Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 08 marzo 2022 n. 7514
PRINCIPI DI DIRITTO
Premesso che l’art. 24 comma 5 D.Lgs. 46/1999 dispone che “Contro l’iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all’ente impositore”, deve ritenersi che “limitatamente al processo attinente alle opposizioni a iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali e alle opposizioni (…), concernenti l’accertamento negativo del debito per fatti successivi all’iscrizione a ruolo, entrambe accomunate dall’attinenza al merito della pretesa contributiva, la legittimazione passiva resta regolata dal citato art. 24, senza che possa trovare applicazione l’art. 39 D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 e le conseguenze che da esso ha tratto la giurisprudenza in materia tributaria”. Conseguentemente deve ritenersi “sussistente la legittimazione a contraddire esclusivamente in capo all’ente impositore, avendo l’azione ad oggetto la sussistenza del debito contributivo iscritto a ruolo, cioè il merito della pretesa contributiva, rispetto al quale l’agente della riscossione resta estraneo”. Allo stesso tempo “non può ritenersi ricorrere un’ipotesi di litisconsorzio necessario: considerato che nel giudizio non si fa questione della legittimità degli atti esecutivi imputabili al concessionario, la sentenza deve ritenersi utiliter data anche senza la partecipazione di quest’ultimo al processo, mentre l’eventuale annullamento della cartella e del ruolo per vizi sostanziali produce comunque effetti nei confronti del medesimo”.
Premesso che l’art. 39 D.Lgs. 112/1999 dispone che “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite” deve ritenersi che “l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio…”. Conseguentemente deve ritenersi che il contribuente: “può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario, sicchè il fatto che il contribuente individui nel concessionario piuttosto che nel titolare del credito tributario il legittimato passivo non impone al giudice adito di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ammettendosi la chiamata in causa dell’ente impositore (Cass. n. 14991 del 15/07/2020, Cass. n. 21220 del 28/11/2012)”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il secondo motivo di ricorso, da esaminare preventivamente per priorità logica, è infondato.
- La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è consolidata ed univoca nell’affermare che il difetto di legitimatio ad causam (allo stesso modo del difetto di titolarità passiva del rapporto, cfr. Cass. Sez. U. 16 febbraio 2016 n. 2951), può essere rilevato anche d’ufficio in ogni grado e stato del giudizio, anche in sede di legittimità (cfr. Cass. 4 aprile 2012 n. 5375), sicchè nessuna preclusione può derivare dal rilievo tardivo della carenza di legittimazione a contraddire, intervenuto solo nel giudizio di appello ad opera del concessionario contumace in primo grado.
- Aspetti più problematici pone l’esame del primo motivo di ricorso, il quale, richiedendo un’indagine finalizzata all’individuazione dei legittimi contraddittori, impone di soffermarsi, in primo luogo, sulla natura dell’azione in discussione. In una fattispecie sostanzialmente sovrapponibile la Sezione Lavoro di questa Corte (Cass. 19 giugno 2019 n. 16425) ha motivatamente affermato (citando Cass. 25 maggio 2007 n. 12239) che nel caso in cui il debitore intenda reagire alla riscossione del credito contributivo per ottenere l’accertamento negativo del credito iscritto a ruolo, tanto per infondatezza della pretesa, quanto per intervenuta prescrizione, opponendosi all’iscrizione a ruolo tardivamente rispetto al termine previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, sul rilievo della mancata notifica della cartella esattoriale o dell’avviso di addebito, senza tuttavia far valere vizi dell’azione esecutiva, l’azione partecipa della natura dell’opposizione all’esecuzione. La stessa decisione (sul punto si veda anche Cass. 12 novembre 2019 n. 29294) ha evidenziato, inoltre, che l’opposizione all’esecuzione altro non è che un tipo di azione di accertamento negativo del credito. A tal proposito, infatti, non deve trarre in inganno il fatto che il ricorrente lamenti anche la mancata notifica delle cartelle di pagamento, perchè ciò è funzionale esclusivamente al recupero della tempestività dell’opposizione (come segnala Cass. 8 novembre 2018 n. 28583), altrimenti tardiva, e a far valere la prescrizione (che è pur sempre questione inerente al merito della pretesa creditoria, essendo l’interesse ad agire del ricorrente solo quello di negare di essere debitore), in un ambito, quello della prescrizione dei contributi previdenziali, in cui, secondo un principio costantemente affermato (Cass. 10 dicembre 2004 n. 23116), il regime della prescrizione già maturata, avente efficacia estintiva e non meramente preclusiva, è sottratto alla disponibilità delle parti, a differenza di quanto accade nella materia civile.
