è vero che il contraente ceduto (il locatore) può opporsi alla cessione, ma tale opposizione è condizionata alla sussistenza di gravi motivi e deve avvenire entro 30 giorni dalla ricevuta comunicazione della cessione, contestuale alla alienazione o locazione di azienda; peraltro il dissenso del ceduto non incide, dal punto di vista strutturale, sulla bilateralità (e non trilateralità, come normalmente avviene nelle fattispecie di cessione ordinarie di cui all’art.1406 c.c.) della cessione della locazione, che deve intendersi già conclusa con l’accordo tra cedente (vecchio conduttore commerciale) e cessionario (nuovo conduttore commerciale), tale dissenso valendo solo come vicenda idonea ad eliminare gli effetti della ridetta, già perfezionata cessione nei confronti del contraente ceduto (il locatore); la cessione, già perfezionatasi a livello bilaterale, va dunque intesa – dal punto di vista della opponibilità dei relativi effetti al ceduto – condizionata all’invio della comunicazione formale ed alla mancata opposizione nei termini e per gravi motivi da parte del ceduto medesimo. La Corte precisa che, in caso di opposizione da parte del contraente ceduto, ove in sede giudiziaria essa venga assunta fondata (essendosene riscontrati i gravi motivi di supporto), essa costituisce comunque vicenda successiva estranea al negozio originario, prospettandosi come tale solo funzionale, ex post, all’elisione di un effetto negoziale già prodottosi giusta accordo tra cedente e cessionario.
*Il 19 novembre esce la sentenza della I sezione della Corte d’Appello di Roma che – uniformandosi alla giurisprudenza maggioritaria della Cassazione – afferma la natura plurilaterale (e precisamente trilaterale) della cessione del contratto, senza che possa predicarsene piuttosto la struttura contrattuale bilaterale con efficacia subordinata al consenso del terzo contraente ceduto.
Il 13 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.26234 alla cui stregua, in caso di cessione (o affitto) di azienda, il collegamento con la cessione del contratto di locazione di immobile urbano ad uso commerciale è frutto di una presunzione legale onde non è ammissibile derogare all’art.36 della legge 392 del 1978 per assumere applicabile la disciplina generale di cui all’art.1408 c.c. (che libererebbe il conduttore cedente dall’obbligazione avente ad oggetto i canoni), e ciò neppure allorché la cessione del contratto di locazione di immobile urbano commerciale abbia una importanza economica trascurabile rispetto alla cessione di azienda, pure in questa fattispecie non potendo dunque il locatore ceduto opporsi alla cessione del contratto di locazione se non in presenza di gravi motivi, ma potendo nondimeno sempre contare sul persistere dell’obbligazione per canoni anche in capo al cedente (oltre che ovviamente al cessionario). Per la Corte infatti in caso di affitto di azienda e di contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile urbano nel quale l’azienda è esercitata, non può ritenersi che – laddove gli aspetti della cessione di azienda prevalgano su quelli tipici della locazione immobiliare – l’intero contratto debba essere assoggettato all’art.1408 c.c. piuttosto che all’art.36 della legge 392.78, dovendo piuttosto affermarsi che laddove la locazione immobiliare costituisca una parte (pur minima) di un’azienda, il locatore non può opporsi (alla sublocazione o) alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione di azienda, potendo in compenso contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone nel caso di pertinente inadempimento del cessionario (salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo). Trattasi, precisa la Corte, di un principio che vale soltanto per il corrispettivo della locazione immobiliare, quale unico aspetto che interessa il locatore dell’immobile, e non per quanto concerne la parte del canone di affitto di azienda che si riferisce al godimento di altri beni o diritti che compongono l’azienda medesima.
2008
*Il 20 febbraio esce la sentenza della Corte d’Appello di Genova alla cui stregua il consenso del contraente ceduto, indispensabile alla cessione del contratto, oltre che in forma espressa può anche essere tacito al pari del consenso degli altri due contraenti la cessione, salvo che per il contratto base ceduto sia necessaria una forma particolare che, in simili ipotesi, va adottata da tutte le parti della cessione, compreso il contraente ceduto in sede di manifestazione del proprio consenso.
*Il 21 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7686 alla cui stregua è da escludere che vi siano automatismi tra cessione dell’azienda e cessione del contratto di locazione ex art.36 della legge 392.78, come è invece previsto per tutti gli altri contratti inerenti all’azienda dall’art.2558 c.c., dacché il contratto di locazione può (ma non deve automaticamente) essere ceduto dal vecchio conduttore commerciale al nuovo conduttore commerciale, pur configurandosi, come precisa la dottrina, un collegamento negoziale rilevante tra cessione o locazione di azienda e cessione del contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, ove disposta.
2011
Il 28 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.22522 alla cui stregua la cessione del contratto, realizzando una successione a titolo particolare nel rapporto giuridico contrattuale, giusta sostituzione di un nuovo soggetto (cessionario) nella posizione giuridica attiva e passiva di uno degli originari contraenti (cedente), comporta anche il trasferimento del vincolo nascente dalla clausola compromissoria con la quale le parti originarie si siano impegnate a deferire ad arbitri rituali ogni e qualsiasi controversia insorta tra le parti circa l’attuazione, l’interpretazione e la risoluzione del contratto.
Il 18 novembre esce la sentenza della sezione tributaria della Cassazione n.24252 onde – in tema di compravendita – la cessione da parte del venditore del patto di riscatto, subordinata al consenso del contraente ceduto, è valida anche quando abbia ad oggetto appunto la posizione del venditore che abbia già ricevuto il pagamento del prezzo e ciò in quanto l’effetto del principio consensualistico può lasciare persistere le ulteriori obbligazioni principali (nella specie, la consegna) ed accessorie, nonché i diritti potestativi, quale, appunto, il diritto di riscatto, la cui permanenza rende la sostituzione soggettiva consentita e non irrilevante per l’ordinamento, giustificando il ricorso ad una disciplina diversa da quella dettata dagli art. 1261 e seguenti (cessione del credito) e 1268 seguenti (delegazione, espromissione e accollo) del codice civile.
2012
L’11 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11643 alla cui stregua, in tema di leasing immobiliare (sia esso traslativo o finanziario), deve escludersi che l’esercizio da parte dell’utilizzatore dei diritti derivanti dai rapporti di locazione aventi ad oggetto gli immobili ad esso concessi in godimento richieda la prova della intervenuta cessione dei relativi contratti, con il consenso dei conduttori, ovvero della gestione dei rapporti stessi da parte dell’utilizzatore in nome e per conto del concedente, non risultando sufficiente, al predetto fine, la mera stipulazione del contratto di leasing e neppure la concreta gestione dei rapporti di locazione da parte dell’utilizzatore; deve piuttosto assumersi per la Corte che è la stessa funzione del contratto, imperniato sull’attribuzione della disponibilità del bene concesso in uso, ad escludere la necessità della predetta cessione, implicando l’esercizio in proprio da parte dell’utilizzatore dei diritti derivanti dai contratti di locazione, nonché l’assunzione dei relativi obblighi. Nel caso di specie la Corte, in applicazione di tale principio, cassa il decreto del tribunale che ha rigettato l’opposizione allo stato passivo, proposta da una società succeduta a quella fallita nei contratti di locazione, in virtù di un contratto di leasing, relativa alla domanda di ammissione al passivo per la somma pari all’importo dei depositi cauzionali versati dai conduttori, ritenendo necessaria la prova dell’intervenuta cessione dei relativi contratti con il consenso dei conduttori medesimi, ovvero della gestione dei rapporti stessi da parte dell’utilizzatrice in nome e per conto della concedente.
Il 3 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.14105 alla cui stregua in un contratto preliminare di compravendita immobiliare, la clausola con cui il promissario acquirente si impegna ad acquistare per sé o per persona da nominare comporta la configurabilità o di una cessione del contratto, ai sensi dell’art. 1406 ss. c.c., con il preventivo consenso alla cessione a norma dell’art. 1407 c.c., o di un contratto per persona da nominare, di cui all’art. 1401 c.c., e ciò sia in ordine allo stesso preliminare che con riferimento al contratto definitivo, o, infine, di un contratto a favore del terzo, ai sensi dell’art. 1411 c.c., mediante la facoltà di designazione concessa all’uopo al promissario fino alla stipulazione del definitivo; tale pluralità di configurazioni giuridiche in relazione al regolamento dell’intervento di terzi nella fattispecie contrattuale – preliminare o definitiva – va, tuttavia, riferita necessariamente al contenuto effettivo della volontà delle parti contraenti che l’interprete deve per la Corte ricercare in concreto, anche in correlazione alla funzione – invalsa nella pratica quotidiana degli affari – di impiegare il contratto preliminare per la disciplina intertemporale dei rapporti contrattuali delle parti, al di fuori di una coincidenza (se non meramente nominale) con gli schemi tipici approntati dal legislatore.
2014
Il 19 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n.3916 alla cui stregua, poiché l’appalto è un contratto a forma libera, la relativa cessione può desumersi dalla volontà comunque manifestata dalle parti.
Il 27 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.11832 onde, ai sensi dell’art. 1406 c.c. la cessione del contratto, che realizza un negozio plurilaterale, si perfeziona con l’accordo di tutti gli interessati (cedente, cessionario e ceduto); più in specie, per la Corte mentre è indifferente il mutamento della persona del creditore, il mutamento della persona del debitore può ledere l’interesse del creditore, il quale, laddove ne difetti il consenso, può far dichiarare l’inefficacia della cessione.
2016
Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, nuovo codice dei contratti pubblici, il cui art.106 – in tema di modifica di contratti durante il periodo di efficacia – al comma 1 prevede che le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità debbono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende, potendo tuttavia tanto nei settori ordinari quanto nei settori speciali intervenire una modifica dei contratti di appalto senza che occorra una nuova procedura di affidamento soltanto in ipotesi tassative tra le quali quella enunciata nella lettera d), e dunque allorché un nuovo contraente sostituisca quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto a causa di una delle seguenti circostanze: 1) una clausola pertinente di revisione (soggettiva) inequivocabile, che dunque può espressamente autorizzare la cessoine circondandola delle necessarie cautele; 2) all’aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del codice; 3) nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei relativi subappaltatori. Alla stregua del successivo comma 4 poi, una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della relativa efficacia e’ considerata sostanziale quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti, in ogni caso assumendosi una modifica sostanziale in presenza di determinate condizioni, tra le quali quella identificata con la lettera d) e configurabile quando un nuovo contraente sostituisca quello cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore aveva inizialmente aggiudicato l’appalto in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lettera d). Una modifica sostanziale del contratto stipulato con l’aggiudicatario, anche se soggettiva e dunque derivante dal subentro di un altro contraente in luogo del ridetto aggiudicatario, impone dunque di regola una nuova gara.
