Cassazione Penale Sez. 3 sent Num. 37576 Anno 2021 Presidente: PETRUZZELLIS ANNA Relatore: DI STASI ANTONELLA
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 d.lgs 74/2000, se da un lato è sufficiente che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario, non è al contempo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto.
Ne consegue che il reato è integrato, sotto il profilo soggettivo, dal dolo specifico, rappresentato dal fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sul piano oggettivo, dalla condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva.
La condotta penalmente rilevante può dunque essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento sui propri o su altrui beni, che sebbene formalmente lecito, sia caratterizzato da un intenzionale intento artificioso ed ingannatorio volto a ridurre la capacità e la garanzia patrimoniale del contribuente stesso,risultando di fatto, oggettivamente idoneo ad eludere l’esecuzione esattoriale ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11(“chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”), si richiede esclusivamente che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Rv. 256376; Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970; Sez. 5, n. 7916 del 10/1/2007, Cutillo, Rv. 236053); ne consegue che il reato è integrato, sotto il profilo soggettivo, dal dolo specifico, rappresentato dal fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sotto il profilo materiale, da una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva (Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970, cit.). Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile, una eventuale procedura esecutiva (Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Rv.266771 – 01; Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Rv. 256376, cit.); si è precisato anche che integra il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11una diminuzione, anche non totale, della garanzia patrimoniale generica offerta dal patrimonio del debitore fiscale (Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, dep. 22/02/2016, Rv. 266134 – 01). Con riferimento specifico alla condotta costituita dal compimento di “altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni” (che qui rileva), essa è integrata da ogni comportamento che, sebbene formalmente lecito, sia però caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Sez. 3, n. 25677 del 16/5/2012, Rv. 252996). E si è chiarito che, a differenza della l’alienazione simulata, che è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11 allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Rv. 273493 – 01; Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 20/01/2017, Rv. 268798 – 01). La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell’agente è stata sottolineata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12213 del 21/12/2017, Rv. 272171) che, nell’ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all’art. 388 c.p., norma il cui schema risulta richiamato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito, per cui in quest’ottica può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma, non potendosi in definitiva far coincidere la il carattere fraudolento degli atti con il fine di vulnerare le legittime aspettative dell’Erario. Si è conseguentemente ritenuto configurato il reato in esame in ipotesi di cessione simulata dell’avviamento commerciale (Sez. 3, n. 37389 del 16/5/2013, P.M. in proc. Ravera, Rv. 257589), cessione di immobili e quote sociali alla convivente da parte di un commercialista (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Rv. 256376, cit), pluralità di trasferimenti immobiliari (Sez. 3, n. 19524 del 4/4/2013, Rv. 255900), costituzione di un fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. (Sez. 3, n. 47827 del 12/07/2017, Rv. 271321 – 01 Sez. 3, n. 9154 del 19/11/2015, dep. 04/03/2016, Rv. 266457 – 01), messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (Sez. 3, n. 19595 del 9/2/2011, Rv. 250471), vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di “sale and lease back” (Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, Rv. 239970, cit.). Tanto premesso, deve osservarsi che la motivazione della sentenza impugnata risulta congrua e logica ed in linea con in suesposti principi di diritto. I Giudici di appello, hanno posto in evidenza lo scopo fraudolento della alienazione da parte della Service Real Estate s.r.l. delle proprie consistenze immobiliari (due terreni siti in agro di (OMISSIS) ) e la finalità unica di sottrarre il patrimonio del contribuente alla procedura coattiva. La Corte territoriale, nel ricostruire la vicenda processuale, ha evidenziato che la società, della quale l’imputato era amministratore unico e legale rappresentante, risultava debitrice verso l’Erario della somma indicata nell’imputazione e per la quale erano state già notificate sei cartelle esattoriali. Era, poi, risultato che la parte acquirente era la società MAP Immobiliare, partecipata al 50% dal figlio dell’imputato e che al momento di conclusione dell’atto di compravendita era stato versato solo parte del prezzo mentre il residuo (di maggiore consistenza) non era stato mai saldato nè la venditrice aveva mai agito per ottenerne il pagamento, tanto che risultava evidente lo scopo della Service Real Estate s.r.l. di sottrarre i beni alla procedura di riscossione coattiva delle imposte; la stessa Map Immobiliare, inoltre, secondo le risultanze processuali, era risultata una società inattiva e priva di dipendenti (cfr pagg 6,7,8 della sentenza impugnata); tali circostanze, complessivamente valutate, rendevano evidente che l’imputato, destinatario di pretesa fiscale di assoluta rilevanza, aveva inteso mettere al sicuro gli unici beni di cui disponeva attraverso la sua società presso una società sulla quale poteva fare pieno affidamento in virtù dello stretto rapporto familiare con l’ex-amministratore ed attuale socio paritario. A fronte di tale adeguato percorso motivazionale, il ricorrente attraverso una formale denuncia di vizio di violazione di legge, espone sostanzialmente censure, le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508). 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv. 260610). Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691). L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a cagione del precedente penale specifico, rimarcando anche che la condotta contestata era stata posta in epoca immediatamente prossima alla pregressa condanna. Ha, quindi, ritenuto assolutamente prevalente il richiamo, alla personalità negativa dell’imputato, quale emergente dal certificato penale, per negare l’invocato beneficio (cfr in merito alla sufficienza dei precedenti penali dell’imputato quale elemento preponderante ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; Sez. 1, n. 12787 del 05/12/1995, Rv. 203146). 3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
Cass. pen., III, ud. dep. 15.10.2021, n. 37576