<p class="western" align="justify"></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><b>Massima</b></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Baskerville Old Face, serif;"><span style="font-size: large;"><i>La riserva di legge costituisce una delle estrinsecazioni del principio di legalità ed è intesa, nella sostanza, a scongiurare che gli elementi costitutivi della punibilità vengano previsti e disciplinati da soggetti diversi dal Legislatore, segnatamente dal Governo e dall’Amministrazione pubblica, essendo al primo (a differenza dei secondi) consustanziale la dialettica tra maggioranza e minoranze. Il principio trova tuttavia dei temperamenti sempre maggiori a cagione dell’iper-tecnicismo che caratterizza il mondo contemporaneo, con la necessità talvolta di integrare o comunque di aggiornare le fattispecie (anche incriminatrici) in modo talmente rapido da rivelarsi talvolta incompatibile con il procedimento legislativo puro. Soccorre allora, a livello accentrato, la Corte costituzionale e, a livello diffuso, il giudice penale che, dopo una prima fase storica tutta incentrata sulla disapplicazione dell’atto amministrativo, si è poi orientato verso un controllo di legalità maggiormente improntato al concreto disvalore penale della fattispecie tipica.</i></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><b>Crono-articolo</b></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nel diritto romano si può richiamare un noto passo di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Ulpiano</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (Digesto, 1.4.1., pr.) secondo il quale”</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Quod principi placuit, legis habet vigorem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”: ha vigore di legge tutto quello che dispone l’Imperatore. Una espressione che richiama la mera </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legalità formale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e che tuttavia corrisponde al primo postulato del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>positivismo giuridico </b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">onde è il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>ius positum</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (da chi è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legittimato a produrlo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) a prescrivere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>ciò che si deve</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>ciò che non si può fare</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1865</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 20 marzo viene varata la legge 2248, il cui allegato E, all’art.5, prevede la possibilità per il giudice ordinario di disapplicare i provvedimenti amministrativi illegittimi, compresi quelli che incidono sul trattamento sanzionatorio penale, come dimostra la dicitura “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in ogni altro caso</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1889</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La codificazione liberale Zanardelli, all’art.1, prevede che a definire i fatti penalmente rilevanti e le rispettive pene sia una legge.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1930</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il codice penale Rocco, all’art.1, conferma che a definire i fatti penalmente rilevanti e le rispettive pene deve essere una legge. Al contempo, vengono tuttavia dettate tutta una serie di disposizioni che si riveleranno significative proprio in tema di riserva di legge, e precisamente:</span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art.43</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in tema di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">colpa specifica</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, laddove rinvia regolamenti ed ordini che sono atti amministrativi;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art. 251 in tema di inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra, laddove rinvia alla disciplina dei singoli contratti e del relativo inadempimento;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art.259, che sanziona la disobbedienza di un militare o di un agente della forza pubblica che rifiuta o ritarda indebitamente di eseguire quanto gli viene chiesto dall’autorità competente “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>nelle forme stabilite dalla legge</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art.323 in tema di abuso d’ufficio, che punisce chi adotta un provvedimento amministrativo violativo di legge o comunque illegittimo;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art.329 in tema di rifiuto o ritardo indebito del militare a dar seguito ad una richiesta dell’Autorità formalmente legittima;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art. 650 in tema di inosservanza del provvedimento dell’autorità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legalmente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dato, che rinvia al contenuto del singolo provvedimento amministrativo: si tratta di disposizione che, prevedendo un provvedimento amministrativo restrittivo della sfera giuridica del privato, si è a lungo prestata a giustificare il potere disapplicativo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in bonam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del giudice ordinario penale ai sensi dell’art. 5 della L.A.C.