Il 31 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.11247 onde, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 del decreto legislativo n. 276 del 2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la relativa capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente, indipendentemente dal contratto di fornitura di servizi che, venga contestualmente stipulato tra le parti; incombe allora per la Corte su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c., che derogano al principio del necessario consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza dei relativi requisiti di operatività.
Il 15 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14442 alla cui stregua – dichiarata la simulazione di una cessione di ramo di azienda, siccome dissimulante la cessione di un contratto di locazione immobiliare, tale ultimo negozio non solo è invalido nei confronti del terzo ceduto (locatore), ma è privo di effetti anche nei rapporti tra cedente e cessionario, non potendo ritenersi per la Corte perfezionata – in difetto di consenso del locatore – la fattispecie disciplinata dagli art. 1406 e 1594, comma 1, c.c., stante la relativa struttura trilaterale, né essendo tale consenso ravvisabile nel comportamento tacito di costui rispetto alla cessione ex art. 36 della legge n. 392 del 1978 comunicatagli dal conduttore, sicché il cessionario ha diritto alla ripetizione del prezzo della cessione in quanto prestazione riferibile al contratto dissimulato e, dunque, priva di causa giustificativa.
L’11 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.20417 alla cui stregua, in tema di trasferimento di azienda, nel caso in cui l’oggetto del trasferimento non riguardi l’intera azienda, bensì solo un ramo di essa, il principio della sorte comune dei beni unitariamente organizzati per l’esercizio dell’impresa non soffre eccezione alcuna, con la conseguenza che i rapporti riferibili al ridetto ramo – ossia quelli per loro natura oggettivamente determinabili, in ragione della riconoscibile destinazione funzionale all’esercizio del settore di attività imprenditoriale ad essi strettamente collegato – devono assumersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, salvo si tratti di beni personali o che le parti abbiano proceduto alla determinazione dei singoli beni o rapporti non destinati alla successione, a tal fine potendo eventualmente anche provvedere alla comprensiva indicazione di tutti i rapporti contrattuali per loro natura oggettivamente e riconoscibilmente strumentali all’esercizio del settore di attività imprenditoriale conservato dal cedente (art. 2558 c.c.). La Corte nel caso di specie statuisce su un giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni derivanti da un contratto di leasing di un autocarro, laddove a sostegno dell’opposizione si afferma che il contratto è stato originariamente stipulato da un terzo il quale ha dipoi ceduto la propria azienda (comprensiva del predetto contratto di leasing) ad un diverso soggetto, che ha a propria volta trasferito un ramo d’azienda alla società opponente, con la conseguenza onde oggetto della controversia è se per effetto del secondo trasferimento di ramo d’azienda la società opponente (acquirente del ramo) sia o meno subentrata nel contratto di leasing già trasferitosi in capo al cedente in conseguenza del primo trasferimento d’azienda, tenuto conto che nella scrittura privata autenticata di cessione del ramo d’azienda il contratto di leasing in questione non è stato menzionato e che il contratto medesimo contiene previsioni che ne vietano la cessione senza il consenso della società concedente. La Corte conferma l’applicabilità dell’art. 2558 c.c. anche nel caso in cui oggetto di trasferimento non sia l’intera azienda, ma solamente un pertinente ramo, soffermandosi sulla valutazione dell’inerenza di un contratto ad un determinato ramo d’azienda.
2017
Il 3 gennaio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.49 onde, a seguito della istituzione delle autorità portuali, che succedono alle preesistenti organizzazioni portuali secondo la disciplina dettata dalla l. n. 84 del 1994, il personale già dipendente da dette organizzazioni è trasferito ex lege ai nuovi organismi che pertanto devono per la Corte ritenersi, inderogabilmente, gli esclusivi titolari dei relativi rapporti di lavoro, a prescindere dalla ricorrenza degli elementi tipici di meccanismi negoziali quali la cessione del contratto ed il trasferimento d’azienda.
Il 4 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 8676 alla cui stregua le convenzioni stipulate dalla regione Calabria con le università calabresi, ai sensi dell’art. 11, comma 3, della legge regionale n. 9 del 2007 per disciplinare il trasferimento alle università delle funzioni già svolte dalle aziende regionali per il diritto allo studio universitario (Ardis), costituiscono accordi rilevanti ed efficaci soltanto nei rapporti tra le parti stipulanti, come tali opponibili ai terzi solo se da questi conosciute ed accettate.
Il 23 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.12919 onde, nelle ipotesi di cessione d’azienda si realizza, con riferimento alla posizione del lavoratore, una successione legale nel contratto che non richiede il consenso del lavoratore medesimo in veste di ceduto, il quale potrà eventualmente esercitare, in un secondo momento, il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dal comma 4 dell’art. 2112 c.c.
Il 25 luglio esce l’ordinanza della sezione lavoro della Cassazione n. 18299 alla cui stregua, in caso di passaggio diretto di dipendenti da un Ministero ad un altro ex art. 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, riconducibile alla cessione del contratto di cui agli art. 1406 e seguenti del codice civile, vige la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell’Amministrazione cessionaria, non giustificandosi diversità di trattamento – salvi gli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito – tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza; ne consegue che i menzionati assegni sono destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’amministrazione cessionaria.
Il 29 novembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 28490 alla cui stregua la clausola attributiva della competenza territoriale esclusiva è opponibile dal debitore ceduto al cessionario del credito nascente dal contratto in cui detta clausola sia inserita, alla stregua di ogni altra eccezione opponibile all’originario creditore; essa pertanto prevale sul criterio di radicamento territoriale riferito al domicilio del cessionario quale luogo di adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
2018
Il 6 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 17727 alla cui stregua va data continuità a quanto già statuito dalla sentenza 776/1967, secondo cui mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell’altro contraente, dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all’originario creditore-cedente, e l’esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all’adempimento della prestazione, non venendogli invece trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito. Va ribadito per il Collegio che nella cessione del contratto, disciplinata dagli artt. 1406 e seguenti del codice civile, si verifica una sostituzione nella figura di “parte” di un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite; sostituzione che è totale, in quanto il cedente viene completamente estromesso dalla titolarità del rapporto, che, invece, viene conseguita dal cessionario, il quale sarà l’unico legittimato a ricevere la prestazione e ad avvalersi dei rimedi contrattuali, in quanto tenuto a propria volta ad eseguire una prestazione a favore del contraente ceduto; nella cessione del credito, invece, disciplinata dagli artt. 1260 e seguenti del medesimo codice, il trasferimento, anche se il credito nasce da contratto, ha per oggetto solo il credito in quanto tale, e la sostituzione riguarda unicamente la posizione di “creditore“; ne consegue che il cessionario del credito, non essendo anche parte del contratto costitutivo del credito stesso, non può avvalersi di poteri connessi a tale posizione di parte, e quindi essere legittimato a proporre l’azione di risoluzione del contratto; riconoscere siffatta legittimazione al cessionario, che (come detto) non si inserisce in quel rapporto sinallagmatico che giustifica l’esperibilità dell’azione di risoluzione, significa per la Corte consentirgli una indebita ingerenza nella sfera giuridica del cedente, il quale invece, nonostante la cessione, è sempre parte del contratto originario; correttamente, pertanto, la Corte nella mentovata sentenza del 1967, ha evidenziato che, in caso di cessione di un credito avente fonte contrattuale, vi è una scissione tra la titolarità del rapporto contrattuale, che rimane al cedente, e la titolarità del diritto di credito ceduto, che invece viene trasmessa al cessionario, il quale acquista però solo i diritti e le azioni rivolti alla realizzazione del credito ceduto ed all’adempimento della prestazione, non anche le azioni contrattuali; come infatti già rilevato, la previsione dell’art. 1263 c.c., comma 1, in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli “altri accessori“, deve essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientra ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito, tra cui l’azione di adempimento dell’obbligazione ceduta (viene richiamata Cass.15.9.1999 n. 9823).
Il 13 luglio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.18536 alla cui stregua va riaffermato quale jus receptum il principio per cui, in mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la vendita (come la donazione) dell’immobile locato determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 cod. civ., la surrogazione, nel rapporto di locazione, del terzo acquirente (o del donatario), che dunque subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore-locatore senza necessità del consenso del conduttore (vengon richiamati i precedenti della Sez. 3, Sentenza n. 13833 del 09/06/2010; Sentenza n. 17488 del 09/08/2007; Sentenza n. 674 del 14/01/2005). La Corte precisa inoltre che la cessione del contratto di locazione dal c.d. lato attivo (cioè dal locatore ad un terzo) è fattispecie del tutto diversa dalla cessione del contratto di locazione dal c.d. lato passivo (cioè dal conduttore ad un terzo), per la quale è invece richiesto il consenso del locatore, quale contraente ceduto (art.1594 c.c. e art. 36 della legge n. 392/1978); più nel dettaglio, e come la Corte ha già avuto modo di affermare (viene richiamata la sentenza della Sez. 3 n. 674 del 14/01/2005), in difetto di una contraria volontà dei contraenti, la vendita dell’immobile locato determina la surrogazione, nel rapporto di locazione, del terzo acquirente che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore – locatore senza necessità del consenso del conduttore, con la conseguenza che quest’ultimo è tenuto, di regola, a pagare i canoni all’acquirente, nuovo locatore, dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell’immobile in una qualsiasi forma idonea, in applicazione analogica dell’art. 1264 cod. civ. in tema di cessione dei crediti (vengono richiamate Cass. 9/6/2010, n. 13833, 9/8/2007 n. 17488, 22/2/2008 n. 4588, 14/1/2005 n. 674, 5/8/1991, n. 8556). La ratio della disciplina della cessione del contratto dal lato passivo – prosegue la Corte – è quella dì consentire al locatore di potersi opporre alla cessione o alla sublocazione, in quanto, essendo la locazione un contratto a prestazioni corrispettive, assume rilievo determinante la figura del conduttore: per questo è richiesto il consenso del locatore alla cessione della locazione e/o alla sublocazione,la medesima ratio non ricorrendo invece nel caso di cessione del contratto di locazione dal c.d. lato attivo, che realizza una semplice cessione del credito, costituito dal pagamento dei canoni di locazione (con conseguente applicazione in via analogica del disposto di cui all’art.1260 c.c.): il conduttore conserva infatti integra la propria posizione nel rapporto contrattuale (rimanendo inalterati gli oneri e i doveri accessori nascenti dal contratto a carico del cessionario) e versa in una posizione di indifferenza giuridica rispetto al soggetto al quale deve pagare il canone di locazione. Il fatto che non sia necessario il consenso del conduttore ceduto si desume per la Corte, a contrariis, dalla stessa lettera dell’art. 1594 c.c.: se, in considerazione dell’intuitu personae che caratterizza il contratto di locazione, il conduttore non ha facoltà di cedere il contratto senza il consenso del locatore, ragionando a contrario, quest’ultimo ha facoltà di cedere il contratto ad altro soggetto, senza il consenso del conduttore, proprio perché al conduttore è giuridicamente indifferente chi sia il soggetto attivo del rapporto contrattuale destinatario del pagamento dei canoni (cosi come al locatore è giuridicamente indifferente che il conduttore eserciti il godimento della cosa direttamente ovvero sublocandola a terzi). Il regime che precede può peraltro, conclude la Corte, essere indubbiamente derogato dalla diversa volontà delle parti, cosa peraltro non accaduta nel caso deciso dalla Corte.
