Cassazione penale, Sez. II, sentenza 28 febbraio 2024, n. 8793
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va considerato quale riciclaggio ex art. 648 bis cod.pen. la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, riceve su un proprio conto corrente bancario somme di denaro provento di precedente truffa informatica nella consapevolezza della provenienza illecita, che può anche consistere nella sola accettazione del rischio quale dolo eventuale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso è proposto per doglianze non consentite e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Ed invero va ricordato come in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Rv. 203428); esame nel caso di specie esattamente compiuto dai giudici di appello con valutazioni complete e del tutto prive delle lamentate illogicità ed a fronte delle quali il ricorrente insiste in una interpretazione alternativa dei fatti non deducibile nella presente sede di legittimità.
Ed invero, il giudice di appello, ha espressamente risposto alle doglianze difensive esponendo alle pagine 7-9 della sentenza impugnata come le particolari modalità della condotta, ricezione sul proprio c/c di una rilevante somma di denaro proveniente da precedente truffa informatica, fossero indicative della responsabilità del ricorrente proprio per il contestato reato di riciclaggio.
A tale conclusione il collegio di secondo grado perveniva senza che le circostanze addotte dalla difesa, quali la conoscenza del precedente blocco del c/c ove era stata operata altra azione simile ovvero i versamenti di somme modeste da parte del ricorrente e la richiesta di sblocco alle Poste Italiane, siano state pretermesse bensì ritenute soccombenti a fronte della ricostruzione della operazione effettuata sul c/c dell’imputato che seguiva ad altro versamento di ben 29.000 Euro operato in precedenza dopo il perfezionamento di analoga truffa ad altra compagine sociale straniera.
Il giudice di appello, quindi, attribuiva valenza probatoria significativa all’avvenuta utilizzazione del conto corrente dell’imputato per il versamento sullo stesso di somme rilevanti, entrambe provenienti da precedenti episodi di truffa informatica, senza che le altre e differenti circostanze potessero dimostrare l’assenza di dolo.
Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dai giudici di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni.
Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
- Più complessa si profila la soluzione del secondo motivo con il quale si deduce violazione di legge sotto il profilo della errata qualificazione giuridica dei fatti dovendo il ricorrente, quale soggetto che ha messo a disposizione il proprio c/c agli autori di una truffa informatica, rispondere di concorso ex art. 110 nel delitto presupposto di cui all’art. 640 ter cod.pen. e non anche di riciclaggio.
Il tema viene affrontato dalla corte di appello a pagina 9 della motivazione ove si sottolinea che in assenza di elementi specifici per ritenere che l’imputato avesse precedentemente i fatti concluso accordi specifici con i soggetti autori degli accessi abusivi ai sistemi informatici, a seguito dei quali erano state operate le truffe in danno di Butrint Srl e Duzgun Food GmbH, ovvero di circostanze tali da dimostrare che egli stesso avesse materialmente partecipato a dette condotte, il fatto non può essere qualificato ex artt. 110, 640 ter cod.pen.
Le conclusioni cui è pervenuto il giudice di appello appaiono anche al proposito prive dei vizi dedotti con il secondo motivo; questa Corte di legittimità con distinte pronunce ha già affermato la responsabilità a titolo di riciclaggio di chi permetta il versamento di somme frutto di precedenti delitti sul proprio conto corrente bancario nella consapevolezza dell’origine illecita delle somme.
Con una recente pronuncia si è difatti affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’accertamento della delittuosa provenienza delle somme da altri ricavate mediante frode informatica, consentendone il versamento su di esso e provvedendo, di seguito, al loro incasso (Sez. 2, n. 19125 del 26/04/2023, Rv. 284653 – 01); l’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame deve portare ad affermare che integra proprio la condotta di riciclaggio la ricezione su un proprio conto corrente bancario di somme di denaro provento di precedente truffa informatica nella consapevolezza, che può anche consistere nella sola accettazione del rischio quale dolo eventuale, della provenienza illecita.
2.1 Né può ritenersi fondata la richiesta di applicazione del regime sul concorso di persone nel reato presupposto; intervenendo sul tema della c.d. clausola di riserva contenuta nell’incipit dell’art. 648 bis cod.pen. le Sezioni Unite imp. Iavarazzo hanno affermato che la previsione che esclude l’applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di chi abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisce una deroga al concorso di reati che trova la sua ragione dì essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l’intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Rv. 259587 – 01).
Orbene, ai fini della qualificazione giuridica dei fatti di riciclaggio in caso di messa a disposizione di un conto corrente ove fare transitare somme di denaro provento di delitti contro il patrimonio ed in particolare di truffa informatica, occorre affermare che risponde del reato ex artt. 110-640 ter cod.pen. colui che abbia, d’accordo con gli autori materiali della condotta criminosa di sottrazione illecita di somme ed a conoscenza specifica della stessa, ricevuto le somme al fine della successiva redistribuzione; viceversa il soggetto che abbia aperto ed operato sul c/c quale titolare soltanto al fine di permettere agli autori del reato presupposto di venire successivamente in possesso del profitto illecito, risponde proprio del più grave delitto di cui all’art. 648 bis cod.pen., non sussistendo alcun profilo neppure di mero concorso morale nel reato di truffa informatica.
