Corte Costituzionale, sentenza 26 ottobre 2021 n. 200
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Occorre preliminarmente evidenziare come la Corte di cassazione censuri esclusivamente l’art. 57, comma 3, secondo periodo, t.u. accise – disposizione rimasta invariata nel corso del tempo e attualmente ancora in vigore nella sua formulazione originaria – il quale, con riferimento all’imposta erariale di consumo (ora accisa) sull’energia elettrica, fissa in cinque anni decorrenti dalla scoperta dell’illecito, in caso di comportamento omissivo, il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta.
Secondo l’interpretazione non implausibile da cui muove il rimettente, a tale termine rinvia l’art. 20, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), prevedendo che l’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni in materia tributaria debba essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione «o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi», quale sarebbe, appunto, quello previsto dalla norma censurata.
Dunque, il dies a quo di computo del termine entro cui devono intervenire l’avviso di pagamento – ossia l’atto di accertamento relativo all’imposta in considerazione (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 1° febbraio 2019, n. 3049) – e l’atto di contestazione o irrogazione della sanzione è individuato in entrambi i casi nella scoperta dell’illecito omissivo.
L’intervento manipolativo-additivo auspicato dal giudice a quo onde ovviare ai dubbi di legittimità costituzionale palesati – vale a dire l’introduzione nella disposizione censurata di una data certa di decorrenza del termine, in sostituzione di quella prevista – può dunque indirizzarsi esclusivamente all’art. 57, comma 3, secondo periodo, t.u. accise, in quanto, pur incidendo direttamente soltanto sul regime prescrizionale del credito tributario, è destinato a riverberarsi automaticamente anche su quello decadenziale relativo alle sanzioni, proprio in virtù del citato rinvio.
3.– Tanto premesso, riuniti i giudizi in considerazione dell’identità delle questioni sollevate, onde definirli con un’unica pronuncia, è fondata e assorbente l’eccezione d’inammissibilità con la quale il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che la reductio ad legitimitatem auspicata dal rimettente postula un intervento manipolativo-additivo, la cui scelta è prioritariamente affidata alla discrezionalità del legislatore.
3.1.– Occorre rammentare come questa Corte abbia già avuto modo di chiarire (sentenza n. 280 del 2005) e successivamente ribadire (sentenza n. 11 del 2008 e ordinanza n. 178 del 2008) che l’art. 24 Cost. impedisce di lasciare il contribuente assoggettato all’azione del fisco per un tempo indeterminato.
Sebbene tale principio sia stato originariamente formulato con riferimento alla decadenza e all’azione esecutiva, la sua più ampia portata, estesa oltre i limiti dell’iniziale affermazione, trova conferma, sia in dottrina, sia nella giurisprudenza costituzionale.
Da essa si può infatti evincere come il diritto di difesa impedisca anche un’indeterminata o irragionevolmente ampia soggezione del contribuente all’azione accertativa del fisco (sentenze n. 247 del 2011 e n. 356 del 2008), ancorché condizionata dal mancato compimento di una specifica attività posta dalla legge a carico del contribuente medesimo.
Inoltre, questa Corte, a soddisfacimento dell’esigenza di certezza nei rapporti giuridici, ha avuto modo di avallare come costituzionalmente orientata l’interpretazione volta a porre un termine prescrizionale determinato all’esercizio dell’azione di recupero dei tributi doganali (sentenza n. 247 del 2011) e di considerare essenziale la previsione di un preciso limite temporale per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’amministrazione, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla definizione della propria situazione giuridica (sentenza n. 151 del 2021).
Tanto considerato, la norma censurata, identificando nella scoperta dell’illecito il termine di decorrenza della prescrizione del credito tributario – e della decadenza dalla pretesa sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 – non individua in maniera certa il dies a quo di inizio del computo, così esponendo a tempo indeterminato il contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili anche a distanza di decenni dall’insorgenza dell’obbligo rimasto inadempiuto, in violazione dell’art. 24 Cost. Ad aggravare il pregiudizio del diritto di difesa, quantomeno con riferimento al credito dell’imposta, concorrono l’esclusiva previsione di un termine di prescrizione – suscettibile, a differenza di quello di decadenza, di interruzione e, quindi, eventuale fonte di ulteriore indeterminatezza – nonché la circostanza che l’obbligo di conservazione documentale, funzionale a contraddire le pretese del fisco, sia previsto per un tempo molto più breve (artt. 2220 del codice civile e 8, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto del contribuente», nonché, attualmente, art. 15, comma 6, t.u. accise).
Ritenuta la necessità che il contribuente non sia assoggettato al potere del fisco per un tempo indeterminato – principio a cui rispondono i tertia comparationis evocati dalla Corte rimettente, ossia l’art. 57, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), l’art. 43, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), l’art. 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nonché l’art. 15 (Recupero dell’accisa e prescrizione del diritto all’imposta) t.u. accise, come da ultimo sostituito dall’art. 4-ter, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225 – la disciplina recata dalla disposizione censurata produce, sotto il profilo difensivo, un irragionevole effetto discriminatorio per il contribuente tenuto all’imposta di consumo (ora accisa) sull’energia elettrica.
3.2.– Se è dunque palese l’inadeguatezza del regime tuttora dettato dall’art. 57, comma 3, secondo periodo, t.u. accise, segnatamente rispetto alle esigenze poste dall’art. 24 Cost., quali in precedenza evidenziate, deve, tuttavia, rilevarsi come a essa non possa porre rimedio questa Corte. È, infatti, rimesso alla valutazione discrezionale del legislatore, anche in forza del principio della polisistematicità dell’ordinamento tributario, il ragionevole adattamento ai vari tributi di istituti comuni, quali la prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale (n. 375 del 2002; nello stesso senso, sentenza n. 201 del 2020), combinandole e modulandole in relazione agli specifici interessi di volta in volta coinvolti.
4.– Nel dichiarare l’inammissibilità delle questioni in esame – «in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario» (ex plurimis, sentenza n. 151 del 2021) – questa Corte non può, tuttavia, esimersi dal sottolineare che quanto evidenziato in ordine al diritto di difesa rende ineludibile un tempestivo intervento legislativo volto a porvi rimedio.