Il 3 ottobre esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 24122 che ribadisce il principio di diritto secondo cui la regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (art. 2112 cod. civ.) è confermata, per i dipendenti pubblici, dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 30, che, nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 16, co. l della legge n. 246 del 2005, riconduce in maniera espressa il passaggio diretto di personale da Amministrazioni diverse alla fattispecie di “cessione del contratto”(art. 1406 cod. civ.), stabilendo la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell’Amministrazione cessionaria, non giustificandosi diversità di trattamento, salvi gli assegni “ad personam” attribuiti al fine di rispettare il divieto di “reformatio in peius” del trattamento economico acquisito, tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza. Tale regola, comporta che i suddetti assegni “ad personam” siano destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’Amministrazione cessionaria.
Il 17 dicembre esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 32624 che, in tema di tema di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, ritiene detta procedura una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto, onde la giurisdizione sulla controversia ad essa relativa spetta al giudice ordinario, non venendo in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale e, dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 4.
2019
Il 9 gennaio esce la sentenza della sezione tributaria della Cassazione n. 345 che considera il diritto a beneficiare della prestazione professionale del calciatore, una utilità giuridica assolutamente suscettibile di valutazione economica e di circolazione, con riferimento alla quale non sussistono ragioni per escluderla dal novero delle immobilizzazioni strumentali e, quindi, dei beni correlati all’attività dell’impresa ex articolo 2424 bis c.c., in particolare dei beni immateriali; da qui la possibile applicazione della disciplina della cessione del contratto. Occorre inoltre avere ben presente che la cessione di un contratto è essa stessa un contratto che prescinde dalla natura onerosa o gratuita di quello ceduto, rispetto al quale ha una propria autonomia, tanto che quest’ultimo resta immutato negli elementi oggettivi essenziali, cambiando solo dal lato soggettivo.
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Il 29 marzo esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 8922 che distingue la successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi e il trasferimento di azienda, in quanto fattispecie non automaticamente sovrapponibili. E ciò perché la prima integra la seconda, regolata dall’art. 2112 c.c., soltanto qualora sia accertato in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti; altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, terzo comma d.Ig. 276/2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Direttiva n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda. Sicchè non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante
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Il 6 giugno esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 15371 onde l’art. 30 d.lgs. n. 165/2001, riconducendo il passaggio di personale da Amministrazioni diverse alla fattispecie della cessione del contratto, comporta per i dipendenti trasferiti l’applicazione del trattamento giuridico ed economico previsto dagli accordi collettivi dell’Amministrazione cessionaria, salvi gli assegni ad personam erogati in conformità al divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito. Tali assegni sono tuttavia destinati ad essere via via assorbiti in ragione di eventuali futuri aumenti retributivi previsti dal CCNL applicato all’Amministrazione cessionaria.
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Il 7 agosto esce la sentenza della III sezione del TAR Sicilia – sede di Palermo – n. 2068 Secondo cui l’art. 51 (“Vicende soggettive del candidato dell’offerente e dell’aggiudicatario”) del D.lgs. n. 163 del 2006 – analogamente alla speculare previsione di cui al successivo art. 116 che riguarda la fase di esecuzione del contratto – consente, ove si verifichi in corso di gara una vicenda modificativa sotto il profilo soggettivo afferente al candidato, offerente o aggiudicatario, che il nuovo soggetto succeda nella posizione del suo dante causa, ovvero di aspettativa legittima al conseguimento del bene della vita (aggiudicazione e/o conclusione del futuro contratto di appalto), previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante.
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Lo stesso giorno esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 21158 che affronta il problema “se dalle retribuzioni spettanti al lavoratore dal datore di lavoro, che abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo e che abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, sia detraibile quanto il lavoratore medesimo nello stesso periodo abbia percepito, pure a titolo di retribuzione, per l’attività prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente la non opponibilità della cessione al dipendente ceduto”. Infatti, una volta escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio, non trova applicazione il principio della compensati lucri cum damno su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento.
La sua soluzione richiede un’attenta disamina degli effetti realizzati dalla suddetta qualificazione di retribuzione di quanto spettante al lavoratore dal proprio originario datore di lavoro sul corrispettivo ricevuto per l’attività prestata dal soggetto alle dipendenze del quale, pure avendo offerto la propria prestazione al primo, abbia tuttavia continuato a lavorare. E ciò anche per dare conto di un’istintiva perplessità, in realtà frutto di un’equivoca suggestione, in ordine ad una presunta duplicazione indebita di retribuzione a fronte di un’unica attività prestata dal lavoratore, che così conseguirebbe una locupletazione non dovuta.
Giova allora chiarire subito come soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c. che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che l’unicità del rapporto venga meno qualora il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare.
D’altro canto, è insegnamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità che l’unicità del rapporto presupponga la legittimità della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c. Sicché, accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale). In sintesi, il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente.
Si potrebbe però obiettare come, a fronte di una duplicità di rapporti (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa), questa resti (apparentemente) unica. In proposito occorre invece osservare come, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve ne sia un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto.
Ed infatti, al dipendente la retribuzione spetta tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti. Una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva.
A tale proposito viene richiamato pure il tradizionale orientamento (formatosi antecedentemente alla modifica dell’art. 18 I. 300/1970 con la I. 108/1990) secondo il quale la pronuncia che dichiarava l’illegittimità del licenziamento e ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro faceva insorgere l’obbligo del datore, che non ottemperasse a tale ordine, di corrispondere la retribuzione dovuta, in ragione della riaffermata vigenza della lex contractus e della ininterrotta continuità del rapporto di lavoro, con la correlativa equiparazione, alla effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente, della mera utilizzabilità di esse, in relazione alla disponibilità del lavoratore a riprendere servizio.
La conseguenza che si è tratta è pure coerente con il diritto generale delle obbligazioni, che, non a caso, ha collocato, nel capo (II del Titolo I del libro IV) “Dell’adempimento delle obbligazioni”, la disciplina della mora del creditore (sezione III). Per comprensibili ragioni di diversa coercibilità, essa differenzia le obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni fungibili da quelle relative a prestazioni infungibili (cui evidentemente appartengono quelle inerenti la prestazione di lavoro).
Sicché, per le prime la costituzione in mora credendi (e la conseguente offerta di restituzione) vale unicamente a stabilire il momento di decorrenza degli effetti della mora, specificamente indicati dall’art. 1207 c.c., ma non anche a determinare la liberazione del debitore, che la legge subordina (art. 1210 c.c.) all’esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido con sentenza passata in giudicato (Cass. 29 aprile 2014, n. 8711). Per le seconde, dovendo l’adempimento della prestazione di fare essere preceduto da atti preparatori, la cui esecuzione richiede la collaborazione del creditore, basta invece che il debitore, che intenda conseguire la liberazione dal vincolo, costituisca il primo in mora mediante l’intimazione prevista dall’art. 1217 c.c.: integrando insindacabile valutazione di merito l’accertamento della necessità della collaborazione del creditore, affinché il debitore possa adempiere la propria obbligazione di fare.
Dai principi di diritto su enunciati discende allora, siccome coerente precipitato logico-giuridico, che, mediante l’intimazione del lavoratore all’impresa cedente di ricevere la prestazione con modalità valida ai fini della costituzione in mora credendi del medesimo datore (il quale la rifiuti senza giustificazione), il debitore del facere infungibile abbia posto in essere quanto è necessario, secondo il diritto comune, per far nascere il suo diritto alla controprestazione del pagamento della retribuzione, equiparandosi la prestazione rifiutata alla prestazione effettivamente resa per tutto il tempo in cui il creditore l’abbia resa impossibile non compiendo gli atti di cooperazione necessari.
Sicché da quel momento l’attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale a quella che il lavoratore, bisognoso di occupazione, renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo: così come la retribuzione corrisposta da ogni altro datore di lavoro presso il quale il lavoratore impiegasse le sue energie lavorative si andrebbe a cumulare con quella dovuta dall’azienda cedente, parimenti anche quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un’attività resa nell’interesse e nell’organizzazione di questi, non va detratta dall’importo della retribuzione cui il cedente è obbligato. Né tale prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo esclude una valida offerta di prestazione all’originario datore (v. Cass. 8 aprile 2019, n. 9747), considerato che, una volta che l’impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi.
Acclarato che dopo la sentenza che ha dichiarato insussistenti i presupposti per il trasferimento del ramo d’azienda, in uno alla messa in mora operata del lavoratore, vi è l’obbligo dell’impresa (già) cedente di pagare la retribuzione e non di risarcire un danno, non vi è norma di diritto positivo che consenta di ritenere che tale obbligazione pecuniaria possa considerarsi, in tutto o in parte, estinta per il pagamento della retribuzione da parte dell’impresa originaria destinataria della cessione.
Le motivazioni della sentenza inducono la Corte al superamento di un primo orientamento di ritenuta detraibilità, dal credito retributivo spettante al lavoratore validamente offerente all’originario datore la propria prestazione ingiustificatamente rifiutata, della retribuzione percepita dal datore (già cessionario), sul presupposto dell’unicità di prestazione lavorativa e di obbligazione, con la qualificazione del relativo pagamento alla stregua di un adempimento del terzo, a norma dell’art. 1180 c.c..
