Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 15 ottobre 2024, n. 26774
PRINCIPIO DI DIRITTO
La Corte, a Sezioni Unite, visti gli artt. 134 Cost. e 23 della l. n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, come modificato dall’art. 1 comma 173, lett. b) della l. 27 dicembre 2006, n. 296, per contrasto con gli artt. 3, 29, 31 e 53, primo comma Cost., nella parte in cui, nel subordinare il godimento da parte del soggetto passivo dell’agevolazione di cui alla citata norma all’essere l’immobile adibito ad abitazione principale «intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica», stabilisce: «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari, dimorano abitualmente», anziché disporre: «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, dimora abitualmente».
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con l’unico motivo di ricorso, nel quale in effetti sono cumulati due ordini di censure, il Comune di Desenzano del Garda denuncia «[v]iolazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504/1992 e dell’art. 8 del regolamento ICI del Comune di Desenzano del Garda, approvato con deliberazione del C.C. n. 5 del 15.2.2008: indebito riconoscimento dell’agevolazione ICI per un’abitazione principale che non costituisce dimora abituale del contribuente e dei propri familiari (art. 62 d.lgs. n. 546/1992 e art. 360, n. 3, c.p.c.)», in primo luogo nella parte in cui la sentenza impugnata, dopo avere correttamente esposto la nozione di abitazione principale alla stregua del menzionato art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, ha poi, con riferimento alla posizione del marito della contribuente, erroneamente ritenuto ininfluente l’assenza del coniuge dallo stesso immobile, non essendo stata fornita la prova da parte del Comune del mancato utilizzo del bene da parte della contribuente comproprietaria; ritenendo quindi che tale conclusione fosse giustificata anche alla stregua dell’art. 8 del regolamento per l’applicazione dell’ICI approvato dal Comune di Desenzano del Garda n. 5 del 15 febbraio 2008, il quale prevede che «per abitazione principale si intende la unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale del soggetto passivo a condizione che sia ivi residente anagraficamente».
- In via preliminare va esaminata l’eccezione, sollevata dalla controricorrente, d’inammissibilità del ricorso, nella parte in cui l’ente impositore avrebbe addotto per la prima volta nel giudizio di legittimità una questione mai prima dedotta, con riferimento alla violazione del regolamento locale in tema di ICI, laddove – diversamente da quanto dedotto tanto nel corso del giudizio di primo quanto in quello di secondo grado, ove si era limitato ad affermare che il regolamento locale non poteva, quale fonte secondaria, venire contra legem – ha poi in sede di legittimità finito con l’affermare, in ragione della disposizione contenuta nell’art. 21 del regolamento locale alla fonte primaria, che le suddette norme costituirebbero «un tessuto normativo sostanzialmente coincidente e sovrapponibile», di modo che, con la sentenza impugnata, sarebbe stato «disapplicato uno dei due presupposti previsti sia dalla legge che dal Regolamento ICI per la qualifica di un’abitazione quale “abitazione principale”».
Sotto altro profilo la controricorrente eccepisce ancora l’inammissibilità dell’avverso ricorso alla luce della definitività della sentenza impugnata per la mancata riproposizione dell’eccezione d’irrilevanza della normativa regolamentare comunale, in particolare dell’art. 8 del citato regolamento, in quanto fonte secondaria contraria alla fonte primaria.
2.1. Entrambe le eccezioni appaiono prima facie manifestamente infondate. Quanto alla prima, dal tenore della sentenza di primo grado, allegata agli atti del presente giudizio di legittimità, risulta di chiara evidenza che, anche in ragione delle specifiche controdeduzioni dell’ente impositore sul punto (par. 1.2.) nel giudizio di primo grado, il Comune di Desenzano del Garda contestò espressamente che l’esenzione invocata dalla contribuente potesse fondarsi su una mera interpretazione letterale del solo art. 8 del regolamento comunale in contrasto con la fonte normativa di rango primario, in contrasto con i limiti della potestà regolamentare in materia di cui all’art. 59 del d. lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
2.2. Con riferimento alla seconda, premesso che l’onere di cui all’art. 56 del d. lgs. n. 546/1992 di riproposizione delle eccezioni non accolte dal giudice di primo grado, con riferimento, peraltro, alle questioni rimaste assorbite, riguarda l’appellato e non l’appellante (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14534), nel ricorso in appello l’ente comunale soccombente in primo grado ha espressamente censurato la sentenza di primo grado in ciascuna delle rationes decidendi sulle quali è basata, ivi compresa, ove se ne ritenga la natura autonoma, quella fondata sulla mera interpretazione letterale del citato art. 8 regolamento comunale, ulteriormente precisando come in ogni caso la decisione della CTP dovesse ritenersi erronea, non avendo tenuto conto del fatto che l’art. 21 del medesimo regolamento comunale dispone testualmente che «per quanto non espressamente previsto dal presente regolamento, si rinvia alle norme legislative inerenti all’imposta comunale sugli immobili».