In tali casi infatti, il titolare del conto può avere raggiunto un accordo con gli autori del delitto presupposto sulla base del quale prevedere il versamento del profitto illecito sul quel c/c ma, essendo del tutto inconsapevole ed ignaro delle modalità di consumazione del successivo delitto produttivo di profitto illecito, non può risponderne a titolo di concorso, avendo posto in essere un’azione tipica che è diretta ad ostacolare l’individuazione del profitto illecito ed a permettere agli autori dell’azione di truffa di godere del suddetto profitto.
Ai fini, quindi, della distinzione tra concorso nel reato presupposto di truffa informatica e fattispecie di riciclaggio non basta che a seguito della ricostruzione delle condotte poste in essere risulti che il c/c sia stato attivato anteriormente la consumazione del delitto presupposto per affermare la responsabilità del titolare a titolo di concorso nella truffa, ma, occorre anche, che lo stesso titolare abbia avuto conoscenza e consapevolezza dell’utilizzabilità di quel c/c per l’esecuzione di specifici episodi di truffa di cui aveva precisa conoscenza.
Fermo restando che, così come anticipato, il dolo può essere configurato anche nella forma eventuale e cioè sotto il profilo dell’avere accettato il rischio del versamento sul proprio conto corrente messo a disposizione di altri di somme di provenienza illecita. Sul punto va richiamato quel precedente secondo cui in tema di riciclaggio, si configura il dolo eventuale quando l’agente ha la concreta possibilità di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 36893 del 28/05/2018, Rv. 274457 – 01).
2.2 Un approfondimento del tema della distinzione tra concorso nel reato presupposto ovvero riciclaggio, ai sensi della clausola di riserva contenuta nel primo comma dell’art. 648 bis cod.pen., si rinviene in quella pronuncia che ha già analizzato i rapporti tra le due fattispecie assumendo che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate dall’illecito utilizzo di una carta clonata, consentendo il versamento del denaro in precedenza prelevato al bancomat dal possessore di quest’ultima (resosi perciò responsabile del delitto di frode informatica), ovvero consentendo il diretto trasferimento, sulla predetta carta prepagata, delle somme ottenute dal possessore della carta clonata con un’operazione di “ricarica” presso lo sportello automatico (Sez. 2, n. 18965 del 21/04/2016, Rv. 266947 – 01).
In motivazione la suddetta pronuncia precisa che:” il reato di frode informatica si consuma quando, penetrando abusivamente nel sistema informatico, si provoca un danno al correntista ignaro, al contempo ottenendo l’ingiusto profitto, secondo lo schema del reato di truffa, dal quale quello di frode informatica mutua la struttura normativa. Essendosi consumata la frode informatica al momento del prelievo del contante da parte del B.B., la successiva operazione di immissione di detto contante sulle carte prepagate, è condotta oggettivamente costitutiva del reato di riciclaggio, alla quale avevano concorso i ricorrenti intestando a sé stessi le carte prepagate.
I ricorrenti, infatti, non avevano contribuito alla realizzazione del reato presupposto – in questo caso la frode informatica – già perfezionatosi a monte del loro contributo, così come impone, in generale, la clausola di riserva prevista dall’art. 648 bis cod. pen.
Essi avevano prestato la loro opera, a valle, per “ripulire” il denaro proveniente dal delitto di frode informatica, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa del medesimo; con una condotta, dunque, perfettamente inquadrabile in una delle tipiche ipotesi previste dall’art. 648 bis cod. pen.”.
Il principio affermato dalla suddetta pronuncia in tema di versamento di somme a seguito di truffa informatica su carte prepagate va ribadito anche nel caso in cui al delitto di cui all’art. 640 ter cod. pen. segua il versamento del profitto illecito su un conto corrente bancario messo a disposizione da un terzo soggetto, estraneo al perfezionamento del reato presupposto; ed invero, anche in tal caso, mancando ogni forma di concorso punibile nel reato di truffa informatica, perché il ricorrente non aveva precisa cognizione della specifica operazione delittuosa, il successivo versamento sul c/c finalizzato a permetterne il godimento agli autori del delitto presupposto configura una ipotesi di riciclaggio punibile ex art. 648 bis cod.pen.
Del resto questa corte di cassazione ha già affermato che ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, occorre la prova dell’estraneità dell’imputato al reato presupposto, allorché questo deduca di averlo commesso e tale prospettazione sia credibile (Sez. 2, n. 46637 del 12/09/2019, Rv. 277594 – 01); ma nel caso in esame non esiste alcun elemento per affermare il concorso del ricorrente nel reato presupposto non avendo lo stesso mai riferito o comunque fornito un qualsiasi elemento per ritenerlo concorrente nella truffa informatica né ammesso di avere agito d’accordo con gli autori materiali delle operazioni effettuate via web.
Corretta appare, pertanto, la decisione dei giudici di appello di qualificare la condotta posta in essere dal ricorrente ex art. 648 bis cod. pen. e non anche quale ipotesi di concorso ex art. 110 cod. pen. nella fattispecie di cui all’art. 640 ter cod. pen.
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi infondata a norma dell’art. 606 comma terzo cod. proc. pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.