Corte Costituzionale, sentenza 17 ottobre 2023, n. 190
PRINCIPIO DI DIRITTO
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3-bis del d.l. n. 146 del 2021, sollevate, con riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost., dalla CGT di primo grado di Napoli con l’ordinanza in epigrafe in quanto, come emerge dalla stessa prospettazione del rimettente, il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– La CGT di primo grado di Napoli, con ordinanza del 23 gennaio 2023 (r.o. n. 18 del 2023), dubita, in riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3-bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito. Tale norma, innalzando la soglia del bisogno di tutela giurisdizionale dei contribuenti ai fini della impugnazione “diretta” del ruolo e della cartella, invalidamente notificati, ma conosciuti occasionalmente tramite la consultazione dell’estratto di ruolo, stabilisce: «L’estratto di ruolo non è impugnabile.
Il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».
1.1.– Il giudice a quo riferisce che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio riguardante, in particolare, l’impugnazione di una cartella relativa alla TARSU del 2011, di cui si assumeva l’invalidità della notifica, conosciuta tramite la consultazione di estratti di ruolo, con conseguente maturazione della prescrizione del credito tributario, in assenza di atti interruttivi della stessa.
2.– La CGT – che, seguendo l’interpretazione fornita dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 26283 del 2022, ha ritenuto tale novella applicabile anche ai giudizi pendenti – in punto di rilevanza evidenzia che, se le questioni di legittimità costituzionale fossero ritenute non fondate, troverebbe applicazione la norma censurata, che identifica l’interesse ad agire esclusivamente in pregiudizi attinenti ai rapporti con la pubblica amministrazione, sicché il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Diversamente, se le stesse questioni fossero ritenute fondate, «nella parte in cui [la norma] non consente l’impugnativa diretta al di fuori delle ipotesi da essa stessa previste», permarrebbe l’interesse ad agire del contribuente e, in assenza di atti interruttivi, stante l’acclarata invalidità della notificazione della cartella, dovrebbe essere dichiarata la prescrizione del credito tributario.
3.– Il giudice a quo, quanto alla non manifesta infondatezza, con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost., deduce la violazione del principio di uguaglianza, poiché, a seguito della novella, la tutela giurisdizionale del contribuente dinanzi al giudice tributario sarebbe «diversa (e deteriore) laddove sia competente il GT rispetto alla tutela accordata innanzi al G.O. per le medesime ipotesi e per le medesime ragioni». Infatti, per il rimettente, questa Corte, con la sentenza n. 114 del 2018, avrebbe «sancito l’ammissibilità delle opposizioni ex art. 615 cpc (innanzi al G.O.) laddove esse non riguardino “contestazioni del titolo” che invece sono riservate al G.T.».
Tale sentenza si sarebbe «inseri[ta] nel solco delle SS.UU. del 2015 completando la tutela del contribuente», in quanto in tal modo «[i]l Ruolo risultava sempre impugnabile: innanzi al G.T. in mancanza di notifica di un atto (funzione recuperatoria) ed innanzi al G.O. per le questioni successive che non riguardavano più il titolo (in mancanza di impugnazioni l’avvenuta notifica cristallizzava la pretesa tributaria)». La CGT, quindi, rimarca che «[l]a riforma del 2021 e la successiva interpretazione delle SS.UU. del 2022» avrebbero mutato «notevolmente il quadro», rendendo «oggettivamente più difficoltosa la possibilità di tutela innanzi al G.T.». Infatti, l’intervenuta prescrizione – esemplifica il rimettente – non potrebbe più essere dedotta «in via immediata» dinanzi a quest’ultimo – tranne che nelle ipotesi previste dalla novella – essendo necessario «attendere la notifica di un atto successivo (magari esecutivo) per poter contestare la pretesa (con evidenti rischi di tutela meramente risarcitoria)». Diversamente, prosegue il rimettente, «laddove si discuta di prescrizione successiva alla notifica della cartella (e non vi sia contestazione di tale notifica) la giurisdizione – come da insegnamento della stessa S.C. – spetta al G.O.». Osserva la CGT che «[i]n tal caso sarà possibile l’opposizione ex art. 615 cpc e la tutela sarà esperibile immediatamente indipendentemente dalla notifica di un ulteriore atto e sine die (e con tutti i poteri riconosciuti dal codice di rito al G.O.)» e ciò costituirebbe «una disparità di trattamento» che aggraverebbe «anche le possibilità di tutela effettiva».
3.1.– Inoltre, sotto un secondo profilo, la CGT reputa sussistere la violazione del principio di uguaglianza anche perché le ipotesi stabilite dalla norma censurata non esaurirebbero «tutti i possibili pregiudizi che si possono avere dal permanere di un’indebita iscrizione a Ruolo».
Infatti, per il rimettente l’impugnazione immediata di ruolo e cartella, invalidamente notificati, sarebbe consentita in virtù della nuova norma solo per i tre «pregiudizi» individuati dalla legge, tutti legati ai rapporti del contribuente con la pubblica amministrazione, mentre resterebbero irragionevolmente escluse ipotesi di possibili «pregiudizi» che meriterebbero analoga forma di tutela (pignoramento di una parte dello stipendio; difficoltà di accesso al credito bancario per un rating di impresa compromesso dai carichi fiscali iscritti; richiesta di mutuo da parte di soggetti «non esercenti attività di impresa»; segnalazioni dei creditori pubblici «qualificati»).