Nessun giudicato interno può dunque, diversamente da quanto eccepito da parte controricorrente, ritenersi formato al riguardo.
- Ciò premesso, occorre quindi, per la decisione della presente controversia, procedere all’esame della questione posta dall’ordinanza interlocutoria della Sezione Tributaria ai fini della decisione della presente controversia, quanto alle ricadute ed ai possibili effetti della sentenza n. 209/2002 della Corte costituzionale in tema di IMU con riferimento al contenzioso ICI ancora pendente riferito alle condizioni in presenza della quali l’immobile possa definirsi “abitazione principale” per il godimento della relativa esenzione, va osservato quanto segue.
- Come già puntualmente ricostruito nell’ordinanza interlocutoria, riguardo all’ICI, l’originaria formulazione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, prevedeva che «[d]alla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 [pari ad un controvalore di € 1.032,91] rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.
Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente».
4.1. In seguito, l’art. 1, comma 173, lett. b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007”), ha modificato, con decorrenza dal primo gennaio 2007, il testo originario dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, nel senso che: «(…) dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,”».
Il tenore complessivo della citata disposizione è stato pertanto così riformulato: «Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 [pari ad un controvalore di € 1.032,91] rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.
Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente».
L’originaria detrazione è stata quindi trasformata, nei limiti di seguito indicati, in esenzione dall’art. 1, comma 1, del d. l. 27 maggio 2008, n. 93, (recante “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, del seguente tenore: «1. A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. 2. Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal comune con regolamento o delibera comunale vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992».
- Con riferimento all’IMU, l’evoluzione del quadro normativo si è articolato attraverso le seguenti tappe essenziali. 5.1. Nell’originaria disciplina dell’IMU non vi era alcun riferimento al “nucleo familiare”. L’art. 8, comma 3, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (“Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”), stabiliva, infatti, che: «L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale ed alle pertinenze della stessa. Si intende per effettiva abitazione principale l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente.
L’esclusione si applica alle pertinenze classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo. L’esclusione non si applica alle unità immobiliari classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9».
5.2. Neppure esso era contenuto nella successiva formulazione dell’art. 13, comma 2, del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201 (“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, a tenore del quale: «[l]’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ivi compresa l’abitazione principale e le pertinenze della stessa.
Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo».
L’agevolazione – consistente non più in un’esenzione, ma in una riduzione dell’aliquota (allo 0,4%, salva la detrazione di € 200,00, in base all’art. 13, commi 7 e 10, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011) – era riconosciuta, anche in questo caso, per l’immobile nel quale «il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»; pertanto, sino a quel momento, se due persone unite in matrimonio avevano residenze e dimore abituali differenti, a ciascuna spettava l’agevolazione per l’abitazione principale.
5.3. Soltanto con l’art. 4, comma 5, lett. a), del d. l. 2 marzo 2012, n. 16 (“Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44, che è intervenuto su diversi aspetti della disciplina dell’IMU, è stata modificata la definizione di “abitazione principale”, introducendosi, in particolare, il riferimento al nucleo familiare al fine di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione.
Segnatamente, l’art. 13, comma 2, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, per quanto qui di rilievo, è stato così modificato e integrato: «L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili, ivi comprese l’abitazione principale e le pertinenze della stessa; restano ferme le definizioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 […]. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate».
