Corte Costituzionale, sentenza 02 febbraio 2023, n. 12
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 ottobre 2013, n. 124, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, come convertito, denunziandone il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.
La norma censurata, auto-qualificandosi come di interpretazione autentica, interviene sulla disciplina dell’annotazione catastale del carattere di ruralità dei fabbricati, necessaria per il conseguimento dell’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili prevista dall’art. 23, comma 1-bis, del d.l. n. 207 del 2008, come convertito.
La disposizione in scrutinio stabilisce che «[a]i sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda».
1.1.– In particolare, la CTR dubita della legittimità costituzionale dell’interpretazione della citata norma, come risultante dal principio di diritto, enunciato dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con l’ordinanza 31 ottobre 2019, n. 28135 ‒ al quale essa è tenuta ad attenersi in quanto giudice di rinvio ‒ secondo il quale, ai fini dell’operatività dell’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, la ruralità dei fabbricati deve risultare dalla prescritta annotazione catastale.
1.1.1.– Ad avviso del rimettente, la disciplina dalla quale tale principio è stato tratto sarebbe irragionevole nella parte in cui prescrive che, ai fini del riconoscimento retroattivo della natura rurale dei fabbricati, necessario per accedere al regime agevolativo, tale attributo deve essere annotato negli atti del catasto, senza, tuttavia, prevedere un’eccezione per il caso in cui l’annotazione, pur in presenza dei presupposti sostanziali della ruralità, non possa essere effettuata, in quanto, al momento della presentazione della relativa istanza, la particella catastale identificativa dell’unità immobiliare sia stata soppressa e sia confluita in un nuovo subalterno.
1.1.2.– La normativa censurata determinerebbe, altresì, una ingiustificata disparità di trattamento tra le situazioni, sostanzialmente uguali, dei proprietari dei fabbricati che, prima della presentazione dell’istanza di riconoscimento della ruralità, siano stati oggetto di variazioni catastali, e dei titolari degli immobili di identica tipologia che, invece, non abbiano subito alcuna modifica.
1.1.3.– Il giudice a quo ritiene, infine, violato l’art. 53 Cost., in quanto la disposizione censurata, imponendo prestazioni patrimoniali diverse a contribuenti che versano nella medesima situazione sostanziale, recherebbe vulnus al principio della capacità contributiva.
2.– In via preliminare devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa statale.
2.1.− La deduzione con la quale l’interveniente contesta la genericità della censura involgente l’art. 97 Cost. è palesemente inconferente, in quanto verte su un parametro non evocato dal giudice a quo.
2.2.– Neppure può essere accolta l’ulteriore eccezione con la quale l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che le questioni promosse si incentrano su una disposizione, quale è l’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, come convertito, che non ha introdotto l’obbligo di annotazione catastale ritenuto all’origine del vulnus denunziato, ma ha soltanto chiarito, in quanto norma di interpretazione autentica, che l’inserimento di tale scritturazione negli atti del catasto ha efficacia retroattiva sino al quinto anno anteriore a quello di presentazione della domanda.
2.2.1.− Come ripetutamente affermato da questa Corte, un’interpretazione non formalistica del canone dell’esatta ed esaustiva indicazione della disposizione censurata, ricavabile dall’art. 23, primo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), impone di identificare il thema decidendum tenendo conto della motivazione e dell’intero contesto dell’ordinanza di rimessione (sentenze n. 258 del 2012 e n. 181 del 2011).
In tale ottica, l’imprecisa indicazione della disposizione indubbiata non inficia di per sé l’ammissibilità della questione ove questa Corte sia posta comunque in condizione di individuare il contesto normativo effettivamente investito dalle censure formulate (sentenze n. 107 del 2021 e n. 14 del 2019).
2.2.1.1.– Ciò premesso, è ben vero che la CTR Emilia-Romagna ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale in riferimento al solo art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, come convertito.
Tuttavia, le argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione rendono palese che l’oggetto delle censure è costituito dal plesso normativo che disciplina l’annotazione della ruralità, dalla quale la Corte di legittimità ha tratto il principio di diritto vincolante nel giudizio a quo.