</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art. 679, comma 3, in tema di ordine “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legalmente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dato dalla Autorità di consegnare nei termini prescritti materie esplodenti;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’art.698 in tema di ordine “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legalmente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dato dalla Autorità di consegnare nei termini prescritti armi e munizioni detenute.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1948</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La Costituzione (art.25, comma 2) ribadisce che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. L’art. 101, comma 2 dichiara poi solennemente che i giudici sono soggetti soltanto alla legge, autorizzando in qualche modo a disapplicare (o comunque a rendere non operativi) gli atti amministrativi che a tale legge non si conformino.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1966</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 23 marzo esce la sentenza della Corte costituzionale n.26 (norme di polizia forestale) che, in tema di riserva di legge, delinea la teoria della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">sufficiente specificazione</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: la legge può assumersi costituzionale solo laddove – in caso di rinvio ad altre fonti per la disciplina penale - indichi, specificandoli, i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti del provvedimento normativo sottoordinato che ove trasgredito implica sanzione penale. Un orientamento che tuttavia può essere pericoloso laddove si lasci all’Amministrazione una discrezionalità nella valutazione (scelta) dei comportamenti punibili così ampia da friggere con il principio, per l’appunto, della riserva di legge, per giunta sovrapponendosi a quello di tassatività.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1971</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 26 aprile esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.84 che – con riguardo alla legge 304/68 di rinvio ad un regio decreto del 1873 in materia di polizia ferroviaria – ritiene legittima costituzionalmente la norma primaria che, per ragioni di economia legislativa, operi un rinvio fisso ad una norma sub-primaria già in vigore al fine di disegnare il comportamento punibile.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n. 168 che si occupa dell’art.650 c.p. in tema di inosservanza del provvedimento dell’autorità legalmente dato: poiché si tratta di un provvedimento amministrativo individuo e concreto (e non di un atto generale ed astratto come ad esempio un regolamento), per la Corte è da escludere che esso integri il precetto penale, il quale ultimo trova la propria fonte esclusivamente nella legge; la materialità della contravvenzione per la Corte è descritta dal codice tassativamente e in tutti i relativi elementi costitutivi, dovendo dunque escludersi la frizione con il principio della riserva di legge. Il riferimento al fatto che il provvedimento richiamato dall’art. 650 c.p. debba essere “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legalmente dato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dall’Autorità prova che esiste (deve esistere) una legge dello Stato che ne specifica in modo sufficiente le condizioni e l’ambito applicativo, e laddove il giudice accerti questo, il principio della riserva di legge deve assumersi rispettato (attraverso la sommatoria tra la legge penale e quella amministrativa che disciplina il singolo provvedimento).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1977</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 20 gennaio esce la sentenza della Cassazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Torosantucci</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, una delle prime ad assumere che, in caso di titolo a costruire illegittimo, tale illegittimità ne produce la giuridica inesistenza consentendo al giudice penale di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">disapplicarlo (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">)</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ai sensi della L.A.C. e di punire come nel caso di vera e propria assenza del detto titolo: né è possibile invocare la propria buona fede, perché essa si risolve in errore di diritto inescusabile ex art. 5 c.p., neanche nel caso specifico del Sindaco che abbia avuto parere favorevole dalla commissione comunale edilizia.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1983</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 15 giugno escono le sentenze della Cassazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Tommasini</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” e “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Dalli Cani</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, che riprendono la giurisprudenza del caso Torosantucci (e sentenze successive), equiparando dunque l’illegittimità del titolo edilizio (disapplicato) alla relativa assenza, ma che appaiono più garantiste dal punto di vista soggettivo della fattispecie: muovendo dalla presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, esse affermano che il costruttore è penalmente responsabile solo in caso di consapevolezza della palese illegittimità dell’atto, una fattispecie della quale viene rinvenuta nella collusione con l’autorità comunale che rilascia il titolo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1985</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 13 marzo esce l’ordinanza della sezione III della Cassazione (“</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Meraviglia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) che – inaugurando un contrasto rispetto ai precedenti della Corte favorevoli alla disapplicazione - si pone nel solco dell’abbandono del riferimento alla disapplicazione medesima di cui all’art.5 della L.A.C., abbracciando la tesi della c.d. </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">tipicità formale</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: il giudice penale in realtà non disapplica nulla, ma si limita solo a verificare se il fatto tipico si è verificato o meno. Quando il fatto tipico prevede esplicitamente (per espresso richiamo della norma incriminatrice) che l’atto amministrativo incidente sulla fattispecie sia “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legittimo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” (come nell’ipotesi dell’art.650 c.p.), solo in quel caso è possibile per il giudice constatare l’illegittimità dell’atto e ritrarne tutte le conseguenze in termini di mancata realizzazione della fattispecie penale. Proprio queste fattispecie testimoniano che il giudice penale, in realtà, non può disapplicare: se al giudice penale fosse consentito disapplicare (piuttosto che, più tecnicamente, verificare la tipicità della fattispecie), gli espliciti richiami della norma alla “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legittimità</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’atto non servirebbero, potendolo egli disapplicare in ogni caso. Ulteriore conseguenza che se ne ritrae è che laddove la norma incriminatrice non faccia alcun riferimento esplicito alla “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legittimità</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’atto amministrativo che integra la fattispecie penale – come nell’ipotesi di cui all’art.17, lettera b), della legge n.10.77 in tema di concessione edilizia mancante (ma non, appunto, illegittima) - al giudice penale non è consentito sindacare dal punto di vista “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sostanziale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” l’atto amministrativo che, per quanto illegittimo, esiste ed è assistito da presunzione di legittimità: è sufficiente che un atto ci sia e che sia stato adottato dall’organo apparentemente legittimato, a nulla rilevando che esso sia, ad esempio, viziato da eccesso di potere. Diversi solo i casi, macroscopici, di assenza formale dell’atto (laddove adottato da organo in difetto di attribuzione, assolutamente privo del potere di provvedere) e di assenza sostanziale dell’atto (perché frutto di attività criminosa tra soggetto pubblico erogante e soggetto privato ricevente): casi entrambi nei quali anche questo orientamento assume l’atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tamquam non esset</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e disapplicabile, con conseguente punibilità.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1987</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 31 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.3 (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Giordano</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) che – in tema di reati edilizi – risolve il contrasto inveratosi nella giurisprudenza ed </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">esclude l’operatività della disapplicazione</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ai sensi dell’art.5 della L.A.C. a provvedimenti che non siano restrittivi della sfera giuridica del cittadino: diversamente opinando si consentirebbe al giudice penale un potere di controllo e di ingerenza esterna sull’attività della PA, in violazione del principio della separazione dei poteri. La Corte muove da un analisi della disapplicazione siccome disegnata agli articoli 4 e 5 della L.A.C.: destinatario ne è all’origine il solo giudice ordinario (per giunta con accertamento incidentale, posto che l’atto continua a produrre effetti per chi è rimasto fuori dal giudizio), ed essa riguarda il solo caso di diritti soggettivi conculcati dall’azione della PA (atti repressivi), non anche il caso degli atti ampliativi della sfera giuridica del cittadino; laddove il giudice penale potesse disapplicare anche gli atti ampliativi, si ingerirebbe </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ab externo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sull’attività di perseguimento dell’interesse pubblico demandata per legge alla PA, entrando in rotta di collisione con il principio della divisione dei poteri. Muovendo da questa premessa, il giudice penale può sindacare la legittimità degli atti ampliativi solo quando vi è espressamente autorizzato dal legislatore (come nel caso dell’art.650 c.p., che tuttavia riguarda atti conculcativi), ovvero quando la legittimità/illegittimità dell’atto amministrativo (anche se non esplicitamente menzionata nella norma incriminatrice) rientra comunque tra gli elementi essenziali del fatto di reato; per verificare tale ultima circostanza, occorre muovere dall’interesse penalmente tutelato: laddove detto interesse si identifichi con quello all’osservanza delle norme di diritto amministrativo sostanziale che disciplinano l’attività edilizia, ogni frizione con detto interesse (affiorante dal costruire sulla base di un atto anche solo illegittimo) sarebbe penalmente sanzionabile; ma in realtà per la Corte l’interesse tutelato dall’art.17 della legge 10.77 è quello (meramente formale) a che chi vuole edificare non lo faccia autonomamente, ma chieda l’autorizzazione preventiva alla competente PA, con la conseguenza