<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte costituzionale, sentenza 20 dicembre 2019, n. 278</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, numeri 3) e 8), prima parte, della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), sollevate, in riferimento agli artt. 13, 25 e 27 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Reggio Emilia </em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.1.– Con la sentenza n. 141 del 2019, successiva all’ordinanza di rimessione, questa Corte ha già dichiarato non fondate questioni analoghe, sollevate in rapporto alle ipotesi criminose del reclutamento e del favoreggiamento della prostituzione, di cui all’art. 3, primo comma, numeri 4), prima parte, e 8), prima parte, della legge n. 75 del 1958 (disposizioni che puniscono, rispettivamente, «chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione» e «chiunque in qualsiasi modo favorisca […] la prostituzione altrui»).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Questa Corte ha rilevato come tali figure delittuose costituiscano espressione della <strong>generale strategia di intervento</strong> adottata in materia dalla legge n. 75 del 1958: quella, cioè, di configurare la prostituzione come <strong>attività in sé lecita</strong>, vietando, però, nel contempo, sotto minaccia di sanzione penale, qualsiasi <strong>interazione di terzi</strong> con essa, sia sul piano materiale (in termini di promozione, agevolazione o sfruttamento), sia sul piano morale (in termini di induzione). Ciò, nella prospettiva di non consentire alla prostituzione stessa «</em>di svilupparsi e di proliferare<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In simile cornice, le fattispecie criminose in discussione – anche nella parte in cui risultano riferibili alla prostituzione volontariamente esercitata – sono state ritenute, da questa Corte, compatibili con il <strong>principio di offensività</strong>, inteso come precetto che impone al legislatore di limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi meritevoli di protezione (cosiddetta offensività “</em>in astratto<em>”): precetto che non esclude il ricorso al modello del <strong>reato di pericolo</strong> (sentenza n. 225 del 2008), anche presunto (sentenze n. 133 del 1992, n. 333 del 1991 e n. 62 del 1986), a condizione che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto <strong>non risulti irrazionale o arbitraria</strong> (sentenza n. 109 del 2016).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Di là dalle oscillazioni della giurisprudenza in ordine all’individuazione del bene protetto dalle norme penali della legge n. 75 del 1958 – cui accenna anche l’odierno rimettente – le previsioni punitive in discorso sono apparse rispettose dei canoni dianzi indicati, ove riguardate «</em>nell’ottica della protezione dei diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili e delle stesse persone che esercitano la prostituzione per scelta<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche nell’attuale momento storico, infatti, «</em>quando pure non si sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata, la scelta di “vendere sesso” trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali<em>»: fattori non solo di ordine economico, ma legati anche a situazioni di disagio sul piano affettivo o delle relazioni familiari e sociali (sentenza n. 141 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In questa materia, d’altra parte, «</em>la linea di confine tra decisioni autenticamente libere e decisioni che non lo sono si presenta fluida già sul piano teorico<em> […] </em>e, correlativamente, di problematica verifica sul piano processuale, tramite un accertamento ex post affidato alla giurisdizione penale<em>». A ciò si affiancano, peraltro, anche preoccupazioni di tutela delle stesse persone che si prostituiscono per effetto di una scelta (almeno inizialmente) libera e consapevole. «</em>Ciò in considerazione dei pericoli cui esse si espongono nell’esercizio della loro attività: pericoli connessi al loro ingresso in un circuito dal quale sarà poi difficile uscire volontariamente, stante la facilità con la quale possono divenire oggetto di indebite pressioni e ricatti, nonché ai rischi per l’integrità fisica e la salute, cui esse inevitabilmente vanno incontro nel momento in cui si trovano isolate a contatto con il cliente (pericoli di violenza fisica, di coazioni a subire atti sessuali indesiderati, di contagio conseguente a rapporti sessuali non protetti e via dicendo<em>)» (sentenza n. 141 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tale prospettiva, l’incriminazione delle cosiddette “</em><strong>condotte parallele</strong><em>” alla prostituzione, senza rappresentare una soluzione costituzionalmente imposta (potendo il legislatore fronteggiare anche in altro modo i pericoli insiti nel fenomeno considerato), rientra, però, «</em>nel ventaglio delle possibili opzioni di politica criminale, non contrastanti con la Costituzione<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Resta ferma, in ogni caso, con riguardo alla disciplina vigente, l’operatività del <strong>principio di offensività</strong> nella sua proiezione concreta e, dunque, il potere-dovere del giudice comune di escludere la configurabilità del reato in presenza di condotte che, in rapporto alle <strong>specifiche circostanze</strong>, si rivelino concretamente prive di ogni potenzialità lesiva (sentenza n. 141 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.