Corte costituzionale, sentenza 21 marzo 2025, n. 34
PRINCIPIO DI DIRITTO
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 17.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 17, censura l’art. 2, comma 2, del D.L. n. 133 del 2013, come convertito, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui impone per l’anno di imposta 2013 alle società di gestione del risparmio un’addizionale all’IRES dell’8,5 per cento.
Riferisce il giudice a quo che l’Agenzia delle entrate ha negato il rimborso – chiesto dalla A.R.E. spa – di una somma versata a titolo di addizionale IRES ai sensi della disposizione censurata.
La suddetta società ha quindi impugnato il diniego innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano ma quest’ultima ne ha respinto il ricorso in virtù del suddetto art. 2, comma 2.
2.- La S. ha proposto appello avanti alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, la quale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del D.L. n. 133 del 2013, come convertito, in considerazione della precedente sentenza n. 288 del 2019 di questa Corte, ritenendo non sussistenti, nel caso delle S., i “significativi” effetti compensativi riconosciuti a favore di banche, SIM ed enti che esercitano attività assicurativa.
In particolare, il rimettente ha evidenziato che le presenti questioni di legittimità costituzionale sarebbero non manifestamente infondate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., poiché le predette misure compensative non andrebbero a beneficio delle S., dal momento che le perdite relative a crediti sarebbero assai limitate non svolgendo le suddette società attività consistenti nel prestare denaro, con la conseguenza che le stesse avrebbero una capacità contributiva inferiore rispetto agli altri soggetti appartenenti al mercato finanziario ugualmente assoggettati all’addizionale IRES.
3.- Le questioni non sono fondate.
3.1.- Su un piano generale, occorre dapprima ricordare che tutti hanno l’obbligo di adempiere ai propri doveri tributari; la violazione del principio di eguaglianza in tale ambito sussiste laddove situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando, alla diversità di disciplina, corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 108 del 2023, n. 270 del 2022 e n. 172 del 2021).
Questa Corte ha affermato che “la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria”; piuttosto essa esige “un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)” (sentenza n. 10 del 2015).
L’ordinamento tributario è dunque ispirato a principi di solidarietà e l’addizionale prevista dalla disposizione censurata è coerente con gli stessi, in quanto diretta a finanziare, per l’anno 2013, l’abolizione di una rata dell’IMU in un momento di difficile congiuntura economico-sociale.
Infatti, come ha già chiarito questa Corte, “il suddetto intervento del legislatore ha comportato uno spostamento della fiscalità dall’imposizione immobiliare sulle persone fisiche a quella reddituale su determinate persone giuridiche, avvantaggiando comunque anche le famiglie meno abbienti colpite dalla difficile fase congiunturale, con un innegabile, per quanto parziale, effetto redistributivo e solidaristico” (ancora, sentenza n. 288 del 2019).
3.2.- La giurisprudenza costituzionale ha altresì affermato che per “capacità contributiva” ai sensi dell’art. 53 Cost., si deve intendere l’idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico cui l’imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità” (sentenza n. 108 del 2023 e, nello stesso senso, sentenza n. 201 del 2014).
Questa Corte ha inoltre evidenziato che “ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza” (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2024 e n. 10 del 2023) e che “ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione (sentenza n. 10 del 2015)” (sentenza n. 108 del 2023).
Nella sentenza n. 108 del 2023 è stato precisato che ” in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica”.
Occorre altresì inquadrare il complessivo intervento fiscale disposto per una sola annualità di imposta dal legislatore, nel suo precipuo contesto temporale, che è quello di una pesante crisi che ha colpito tutti i settori economici.
Numerosi sono infatti i casi di temporaneo inasprimento dell’imposizione (sentenza n. 10 del 2015) – applicabili a determinati settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti – ritenuti costituzionalmente legittimi da questa Corte proprio in forza della loro limitata durata: basti menzionare la sovraimposta comunale sui fabbricati (sentenza n. 159 del 1985), l’imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati (sentenza n. 21 del 1996), il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali (sentenza n. 143 del 1995), il contributo straordinario per l’Europa, finalizzato all’adeguamento dei conti pubblici ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht (ordinanza n. 341 del 2000).