La disciplina sottoposta a scrutinio può, quindi, ritenersi identificata con sufficiente precisione, pur mancando, nell’ordinanza di rimessione, un esplicito riferimento a tutte le disposizioni che la compongono.
2.3.– Parimenti non fondata è l’eccezione con la quale la difesa dello Stato lamenta che la CTR Emilia-Romagna avrebbe reiterato una questione già dichiarata inammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 115 del 2015, e sarebbe, inoltre, incorsa nella medesima carenza rilevata con la predetta ordinanza, avendo omesso di verificare l’applicabilità nella specie del d.m. 26 luglio 2012.
2.3.1.– Occorre, anzitutto, ribadire, in linea con un’enunciazione già espressa dalla giurisprudenza costituzionale, che le precedenti pronunce di inammissibilità non comportano alcun effetto impeditivo nei confronti di successive censure, pure analoghe, relative alla medesima norma, posto che la riproposizione della stessa questione è preclusa soltanto nel corso del medesimo giudizio (sentenza n. 99 del 2017).
2.3.2.– In ogni caso, la questione all’odierno esame si incentra su profili della normativa in materia di annotazione della ruralità diversi rispetto a quelli affrontati dal precedente richiamato dalla difesa statale.
La questione decisa da questa Corte con l’ordinanza n. 115 del 2015 riguardava, infatti, l’art. 13, comma 14-bis, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, e l’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97, primo comma, Cost., «nella parte in cui tali disposizioni consentono al contribuente di ottenere, con un semplice, proprio atto, l’esenzione dall’[ICI], senza che l’Erario comunale possa, davanti al giudice tributario, essere ammesso a sostenere e a provare l’assenza delle condizioni sostanziali di legge alle quali dovrebbe essere subordinato il beneficio di cui trattasi».
A fondamento della statuizione di inammissibilità allora assunta, la Corte evidenziò la mancata considerazione, da parte del giudice rimettente, della regolamentazione del procedimento di annotazione dettata dal d.m. 26 luglio 2012 in attuazione dell’art. 13, comma 14-bis, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, e, in particolare, quanto previsto dall’art. 4, comma 1, del regolamento, ai sensi del quale «[l]’Ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio, per gli aspetti di diretta competenza, provvede, anche a campione, alla verifica delle autocertificazioni allegate alle domande di cui all’art. 2, comma 3 e alle richieste di cui all’art. 2, comma 6, nonché alla verifica del classamento e dei requisiti di ruralità per gli immobili dichiarati con le modalità previste dal decreto del Ministro delle finanze n. 701 del 1994».
Il rilievo della difesa statale, secondo il quale l’odierno rimettente non avrebbe preso in esame la regolamentazione suddetta, non risulta, pertanto, conferente nel caso di specie, in cui, come evidenziato, la disciplina dell’annotazione della ruralità è denunziata sotto il diverso profilo dell’inidoneità dell’automatismo procedimentale delineato dalla normativa in scrutinio ad attestare la ruralità del fabbricato nell’ipotesi in cui la particella alla quale riferire l’annotazione sia stata soppressa a seguito di frazionamento e abbia assunto un diverso identificativo catastale.
2.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce, altresì, che l’omessa delibazione, da parte della CTR, dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per riassunzione del giudizio di rinvio, formulata dall’amministrazione comunale resistente, inciderebbe sulla rilevanza delle questioni sollevate, giacché l’eventuale accoglimento di tale eccezione condurrebbe all’estinzione del processo principale.
2.4.1.– Anche questa eccezione è priva di fondamento.
Il rilievo risulta, infatti, formulato in modo del tutto generico, in assenza di qualsivoglia indicazione sul contenuto della eccezione di inammissibilità sulla quale il rimettente avrebbe omesso di pronunciarsi.