– Le considerazioni ora ricordate risultano estensibili anche alla fattispecie della <strong>tolleranza abituale dell’esercizio della prostituzione</strong>, che l’odierno rimettente coinvolge nella verifica di compatibilità con il <strong>principio di offensività</strong> unitamente a quella del favoreggiamento, già in precedenza scrutinata da questa Corte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>A mente dell’art. 3, primo comma, numero 3), della legge n. 75 del 1958, risponde di tale reato «</em>chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si dànno alla prostituzione<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La previsione punitiva si colloca specificamente nell’ambito della terna di figure criminose poste a presidio del divieto di esercizio delle case di prostituzione. Il numero 1) dell’art. 3 punisce la costituzione di case di prostituzione; il numero 2), la cessione di un locale a tale scopo; il numero 3) – oggi in esame – il consentire, per acquiescenza abituale dell’esercente, che la prostituzione si svolga all’interno di un pubblico esercizio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La norma incriminatrice censurata costituisce, pertanto, anch’essa espressione della strategia d’intervento, dianzi indicata, che ispira la legge n. 75 del 1958: strategia alla quale è globalmente riferibile la valutazione già operata da questa Corte, in punto di esclusione del contrasto con il principio di offensività.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.3.– Con la medesima sentenza n. 141 del 2019, questa Corte ha ritenuto, altresì, infondata la questione di legittimità costituzionale della sola figura del <strong>favoreggiamento</strong>, per asserito contrasto con il <strong>principio di determinatezza e tassatività</strong> della fattispecie incriminatrice: questione che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Reggio Emilia oggi ripropone evocando, con significato equivalente, il «</em>principio di precisione<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Questa Corte ha ricordato, in specie, come l’impiego, nella formula descrittiva dell’illecito, di <strong>espressioni sommarie</strong>, <strong>clausole generali o concetti “</strong></em><strong>elastici<em>”</em></strong><em> non comporti di per sé un </em>vulnus<em> del parametro costituzionale evocato, «“</em>quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo<em>” (sentenza n. 25 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 172 del 2014, n. 282 del 2010, n. 21 del 2009, n. 327 del 2008 e n. 5 del 2004)» (sentenza n. 141 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nella specie, la scarna descrizione del fatto incriminato fa perno, comunque sia, su un concetto, quale quello di favoreggiamento, di ampio e sperimentato uso nell’ambito del diritto penale. «</em>Per questo verso, la disposizione incriminatrice non è affatto più indeterminata di quanto lo sia la generale disposizione sul concorso di persone nel reato (art. 110 cod. pen.), costruita anch’essa come clausola sintetica<em> (“[q</em>]uando più persone concorrono nel medesimo reato<em>”). </em>Il favoreggiamento, del resto, non è altro che una forma di concorso materiale nella prostituzione altrui (pur con la particolarità che<em> […] </em>nell’occasione è punito solo il compartecipe e non l’autore del fatto<em>)» (sentenza n. 141 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nessun argomento a sostegno della tesi dell’indeterminatezza del precetto può essere, d’altra parte, ricavato dall’indirizzo giurisprudenziale – cui si fa riferimento anche dall’odierno rimettente – secondo il quale, ai fini della punibilità, la condotta di favoreggiamento deve essersi risolta in un aiuto alla prostituzione, e non già alla persona dedita ad essa. «</em>L’affermazione è, infatti, sintonica al testo della norma censurata – il quale esige che la condotta incriminata favorisca l’attività, e non la persona che la esercita – e mira proprio ad evitare indebite dilatazioni della sfera applicativa della figura criminosa<em>» (sentenza n. 141 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le deduzioni del giudice a quo non aggiungono sostanziali elementi di novità rispetto agli argomenti già vagliati da questa Corte.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– Le questioni vanno dichiarate, di conseguenza, non fondate.</em></p>