3.3.- Questa Corte in altre occasioni ha altresì ritenuto non fondate censure riferite a tributi istituiti solo per alcuni soggetti passivi all’interno di una determinata categoria e, in particolare, proprio con riferimento alle imprese operanti nel mercato finanziario.
Nella sentenza n. 201 del 2014 ha sottolineato, infatti, che non era ingiustificata la limitazione al solo “settore finanziario” della platea dei soggetti passivi sottoposti al prelievo “addizionale” sulle remunerazioni in forma di bonus e stock options; in senso analogo, ma con riferimento alle imprese dotate di maggiori risorse economiche, nella sentenza n. 269 del 2017 si è affermato che “non è irragionevole che le spese di funzionamento dell’autorità preposta al corretto funzionamento del mercato gravino sulle imprese caratterizzate da una presenza significativa nei mercati di riferimento [con fatturato superiore a 50 milioni di euro] e dotate di considerevole capacità di incidenza sui movimenti delle relative attività economiche”.
3.4.- Nelle peculiari caratteristiche del mercato finanziario può quindi essere non irragionevolmente individuato uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile (ancora, sentenza n. 108 del 2023).
Di conseguenza, non è costituzionalmente illegittima l’individuazione del presupposto della “addizionale” IRES nell’appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario, quale indice di capacità contributiva.
4.- Questa Corte si è già espressa, con la sentenza n. 288 del 2019 e con la successiva ordinanza n. 165 del 2021, sulle questioni di legittimità costituzionale della disposizione censurata, in riferimento agli stessi parametri evocati nel presente giudizio.
Deve ribadirsi, in assenza di novità normative di rilievo, la perdurante validità delle argomentazioni espresse nella richiamata sentenza n. 288 del 2019, la quale ha evidenziato l’esistenza di specifici elementi caratterizzanti il mercato finanziario, propri anche delle S., che rendono non arbitraria la scelta del legislatore di individuare nell’appartenenza a tale mercato uno specifico indice di capacità contributiva, che giustifica come tale l’addizionale IRES oggetto di censura nel presente giudizio.
4.1.- In effetti, non è dubitabile che le imprese appartenenti al mercato finanziario usufruiscano di consistenti barriere all’entrata, rappresentate dalla necessaria autorizzazione della B.I., sentita la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), dalla disponibilità di un capitale minimo fissato dalla B.I. e da un know-how specialistico in ragione del valore costituzionale del risparmio (art. 47 Cost.). Tutti questi elementi rendono difatti più difficile l’accesso delle imprese a questo specifico mercato.
4.2.- Deve inoltre rammentarsi, come pure evidenziato dalla sentenza n. 288 del 2019, che la suddetta addizionale è accompagnata da “misure compensative” riconosciute a favore delle imprese che operano sul mercato finanziario, come previsto dal secondo periodo della disposizione censurata, il quale stabilisce che “[l]’addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall’applicazione dell’articolo 106, comma 3, del suddetto testo unico [t.u. imposte redditi]”.
Sotto tale profilo, la più volte richiamata sentenza n. 288 del 2019 ha affermato che “[t]ale disciplina speciale prevede in sostanza che le perdite e le svalutazioni dei crediti verso la clientela, benché in astratto interamente deducibili alla sola condizione della loro iscrizione in bilancio a tale titolo, in concreto lo divengano in una misura estremamente diluita per singolo periodo d’imposta, determinando pertanto una (spesso) significativa variazione in aumento del risultato del bilancio civilistico e, quindi, del reddito imponibile ai fini dell’IRES. In conseguenza della disattivazione di tale clausola, la nuova imposta è stata dunque originariamente introdotta su una base imponibile notevolmente ridotta rispetto a quella ordinaria dell’IRES”.
L’art. 1, comma 160, lettera c), numero 1), della L. n. 147 del 2013 è poi intervenuto sull’art. 106, comma 3, t.u. imposte redditi in relazione all’imposizione ordinaria IRES con modifiche che hanno: attenuato l’impatto della variazione in aumento, consentito la deduzione di importi maggiori in fasi congiunturali avverse nonché alleviato l’entità della tassazione sui soggetti del mercato finanziario, in periodi di perdite elevate.