Non sono applicabili le disposizioni contenute nel d. Igs. n. 276 del 2003 laddove all’art. 27, comma 2 (previsto in materia di somministrazione irregolare ma richiamato anche dall’art. 29, comma 3-bis, in tema di appalto illecito) stabilisce che “tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata“. Il meccanismo che consente l’incidenza liberatoria degli adempimenti comunque posti in essere dal somministratore o dall’appaltatore è stato richiamato dalla sentenza n. 2990 del 2018 delle Sezioni Unite limitatamente ai “pagamenti effettuati a vantaggio del soggetto che ha utilizzato effettivamente la prestazione“. Il testo delle disposizioni, che espressamente si riferisce alle fattispecie della somministrazione e dell’appalto, non ne consente l’applicazione diretta alla diversa ipotesi del trasferimento d’azienda. Il dato testuale che connette l’effetto liberatorio del pagamento esclusivamente in favore del soggetto che “ha effettivamente utilizzato la prestazione” esclude altresì ogni interpretazione estensiva (men che meno analogica) che consenta l’applicazione al caso della cessione di ramo d’azienda, ove l’impresa cedente, che dovrebbe beneficiare del pagamento altrui, non utilizza affatto la prestazione del lavoratore ceduto.
Vero è che i fenomeni interpositori rappresentati dalla somministrazione irregolare o dall’appalto illecito risultano strutturalmente incomparabili con le cessioni di ramo d’azienda dichiarate illegittime nei confronti del lavoratore ceduto. Nel primo caso il soggetto che ha utilizzato le prestazioni è il datore di lavoro reale al quale è imputabile la titolarità dell’unico rapporto, mentre nel secondo caso l’impresa cedente non è il soggetto che utilizza la prestazione, invece effettuata a vantaggio di una diversa organizzazione d’impresa che diventa titolare di un altro rapporto e che paga un debito proprio.
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Il 24 settembre esce l’ordinanza della sezione Lavoro della Cassazione n. 23781 che richiama il consolidato orientamento secondo cui il diritto agli sgravi contributivi ex art. 8, comma 4, e 25, comma 9, L. 223/91 va escluso ove tra le due imprese sia intervenuto un contratto di affitto del complesso dei beni aziendali, idoneo a configurare un trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c.; né rileva che la cessione sia avvenuta nell’ambito di una procedura fallimentare, in quanto il fallimento della società non determina, di per sé, il venir meno del bene giuridico “azienda” inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa.
Non assume rilievo ostativo il disposto dell’art. 47, comma 5, della I. n. 428 del 1990, che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento di azienda in crisi, disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza aver riguardo agli aspetti contributivi. Gli accordi previsti dall’art. 47 tendono a disciplinare, con l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c., la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, mentre il disposto dell’art. 8, comma 4 bis, legge n. 223 del 1991 ha riguardo ad una fattispecie distinta, che vede come destinatari per quanto attiene all’attribuzione dei contributi, l’Istituto previdenziale e le imprese, e dall’altro, per quanto attiene all’indennità di mobilità, lo stesso Istituto ed i singoli lavoratori posti in mobilità.
Corollario di un siffatto inquadramento ordinamentale è, dunque, l’impossibilità di assegnare nell’individuazione dell’ambito operativo del citato art. 8 della L.n. 223/1991 qualsiasi rilevanza al disposto del summenzionato art. 47 I. 428/1990.
La ratio dei benefici contributivi, di favorire l’occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro, opera quindi anche nella procedura fallimentare, sicché tale diritto non spetta quando i lavoratori siano assunti in una con l’acquisto della titolarità dell’impresa fallita che resti nei suoi caratteri essenziali sostanzialmente immutata, o comunque nel periodo di un anno dai trasferimento entro il quale, essendo la loro assunzione obbligata per effetto del diritto di precedenza stabilito dal comma 6 dell’art. 47 della L.n. 428 del 1990, l’espulsione dal mercato del lavoro non si è ancora consolidata.
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Il 21 ottobre esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 26759 che si allinea, condividendone le motivazioni alla precedente sentenza dello stesso anno n. 21158 e statuisce il seguente principio di diritto: “In caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c. c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa“.
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Il 22 ottobre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 secondo cui la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento.
In particolare, il Collegio, dopo aver affermato, da un lato, che anche prima che venisse introdotto l’istituto della bonifica, con l’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, il danno all’ambiente costituiva un illecito civile, previsto dall’art. 2043 cod. civ. e, dall’altro, che l’autore dell’inquinamento, potendovi provvedere, rimane per tutto questo tempo soggetto agli obblighi conseguenti alla propria condotta illecita, secondo la successione di norme di legge nel frattempo intervenuta, affronta la seguente questione: se gli obblighi connessi all’istituto della bonifica possano essere posti a carico di un soggetto non qualificabile come responsabile dell’inquinamento, per non essere mai stato proprietario, né tanto meno avere mai gestito l’impianto industriale da cui è scaturito l’inquinamento (nel caso oggetto di giudizio fatto addirittura oggetto di trasferimento a terzi mediante cessione di ramo d’azienda prima della fusione per incorporazione) e che pertanto mai abbia potuto provvedere a rimuovere gli effetti di condotte illecite altrui sull’ambiente circostante.
Secondo il Consiglio di Stato, allorché la situazione di danno all’ambiente si protragga in un arco di tempo in cui per effetto della successione di norme di legge al rimedio risarcitorio si aggiunga quello della bonifica, nessun ostacolo di ordine giuridico è ravvisabile ad applicare quest’ultima ad un soggetto che, pur non avendo commesso la condotta fonte del danno, sia nondimeno subentrato a quest’ultimo.
Ciò che occorre chiarire e se gli obblighi in questione siano trasmissibili in virtù di fusione per incorporazione dalla società responsabile del danno incorporata alla società incorporante.
A tale quesito l’Adunanza Plenaria dà risposta positiva sulla base del tenore letterale dell’art. 2504-bis, comma 1, cod. civ., che include espressamente nella vicenda traslativa in questione «gli obblighi delle società estinte», ovvero di quelle incorporate (analoga formulazione reca peraltro la medesima disposizione dopo la riforma del diritto societario, con la sola differenza che in luogo delle società estinte si fa riferimento alle «società partecipanti alla fusione» e al fatto che in tutti i rapporti giuridici di queste ultime, anche quelli processuali, vi è una “prosecuzione” dell’incorporante).
Con riguardo al previgente regime, nel senso che negli obblighi dell’incorporata di cui l’incorporante diviene l’unico obbligato a seguito di fusione rientrano anche quelli derivanti da responsabilità civile si è espressa la Cassazione (Sezione III civile, sentenza 11 novembre 2015, n. 22998, in un caso di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 cod. civ.). Sul piano dogmatico la conclusione è avvalorata dal fatto che “responsabilità civile” è espressione che designa l’insieme delle conseguenze cui un soggetto deve sottostare per legge in conseguenza di un fatto illecito da lui commesso, che nel caso dell’illecito civile consistono nell’«obblig(o) (…) a risarcire il danno» o nell’alternativa della «reintegrazione in forma specifica», anch’essa pertanto oggetto di obbligo, rispettivamente ai sensi dei più volte richiamati artt. 2043 e 2058 del codice civile, oltre che della più generale norma contenuta nell’art. 1173 cod. civ., che pone il fatto illecito tra le fonti di obbligazione.
La successione dell’incorporante negli obblighi dell’incorporata è espressione del principio espresso dal brocardo cuius commoda eius et incommoda, cui è informata la disciplina delle operazioni societarie straordinarie, tra cui la fusione, anche prima della riforma del diritto societario, per cui alla successione di soggetti sul piano giuridico-formale si contrappone nondimeno sul piano economico-sostanziale una continuazione dell’originaria impresa e della sottostante organizzazione aziendale. Anche prima che venisse sancito il carattere evolutivo-modificativo di quest’ultimo tipo di operazione era infatti indubbio che l’ente societario subentrato a quello estintosi per effetto dell’incorporazione acquisiva il patrimonio aziendale di quest’ultimo, di cui sul piano contabile fanno parte anche le passività, ovvero i debiti inerenti all’impresa esercitata attraverso la società incorporata.
Nel sancire la natura evolutivo-modificativo della fusione la riforma del diritto societario ha pertanto inteso superare quella artificiosa concezione antropomorfista accolta nel codice civile e radicatasi presso la giurisprudenza civile dell’epoca antecedente alla riforma del diritto societario, tendente a dare rilievo preminente al dato formale della personalità giuridica riconosciuta alle società di capitali, che secondo la migliore dottrina commercialistica ha invece carattere strumentale rispetto al regime giuridico di separazione dei patrimoni e delle responsabilità della società rispetto ai soci.
Nella critica alla concezione tradizionale si era in particolare evidenziato che pur in presenza di una vicenda intrinsecamente contraddistinta da una prospettiva di continuità dell’impresa si faceva nondimeno ricorso all’istituto delle successioni mortis causa per trarre le regole giuridiche applicabili al caso di specie, tra cui in particolare: sul piano sostanziale, il principio per cui ogni atto deve essere indirizzato al nuovo ente, unico centro di imputazione giuridica per i debiti dei soggetti definitivamente estinti per effetto della fusione (cfr. ex multis: Cass. civ., I, 22 settembre 1997, n. 9349, 11 giugno 2003, n. 9355); sul piano processuale, le norme relative all’interruzione e alla successione nel processo, ex artt. 110 e 299 e ss. cod. proc. civ. per il caso di fusione avvenuta in corso di causa. La volontà innovatrice della riforma del diritto societario rispetto al descritto assetto si coglie appunto nel riferimento testuale del nuovo art. 2504-bis cod. civ. al fatto che oltre ad “assumere” i diritti e gli obblighi delle incorporate la società incorporante prosegue «in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione».
Lo stesso fondamento logico ricavabile dal principio cuius commoda eius et incommoda è poi alla base:
– dell’analoga disciplina prevista nella fattispecie della cessione di azienda;
– dell’opposta regola, per cui non vi è successione nel debito, in caso di estinzione della società, conseguente alla relativa cancellazione dal registro delle imprese, con efficacia costitutiva ai sensi dell’art. 2495, comma 2, cod. civ., laddove sulla base dell’art. 2456 cod. civ., nella versione antecedente alla riforma del diritto societario, la giurisprudenza di legittimità era invece orientata per la sopravvivenza della società in caso di rapporti non esauriti: Cass. civ., II, 4 ottobre 1999, n. 11201;
– del pari, anche in caso di fallimento, il quale non dà luogo ad alcuna successione della procedura concorsuale rispetto alla società in bonis e che ha invece la funzione di gestione e liquidazione della massa attiva aziendale al fine del soddisfacimento concorsuale dei creditori.