- Dalle premesse enunciate nelle richiamate decisioni (si veda anche Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625) queste Sezioni Unite intendono muovere, ravvisandosi anche nella fattispecie in esame un’azione che investe il merito della pretesa previdenziale. Non si fa questione, infatti, della regolarità o della validità degli atti della procedura di riscossione. Ciò che si chiede al giudice è l’accertamento dell’infondatezza della pretesa creditoria o, in ogni caso, della prescrizione dell’azione di riscossione in costanza di omissione della notifica delle cartelle di pagamento, cioè una pronuncia sul merito della pretesa contributiva. L’omissione della notificazione, d’altra parte, attiene al merito della controversia, perchè, oltre ad essere rilevante ai fini della prescrizione, ridonda sulla stessa sussistenza della pretesa, potendone determinare l’eventuale decadenza (Cass. Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412). Tale omissione, per altro verso, assume valenza neutra, potendo essere attribuita tanto a inerzia del concessionario quanto a mancata o ritardata trasmissione del ruolo all’esattore, ancor più in mancanza della prospettazione di specifiche responsabilità del concessionario, le quali, in ogni caso, non assumono rilevanza nei rapporti tra destinatario della pretesa contributiva ed ente titolare del credito, in ragione dell’estraneità dell’obbligato al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente impositore (Cass. Sez. U. da ultimo citata). La fattispecie in disamina, pertanto, non rientra nelle ipotesi, pure richiamate nell’ordinanza di rimessione, in cui con unico atto di opposizione sono fatte valere sia ragioni di merito che di regolarità formale della cartella e della procedura di riscossione, con la conseguente legittimazione passiva dell’Ente impositore o dell’agente per la riscossione in relazione a ciascuna di tali azioni.
- Così precisata la natura dell’azione proposta, l’ordinanza interlocutoria sollecita, a fronte di una giurisprudenza di legittimità non univoca, l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite finalizzato alla individuazione dei soggetti legittimati a contraddire in caso di impugnazione del ruolo che investa il merito della pretesa contributiva, con particolare riferimento alla verifica dell’eventuale sussistenza di un litisconsorzio necessario tra ente titolare della pretesa ed esattore. La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite si presenta come di massima di particolare importanza per il rilevato contrasto esistente all’interno della Corte, con specifico riferimento, per quanto riguarda la materia previdenziale, alla Sezione Lavoro.
- L’individuazione della legittimazione a contraddire, nell’ambito di un’azione tendente a far accertare l’insussistenza di un credito portato da un ruolo di cui l’interessato abbia avuto conoscenza al di fuori della notificazione dell’atto di riscossione a ciò destinato, ha costituito oggetto d’esame da parte di questa Corte di cassazione in varie sedi, con esiti non conformi in ragione della diversa natura che possono assumere i crediti vantati dallo Stato nei confronti dei propri debitori, delle irregolarità formali degli atti della procedura esattoriale eventualmente fatte valere e delle peculiari regole che disciplinano, in specifici settori, il processo di opposizione.