5.4. Questa disciplina è stata poi confermata dall’art. 1, comma 707, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014”), che ha reintrodotto la completa esenzione dell’abitazione principale dall’1 gennaio 2014 per tutte le categorie catastali abitative, tranne quelle cosiddette di lusso (A/1, A/8 e A/9), riformulando l’art. 13, comma 7, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, nei termini puntualmente richiamati nell’ordinanza interlocutoria, ribadendo per quanto qui d’interesse, che per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente e che nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile; prevedendosi altresì specifica ipotesi di esenzione con riferimento ad immobile oggetto di assegnazione come causa coniugale in sede di separazione o divorzio.
5.5. Tale disciplina, sia pure con la preventiva abrogazione dell’art. 13, comma 2, del d. l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stata ribadita nell’art. 1, comma 741, lett. b, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”), all’interno della disciplina della cosiddetta “nuova IMU”, divenuta sostanzialmente comprensiva anche del tributo sui servizi indivisibili (TASI), stabilendosi che «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo».
- Il quadro sinottico dell’evoluzione normativa rispettivamente in tema di esenzione ICI ed IMU per abitazione principale consente quindi di evidenziare che il riferimento al nucleo familiare (così, testualmente, la normativa IMU anteriormente al ricordato intervento della Corte costituzionale; il possessore dell’immobile ed i suoi familiari nella disciplina ICI quale in rilievo ratione temporis ai fini della decisione del presente giudizio), è comune; la sola differenza essendo insita nel richiedere la normativa IMU, prima di essere incisa dalla succitata pronuncia della Corte costituzionale, la contemporanea sussistenza del requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale, mentre nella disciplina ICI si è stabilita l’equiparazione tra “dimora abituale” e “residenza anagrafica” entro il limite della prova contraria a carico del contribuente.
6.1. In tema di IMU, come ricordato nell’ordinanza interlocutoria, la giurisprudenza di questa Corte si era venuta orientando in senso più restrittivo rispetto allo stesso documento di prassi (Circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012) dell’Amministrazione finanziaria, ove si era affermato che «nel caso in cui due coniugi stabiliscano la loro residenza e dimora abituale in immobili ubicati in due diversi Comuni, sarà possibile usufruire per entrambi delle agevolazioni prima casa qualora non si tratti di una mera operazione elusiva, ma, al contrario, sia motivata da una effettiva e reale necessità (ad esempio per motivi di lavoro)».
Questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, ord. 17 giugno 2021, n.17408), in fattispecie per certi versi emblematica perché riguardante quattro avvisi di accertamento per annualità diverse, il primo dei quali riguardante l’ICI, gli altri l’IMU, ribadendo la natura non vincolante nei confronti del giudice degli indirizzi espressi dalle circolari ministeriali, ritenne che:
- a) comune essendo il presupposto del riferimento al nucleo familiare, oltre che al possessore, dell’esistenza della dimora abituale nell’immobile in relazione al quale era richiesta l’esenzione, dovesse confermarsi la definizione di “abitazione principale” come elaborata dalla precedente giurisprudenza (Cass. 24 aprile 2001, n. 6012, che richiama Cass. 5 maggio, 1999, n. 4492; 26 giugno 1992, n. 8019), secondo cui per residenza della famiglia deve intendersi il luogo (in relazione al quale, in particolare, deve realizzarsi, con gli adattamenti resi necessari dalle esigenze lavorative di ciascun coniuga, l’obbligo di convivenza posto dall’art. 143 c.c.) di ubicazione della casa coniugale, perché questo luogo individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia;
- b) dovessero ribadirsi i principi già espressi in tema di ICI da precedenti pronunce (Cass. sez. 5, ord. 7 giugno 2019, n. 15439; Cass. sez. 6-5, ord. 21 giugno 2017, n. 15444, nel solco dell’originaria pronuncia, Cass. sez. 5, 15 giugno 2010, n. 14389) secondo cui l’esenzione deve ritenersi spettante al contribuente che dimori abitualmente nell’immobile con il suo nucleo familiare, salvo che non sia fornita la prova della disgregazione dell’unità familiare: così, segnatamente, la citata Cass. ord. n. 15439/19);
- c) evidenziava, come punto di equilibrio nell’ambito di un’interpretazione costituzionalmente orientata, che, non potendo escludersi che i coniugi, ad esempio per motivi di lavoro, fissassero in due differenti, e magari distanti, comuni la loro residenza e la loro dimora abituale, la necessità dell’accertamento, sul piano delle allegazioni di fatto e probatorie, in quale di questi immobili dovesse intendersi realizzata l’abitazione ‘principale’ del nucleo familiare, riconoscendo l’esenzione solo allo stesso; non potendo, infatti, essere confusi i due concetti di “dimora abituale” e di “abitazione principale” (da individuarsi sulla base della coabitazione dei coniugi e della di loro famiglia), tenendo altresì presente che quest’ultimo sottintende una preponderanza della destinazione rispetto ad altre, pur possibili, soluzioni abitative; ciò alla luce della regola di esperienza per cui per ogni nucleo familiare non può esservi che una sola abitazione principale.