Ritornando al caso della fusione per incorporazione, deve precisarsi che l’effetto suo tipico della successione negli obblighi della società incorporata, già sancito nella previgente formulazione dell’art. 2504-bis cod. civ., non è impedito dal fatto che l’accertamento dell’illecito ambientale possa eventualmente essere successivo all’operazione straordinaria di fusione. Infatti, anche quando funge da presupposto di un provvedimento amministrativo come quello che ordina la bonifica oggetto del presente giudizio, e che dunque modificando la realtà giuridica costituisce obblighi a carico del destinatario del provvedimento, l’accertamento del danno all’ambiente risale per sua natura all’epoca della sua commissione.
La cessione d’azienda non libera il cedente dei debiti dallo stesso contratti, tra cui quelli da fatto illecito civile. Rispetto a quanto finora considerato può aggiungersi che la successione sul piano civilistico negli obblighi inerenti a fenomeni di contaminazione di siti e di inquinamento ambientale in caso di operazioni societarie contraddistinte dalla continuità dell’impresa pur a fronte del mutamento formale del centro di imputazione giuridica consente di assicurare una miglior tutela dell’ambiente. Attraverso l’istituto elaborato dalla prassi commerciale della due diligence è possibile per il soggetto interessato all’acquisto di un complesso aziendale venire a conoscenza del fenomeno da parte del cedente, autore dei fatti e di concordare sul piano negoziale strumenti in grado di riversare su quest’ultimo le relative conseguenze sul piano economico (ad esempio: attraverso garanzie per sopravvenienze passive), o altrimenti avvalersi dei rimedi civilistici per la responsabilità del medesimo cedente per omessa informazione.
Viene infine osservato che la tesi contraria alla successione consentirebbe una facile elusione degli obblighi maturati nel corso della gestione di una società. Anche per questo ordine di rilievi la Corte di giustizia dell’Unione europea ha infatti stabilito in materia il principio per cui la fusione mediante incorporazione comporta la trasmissione alla società incorporante dell’obbligo di pagare l’ammenda inflitta con decisione definitiva successivamente a tale fusione per infrazioni al diritto del lavoro commesse dalla società incorporata precedentemente alla fusione stessa.
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L’8 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 28809 che si allinea al consolidato orientamento secondo cui in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda è esercitata, la disciplina recata dall’art- 36 L. 392/1978 (deviando in parte da quella generale di cui all’art. 1408 cod. civ.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell’azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo. La Cassazione ha pure affermato che, in caso di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, si viene a configurare, tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso (compreso il primo), un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 cod. civ.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno (a prescindere dal numero delle cessioni), in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore, con la precisazione che, pertanto, la mera dilatazione temporale del vincolo obbligatorio per l’intervenuta rinnovazione tacita del contratto (come avviene, di solito, nelle plurime cessioni a catena) non è circostanza tale da sterilizzare l’operatività dell’art. 36 della legge n. 392 del 1978, rimarcandosi che l’avvenuta rinnovazione tacita del contratto di locazione, in quanto tale, non comporta la nascita di un nuovo contratto ma solo la prosecuzione del precedente e tale ultima questione attiene al diritto e non ad un accertamento in fatto.
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Il 10 dicembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 32134 onde in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà tra cedente e cessionario di cui all’art. 2560, comma 2, c.c., con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento – principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori – deve essere applicato tenendo conto della “finalità di protezione” della disposizione, finalità che consente all’interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali è stata introdotta e, dall’altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali, fondato anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato.
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Il 13 dicembre esce la sentenza della III sezione del TAR Sicilia – sede di Palermo – n. 2881 secondo cui la disciplina di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 163/2006 (la quale prevedeva che il cessionario o l’affittuario di un’azienda o di un ramo d’azienda subentrato ad un concorrente potesse essere ammesso alla gara, all’aggiudicazione ed alla stipulazione del contratto, previo accertamento dei requisiti previsti dalla normativa e dalla legge di gara), pur non essendo stata riprodotta nel nuovo codice dei contratti di cui al d.lgs n. 50 del 2016 (che, all’art. 106, contempla espressamente soltanto la modifica del contraente), può ritenersi tuttora applicabile.
2020
Il 3 gennaio esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 15 onde l’applicazione della disciplina generale in tema di cessione d’azienda prevede la successione automatica del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola espressa eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi ad oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio. Il tutto si produce di diritto, con riguardo in blocco a tutti i rapporti contrattuali inerenti l’azienda ceduta, come effetto naturale della fattispecie traslativa d’azienda.
A differenza della ipotesi generale della cessione del contratto ex art. 1406 c.c., la cessione d’azienda prescinde del tutto dalla volontà, espressa o tacita, delle parti stipulanti e neppure richiede, per il suo perfezionamento, il consenso del contraente ceduto. Il che evidentemente risponde all’intenzione del legislatore di realizzare, con tale meccanismo, l’interesse di carattere generale di favorire la circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti. Interesse che rischierebbe di rimanere frustrato se si ritenesse necessaria, ai fini del prodursi del fenomeno successorio, un’accettazione espressa dei contratti e delle pattuizioni per la cui validità è richiesta la forma scritta.
L’art. 2558 c.c., dunque, che disciplina tutti i casi di trasferimento di azienda, prevede, salvo patto contrario, una cessione automatica o “ipso iure” dei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive, che non abbiano carattere personale, che ineriscano all’esercizio dell’azienda e non siano ancora esauriti. Peraltro, l’art. 2558 c.c. dispone con norma suppletiva, che nel caso di trasferimento dell’azienda, unitamente ai beni che la costituiscono, si trasferiscono i contratti a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguiti che non abbiano carattere personale e stipulati per l’esercizio di essa, oltre alla specifica ipotesi che non sia intervenuto un “patto contrario”.
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Il 29 luglio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 16218 che richiama il proprio costante orientamento secondo il quale, nel caso di cessione di quote di società di persone, la legge non prescrive la forma scritta ad substantiam ai fini della validità dell’atto. La forma scritta, peraltro, può essere anche convenzionalmente stabilita dalle parti, ma è indispensabile che il patto che la stabilisce si riferisca in modo specifico allo scioglimento del contratto ovvero alla sua modifica, in quanto la scelta di una forma, che non sia imposta dalla legge o da una previa pattuizione delle parti per la stipula del contratto, non vale per gli accordi risolutori, per i quali riprende vigore il principio della libertà della forma.
Questioni intriganti
Che s’intende per cessione del contratto?
- la fattispecie coinvolge un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive;
- le prestazioni corrispettive non sono state ancora eseguite;
- uno dei contraenti, detto cedente, sostituisce a sé un terzo, detto cessionario, come parte contrattuale;
- il tutto avviene con il consenso della controparte, detta ceduto;
- protagonista della vicenda ex art.1406 c.c. – oggettiva oltre che soggettiva – è non già la fonte, vale a dire “il contratto”, quanto il rapporto che ne è scaturito, e dunque la pertinente “posizione contrattuale”, che viene trasferita dal cedente al cessionario con il consenso del ceduto.
Da quali figure va distinta la cessione del contratto?
- dalla cessione del credito, onde a.1) per chi abbraccia la tesi atomistica o analitica, la cessione del contratto rappresenta una cessione del credito con in più l’accollo del debito derivante dal contratto base; a.2) per chi abbraccia la tesi unitaria, la cessione del contratto si differenzia dalla cessione del credito per l’oggetto appunto della cessione che nel primo caso è una intera posizione contrattuale (che peraltro può subire delle modificazioni), mentre nel secondo è semplicemente un credito. In ogni caso non mancano fattispecie problematiche come quella dei contratti c.d. unilaterali, con obbligazioni a carico di una sola parte contrattuale, onde il trasferimento del credito da parte del creditore è quasi del tutto sovrapponibile alla cessione della relativa, intera posizione contrattuale; ovvero dei contratti di cessione dei crediti così generici (come nel caso in cui si trasferiscano al cessionario tutti i crediti derivati e che deriveranno dal contratto pertinente) da rendere difficile appunto distinguere quella che è una mera cessione di crediti da quella che è vera e propria cessione di integrale posizione contrattuale;
- dal subcontratto, onde: b.1) nella cessione del contratto è il contratto originario a circolare, senza che si faccia luogo ad un nuovo contratto, mentre nel subcontratto si fa luogo ad un contratto nuovo tra una delle parti del contratto base ed un terzo; b.2) nella cessione del contratto si assiste ad una successione nel rapporto contrattuale, onde un terzo subentra in luogo di uno dei contraenti originari, mentre nel sub contratto si fa luogo ad un rapporto derivato dal contratto base (che continua a vincolare le parti originarie) che avvince una delle parti di tale contratto base ed un terzo, e che dipende interamente dal contratto base e dunque dalla relativa esistenza, persistenza e validità; b.3) nella cessione del contratto il cessionario subentra al cedente e lo sostituisce, trovandosi ad essere nuova controparte del ceduto, mentre nel subcontratto il contratto base non vede intervenire alcun mutamento soggettivo, rimanendo immutato tra le parti originarie, una delle quali stipula un contratto derivato con il subcontraente, che non ha alcun rapporto con l’altra parte del contratto base;
- dal contratto per persona da nominare, laddove una delle parti del contratto base si riserva la facoltà di nominare un soggetto terzo quale effettivo destinatario degli effetti del contratto base medesimo in un momento successivo rispetto a quello in cui esso viene stipulato, ma con effetti retroattivi della nomina onde il contratto base nella sostanza avvince fin dal primo momento le medesime parti contrattuali (contraente fisso e contraente nominato: c.d. rappresentanza eventuale in incertam personam); nella cessione del contratto invece si assiste ad un subentro effettivo di una parte terza (il cessionario) nella medesima posizione contrattuale della quale, da contratto base, era titolare un’altra originaria (il cedente);
- dalla successione nel contratto, laddove in realtà la cessione del contratto viene vista come sottoinsieme rispetto al “cerchio grande” appunto della successione nel contratto.
Cosa occorre rammentare del consenso del contraente ceduto ex art.1406 e 1407 c.c.?