Deve tuttavia evidenziarsi che il rimettente ritiene irrilevanti gli effetti compensativi previsti dalla disposizione censurata per le S. in ragione dell’attività da esse esercitata; ciò in quanto le predette misure compensative sarebbero conseguenze specifiche e tipiche dell’attività caratteristica degli altri intermediari finanziari ma non anche delle S., per le quali, invece, i crediti inesigibili sarebbero voci di scarso rilievo.
5.- Occorre pertanto, seppur brevemente, richiamare le caratteristiche dell’attività svolta da tale tipologia societaria.
L’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52), alla lettera o), come sostituita dall’art. 2 del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 274, recante “Attuazione della direttiva 2001/107/CE e 2001/108/CE, che modificano la direttiva 85/611/CEE in materia di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM)”, stabilisce che si intende per “”società di gestione del risparmio” (S.): la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio”.
Il concetto di servizio di gestione collettiva del risparmio è definito dalla lettera n) dell’art. 1, comma 1, t.u. finanza (più volte modificata) come quello che si realizza attraverso la gestione di un organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR) e dei relativi rischi. L’OICR, a sua volta, è definito dalla lettera k) del sopra citato art. 1 come l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari o altri beni mobili o immobili.
Ai sensi dell’art. 34 t.u. finanza la B.I., sentita la CONSOB, autorizza le S. all’esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio quando ricorrano determinate condizioni e in particolare che: sia adottata la forma di società per azioni; la sede legale e la direzione generale della società siano situate in Italia; il capitale sociale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla B.I..
Le S. svolgono un’attività consistente nella raccolta e nella gestione collettiva del risparmio, ma non anche quella che è l’attività tipica delle banche – anch’esse assoggettate alla medesima imposizione tributaria – ossia quella di prestare denaro. Le società di gestione del risparmio appartengono, dunque, al mercato finanziario e svolgono una attività sottoposta al controllo, nell’ambito delle rispettive competenze, della B.I. e della CONSOB, di rilevanza costituzionale in ragione della previsione di cui all’art. 47 Cost. che tutela il risparmio in tutte le sue forme.
Le S. operano, pertanto, a pieno titolo nel mercato finanziario e, come evidenziato anche dalla Corte di cassazione in numerose pronunce n. 6256 7 giugno 2023, n. 16150; 7 giugno 2023, n. 16138 e 16 maggio 2023, n. 13343; ordinanza 6 ottobre 2023, n. 28211), la circostanza che le stesse usufruiscano in misura scarsamente significativa delle norme di favore relative alla deducibilità delle perdite afferenti ai crediti, denota proprio la loro maggiore capacità contributiva.
Infatti, “[i] profili […] caratteristici delle S.G.R. […], lungi dal porle in una posizione di maggior sfavore, sottolineano il minor impatto subito dalla crisi economica e confermano la sussistenza dei parametri di non arbitrarietà e proporzionalità della misura” (Cass., n. 13343 del 2023). La circostanza, dunque, che alcuni dei soggetti passivi individuati dalla disposizione censurata (come le S.) non si trovino nella condizione di dover dedurre perdite e svalutazioni crediti, evidenzia semplicemente che tale tipologia societaria non è esposta a tale rischio imprenditoriale.
Non può del resto trascurarsi che l’attività delle S. consiste tipicamente e principalmente nella prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, nella gestione dei fondi pensione e nella gestione individuale del patrimonio dei singoli risparmiatori e che, nell’anno 2013, anno di applicazione dell’addizionale IRES, si è manifestato, come risulta dalla relazione annuale della B.I. per l’anno 2013, pubblicata il 30 maggio 2014, un miglioramento dei mercati finanziari italiani, con un incremento, nello specifico settore delle S., dell’utile netto del 18,7 per cento rispetto all’anno 2012.
6.- In definitiva, l’appartenenza al mercato finanziario, del quale le S. fanno parte, può rappresentare, in ipotesi circoscritte temporalmente e dettate da una crisi economica generale, un non irragionevole e non arbitrario indice di capacità contributiva, anche alla luce dei principi di uguaglianza tributaria e di solidarietà.