6.2. Sennonché la giurisprudenza della Corte specificamente consolidatasi tema di esenzione IMU riguardo all’immobile definito abitazione principale era quindi giunta a negare ogni possibile esenzione ai coniugi che fossero residenti in comuni diversi, facendo leva sulla necessità della coabitazione abituale dell’intero nucleo familiare nel luogo di residenza anagrafica della casa coniugale (Cass. sez. 6-5, ord. 19 febbraio 2020, n. 4170; Cass. sez. 6-5, 19 febbraio 2020, n. 4166; Cass. sez. 6-5, ord. 17 gennaio 2022, n. 1199; Cass. sez. 5, ord. 10 ottobre 2022, n. 29488), postulando la nozione di abitazione principale l’unicità dell’immobile e non potendo, quindi, coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune che in Comuni diversi (così, in particolare, la citata Cass. ord. n. 1199/2022).
6.3. L’intervento del legislatore di cui all’art. 5 – decies, comma 1, del d. l. 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella l. 17 dicembre 2021, n. 215, in reazione all’indirizzo da ultimo menzionato, portò ad integrare l’art. 1, comma 741, lett. b) della l. n. 160/2019, prevedendo che «[n]el caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano, per un solo immobile, scelto dai componenti il nucleo familiare».
- Su tale tessuto normativo, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, è intervenuta, come, con espressione suggestiva, si è detto in dottrina, quale “un uragano gentile”, la citata sentenza della Corte costituzionale n. 209/2022, che, a seguito di rimessione dinanzi a sé stessa, con ord. n. 94/2022, resa nell’ambito dello scrutinio della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, ha:
1) dichiara[to] l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente».
2) dichiara[to], in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013;
3) dichiara[to], in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), nella parte in cui stabilisce: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»;
4) dichiara[to], in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019;
5) dichiara[to], in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019, come successivamente modificato dall’art. 5-decies, comma 1, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215;
6) dichiara[to] l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli.
- È importante, sin d’ora rilevare, in vista della risposta che queste Sezioni Unite civili sono chiamate a rendere sul quesito posto dall’ordinanza interlocutoria, che, anteriormente alla pronuncia il cui esito si è innanzi riportato nella sua parte dispositiva, la stessa Corte costituzionale, con ordinanza 28 aprile 2022, n. 107, aveva dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d. lgs. n. 504/1992, come modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b), della l. n. 296/2006, con riferimento agli artt. 3, 16, 29 e 53 Cost., come sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, perché, per un verso, formulata in maniera promiscua con l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, norma, riferita all’IMU, della quale non era a doversi fare applicazione nel giudizio a quo, concernente accertamento ICI; mentre, per altro verso, il rimettente risultava avere strutturato le doglianze in modo tale che esse risultassero condizionate da elementi che attengono alla disciplina dell’IMU, mentre, nel contesto dell’ICI, il requisito della residenza anagrafica ha solo valenza di presunzione legale relativa, senza avere chiarito tale profilo, essendosi limitato a configurare un’identica censura per la disciplina agevolativa delle due imposte.
8.1. Va ancora rilevato che la Corte costituzionale, con la succitata pronuncia n. 209/2022, resa in tema di IMU, non ha ritenuto invece di estendere in via consequenziale la declaratoria d’illegittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 27 della l. n. 87/1953, anche del citato art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, nella parte in cui presuppone, ai fini del godimento dell’esenzione, la dimora abituale nell’immobile del possessore unitamente al suo nucleo familiare.