2.5.– Sono, inoltre, non fondate le eccezioni di inammissibilità con le quali l’Avvocatura generale dello Stato, da un lato, evidenzia che il rimettente non ha verificato se la normativa di riferimento escluda effettivamente la possibilità di ottenere l’annotazione della ruralità per i fabbricati che, nei cinque anni anteriori all’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, abbiano subito variazioni catastali a seguito delle quali siano confluiti in altre particelle; dall’altro, rileva che il giudice a quo non ha chiarito le ragioni della soppressione dei subalterni in questione – e in particolare se essa abbia riguardato soltanto i dati catastali ovvero se sia conseguita ad una vera e propria soppressione materiale dei fabbricati –, né ha precisato se la società cooperativa agricola ricorrente in riassunzione abbia effettivamente presentato, in relazione agli immobili in questione, la domanda di annotazione della ruralità ai sensi dell’art. 7, comma 2-bis, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, e se questa sia stata respinta.
2.5.1.– La prima eccezione è destituita di fondamento, posto che – contrariamente a quanto assume la difesa statale – il rimettente ha esaminato la disciplina dell’annotazione e ne ha escluso l’operatività nel caso sottoposto al suo esame, in ragione della intervenuta soppressione delle particelle oggetto della richiesta annotazione.
2.5.2.– Quanto alla seconda, deve osservarsi che entrambi i fatti di cui l’interveniente lamenta l’omessa deduzione risultano, al contrario, descritti in modo esaustivo nell’ordinanza di rimessione, avendo la CTR chiarito che «[n]el corso del processo si riscontrava un ridimensionamento della pretesa comunale a quattro dei sei fabbricati in quanto, dagli atti di causa, emergeva l’annotazione della ruralità per due di essi, mentre per gli altri quattro, pur in presenza dell’istanza di cui al D.L. ex art. 7, comma 2-bis del D.L. 70/2011, non risultava alcuna annotazione, dato che detti fabbricati, a tale data, non erano più censiti nel catasto dei fabbricati rurali, in seguito a un frazionamento che aveva originato altri subalterni».
3.– La difesa dello Stato imputa ancora al rimettente di avere omesso di riferire se fosse stata presentata la domanda di annotazione della ruralità dei fabbricati interessati dal frazionamento e, in caso affermativo, di precisarne l’esito, e se, avverso lo stesso, fosse stata proposta tempestiva impugnazione dinanzi alla CTP.
3.1.– Il rilievo dell’Avvocatura involge il tema – peraltro non esplicitamente evocato nell’atto di intervento − della possibilità per la CTR, chiamata a decidere sull’impugnazione di avvisi di accertamento per mancato versamento dell’ICI, di conoscere della questione catastale relativa alla ruralità dei fabbricati gravati dal tributo, sulla quale si innestano le censure di illegittimità costituzionale in scrutinio.
3.1.1.– Occorre, al riguardo, rammentare che, a norma dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), le controversie concernenti le operazioni catastali, pur appartenendo alla giurisdizione tributaria ed essendo soggette, in forza di quanto previsto dall’art. 19, comma 1, lettera f), del citato d.lgs. n. 546 del 1992, alle medesime forme del contenzioso tributario, sono dotate, rispetto a quest’ultimo, di spiccata autonomia, sia sul piano oggettivo, concernendo specificamente gli atti relativi alle operazioni catastali, sia su quello soggettivo, vertendo tra il proprietario dell’immobile e l’Agenzia delle entrate – Ufficio provinciale del territorio, senza che l’ente impositore sia parte del rapporto controverso.
3.1.1.1.– Tra il giudizio relativo alle operazioni catastali e quello concernente la pretesa impositiva intercorre, tuttavia, un vincolo di pregiudizialità-dipendenza in senso tecnico, in forza del quale il secondo processo deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 del codice di procedura civile fino alla definizione del primo con autorità di giudicato (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 9 ottobre 2019, n. 25250).
3.1.2.– Coerente con tali premesse ermeneutiche è il principio, enunciato dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione nella citata sentenza n. 18565 del 2009, secondo cui l’accertamento dei requisiti della ruralità in difformità all’attribuita categoria catastale non può essere compiuto incidentalmente dal giudice tributario che sia stato investito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’ICI o della domanda di rimborso di tale tributo. Ciò in quanto, rispetto alla pretesa fiscale concretamente opposta, il classamento costituisce l’atto presupposto, alla cui cognizione da parte del giudice investito dell’accertamento dell’imposta osta «il carattere impugnatorio del processo tributario, avente un oggetto circoscritto agli atti che scandiscono le varie fasi del rapporto di imposta» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 27 marzo 2019, n. 8534).