che se detta autorizzazione è stata chiesta ed ottenuta, ancorché sia illegittima, il privato può costruire senza essere sottoposto a sanzione penale anche se il suo intervento costruttivo è contrario alla disciplina urbanistica; mentre laddove costruisca in modo pienamente conforme alla disciplina urbanistica, e tuttavia senza chiedere preventivamente la “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>concessione edilizia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, egli è comunque assoggettabile a sanzione penale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1989</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 9 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione che rispolvera la disapplicazione in materia di reati edilizi, la cui operatività era stata negata dalle SSUU nel 1987: dire che in caso di atti ampliativi la disapplicazione non è ammessa significa, per la Corte, conculcare grandemente la possibilità per il giudice ordinario penale di scandagliare gli atti amministrativi, peraltro in qualche modo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>contra legem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in quanto l’art. 5 della L.A.C., laddove dice “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in ogni altro caso</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, sembra ammettere la disapplicazione anche degli atti ampliativi.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1990</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 14 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n.282, secondo la quale un problema di riserva di legge si pone soprattutto quando la legge viene prima e la norma sub-legislativa di integrazione viene varata dopo; allorché invece, all’opposto, la norma sub-primaria sia già in vigore e sia fatta oggetto di un richiamo a fini punitivi dalla legge ordinaria successiva, non si pongono problemi di compatibilità con il principio della riserva di legge laddove si tratti di rinvio fisso, mentre più pericoloso è il rinvio mobile, nel quale ultimo caso non deve perdurare la facoltà per la PA di mutare, sostituire o abrogare il proprio atto preesistente integrativo della legge. La medesima pronuncia si occupa del potere di sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo (nel caso di specie, concessione edilizia in sanatoria, palesemente illegittima): la questione dei limiti alla disapplicazione del giudice penale ai sensi degli articoli 4 e 5 della L.A.C. viene giudicata (con riguardo al caso di specie) manifestamente infondata, in quanto il realtà il giudice </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">può ampiamente disapplicare</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (anche </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) l’atto amministrativo, non soltanto in caso di collusione tra privato e funzionario, ma in presenza di qualunque vizio che derivi all’atto dalla violazione della legge penale, come ad esempio nel caso dell’art.328 c.p. (omissione di atti d’ufficio), laddove l’istanza di concessione in sanatoria del privato richieda un accertamento di conformità alla disciplina urbanistica che viene deliberatamente omesso dal funzionario competente al fine di autorizzare, illegittimamente, l’intervento edilizio.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1991</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 4 giugno esce la sentenza della III sezione n. 6094, in tema di lottizzazione abusiva “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>materiale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” (concreta realizzazione di opere difformi dalla disciplina urbanistica, e dunque diversa dalla lottizzazione abusiva “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>formale</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, quale inequivoca destinazione a scopo edificatorio di terreni sulla base di atti giuridici quali il frazionamento e la vendita di lotti </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>et similia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">), che ritiene che la sanzione penale possa scattare solo quando manca l’autorizzazione a lottizzare, non anche quando tale autorizzazione è stata ottenuta, ma è illegittima per frizione con la disciplina urbanistica: solo in ipotesi di autorizzazione mancante (o comunque inesistente o macroscopicamente invalida), la lottizzazione è davvero abusiva e merita sanzione penale, non potendo negli altri casi il giudice penale disapplicare l’autorizzazione ottenuta, ancorché illegittima. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’11 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.333 che abbraccia la teoria della riserva di legge tendenzialmente assoluta in una fattispecie in materia di stupefacenti: la norma censurata viene giudicata costituzionalmente legittima perché i parametri che essa detta alla PA sono vincoli sufficienti a restringerne la discrezionalità riservandole una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">valutazione strettamente tecnica</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1992</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 21 ottobre esce la sentenza delle SSUU “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Molinari</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” che, pronunciandosi su una fattispecie in tema di distruzione o deturpamento di bellezze naturali ex art.734 c.p., afferma l’autonomia della tutela penale (e del sindacato del giudice penale) rispetto alla sfera decisionale riservata alla PA, così avvicinandosi alla tesi della c.d. tipicità sostanziale, sulla base della