- Ciò chiarito, giova ricordare i passaggi essenziali dell’argomentazione all’esito della quale la Corte costituzionale è giunta, con la sentenza n. 209/2022, a dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni sopra richiamate in tema di IMU.
9.1. Esse attengono, innanzitutto, all’irragionevolezza delle disposizioni succitate in considerazione della natura e della ratio del tributo IMU.
Dovendo attribuirsi propriamente all’art. 13, comma 2, quarto e quinto periodo, del d.l. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella l. n. 214/2011, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della l. n. 147/2013, carattere propriamente di norma di esenzione e non di esclusione, quanto alla non assoggettabilità del tributo sull’abitazione principale, costituendo essa una deroga rispetto ai principi strutturali sull’IMU, in vista del raggiungimento di finalità extrafiscali, individuate nel favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione (art. 47, secondo comma, Cost.), risulta irrilevante la situazione del possessore dell’immobile con riferimento alla propria situazione personale, cioè il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di un’unione civile o singolo; donde un’incoerenza intrinseca della disposizione e, quindi, la sua irragionevolezza, ciò comportando violazione dell’art. 3 Cost.; ciò che, osserva la Corte costituzionale, impone di rimuovere gli elementi di contrasto della norma con i principi costituzionali, allorché tali status in sostanza vengano, attraverso il riferimento al nucleo familiare, invece assunti per negare il diritto al beneficio.
9.2. Detta incoerenza si coglie, così sviluppandosi ancora in relazione alla natura ed alla ratio del tributo l’argomentazione della Corte costituzionale nella sentenza n. 209/2022, anche con riferimento all’art. 53, primo comma, Cost. Essendo, infatti, l’IMU imposta “reale” e non “personale”, il rilievo attribuito dalla norma, ai fini del godimento dell’esenzione, alle relazioni del soggetto con il proprio nucleo familiare, non si pone in termini di coerenza con detta natura del tributo, dovendo, ai fini del godimento dell’esenzione, rilevare solo elementi quali la natura, la destinazione e lo stato dell’immobile.
9.3. Il terzo versante in relazione al quale si sviluppa l’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale n. 209/2022 è, infine, quello che sfocia nel giudizio circa l’irragionevolezza delle disposizioni normative delle quali si è dichiarata l’illegittimità costituzionale, in considerazione della dimensione ordinamentale e sociale della famiglia, ritenendo quindi la Corte costituzionale violato l’art. 31 Cost. La Corte costituzionale – rilevato che nell’attuale quadro socioeconomico, caratterizzato dalla mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente e rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale e che neppure può essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 cod. civ., potendo i medesimi stabilire residenze disgiunte, in ragione di determinazione consensuale o in presenza di giusta causa – ha ritenuto l’irragionevolezza delle disposizioni in oggetto, che finiscono con il penalizzare, ai fini del godimento dell’esenzione, i coniugi o le persone legate da unione civile che convivono rispetto a quelle che non convivono, ponendosi in contrasto, oltre che con i già menzionati art. 3 e 53, primo comma, anche con l’art. 31 Cost., che suggerisce trattamenti fiscali a favore della famiglia e «si oppone, in ogni caso, a quelli che si risolvono in una penalizzazione della famiglia».
9.4. Da ultimo va ricordato l’espresso “caveat” col quale la Corte costituzionale, nella più volte citata sentenza n. 209/2022, avverte come giammai le considerazioni sopra esposte possano premiare condotte elusive, allorché ci si trovi in presenza della non corrispondenza della residenza anagrafica con la dimora abituale, determinata da una falsa rappresentazione della situazione di fatto da parte del contribuente richiedente l’esenzione (con riferimento, segnatamente, al rischio che le cosiddette seconde case o case di vacanza vengano iscritte come abitazioni principali).
- In tali termini riassunte le motivazioni poste dalla Corte costituzionale a fondamento della declaratoria d’illegittimità costituzionale della disciplina in tema di esenzione IMU riguardo all’abitazione principale, giova, in primis, osservare come la citata sentenza n. 209/2022 sia una pronuncia “manipolativa”, di tipo sostitutivo.