3.1.3.– Sulla scorta di tali enunciazioni consolidate – e cristallizzate nel principio di diritto dettato dalla Corte di cassazione nel giudizio a quo –, il Collegio rimettente non può che limitarsi al riscontro dell’esistenza e dell’efficacia del provvedimento di classamento sul quale si fonda la pretesa impositiva opposta. Ciò in quanto dovrebbe essere ad esso preclusa la cognizione sulle questioni afferenti al procedimento catastale, tra le quali rientra, evidentemente, anche il quesito sul quale si innesta l’odierno incidente di legittimità costituzionale.
Tale questione rientrerebbe, infatti, nella competenza del giudice tributario eventualmente investito dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 546 del 1992, del diniego tacito di annotazione ex art. 13, comma 14-bis, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 13 febbraio 2015, n. 3001), o comunque del classamento non modificato dall’amministrazione finanziaria, nonostante la richiesta di riconoscimento della ruralità.
3.2.– Ritiene, tuttavia, questa Corte che nella fattispecie in esame la mancata applicazione delle regole sulla cognizione del giudice tributario sopra richiamate non incida sulla rilevanza delle sollevate questioni.
Va, infatti, evidenziato che il giudice rimettente, rivolgendo le proprie censure alla disciplina sull’annotazione della ruralità, come interpretata alla stregua del principio di diritto enunciato ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., ha inteso contestare la validità costituzionale della stessa ricostruzione che ne è alla base, secondo la quale il giudice investito dell’accertamento della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ICI deve limitarsi a prendere atto dell’oggettiva classificazione catastale del fabbricato, in quanto è onere del contribuente che invochi l’esenzione dall’imposta impugnare l’atto di classamento, rimanendovi altrimenti assoggettato.
La CTR afferma motivatamente di dubitare della conformità a Costituzione della normativa, cui inerisce il richiamato punto di diritto, che esclude la propria competenza a compiere direttamente l’accertamento della ruralità anche nella specifica ipotesi in cui l’annotazione in catasto di tale destinazione funzionale sarebbe resa impossibile dalla soppressione della particella gravata dal tributo.
Poiché, dunque, le censure di illegittimità costituzionale investono, a ben vedere, la regula iuris dalla quale dipende la stessa potestas iudicandi del giudice rimettente, non si configura una macroscopica carenza dei presupposti della stessa incidente sulla rilevanza e quindi sull’ammissibilità delle questioni sollevate (per un’applicazione del principio in tema di giurisdizione, sentenze n. 112 del 1993 e n. 314 del 1992).
4.– Devono, infine, essere respinte le eccezioni di inammissibilità per carente motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni e per omessa ricerca di una interpretazione costituzionalmente adeguata, posto che il rimettente ha, da un lato, sia pure sinteticamente, illustrato le ragioni del ritenuto contrasto della disciplina censurata con gli evocati parametri costituzionali, e dall’altro, ha escluso la percorribilità di una interpretazione conforme a Costituzione.
5.– Va, da ultimo, rilevato che l’ordinanza di rimessione, nel ricomporre lo svolgimento del giudizio principale, impropriamente menziona snodi processuali non pertinenti alla controversia, ma riferibili all’analogo e più articolato contenzioso originato dall’impugnazione dell’avviso di accertamento, pur sempre notificato dal Comune di Concordia sulla Secchia al Caseificio sociale La Cappelletta di San Possidonio − società cooperativa agricola in riferimento ai fabbricati per cui è causa, ma avente ad oggetto l’annualità ICI 2006.
Tale errore ricostruttivo non infirma, tuttavia, l’intellegibilità della motivazione sulla rilevanza, in quanto la lettura coordinata dell’ordinanza di rimessione e della pronuncia di cassazione con rinvio, ivi riportata per ampi stralci, arricchita delle indicazioni offerte dall’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e dall’atto di costituzione della parte, così come illustrato dalla memoria da questa depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, consente di individuare agevolmente i lineamenti essenziali della res controversa.