- L’ordinanza interlocutoria richiama la giurisprudenza formatasi in materia tributaria, che ha fatto applicazione del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39. Sotto la rubrica “chiamata in causa dell’ente creditore” la norma dispone che “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”. In applicazione di tale norma, Cass. Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412, inaugurando un orientamento in seguito più volte ribadito (Cass. 11 gennaio 2008 n. 476, Cass. 30 giugno 2009 n. 15310, Cass. 15 giugno 2011 n. 13082), ha affermato che, nel caso in cui il contribuente impugni la cartella esattoriale deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando, in via alternativa, la pretesa tributaria azionata nei suoi confronti, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non al concessionario, al quale, se destinatario dell’impugnazione, incombe – ai sensi del citato art. 39 – l’onere di chiamare in giudizio l’ente. La richiamata decisione precisa che se l’azione del contribuente è svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa, mentre se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito: “l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio… in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario una fattispecie di litisconsorzio necessario, anche in ragione dell’estraneità del contribuente al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente impositore”. Sulla base delle argomentazioni che precedono si è consolidato l’orientamento secondo il quale nelle controversie tributarie il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche all’invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario, sicchè il fatto che il contribuente individui nel concessionario piuttosto che nel titolare del credito tributario il legittimato passivo non impone al giudice adito di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ammettendosi la chiamata in causa dell’ente impositore (Cass. n. 14991 del 15/07/2020, Cass. n. 21220 del 28/11/2012).
9.1. Corollario dei richiamati principi è che “nel processo tributario, il giudicato formatosi tra il contribuente e l’agente della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell’ente impositore, indipendentemente dalla denuntiatio litis all’Agenzia delle Entrate, la cui partecipazione alla lite deve essere sollecitata dall’agente e rileva unicamente nel rapporto interno D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39 senza che costituisca requisito per l’opponibilità delle statuizioni, attesa la scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario” (Cass. 26 maggio 2021 n. 14566).
- Sull’operatività del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, ex art. 39 si fonda anche la giurisprudenza della seconda sezione civile della Corte di Cassazione in tema di opposizione a sanzioni amministrative ex L. 24 novembre 1981, n. 689, la quale afferma che lo stesso esattore ha una generale legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la riscossione delle somme di cui è incaricato, ciò traendosi dalla considerazione che trattasi del soggetto dal quale proviene l’atto oggetto di opposizione (Cass. 11 luglio 2016 n. 2016 e, in precedenza, Cass. 7 agosto 2003 n. 11926, Cass. 18 giugno 2002 n. 8759) o in ragione dell’incidenza che un’eventuale pronuncia di annullamento della cartella può avere sul rapporto esattoriale (ex multis Cass. 21 maggio 2013 n. 12385, Cass. 29 gennaio 2014 n. 1985). Nelle sentenze da ultimo citate, poi, il rapporto processuale è ricostruito in termini di litisconsorzio necessario (così Cass. 21 maggio 2013 n. 12385: “Nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale, relativa al pagamento di sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, ove il destinatario della stessa deduca la mancata notifica del verbale di accertamento dell’infrazione, la legittimazione passiva spetta non soltanto all’ente impositore, quale titolare della pretesa sostanziale contestata, ma anche, quale litisconsorte necessario, all’esattore che ha emesso l’atto opposto e ha perciò interesse a resistere, in ragione dell’incidenza che un’eventuale pronuncia di annullamento della cartella può avere sul rapporto esattoriale”).
- Un panorama piuttosto disomogeneo si registra nella materia previdenziale. In tema di opposizione allo stato passivo fallimentare, secondo l’orientamento maggioritario della sezione lavoro, deve escludersi la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione qualora il giudizio sia promosso da o nei confronti di quest’ultimo, poichè non assume rilievo a tal fine che la domanda abbia ad oggetto non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto del potere di agire o resistere in giudizio comporta solo una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’ente impositore, talchè la chiamata in causa di quest’ultimo ai sensi del citato art. 39, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, deve essere ricondotta all’art. 106 c.p.c. (Cass. 5 maggio 2016 n. 9016 e, più di recente, Cass. 22 maggio 2019 n. 13929, Cass. 2 ottobre 2019 n. 2458, Cass. 12 agosto 2020 n. 17100). Altro orientamento (Cass. 16 giugno 2016 n. 12450, citata nella sentenza impugnata, Cass. 12 dicembre 2017 n. 29806) ritiene, invece, la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione qualora il debitore deduca circostanze che incidono sul merito della pretesa creditoria o eccepisca in compensazione un proprio controcredito, e ciò ancorchè l’ente impositore sia l’unico legittimato a stare in giudizio, atteggiandosi quella del concessionario come legittimazione meramente processuale. Le decisioni richiamate rinviano alla D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 norma interpretata nel senso di imporre al concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o validità degli atti esecutivi, di chiamare in causa l’ente impositore, rispondendo diversamente in proprio delle conseguenze della lite.