Per effetto della stessa la Corte costituzionale ha “riscritto” le norme delle quali ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, espungendo dalle stesse – a cominciare dall’art. 13, comma 2, quarto periodo, del d.l. n. 201/2011, convertito nella l. n.214/2011, quale risultante a seguito delle modifiche sopra ricordate – dopo la parola “il possessore” quelle immediatamente successive “e il suo nucleo familiare”.
L’ordinanza interlocutoria chiede a queste Sezioni Unite se possa ritenersi ammissibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, che pervenga in materia di ICI al medesimo risultato.
Il Comune ricorrente, invece, in via principale, assume che la disciplina dell’ICI, differenziandosi da quella sull’IMU, postula necessariamente che debbano essere soddisfatte due condizioni perché il contribuente possa usufruire dell’esenzione, riguardanti: a) il fatto che l’abitazione principale sia l’effettiva residenza anagrafica del contribuente; b) l’unicità, con onere della prova incombente al contribuente, della dimora abituale del contribuente e dei suoi familiari per l’abitazione per la quale è chiesta l’esenzione, sebbene uno dei coniugi sia residente anagraficamente altrove, di godere dell’esenzione, ciò salvaguardando la legittimità costituzionale della norma, proprio in ragione della finalità di evitare fenomeni elusivi.
Orbene, nella fattispecie in esame, ricorrerebbe soltanto il primo requisito, e non il secondo, non essendo stata fornita la prova, incombente alla contribuente, che la cessazione dell’unicità della dimora dell’intero nucleo familiare (nel caso di specie i coniugi) sia stata causata, pur in assenza di una separazione legale, dalla frattura del rapporto coniugale (cfr. le già citate Cass. n. 14389/2010; Cass. ord. n. 15439/2019).
Parte contribuente, infatti, nell’originario ricorso al giudice tributario ha fatto solo generico riferimento a “ragioni personali” del coniuge, che avrebbero indotto quest’ultimo a trasferire dal 2008 la propria residenza in diverso immobile sito in altro Comune, Solferino, facendone la propria dimora abituale e con riferimento allo stesso godendo peraltro per i successivi anni della relativa esenzione dall’ICI.
- Le Sezioni Unite, conformemente alle conclusioni rese dal Procuratore Generale, ritengono che non possa essere praticata un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8, comma 2, del d. lgs. n. 504/1992 e successive modifiche ed integrazioni, alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 209/2022 in tema di IMU.
Vi osta il principio più volte espresso da questa Corte e che va ulteriormente in questa sede ribadito, secondo cui le norme fiscali di agevolazione sono norme di “stretta interpretazione”, nel senso che non sono in alcun modo applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale (tra le molte, proprio in tema di ICI, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011).
11.1. In forza di ciò queste Sezioni Unite, investite dalla Sezione quinta – tributaria del contrasto di giurisprudenza all’interno della sezione in punto della possibile estensione agli intermediari finanziari del beneficio fiscale di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 601/1973, sollevarono questione di legittimità costituzionale, poi accolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242 del 20 novembre 2017.
11.2. Nella fattispecie in esame, come si è innanzi visto, la pronuncia n. 209/2022 resa dalla Corte costituzionale in tema di IMU è di tipo manipolativo – sostitutivo, che per sua natura non richiede, dunque, per l’adeguamento delle disposizioni ritenute costituzionalmente illegittime, alcun intervento ulteriore del legislatore.
11.3. Ove questo giudice di legittimità ritenesse, automaticamente di trasportare i principi che hanno indotto la Corte costituzionale a dichiarare illegittime le disposizioni normative succitate in tema di esenzione IMU per immobili destinati ad abitazione principale, alla diversa norma in tema di ICI, finirebbe con il travalicare la lettera della norma medesima, la quale prevede, in relazione agli anni di accertamento per cui è causa, che dal punto di vista soggettivo l’abitazione principale si identifica in quella nella quale il contribuente e i suoi familiari dimorano abitualmente, presumendosi tale, salvo prova contraria, quella della residenza anagrafica.
Non si può quindi dar luogo a interpretazione “costituzionalmente orientata”.