6.– Nel merito, le questioni sollevate non sono fondate.
6.1.– Il presupposto ermeneutico sul quale si basano i dubbi di illegittimità costituzionale risulta, infatti, non corretto.
Il rimettente suppone che la soppressione, conseguente a frazionamento, delle particelle catastali relative ad immobili per i quali è richiesto il riconoscimento della ruralità e la loro confluenza in nuovi subalterni renda impossibile l’annotazione ai sensi dell’art. 13, comma 14-bis, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.
Tale conclusione è, tuttavia, da escludere sulla base di argomenti sistematici che tengono conto sia della ratio della disciplina censurata, sia della funzione del sistema catastale, al quale l’istituto dell’annotazione della ruralità, qui in esame, è strettamente correlato.
6.1.1.– A tale riguardo, è utile ricordare che l’assunzione del carattere della ruralità presuppone che il fabbricato sia dotato dei requisiti sostanziali prescritti dall’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l’anno 1994), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1994, n. 133 e identificabili, sostanzialmente, nella destinazione dell’edificio a servizio di terreni agricoli, oppure nel suo impiego in una delle attività indicate nell’art. 2135 del codice civile ovvero nella sua utilizzazione quale abitazione del coltivatore, ed è attuata attraverso un apposito procedimento di annotazione negli atti del catasto.
Tale sistema è scaturito dalla riforma avviata con il d.l. n. 70 del 2011, come convertito, e conclusasi con l’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, come convertito, qui in scrutinio.
L’art. 7, comma 2-bis, del citato d.l. n. 70 del 2011, come convertito, stabiliva, infatti, che «[a]i fini del riconoscimento della ruralità degli immobili ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, i soggetti interessati possono presentare all’Agenzia del territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione all’immobile della categoria A/6 per gli immobili rurali ad uso abitativo o della categoria D/10 per gli immobili rurali ad uso strumentale. Alla domanda, da presentare entro il 30 settembre 2011, deve essere allegata un’autocertificazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella quale il richiedente dichiara che l’immobile possiede, in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità dell’immobile necessari ai sensi del citato articolo 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 1994, e successive modificazioni».
Lo stesso art. 7, al comma 2-ter, disponeva che «[e]ntro il 20 novembre 2011, l’Agenzia del territorio, previa verifica dell’esistenza dei requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, convalida la certificazione di cui al comma 2-bis del presente articolo e riconosce l’attribuzione della categoria catastale richiesta. Qualora entro il termine di cui al periodo precedente l’amministrazione finanziaria non si sia pronunciata, il contribuente può assumere, in via provvisoria per ulteriori dodici mesi, l’avvenuta attribuzione della categoria catastale richiesta. Qualora tale attribuzione sia negata dall’amministrazione finanziaria entro il 20 novembre 2012, con provvedimento motivato, il richiedente è tenuto al pagamento delle imposte non versate, degli interessi e delle sanzioni determinate in misura raddoppiata rispetto a quelle previste dalla normativa vigente».
Infine, il comma 2-quater demandava ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la fissazione delle modalità applicative e la documentazione necessaria ai fini della presentazione della certificazione di cui al comma 2-bis nonché ai fini della convalida della certificazione medesima, anche sulla base della documentazione acquisita, in sede di accertamento, da parte dell’Agenzia del territorio e dell’amministrazione comunale.
In base alla procedura delineata dall’art. 7 del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, i soggetti interessati potevano, quindi, presentare all’Agenzia del territorio – la quale, dal 1° dicembre 2012, è stata incorporata nell’Agenzia delle entrate a norma dell’art. 23-quater, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135 – una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione della categoria A/6 (classe ‘R’) agli immobili rurali ad uso abitativo o della categoria D/10 agli immobili rurali ad uso strumentale.
La domanda doveva essere presentata entro il 30 settembre 2011, allegando un’autocertificazione ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), nella quale il richiedente avrebbe dovuto dichiarare che l’immobile possedeva, in via continuativa, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione dell’istanza, i requisiti di ruralità indicati nel citato art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, come convertito.