11.1. In controversie assimilabili a quella oggetto del presente giudizio, specificamente in tema di opposizione a cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., si evidenzia un primo orientamento secondo il quale sussiste la legittimazione passiva del concessionario allorchè si deduca un vizio di notifica degli atti, quale l’omessa tempestiva notifica della cartella determinante la prescrizione del credito (Cass. 15 gennaio 2016 n. 594), con la precisazione che in tal caso lo stesso concessionario è litisconsorte necessario, anche per gli innegabili riflessi che un eventuale accoglimento dell’opposizione potrebbe comportare nei rapporti con l’ente. In linea con l’orientamento richiamato anche Cass. 21 maggio 2013 n. 12385, che ha ribadito la qualità di litisconsorte necessario del riscossore nel giudizio di opposizione all’esecuzione con il quale sia stata fatta valere la prescrizione del credito contributivo per l’omessa effettuazione da parte dello stesso di atti propri della sequenza procedimentale, fra cui la tempestiva notifica della cartella.
11.2. Alcuni più recenti sviluppi della giurisprudenza della sezione lavoro (si vedano, in particolare, Cass. n. 16425 del 2019, Cass. 12 novembre 2019 e Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625, citate), muovendo dal rilievo della specificità del sistema della riscossione dei crediti previdenziali, hanno condotto a esiti interpretativi differenti. Come è stato osservato nelle richiamate decisioni, detta specificità si coglie, in primo luogo, ove si consideri che la materia è regolata da una disciplina apposita, che si rinviene nel D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, artt. 24 e ss.. In virtù di tale disciplina, in difetto di espresse previsioni normative che condizionino la validità della riscossione ad atti prodromici, a differenza di quanto avviene nella materia tributaria e in quella attinente alle sanzioni amministrative (L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14), la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben potendo l’iscrizione a ruolo avvenire in assenza di un atto di accertamento da parte dell’Istituto previdenziale (v. Cass. 21 febbraio 2018 n. 4225; 10 febbraio 2009 n. 3269). Ciò implica che la cartella o avviso di addebito debba contenere una motivazione redatta secondo precise indicazioni ministeriali che, ai sensi del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6 richiede l’indicazione “sintetica” degli elementi di iscrizione a ruolo. Le stesse decisioni hanno poi evidenziato la specificità della disposizione di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5 anche con riferimento alle regole attinenti al contraddittorio nelle controversie di opposizione a cartella esattoriale.
- La peculiarità del sistema della riscossione previdenziale va tenuta in considerazione in vista della ricostruzione sistematica delle tutele. Le indicazioni emergenti dal nuovo orientamento giurisprudenziale formatosi all’interno della giurisprudenza della sezione lavoro impongono una rimeditazione che tenga conto della rilevata peculiarità, già in precedenza enunciata da queste Sezioni Unite in un passaggio della decisione 25 ottobre 2016 n. 23397, laddove si afferma che “dalla complessiva lettura del D.Lgs. n. 112 del 1999…. si trae conferma del fatto che si tratta di decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi”.