3.2.– Le doglianze del rimettente si incentrano, poi, sulla violazione dei parametri di cui agli artt. 24 e 113 Cost., e ciò sia perché la drastica riduzione delle ipotesi di tutela “immediata” comporterebbe un vulnus al diritto di difesa del contribuente, che potrebbe solo chiedere la tutela cautelare avverso il successivo atto di pignoramento, con poche possibilità di impedire, nelle more, il verificarsi del danno, sia perché sarebbero sprovvisti di tutela pregiudizi diversi da quelli relativi ai rapporti con la pubblica amministrazione.
3.3.– La CGT, infine, accenna, da un lato, alle «ragioni sottese alla norma sotto esame: a seguito delle SS.UU. del 2015 è evidente che il Legislatore si è preoccupato di evitare un proliferare di ricorsi per carichi anche molto risalenti e che a fronte di esazione piuttosto improbabile avrebbero gravato in maniera eccessiva sugli uffici sottraendo risorse preziose e causando il danno economico della possibile condanna al pagamento delle spese di giudizio».
Dall’altro, manifesta «perplessità» per «il fatto che per risolvere tale problema il Legislatore sia intervenuto condizionando pesantemente la possibilità di difendersi in giudizio», censurando quindi la norma in riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost. «nei termini di cui in motivazione», nella quale, dopo avere esposto una casistica delle fattispecie ritenute indebitamente pretermesse, conclude che «il Legislatore avrebbe potuto adottare soluzioni più snelle e con costi irrisori, che comunque sarebbero state rispettose del diritto di difesa».
10.– Le questioni sollevate dalla CGT, tuttavia, sono inammissibili per un diverso ordine di ragioni. La disposizione censurata si pone quale epilogo di una complessa evoluzione giurisprudenziale che prende le mosse, come correttamente ricostruito dal rimettente, dalla sentenza n. 19704 del 2015 delle sezioni unite della Corte di cassazione, che ha affermato il seguente principio di diritto: «È ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione».
In questi termini la pronuncia ha ampliato l’accesso alla tutela giurisdizionale; nella medesima prospettiva si sono poi poste sia due ulteriori pronunce della Corte di cassazione a sezioni unite (Cass., sez. un., 5 giugno 2017, n. 13913 e n. 13916), sia la sentenza n. 114 del 2018 di questa Corte.
[…]A fronte di una tale proliferazione di ricorsi, che ha messo in crisi il sistema di tutela giurisdizionale, il legislatore è intervenuto con la disposizione censurata, che limita la possibilità di impugnare direttamente il ruolo e la cartella, che si assume invalidamente notificata, solo al ricorrere di determinate fattispecie attinenti a rapporti con la pubblica amministrazione, ovvero «nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».
12.– Come si è visto, la norma censurata reagisce alla proliferazione dei ricorsi riconoscendo solo in taluni casi la meritevolezza della tutela “anticipata”, riservando agli altri casi la strada dell’impugnazione “indiretta” al fine di censurare, dinanzi al giudice tributario, l’atto esecutivo successivo viziato dalla mancata notifica dell’atto presupposto.
Al riguardo questa Corte ritiene innanzitutto opportuno precisare che l’abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema – dove spesso l’agente della riscossione, addirittura, non è in grado di fornire la prova della regolare notifica – e così generano un preoccupante contenzioso seriale, non può in via sistematica comprimere il bisogno di tutela “anticipata” dei soggetti (fossero anche pochi) che legittimamente lo invocano. Il rimedio alla situazione che si è prodotta per effetto della norma censurata coinvolge però profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del legislatore e non spetta, almeno in prima battuta, a questa Corte; […]
13.– Le questioni sollevate dalla CGT partenopea sono quindi inammissibili: il rimettente del resto, da un lato, non misconosce le «ragioni sottese alla norma sotto esame: a seguito delle SS.UU. del 2015 è evidente che il Legislatore si è preoccupato di evitare un proliferare di ricorsi per carichi anche molto risalenti e che a fronte di esazione piuttosto improbabile avrebbero gravato in maniera eccessiva sugli uffici sottraendo risorse preziose e causando il danno economico della possibile condanna al pagamento delle spese di giudizio».
Dall’altro, manifesta «perplessità» per «il fatto che per risolvere tale problema il Legislatore sia intervenuto condizionando pesantemente la possibilità di difendersi in giudizio», censurando quindi la norma in riferimento agli artt. 3,24 e 113 Cost. «nei termini di cui in motivazione», nella quale, dopo avere esposto una casistica delle fattispecie ritenute indebitamente pretermesse, conclude che «il Legislatore avrebbe potuto adottare soluzioni più snelle e con costi irrisori, che comunque sarebbero state rispettose del diritto di difesa».
Di qui l’inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che, come emerge dalla stessa prospettazione del rimettente, il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore (sentenze n. 71 del 2023, n. 96 e n. 22 del 2022, n. 259, n. 240, n. 146, n. 103, n. 33 e n. 32 del 2021).