Era, inoltre, previsto un meccanismo, per effetto del quale il contribuente, in mancanza di convalida da parte dell’Agenzia del territorio entro il 20 novembre 2011, avrebbe potuto assumere, «in via provvisoria», l’avvenuta attribuzione della rendita catastale per un ulteriore periodo di dodici mesi (sino al 20 novembre 2012), termine entro il quale la stessa Agenzia del territorio avrebbe potuto negare l’attribuzione di siffatta rendita, con provvedimento motivato, dal che sarebbe derivato, per il medesimo contribuente, l’obbligo di corresponsione delle imposte non versate, degli interessi e delle sanzioni determinate in misura raddoppiata rispetto a quella prevista dalla normativa previgente.
Le disposizioni appena richiamate sono state abrogate dal d.l. n. 201 del 2011, come convertito, il quale, all’art. 13, comma 14-bis, ha stabilito che «[l]e domande di variazione della categoria catastale presentate, ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, anche dopo la scadenza dei termini originariamente posti e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo».
Successivamente, il d.m. 26 luglio 2012, all’art. 1, comma 2, ha stabilito che, ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità dei fabbricati di cui al comma 1 − ossia dei fabbricati rurali destinati ad abitazione e dei fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola –, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione.
In particolare, l’art. 5 del citato decreto ministeriale ha previsto che «[v]iene fatta menzione negli atti del catasto, mediante specifica annotazione, con riferimento ad ogni unità immobiliare interessata, dell’avvenuta presentazione delle domande di cui all’art. 2 del presente decreto ai fini del riconoscimento del requisito di ruralità» (comma 1) e che «[i]l mancato riconoscimento del requisito di ruralità, anche a seguito di segnalazione motivata del comune o dell’Agenzia delle entrate, è accertato con provvedimento motivato del direttore dell’Ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio, registrato negli atti catastali mediante specifica annotazione e notificato agli interessati. Il provvedimento è impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali, secondo le modalità e i termini previsti dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546» (comma 2).
In ultimo, l’art. 5 del d.m. 26 luglio 2012, al comma 3, ha prescritto che, per le dichiarazioni di ruralità, l’Agenzia del territorio procede ad effettuare l’accertamento, anche a campione, apponendo specifica annotazione.
L’assetto normativo così ricomposto è stato completato dall’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, come convertito, qui in scrutinio, il quale ha definito la portata temporale degli effetti dell’annotazione della ruralità, nel senso di farla retroagire al quinquennio anteriore a quello di presentazione della relativa richiesta.
6.1.2.– Come si evince dai lavori preparatori relativi alla descritta disciplina, la ratio della riforma in esame è duplice e va rinvenuta, da un lato, nella finalità di semplificazione procedimentale dell’accertamento della ruralità ai fini dell’esenzione dall’ICI e, dall’altro, nelle esigenze di certezza giuridica e di deflazione del contenzioso sorto a causa della disorganicità del previgente quadro normativo risultante dalla stratificazione di diversi interventi legislativi e giurisprudenziali.
In linea con tali finalità, la normativa in esame, attribuendo efficacia retroattiva alla richiesta di riconoscimento della ruralità e alla conseguente registrazione catastale, ha inteso definire i rapporti di imposta sorti nel quinquennio anteriore alla sua introduzione, anche in vista dell’anticipo, in via sperimentale, già a far data dal 2012, dell’imposta municipale unica (IMU), la quale, in forza del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), ha poi sostituito definitivamente l’imposta comunale sugli immobili.
6.1.3.– Alla esigenza di certezza giuridica risponde anche la previsione che ricollega il conseguimento del riconoscimento della ruralità ai fini dell’esenzione dall’ICI all’inserimento di tale qualità negli atti del catasto.
In linea con l’orientamento di legittimità inaugurato dalla richiamata sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 18565 del 2009, la normativa censurata dispone, infatti, che il riconoscimento del carattere rurale dei fabbricati sia cristallizzato in un’iscrizione.