11.4. A tale conclusione deve pervenirsi in conformità a quanto più volte affermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui «l’onere di interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all’incidente di costituzionalità, allorché il giudice rimettente sostenga […] che il tenore letterale della disposizione non consenta tale interpretazione» (così, più di recente, tra le molte, Corte cost. 11 gennaio 2024, n. 4; Corte cost. 25 gennaio 2023, n. 102; Corte cost. 26 novembre 2020, n. 253).
Ciò posto, in tema di ICI, la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, oltre alle pronunce già sopra citate con riferimento all’ICI, Cass. sez. 6-5, ord. 4 maggio 2022, n. 14040; Cass. sez. 6-5 ord. 31 gennaio 2019, n. 2800; Cass. sez. 6-5, ord. 22 febbraio 2019, n. 5391; Cass. sez. 6-5, ord. 23 marzo 2018, n. 7328; la già citata Cass. ord. n. 15444/2017) è assolutamente consolidata, tanto da costituire “diritto vivente”, nell’affermare che, ai fini della spettanza dell’agevolazione prevista per le abitazioni principali, occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria ma anche dei familiari, non sussistendo il diritto al godimento dell’agevolazione, ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo.
- In tale cornice ricostruiti i termini del problema all’esame di queste Sezioni Unite, non può tuttavia – comune essendo il riferimento al nucleo familiare – che dubitarsi della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, ultimo periodo, come modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b) della l. n. 296/2006, applicabile ratione temporis al presente giudizio (come sopra testualmente riportato sub par. 4.1, pagg. 5-6) in ragione delle considerazioni addotte dalla Corte costituzionale che possono, nei termini e limiti di quanto di seguito chiariti, tenuto conto della parziale diversa formulazione delle rispettive norme, estendersi con riferimento al contenuto della disciplina ICI.
12.1. In primo luogo la questione è in re ipsa rilevante ai fini della decisione, riguardando la pretesa impositiva il disconoscimento dell’esenzione in relazione al presupposto soggettivo della medesima, per le quali si discute esclusivamente nel merito in ordine alla sussistenza o meno di detto requisito a seconda che esso debba essere riferito al solo possessore dell’immobile o debba comprendere anche, necessariamente, il riferimento ai familiari del medesimo come abitualmente dimoranti nella medesima abitazione affinché la stessa possa qualificarsi principale.
12.2. Ugualmente, a giudizio delle Sezioni Unite, deve ritenersi la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della citata norma in relazione agli artt. 3, 53, primo comma, 29 e 31 Cost.
12.3. In relazione ai primi due parametri ricorre piena identità con le ragioni (v. supra, paragrafi 9.1. e 9.2.) che hanno indotto la Corte costituzionale a ritenere l’irragionevolezza delle disposizioni in tema di IMU in relazione alla natura ed alla ratio di detto tributo municipale.
La norma oggetto del presente scrutinio, in punto di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, condivide, infatti, appieno, con quella già dichiarata costituzionalmente illegittima in tema di IMU (art. 13, comma 2, quarto periodo, del d.l. n. 201/2011, donde a cascata, le ulteriori pronunce consequenziali) la natura di norma propriamente di esenzione, giustificandosi la medesima in relazione al raggiungimento di finalità extrafiscali, volte a favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione (art. 47, secondo comma, Cost.).
L’ICI, d’altronde, al pari dell’IMU, è imposta “reale”, riferita a bene immobile facente parte del patrimonio del contribuente, ciò rendendo irragionevole, anche in relazione all’art. 53, comma 1, oltre che con riferimento all’art. 3 della Costituzione, l’attribuzione di rilievo, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, di «relazioni del soggetto con il nucleo familiare, e dunque, lo status personale del contribuente”, laddove dovrebbe attribuirsi rilievo solo ad elementi come «la natura, la destinazione o lo stato dell’immobile» (così, come sopra ricordato, la Corte costituzionale nella pronuncia n. 209/2022 relativamente all’IMU).
12.4. Vale, ancora, anche per l’ICI, quanto osservato dalla Corte costituzionale in tema di IMU circa l’irragionevolezza della disposizione normativa in considerazione della dimensione ordinamentale e sociale della famiglia.