- la forma: può trattarsi di consenso espresso o anche tacito, salvo che il contratto oggetto di cessione richieda una forma particolare, che a quel punto deve coinvolgere anche il consenso del contraente ceduto;
- i tempi: il consenso del ceduto può essere contestuale alla cessione, ma può anche essere antecedente o successivo; in quest’ultimo caso (consenso successivo), non deve esser venuto meno (oltre all’originario accordo “base” oggetto di cessione) l’accordo tra cedente e cessionario sul quale esso incide aggiungendovisi;
- la struttura in caso di consenso coevo o successivo: c.1) secondo la teoria atomistica (minoritaria) si è al cospetto di un contratto a struttura bilaterale che coinvolge il contraente originario cedente ed il nuovo contraente cessionario; si realizza una cessione di crediti ed un accollo di debiti e dunque il consenso del contraente originario ceduto compendia qualcosa di analogo, dal lato passivo, alla accettazione del nuovo creditore da parte del debitore ceduto (ai sensi degli articoli 1267 e 1248c.) e, dal lato attivo, alla dichiarazione del terzo di voler profittare dell’accollo a proprio favore (ai sensi degli articoli 1273 e 1411 c.c.); in questa prospettiva, il consenso del contraente ceduto resta esterno alla cessione, i cui effetti non coopera a produrre, ma che in qualche modo sospende o condiziona onde, dal lato attivo, il fatto che il terzo originario contraente ceduto non consenta alla cessione implica che l’accollo dei debiti tra originario contraente cedente e nuovo contraente cessionario resti meramente “interno” non facendo luogo dunque ad un accollo esterno; c.2) secondo la teoria unitaria (maggioritaria) si è al cospetto di un contratto a struttura trilaterale che vede imprescindibile il consenso del contraente ceduto, il quale non può vedersi modificata la propria sfera giuridica giusta subentro di un nuovo contraente rispetto a quello originario senza un’attiva partecipazione da parte sua alla pertinente operazione negoziale nel cui contesto esprimere un consenso esplicito ai relativi effetti; senza il consenso del contraente ceduto, la cessione (trilaterale) del contratto non si perfeziona e si è piuttosto al cospetto di una fattispecie a formazione progressiva ancora in itinere, laddove il contratto di cessione è ancora invalido o comunque inesistente; c.3) secondo una tesi mediana, il consenso del contraente originario ceduto non necessariamente è tale da renderlo parte del contratto di cessione tra contraente originario cedente e nuovo contraente cessionario; egli può infatti consentire che determinati effetti incidano sulla propria sfera giuridica attraverso atti negoziali unilaterali specifici ovvero, ex ante, l’autorizzazione, ed ex post, la approvazione o ratifica; in questa ottica il negozio autorizzativo, preventivo o successivo, resta distinto rispetto al negozio autorizzato, vale a dire quella cessione rispetto alla quale il contraente ceduto resta dunque terzo, pur autorizzandone i protagonisti (cedente e cessionario) alla produzione di effetti incidenti sulla propria sfera giuridica; in questa prospettiva, il difetto del consenso del contraente ceduto non incide sull’esistenza e validità del contratto di cessione, ma solo sulla relativa efficacia;
- la struttura in caso di consenso anteriore o di c.d. “cessione preventivamente autorizzata” ex art.1407c.: si tratta di una fattispecie a formazione progressiva in cui il consenso viene dato dal contraente ceduto in via generale e preventiva nell’economia del c.d. “contratto base” ed afferisce alla futura sostituzione del contraente cedente con un eventuale contraente cessionario; si contendono il campo 2 opzioni ermeneutiche: d.1) tesi trilaterale, onde il consenso preventivamente prestato fa luogo ad una proposta contrattuale in incertam personam, il rapporto contrattuale a valle rimanendo a struttura trilaterale, seppure solo al compimento di una fattispecie che parte bilaterale tra contraente cedente e, appunto, contraente ceduto, subentrando solo in seguito, eventualmente, il contraente cessionario; si tratta peraltro di una proposta revocabile da parte del contraente “base” fino al perfezionamento della fattispecie progressiva ed alla relativa trasformazione da bilaterale in trilaterale; d.2) tesi bilaterale, onde – in questo caso – la fattispecie contrattuale non è trilaterale, ma resta appunto bilaterale, coinvolgendo solo contraente cedente e contraente cessionario, e lasciando fuori il contraente ceduto: quest’ultimo fa luogo ad un negozio giuridico unilaterale e recettizio che imprime al contratto “base” stipulato con il contraente cedente, per l’appunto, il predicato della cedibilità (previamente autorizzata) quale carattere aggiuntivo proprio e specifico, senza che il ceduto partecipi alle trattative tra cedente e cessionario in vista di un contratto di cessione che egli ha già autorizzato in via unilaterale, preventiva e recettizia, e dal quale resta pertanto estraneo; il contratto tra cedente e cessionario si perfeziona (con il relativo, eventuale effetto traslativo) al momento della stipula che tra essi interviene, limitandosi la notifica o l’accettazione a produrre effetti nella sfera dell’autorizzante preventivo, come si evince dalla stessa letterale dizione dell’art.1407, laddove fa appunto riferimento alla sola efficacia, e non già al perfezionamento di un contratto di cessione che è stato preventivamente autorizzato dal ceduto, il quale ultimo non deve nuovamente manifestare una pertinente volontà in passato già ex professo palesata; da questo punto di vista, sia la notificazione “al” ceduto che l’accettazione “dal” ceduto (il quale ha già preventivamente rinunciato ad uno status quo definitivamente stabilizzato sul crinale soggettivo) ne salvaguardano l’interesse alla certa identificazione della controparte contrattuale, l’eventuale incertezza su chi sia in un dato momento la ridetta, effettiva controparte contrattuale potendo aggravarne la posizione con rendere incerta la legittimazione passiva in ordine agli atti estintivi o modificativi del contratto in corso; peraltro il ceduto, quale soggetto autorizzante, non diviene parte di un negozio (quello di cessione) che non è fonte per lui né di diritti, né di obblighi, l’autorizzazione preventivamente prestata scongiurando al medesimo tempo che un negozio intercorso tra altri possa incidere sulla relativa sfera giuridica (in termini di modificazione soggettiva della controparte contrattuale) senza per l’appunto che egli vi abbia consentito.
Cosa occorre rammentare della forma della cessione del contratto?
- la cessione del contratto rappresenta una figura negoziale accessoria rispetto al contratto base, al quale appunto accede;
- si contendono allora il campo 2 tesi: b.1) per la tesi recessiva, si applica il principio generale della libertà delle forme; b.2) per la tesi prevalente, si applica il principio tipico delle situazioni di accessorietà di un negozio rispetto ad un altro presente in tema di contratto preliminare (art.1351c.), di procura nella rappresentanza (art.1392 c.c.) e di contratto per persona da nominare (art.1403 c.c.) che prevede per il negozio accedente (nel caso di specie, la cessione) la medesima forma del negozio acceduto (nel caso di specie, il contratto base); laddove poi il contratto base non sia formale ad substantiam, e tuttavia tale forma sia stata comunque prescelta dalle relative parti, si assume applicabile in dottrina l’art.2723 c.c. che disciplina i patti posteriori alla formazione del documento onde in simili casi, pur essendo la cessione valida quantunque conclusa verbalmente (rispetto al contratto base volontariamente formale ad substantiam), in caso di contestazione – sempre possibile stante la informalità che la connota – il giudice può consentire la prova per testimoni solo se ricorrano particolari circostanze, palesandosi dunque la prova testimoniale non integralmente libera;
- la questione si pone tanto con riguardo al negozio di cessione tra cedente e cessionario, quanto alla manifestazione del consenso del contraente ceduto onde, stando alla tesi prevalente, solo laddove possa dirsi ammissibile per il contratto base una dichiarazione per fatti concludenti, o comunque non formale, è del pari da assumersi non formale tanto la cessione della pertinente posizione contrattuale quanto il consenso del contraente ceduto (che in simili casi potrebbe essere anche tacito).
Cosa occorre rammentare dell’oggetto della cessione del contratto?
- la cessione presenta un contenuto immodificabile, trattandosi nella sostanza della sostituzione di tipo soggettivo di un titolare ad un altro in una posizione contrattuale che resta, per l’appunto, immutata secondo un paradigma che è essenziale ed inderogabile onde il rapporto in capo al successore cessionario siccome scaturente dal contratto base resta il medesimo, nei relativi elementi oggettivi, rispetto a quello già presente in capo al cedente; se i contenuti originari debbono restare immutati, non può mutarli neppure l’interpretazione datane dalle “nuove” parti, onde occorre interpretare il contratto base originario ed immutabile attribuendogli il significato ad esso riconoscibile siccome affiorante dalle trattative tra le parti originarie, dagli eventuali negozi successivi di interpretazione (negozi di accertamento) e dai comportamenti spesi dalle parti originarie stesse in sede di prima esecuzione del contratto trasferito; in sostanza, si trasferisce una intera posizione contrattuale secondo l’interpretazione ad essa data dalle parti originarie e con egli effetti da esse divisati, palesandosi il cessionario, secondo illuminata dottrina, quale “continuatore” dei rapporti giuridici facenti capo al cedente, e dunque anche del modo di interpretare i ridetti rapporti giuridici, valendo per lui il contratto come fu realmente voluto dalle relative parti originarie, e non potendo dunque il cessionario imporre al contraente ceduto una interpretazione del contratto base diversa da quella propria di esso alla stregua dei canoni fissati con il cedente;
- la cessione può investire solo un contratto a prestazioni corrispettive; corrispettivo, da un punto di vista tanto della dottrina quanto dello stesso legislatore, non significa ormai più tanto bilaterale, quanto piuttosto oneroso; in sostanza, non si ha contratto oneroso (in cui è l’attribuzione a terzi che garantisce un vantaggio per sé) che non sia anche a prestazioni corrispettive (e dunque reciproche), quand’anche strutturalmente unilaterale (come nel caso di una prestazione di garanzia coeva alla nascita di un debito);
- le prestazioni devono essere ancora ineseguite; da questo punto di vista un problema pongono – per la dottrina e la giurisprudenza tradizionale – i contratti sinallagmatici in cui una delle parti ha già eseguito la propria prestazione e l’altra no (paradigmaticamente, quelli traslativi ad effetti reali come la compravendita, laddove il venditore già con il consenso, e dunque uno actu, esegue la propria prestazione traslativa, mentre residua la sola obbligazione del compratore di pagare il prezzo), e vieppiù quelli con obbligazioni a carico di una sola parte (c.d. contratti unilaterali), con riguardo ai quali ultimi si rinviene anche una esplicita presa di posizione della Relazione al codice civile che parla, in questi casi, di possibile cessione non già dell’intera posizione contrattuale, quanto piuttosto solo della posizione di debitore o di quella di creditore; si contendono il campo per queste peculiari fattispecie 2 opzioni ermeneutiche: b.1) è possibile cedere solo le posizioni debitorie o quelle creditorie residue, attraverso le figure della cessione del credito e dell’accollo, sicché nel caso della compravendita ad effetti traslativi potrebbe solo il venditore cedere il proprio credito alla riscossione del prezzo, ovvero solo il compratore accollare a terzi il proprio pertinente debito; b.2) è possibile cedere anche l’intera posizione contrattuale, giacché solo in tal modo vengono trasferiti anche i diritti potestativi (risolutivi e manutentivi) connessi alla titolarità della ridetta posizione contrattuale, sicché nel caso di compravendita ad effetti traslativi è possibile per entrambe le parti comunque cedere l’intera posizione contrattuale, comprensiva esemplificativamente del diritto alla risoluzione del contratto o del diritto ad attivare una clausola penale.