12.2. Con specifico riguardo al processo di opposizione all’iscrizione a ruolo di crediti previdenziali, il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5, – emanato, come il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 112, art. 39 in attuazione della Legge Delega 28 settembre 1998, n. 337 disponeva, nel testo originario, che “contro l’iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all’ente impositore ed al concessionario”. Il D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, comma 2 – quater convertito con L. 22 novembre 2002, n. 265 ha modificato il testo dell’art. 24, comma 5, prevedendo che il ricorso contro l’iscrizione a ruolo debba notificarsi “all’ente impositore” ed espungendo, quindi, l’obbligo di notifica al concessionario. Nel testo oggi vigente, e vigente ratione temporis, il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 dispone, dunque, che nel giudizio contro l’iscrizione a ruolo la legittimazione spetta all’ente impositore. Poichè la disposizione del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5 non è stata modificata nella parte concernente la legittimazione dell’ente impositore, anche quando il legislatore ha deciso di mettervi mano espungendo l’obbligo di notifica del ricorso al concessionario, si deve escludere che questa disposizione sia stata implicitamente superata dal D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 emanato successivamente all’art. 24 citato. Ne consegue che, limitatamente al processo attinente alle opposizioni a iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali e alle opposizioni (come quella oggetto della presente decisione), concernenti l’accertamento negativo del debito per fatti successivi all’iscrizione a ruolo, entrambe accomunate dall’attinenza al merito della pretesa contributiva, la legittimazione passiva resta regolata dal citato art. 24, senza che possa trovare applicazione l’art. 39 D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 e le conseguenze che da esso ha tratto la giurisprudenza in materia tributaria.
12.3. Ricostruita nei termini che precedono la disciplina peculiare della riscossione mediante ruolo dei crediti previdenziali e delle implicazioni applicative, ne discende che le soluzioni sulla legittimazione passiva concorrente e disgiunta tra ente impositore ed agente per la riscossione, adottate dalla giurisprudenza tributaria, o quelle sulla legittimazione necessariamente congiunta, fatta propria dal giudice dell’opposizione ad ordinanza-ingiunzione derivata da illecito amministrativo, risultano non applicabili alle fattispecie in esame. Deve ritenersi, invece, per un verso, sussistente la legittimazione a contraddire esclusivamente in capo all’ente impositore, avendo l’azione ad oggetto la sussistenza del debito contributivo iscritto a ruolo, cioè il merito della pretesa contributiva, rispetto al quale l’agente della riscossione resta estraneo, e ciò in conformità al disposto del citato art. 24, il quale declina per il caso di opposizione tempestiva a cartella che la legittimazione passiva è dell’ente impositore. Al contempo non può ritenersi ricorrere un’ipotesi di litisconsorzio necessario: considerato che nel giudizio non si fa questione della legittimità degli atti esecutivi imputabili al concessionario, la sentenza deve ritenersi utiliter data anche senza la partecipazione di quest’ultimo al processo, mentre l’eventuale annullamento della cartella e del ruolo per vizi sostanziali produce comunque effetti nei confronti del medesimo, mero destinatario del pagamento o, più precisamente, avuto riguardo allo schema dell’art. 1188 c.c., comma 1, soggetto (incaricato dal creditore e) autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento, vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (Cass. 25 luglio 2007 n. 16412). La ricorrenza del litisconsorzio necessario, infatti, è funzionale alla tutela dell’integrità del contraddittorio, alla necessità di una decisione unitaria che abbia effetto nei confronti di più soggetti, sicchè per il principio del contraddittorio tutti costoro devono essere posti in grado di partecipare al processo. Essa è finalizzata ad attuare la partecipazione di più parti nel processo, anche attraverso l’impulso del giudice, affinchè si eviti che lo stesso si concluda con una sentenza inutile, intendendosi il concetto di utilità non come riferito all’esito (positivo per il debitore) del giudizio ma all’idoneità della statuizione a definire il rapporto tra le parti in giudizio in termini satisfattivi del petitum. La rappresentata esigenza non ricorre nel caso in esame, in cui (Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625) l’eventuale annullamento della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti “ultra partes” verso l’esattore (adiectus), senza la necessità della partecipazione dello stesso al processo.