Quest’ultima è soggetta alle variazioni indotte dalla sopravvenienza di mutamenti materiali e giuridici del cespite cui si riferisce. L’aggiornamento delle risultanze rientra, infatti, nella funzione di conservazione propria del catasto, la quale è assolta dall’amministrazione finanziaria tenendo in evidenza, mediante operazioni di voltura e di verificazione, le mutazioni soggettive e dello stato degli immobili e delle correlate rendite.
Alla stregua di tale sistema, ogni iscrizione relativa ad atti di aggiornamento viene registrata e rimane accessibile al fine di consentire in ogni tempo la ricostruzione storica delle vicende che hanno interessato ciascun immobile censito.
Tra le variazioni tracciabili in catasto deve, quindi, includersi anche il frazionamento da cui derivi la soppressione della particella oggetto di ripartizione e l’assunzione, da parte dell’unità immobiliare derivata, di un nuovo identificativo.
In tale evenienza, le annotazioni storicamente afferenti alla particella soppressa non possono che essere effettuate su quella derivata, sia pure con espresso riferimento al precedente identificativo catastale.
6.1.4.– Il diverso avviso del giudice rimettente, intravvedendo in tale ultima vicenda un ostacolo all’iscrizione della ruralità dell’unità catastale originaria, omette di considerare che la registrazione retrospettiva rientra nella funzione di aggiornamento propria del catasto, e trascura la finalità di agevolazione sottesa alla portata retroattiva della normativa censurata.
Essa, infatti, al fine di fornire ai contribuenti una copertura rispetto agli accertamenti fiscali effettuati nel quinquennio antecedente alla richiesta di variazione o di annotazione, detta una disciplina procedimentale che è rivolta essenzialmente al passato, perché consente di dare evidenza catastale alla circostanza che un determinato fabbricato, che nel periodo considerato risultava censito, possedesse i requisiti di ruralità, essendo, invece, irrilevante che in un momento successivo esso abbia assunto una diversa configurazione catastale.
6.2.– La premessa interpretativa da cui muove il rimettente si discosta, altresì, dalle indicazioni fornite sul punto dall’amministrazione finanziaria, di cui ha dato conto l’Avvocatura generale dello Stato.
L’interveniente ha, infatti, evidenziato che, secondo le istruzioni elaborate dalla Direzione centrale catasto e cartografia dell’Agenzia del territorio nelle lettere circolari prot. 24818 del 17 maggio 2012 e prot. 13845 del 5 aprile 2013, indirizzate alle strutture territoriali dipendenti, per gli identificativi associati alle unità immobiliari soppresse, l’annotazione della destinazione rurale ai sensi della disciplina in scrutinio deve essere inserita manualmente «menzionando lo stadio superato».
L’informazione viene, quindi, associata all’unità immobiliare derivata, con la precisazione che il requisito deve essere riferito all’unità originaria da cui questa proviene, al fine di offrire un’adeguata rappresentazione della vicenda.
6.2.1.– Sono inconferenti i rilievi svolti sul punto dalla parte, secondo cui l’annotazione di ruralità sulle unità immobiliari derivate non risulterebbe possibile ove il contribuente, ancor prima di presentare la domanda ai sensi del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, abbia già provveduto a far confluire l’originaria unità immobiliare in un nuovo subalterno accatastato nelle categorie A/6 o D/10, in quanto non si potrebbe, in tal caso, apporre nessuna ulteriore annotazione.
6.2.2.‒ Tale affermazione contrasta, invero, con la funzione tipica della registrazione catastale, attraverso la quale è possibile dare evidenza all’inquadramento assegnato al cespite in un preciso momento storico, in modo da aggiornare il quadro informativo dato dall’ordine cronologico delle iscrizioni.
La ruralità, non essendo una qualità connaturata al fabbricato, ma scaturendo da una serie di condizioni soggettive e oggettive previste dalla legge (art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, come convertito), può non permanere nel tempo, così che l’attuale esistenza di tale destinazione funzionale non ne implica necessariamente la sussistenza anteriore.
6.3.– Alla luce di quanto precede, il contrasto della disciplina in scrutinio con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza si palesa insussistente e cadono, al contempo, i sospetti di violazione del principio della capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost.
7.– Sulla base delle argomentazioni esposte, le questioni vanno, pertanto, dichiarate non fondate.