12.5.1. Qui, peraltro, devono evidenziarsi i tratti propri distintivi tra le due norme agevolative, in punto di definizione di abitazione principale, tra i due tributi. Va escluso che non possa profilarsi neppure un profilo di manifesta fondatezza della questione di legittimità sulla normativa ICI, in ragione del fatto che nella norma qui in esame il contribuente sarebbe onerato esclusivamente di provare la non coincidenza della dimora abituale con il proprio nucleo familiare in quella che risulta essere la residenza anagrafica, laddove la criticità riferita alla norma di esenzione sull’IMU riguardava la richiesta della necessaria duplice compresenza del requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale.
12.5.2. Come sopra si è avuto modo di osservare (v. par. 6.1.) questa Corte, con la citata pronuncia n. 17048/2021, tentò, nel quadro normativo complessivo allora vigente, di addivenire ad un’interpretazione costituzionalmente orientata che, peraltro, doveva muoversi pur sempre – nel quadro normativo allora di riferimento (la controversia riguardava accertamenti per diversi anni d’imposta, l’uno per l’ICI, gli altri per l’IMU) – postulando l’unicità di un solo immobile adibito ad abitazione principale, in relazione alla prevalenza del periodo di convivenza con i propri familiari, segnatamente con il coniuge.
12.5.3. Ciò, evidentemente, non può più sostenersi nel quadro di un’interpretazione sistematica delle diverse disposizioni in tema di esenzione ICI ed IMU, dal momento che la Corte costituzionale, con la citata decisione n. 209/2022, ha espunto, quanto all’IMU, il requisito della dimora abituale anche del “nucleo familiare” convivente con il possessore dell’immobile ai fini dell’identificazione del concetto di abitazione principale.
12.5.4. Ne consegue che la norma in tema di ICI in rilievo nella presente controversia suscita dubbi di legittimità costituzionale anche in relazione all’art. 29 Cost., discriminando in modo arbitrario ai fini del godimento dell’agevolazione non solo la persona unita in matrimonio rispetto a quella non coniugata, ma soprattutto, riservando un diverso trattamento tra i coniugi che convivono e quelli non conviventi, nonché in relazione all’art. 31 Cost.
12.5.5. Restano estranee, invece, in relazione agli accertamenti per cui è causa in tema di ICI, riferite ad anni anteriori all’entrata in vigore della l. n. 76/2016, le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 209/2022 anche con riferimento agli aspetti discriminatori della normativa in punto di esenzione IMU con riferimento alle persone legate dal vincolo di unione civile.
- Da ultimo, è evidente che il monito espresso circa il fatto che le argomentazioni svolte a supporto della citata Corte cost. n. 209/2022 in tema di IMU non possano legittimare comportamenti elusivi, o meglio evasivi, attraverso fittizia indicazione della residenza anagrafica al fine di farvi figurare il luogo di dimora abituale, vale anche con riferimento alla fattispecie in esame, senza che possa paventarsi il rischio che in relazione agli accertamenti ICI, per le annualità anteriori al 2011, non possa farsi legittimamente ricorso agli strumenti di verifica e controllo indicati dalla pronuncia della Corte costituzionale, in quanto previsti solo con effetto dall’entrata in vigore della l. n. 23 del 2011.
Si tratta, infatti, evidentemente, di norma di natura procedimentale, con la conseguenza che essa ben poteva sorreggere gli accertamenti impugnati dalla contribuente, notificati solo nel 2014, ove l’ente avesse sospettato di condotte evasive della parte contribuente, laddove, come si è visto, nella fattispecie in esame, il beneficio dell’esenzione è stato negato sulla base del solo presupposto della mancanza della ritenuta necessaria dimora abituale della contribuente nell’immobile in uno ai propri familiari, nella fattispecie in esame il coniuge, che aveva trasferito dal 2008 la propria residenza anagrafica in altro immobile sito in diverso Comune (Solferino) ivi presumendosi aver posto la propria dimora abituale, in mancanza di prova, da parte della contribuente, che ciò, pur in assenza di separazione legale, fosse dipeso dalla frattura del rapporto coniugale.
- Deve essere pertanto sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, come modificato dall’art. 1 comma 173, lett. b) della l. n. 296/2006, in relazione agli artt. 3, 53, primo comma, 29 e 31 Cost. nei termini di cui in dispositivo, con conseguente trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, restando nelle more sospeso il giudizio.