Cosa occorre rammentare della causa della cessione del contratto?
- stando alla tesi c.d. atomistica (minoritaria) – che non accetta il semplicistico e generico riferimento al c.d. subentro del terzo cessionario, assunto quale mera sintesi verbale di effetti causali che vanno rintracciati – la cessione del contratto presenta una funzione economica essenziale e costante avvinta alla sostituzione soggettiva di un contraente (il cessionario) ad un altro (il cedente), che si compendia nella cessione dei crediti derivanti dal contratto base dal cedente al cessionario in cambio, da parte di quest’ultimo, talvolta della sola assunzione dei correlati debiti derivanti dal medesimo contratto base e talaltra, quando i debiti ceduti sono quantitativamente inferiori ai crediti del pari ceduti, anche di un prezzo di cessione; in questo modo, alla indubbia sostituzione di un soggetto ad un altro, che potrebbe apparire neutra, si affianca un profilo causale concreto di cessione di un “bene” da un soggetto (il cedente) all’altro (il cessionario), bene da identificarsi nella posizione creditoria riconoscibile in capo al cedente sulla scorta del contratto base;
- stando alla tesi unitaria (prevalente), lo scambio non investe invece i crediti con valenza di corrispettivo per la contestuale cessione dei debiti, quanto piuttosto l’intera posizione contrattuale, trovandosi al cospetto: b.1) di un negozio con causa generica e variabile, che è funzione di assetti di interessi diversamente atteggiantisi di volta in volta; in sostanza, si tratta di uno schema parziale ed astratto di negozio che si concretizza, assumendo vita e fisionomia tipica solo quando – in vista di un assetto di interessi specifico e determinato – esso viene integrato in qualche modo dalle parti; b.2) secondo altra declinazione, di un negozio senza causa propria, neppure generica o variabile, configurandosi quale negozio di alienazione che, come tale, presenta una funzione tale da giustificare di volta in volta la pertinente operazione (di alienazione), potendo configurare alternativamente una donazione, una vendita, una transazione e così via; a differenza della tesi atomistica, che intravede anche in difetto di un c.d. “prezzo di cessione” uno “scambio” tra i crediti e i debiti ceduti (dei quali ultimi l’alienante viene liberato in cambio della cessione dei crediti), quella unitaria entra in crisi nel momento in cui non si riscontri né una causa donativa di tipo liberale, né un prezzo di cessione, residuando solo un generico interesse delle parti al subentro dell’una nell’altra rispetto alla posizione contrattuale base (c.d. sostituzione soggettiva); la tesi unitaria risolve facendo normalmente perno sul difetto di un “valore positivo” da annettersi alla cessione di un contratto base (laddove priva di un ulteriore prezzo di cessione), giacché in tal caso il valore dei crediti ceduti è perfettamente controbilanciato dalla corrispondente cessione anche della posizione debitoria, onde non occorre corrispettivo né occorre, in caso di intento liberale, una forma “forte” quale quella tipica della donazione.
Come si atteggiano partitamente i rapporti tra le parti del negozio di cessione?
- rapporti tra cedente e ceduto ex 1408 c.c.: il rapporto contrattuale base vede estromesso il cedente, essendo ormai il ceduto legato contrattualmente al cessionario, quale nuova controparte contrattuale; il cedente viene liberato dalle obbligazioni nei confronti del contraente ceduto (secondo la dottrina maggioritaria, con estinzione delle garanzie annesse al credito del ceduto, se colui che le ha prestate non consente espressamente a mantenerle, facendo applicazione dell’art.1275 c.c.); le parti possono derogare convenzionalmente a questo effetto liberatorio dichiarando che il cedente non viene liberato; proprio il fatto che l’effetto naturale della cessione sia la liberazione del cedente rispetto al ceduto implica la possibilità per le parti di escludere tale effetto, tenendosi conto del fatto che nelle ipotesi di ambulatorietà dell’obbligazione dal lato passivo di cui all’espromissione (art.1272 c.c.) e all’accollo (art.1273 c.c.) la ridetta liberazione è solo eventuale, e non già “naturale” e connaturata al negozio come appunto accade nella cessione; la dichiarazione da parte del contraente ceduto di non voler liberare il cedente, calata nella struttura trilaterale della cessione del contratto, viene vista dalla dottrina quale proposta contrattuale formulata dal ceduto in sede di manifestazione del proprio consenso alla cessione, che come tale abbisogna di accettazione da parte del cedente (e del cessioanario); per quanto concerne poi la natura dell’obbligo del cedente non liberato, si giustappongono 2 diverse opzioni ermeneutiche: a.1) poiché il contratto base viene trasferito al cessionario integralmente, e dunque comprensivo dei debiti, quello del cedente non liberato si configura come nuovo ed autonomo obbligo nei confronti del ceduto; più precisamente, si tratta di un nuovo obbligo di garanzia delle obbligazioni (ormai) assunte dal cessionario, che come tale è obbligo sussidiario da attivarsi dal ceduto in via di regresso, laddove il nuovo titolare della posizione contrattuale, il cessionario, non adempia alle obbligazioni oggetto della cessione delle quali il cedente non può più predicarsi responsabile per obbligo proprio, quanto piuttosto ed appunto in via di regresso; a.2) l’obbligo del cedente nei confronti del ceduto è quello originario del contratto base, che dunque non viene trasferito integralmente al cessionario, quest’ultimo divenendo lui debitore di un nuovo obbligo che si aggiunge a quello, omologo ed originario, rimasto in capo al cedente, trovandosi dunque dinanzi a due obbligazioni unite dal vincolo della solidarietà a favore del ceduto; questa tesi trova maggiormente rispondente la lettera del codice civile che, all’art.1408, discorre di mancata “liberazione” del cedente affermando peraltro che il ceduto può agire nei confronti del cedente soltanto in caso di inadempimento del cessionario alle obbligazioni assunte, così facendo propendere per il carattere “nuovo” dell’obbligo del cessionario e per una continuità del “vecchio” vincolo in capo al cedente, affiancato al nuovo del cessionario a titolo di garanzia, onde il cedente vede, quantunque non elisa, comunque attenuata la propria responsabilità verso il ceduto, del quale prima della cessione è l’unico debitore ai sensi del contratto base e, dopo la cessione, resta debitore ma a titolo sussidiario e dunque subordinato rispetto al nuovo e principale obbligo del cessionario; si tratta di una tesi abbracciata anche da quella dottrina che assume la solidarietà compatibile con una responsabilità meramente sussidiaria di uno dei condebitori solidali ai sensi dell’art.1293 c.c., che configura debitori solidali in posizioni non omogenee, come sarebbe predicabile proprio nella fattispecie della cessione del contratto senza liberazione del cedente dai debiti verso il ceduto. In caso di inadempimento del cessionario, entro 15 giorni il ceduto deve notiziarne il cedente non liberato (art.1408, comma 3, c.c.): in difetto resta l’obbligazione sussidiaria del cedente che tuttavia diviene a propria volta creditore a titolo risarcitorio per l’eventuale pregiudizio subito in conseguenza del ritardo nell’avviso di inadempimento del cessionario;
- rapporti tra ceduto e cessionario ex 1409 c.c.: la posizione contrattuale del ceduto resta la medesima, assistendo egli solo al subentro del cessionario in luogo del cedente in detta, immutata posizione contrattuale siccome scaturente dal contratto base, ed è per questo che il ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto base; sono escluse solo quelle derivanti da rapporti diversi con il cedente, salvo tuttavia che il ceduto non ne abbia fatto espressa riserva al momento in cui ha consentito alla sostituzione, potendo in tale caso opporre al cessionario anche tali eccezioni estranee alla posizione contrattuale ceduta ed afferenti ad altri rapporti che egli ha con il cedente; diversamente è a dirsi, in via correlativa, per le eccezioni che il cessionario può sollevare nei confronti del ceduto, dal momento che l’art.1409 c.c. resta silente sul punto, fronteggiandosi in proposito due tesi: b.1) anche il cessionario può riservarsi la facoltà di opporre al ceduto eccezioni fondate su altri rapporti tra cedente e ceduto, e dunque non riconducibili al contratto base oggetto di cessione; b.2) il cessionario non può operare tale riserva all’atto della cessione del contratto, in quanto egli è terzo rispetto a rapporti tra cedente e ceduto che siano “altri” rispetto a quello specificamente fatto oggetto di cessione, con conseguente difetto di legittimazione sostanziale ad opporre tali eccezioni, non potendosi ricondurre alla cessione del contratto un effetto – non legalmente previsto – quale quello di far transitare nella sfera giuridica del cessionario diritti dei quali egli non è titolare, a differenza di quanto accade, dal punto di vista soggettivo, in capo al ceduto, il quale è titolare di diritti nei confronti del cedente e si riserva di farli valere in via di eccezione nei confronti del cessionario, nell’economia del rapporto contrattuale (ormai) ceduto. Su altro crinale, laddove la cessione del contratto sia stata previamente autorizzata dal ceduto, questi per la dottrina maggioritaria non può opporre al cessionario le eccezioni derivanti da vizi del negozio di cessione, ma solo l’eventuale nullità di tale negozio ex art.1421 c.c., e ciò in quanto in tal caso il ceduto è estraneo al negozio di cessione; maggiori possibilità di opporre eccezioni si ravvisano invece da parte della dottrina laddove il ceduto sia parte del negozio di cessione, i cui vizi possono esser fatti valere dunque anche da lui in via di eccezione;