- Ricondotta la questione oggetto di esame delle Sezioni Unite all’ambito circoscritto alla riscossione dei crediti previdenziali, deve affermarsi, quindi, in forza della disciplina del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 che la legittimazione a contraddire compete al solo ente impositore, sicchè la proposizione nei confronti del concessionario dell’opposizione tardiva recuperatoria avverso l’iscrizione a ruolo, al fine di far valere l’inesistenza del credito portato dalle cartelle delle quali è stata omessa la notificazione, anche per maturarsi del termine prescrizionale (come nella specie, in cui l’interesse del ricorrente è solo quello, in pratica, di negare di essere debitore per sopravvenuta prescrizione, a suo dire, del credito” Cass. 19 giugno 2019 n. 16425), lungi dal dar luogo ai meccanismi di cui all’art. 107 o 102 c.p.c., determina il rigetto del ricorso per carenza di legittimazione in capo al concessionario medesimo. La parte che introduce il giudizio, infatti, al fine di ottenere una pronuncia nel merito in astratto satisfattiva delle sue ragioni, deve radicarlo correttamente nei confronti del soggetto legittimato a contraddirvi, quale titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio. Poichè l’unico soggetto convenuto in giudizio, nel caso in disamina, è l’agente della riscossione e costui non è titolare del diritto di credito, quanto, piuttosto, mero destinatario del pagamento (Cass. 24 giugno 2004 n. 11746) o, più precisamente, soggetto autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento ex 1188, I c.c. (cfr. Cass. 26 settembre 2006 n. 21222, Cass. 15 luglio 2007 n. 16412), si evidenzia il difetto di legittimazione passiva in capo all’agente per la riscossione ed il difettoso radicamento del contraddittorio da parte di chi ha agito in giudizio nei confronti esclusivamente del medesimo.
- Il difetto di “legitimatio ad causam”, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, essendo la Corte di Cassazione dotata di poteri officiosi in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere iniziato o proseguito (in tal senso Cass. S.U. 9 febbraio 2012 n. 1912: “l’istituto della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio (legittimazione attiva o passiva) – invero – si ricollega al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta – trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data – la verifica, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (salvo che sulla questione sia intervenuto il giudicato interno) e in via preliminare al merito (con eventuale pronuncia di rigetto della domanda per difetto di una condizione dell’azione), circa la coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta (Cass. n. 11190 del 1995; Cass. n. 6160 del 2000; Cass. n. 11284 del 2010)… da tale accertamento discende la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, atteso che la causa non poteva essere proposta.” Il principio è enunciato anche da Cass. 20 giugno 2006 n. 14266: “L’accertamento del difetto di “legitimatio ad causam”, eliminando in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, comporta, a norma dell’art. 382 c.p.c., u.c., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione” (nello stesso senso anche Cass. 4 aprile 2012 n. 5375 e Cass. 8 agosto 2012 n. 14243).
14.1. Autorevole dottrina ha evidenziato come l’istituto della cassazione senza rinvio, nelle ipotesi previste dalla legge, è sempre correlato alla accertata impossibilità di giungere ad una sentenza di merito, anche, come nel caso in disamina, in ragione della improponibilità della domanda per ragioni di ordine soggettivo, ravvisabili in presenza di un vizio, insanabile con efficacia retroattiva, di un requisito processuale attinente alle parti (difetto di legittimazione), con la conseguenza che, se la Corte di Cassazione riscontra l’impossibilità del processo di giungere ad una pronuncia di merito con salvezza degli effetti sostanziali della domanda originaria, il processo è chiuso con sentenza di cassazione senza rinvio.
- In base alle svolte argomentazioni, in ragione della constatata carenza di legittimazione a contraddire dell’Agente della Riscossione convenuto in giudizio, la sentenza va cassata senza rinvio perchè la causa non poteva essere proposta.
- Le incertezze giurisprudenziali finora riscontrate sulla questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
- Stante l’esito della lite non si ravvisano i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai senti del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.