- rapporti tra cedente e cessionario ex art.1410c.: si tratta dei rapporti che intercorrono tra alienante dell’intera posizione contrattuale ed alienatario della stessa, tanto che parte della dottrina assume il cedente inadempiente ogni qual volta il cessionario non acquisisca la posizione contrattuale divisata, ovvero ne acquisisca una che non corrisponde, in tutto o in parte, a quella divisata (sullo schema della compravendita viziata). A livello codicistico, rileva in particolare l’obbligo per il cedente di garantire la “validità” del contratto base, laddove in caso di semplice cessione del credito il cedente è tenuto a garantire al cessionario la sola “esistenza” del credito ceduto, peraltro con un regime diverso a seconda che la cessione (del credito) avvenga a titolo oneroso o gratuito, circostanza che fa predicare alla dottrina – in caso di cessione del contratto a titolo gratuito – la garanzia essere dovuta dal cedente al cessionario solo nei casi e nei limiti in cui per legge scatta la garanzia del donante in caso di evizione; per quanto concerne il concetto di “validità” del contratto base ceduto, oggetto della garanzia del cedente, sul crinale genetico è certamente invalido un contratto base inesistente, nullo, annullabile o rescindibile; laddove il contratto base sia annullabile, la dottrina interpreta peraltro il consenso del contraente ceduto, laddove consapevole e spontaneo, quale convalida per “volontaria esecuzione” ex art.1444 c.c.; laddove invece scatti la domanda di annullamento o di rescissione del contratto da parte del contraente ceduto, il cessionario può far valere la garanzia di cui all’art.1410 nei confronti del cedente; un problema interpretativo concerne il diritto potestativo all’annullamento o alla rescissione del contratto originariamente in capo al cedente (nei confronti del ceduto), fronteggiandosi due tesi: c.1) assieme alla posizione contrattuale il cedente trasferisce al cessionario anche il diritto potestativo all’annullamento o alla rescissione del contratto con il ceduto, che dunque non può più azionare dopo la cessione, potendo invece azionarlo il cessionario, il quale ultimo non ha allora bisogno di avvalersi della garanzia di cui all’art.1410 c.c.; c.2) il diritto potestativo all’annullamento o alla rescissione del contratto concerne, dal punto di vista genetico, stati soggettivi propri del cedente (si pensi all’incapacità, o ad un contratto base concluso per errore o sotto l’effetto di dolo o di violenza, ovvero ancora ad un contratto base concluso in stato di pericolo), onde esso resta quiescente in capo al cedente senza trasferirsi al cessionario il quale ultimo, del resto, succede nei rapporti attivi e passivi già in capo al cedente (nei confronti del ceduto) sulla scorta di negozio nuovo rispetto al contratto base viziato, che è appunto il negozio di cessione del contratto e che ha alla base una valutazione nuova ed autonoma da parte del cessionario, il quale è estraneo dal punto di vista genetico al contratto base (la cui posizione derivata acquista) onde non vi è più ragione di tutelare l’interesse del cedente all’annullamento o alla rescissione del contratto, che non ha più rilievo in capo al cessionario il quale subentra nella posizione contrattuale del cedente (ab origine soggettivamente viziata) sulla scorta appunto di una propria, autonoma valutazione e senza quella menomazione della propria personalità che invece ha subito il cedente quando ha stipulato il contratto base poi ceduto; stando dunque a questa seconda opzione ermeneutica, il diritto potestativo ad annullare o rescindere il contratto base non si trasferisce al cessionario, rimanendo piuttosto quiescente in capo al cedente (che potrà attivarlo laddove rientri nella titolarità della posizione contrattuale ceduta), con l’ulteriore conseguenza onde la garanzia ex art.1410 c.c. non potrebbe in questo caso esser fatta valere dal cessionario nei confronti del cedente. Discorso diverso investe la fattispecie in cui il contratto base sia risolubile, la risoluzione investendo il profilo funzionale (e non genetico) del rapporto contrattuale, con conseguente non predicabilità in linea generale di questioni di “validità” del contratto base, che sono l’oggetto della garanzia del cedente ex art.1410 c.c.; chi ammette tuttavia, sulla scorta di una interpretazione sistematica, che tale norma faccia riferimento anche all’ipotesi di diritto alla risoluzione del contratto base, se assume che la garanzia scatti laddove a chiedere la risoluzione sia il ceduto, lo nega laddove legittimato all’azione di risoluzione sia il cedente, e ciò in quanto il cessionario pacificamente subentra nella posizione contrattuale del cedente e dunque anche nel diritto a far valere la risoluzione del contratto nei confronti del ceduto in via primaria, senza dunque bisogno di avvalersi della garanzia ex art.1410 c.c. nei confronti del cedente; che questa sia l’interpretazione corretta della vicenda affiora anche dal comma 2 dell’art.1410, laddove si prevede che il cedente possa garantire il cessionario anche per l’ipotesi di eventuale inadempimento del ceduto, ma con espressa pattuizione e dunque senza che tale (ulteriore) garanzia costituisca un effetto naturale del negozio di cessione, onde laddove tale pattuizione espressa non vi sia, l’inadempimento da parte del ceduto legittima il cessionario ad agire in risoluzione, essendogli stato ceduto anche il pertinente diritto potestativo già proprio del cedente. Quando, ai sensi dell’art.1410, comma 2, c.c. il cedente garantisce al cessionario non già solo la validità del contratto base, ma anche l’adempimento del ceduto, la relativa responsabilità è regolata dalle norme sulla fideiussione, onde il cedente è responsabile in via solidale ed incondizionata, assieme al ceduto, nei confronti del cessionario ai sensi dell’art. 1944 c.c., nei limiti del capitale, degli accessori e delle spese ex art.1942 c.c., trattandosi di una garanzia che investe l’intero, non già limitandosi – come nelle ipotesi di cessione del credito con garanzia della solvenza del debitore ceduto ex art.1267 c.c. – a quanto ricevuto (come corrispettivo della cessione).
Cosa occorre rammentare della c.d. cessione legale del contratto e quali sono i casi più importanti?
- si tratta di fattispecie tipiche, espressamente previste dalla legge;
- l’attenzione va portata sul contratto base, ed in particolare sul bene che ne forma oggetto;
- nel momento in cui il bene viene trasferito, si determina anche il trasferimento del contratto che vi è avvinto, senza che occorra il consenso del contraente ceduto, né alcuna forma di consenso delle parti coinvolte;
- se viene alienata la cosa assicurata, si trasferisce il contratto di assicurazione che vede come cessionario l’acquirente della res e come ceduto l’impresa assicuratrice (art.1918, comma 3, c.c.);
- se viene alienata la cosa locata, si trasferisce il contratto di locazione che vede come cessionario l’acquirente della res, e come ceduto il conduttore (art.1599c.); se la locazione ha ad oggetto immobili urbani adibiti ad uso diverso dall’abitazione (c.d. locazione commerciale), il conduttore che cede o loca l’azienda può cedere il contratto di locazione senza il consenso del locatore (in questo caso, ceduto), semplicemente dandogliene comunicazione con raccomandata con avviso di ricevimento, potendo il locatore ceduto opporsi per gravi motivi nei successivi 30 giorni e, in caso di mancata opposizione, potendo agire contro il vecchio conduttore cedente nel caso in cui il nuovo conduttore cessionario non adempia alle obbligazioni assunte, salvo il caso in cui abbia liberato il vecchio conduttore cedente (art.36 della legge n.392 del 1978); dal punto di vista del locatore, si fronteggiano 2 tesi: e.1) la cessione del contratto di locazione può avvenire solo contestualmente all’alienazione della cosa locata, come previsto dall’art.1599 c.c.; e.2) la cessione del contratto di locazione è possibile anche indipendentemente dalla alienazione della cosa locata, rimanendo dunque il locatore proprietario della res, ma cedendo (egli stesso o terzi, ad esempio un comodatario) la sola posizione contrattuale di locatore, con applicazione della disciplina di cui all’art.1406 e seguenti del codice civile;
- se viene alienata o locata l’azienda, si trasferiscono i contratti relativi all’azienda, che vedono come cessionario l’acquirente o il conduttore dell’azienda e come cedute le controparti contrattuali (art.2558c.) tra le quali, in particolare, i lavoratori (art.2112 c.c.); rispetto a tale fattispecie, viene assunta speciale quella prevista dall’art.36 della legge 392.78 in tema di locazione di immobili urbani commerciali, che tuttavia non produce effetti immediati come per le altre ipotesi contrattuali ex art.2558 c.c., facendosi luogo ad un collegamento negoziale tra cessione di azienda (ed effetti di cessione dei contratti ad essa avvinti) e cessione della locazione, da intendersi quali negozi inserentisi entrambi in una operazione economica unitaria in cui la cessione di azienda (e dei contratti che vi ineriscono) è la fattispecie generale e la cessione della locazione quella particolare.
In che rapporti si pone la cessione del contratto con l’opzione ex art.1331 c.c.?
- una questione specifica concerne la possibilità di sottoporre a cessione il patto di opzione, onde – secondo la tesi prevalente – l’opzionario può cedere il proprio diritto potestativo ad un terzo, salva la necessità, discussa, di ottenere il consenso da parte del concedente alla ridetta cessione;
- si fronteggiano nondimeno in materia 2 tesi: b.1) il diritto potestativo dell’opzionario va assimilato ad un diritto di credito, onde la cessione dell’opzione deve assumersi disciplinata dagli articoli 1260 e seguenti c.c. in tema di cessione del credito, non occorrendo dunque di regola il consenso del concedente ceduto; b.2) il diritto potestativo dell’opzionario, proprio perché tale (diritto potestativo), non può essere assimilato ad un diritto di credito, configurandosi dalla natura strettamente personale e dunque, già solo per questo, di regola incedibile, a meno che non intervenga il consenso del concedente; si aggiunge che il patto di opzione accede normalmente ad un contratto più ampio, sicché non si può cedere l’opzione senza cedere l’intero contratto nel quale essa si inserisce, e per la cessione del contratto occorre, ai sensi dell’art.1406 c.c., da un lato il consenso per l’appunto del concedente (contraente ceduto) e, dall’altro, la mancata esecuzione delle prestazioni che ne discendono.