quale quel che conta è garantire un presidio penale al bene tutelato, ancorché ciò possa comportare – nell’ottica dell’accertamento del fatto tipico – equiparazione di un provvedimento illegittimo ad un provvedimento mancante (e, dunque, sostanziale disapplicazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>1993</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 21 gennaio esce una sentenza della III sezione della Cassazione che ritiene inesistente, e quindi disapplicabile </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, una concessione edilizia che sia patentemente in contrasto con il PRG per vizio grave, sostanziale e non meramente procedimentale: la pronuncia implementa il sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo, in quanto l’atto dal punto di vista del diritto amministrativo non sarebbe inesistente, ma il giudice penale lo considera tale a cagione della gravità sostanziale del vizio riscontrato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 21 dicembre esce la sentenza delle </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">SSUU n. 11635 (Borgia)</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, che torna sulla questione della possibile disapplicabilità dei provvedimenti amministrativi ampliativi da parte del giudice penale nell’ipotesi dei reati edilizi: tale disapplicabilità viene esclusa, ma non perché essa sia applicabile solo in caso di atti repressivi (ed interessi oppositivi dei privati), quanto piuttosto perché il giudice penale è chiamato ad applicare, nella sostanza, una norma penale in bianco (l’art. 20 della legge n.47.85), dinanzi alla quale deve non già ingerirsi </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ab externo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sull’azione della PA, quanto piuttosto verificare quale sia l’interesse penalmente tutelato da tale norma penale in bianco e rapportarlo alla specifica fattispecie che è chiamato a scandagliare, al fine di accertare se il comportamento del soggetto ha o meno soddisfatto tale interesse (presidiato da sanzione penale). Si tratta, nella sostanza, di verificare se chi ha costruito lo ha fatto “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>bene</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” o meno, dovendosi vedere nell’atto amministrativo concessorio (che amplia la sfera giuridica del privato) un mero elemento extrapenale della fattispecie con valore puramente descrittivo. Non si tratta di ingerirsi nell’attività della PA, quanto piuttosto di identificare in concreto la fattispecie sanzionata e, in caso di comportamento fuori asse del soggetto agente (quand’anche con la complicità dell’Amministrazione), di punirlo. Secondo la Corte, peraltro, la disciplina urbanistica si è evoluta dall’originaria legge del 1150.42 sino alla legge 47.85, con la conseguenza che ormai l’interesse che la norma penale tutela non è più identificabile nella “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>costruzione previa autorizzazione</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” e dunque formalmente legittima, quanto piuttosto nella </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">costruzione sostanzialmente conforme all’assetto urbanistico del territorio</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e, dunque, sostanzialmente legittima. Al fine di operare questa verifica di conformità sostanziale dell’opera (presunta abusiva) rispetto al quadro ordinamentale (a livello di normativa primaria e secondaria) vigente, il giudice penale è chiamato – configurando l’art. 20 della legge n.47.85 una norma penale in bianco – ad andare più a monte, e dunque a scrutinare gli atti amministrativi (in veste di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">elementi extrapenali descrittivi</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: PRG e relative norme tecniche di attuazione, regolamento comunale, regolamento edilizio, altri atti pianificatori, concessione edilizia) al fine di verificare se l’opera realizzata possa o meno considerarsi lecita dal punto di vista penale. La conclusione è che il giudice penale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">non disapplica</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> nessun atto amministrativo, ma conosce degli atti amministrativi al solo fine di verificare se, sul piano sostanziale e concreto, l’opera divisata è conforme o meno all’assetto urbanistico ed edilizio vigente, dovendo in caso contrario punire anche se il soggetto ha ottenuto un titolo edilizio (che, come tale, si palesa sostanzialmente illegittimo). Dato il bene (interesse) tutelato – costruire in modo conforme all’ordinamento urbanistico-edilizio – il giudice penale accerta la fattispecie concreta (opera costruita) e la confronta con quella astratta (in bianco, ma integrata in via extrapenale dagli atti amministrativi) e, in caso di contrasto, punisce senza disapplicare nulla. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2001</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 29 gennaio esce la sentenza della III sezione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Matarrese ed altri</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, che in tema di lottizzazione abusiva corregge il proprio precedente orientamento e ritiene che essa configuri un reato a consumazione alternativa, dovendosi assumere configurabile a) nel caso in cui manchi l’autorizzazione (lottizzazione abusiva formale); ovvero b) nel caso in cui l’autorizzazione a lottizzare vi sia, ma contrasti con le previsioni degli strumenti urbanistici (lottizzazione abusiva sostanziale). Il problema (come nell’analogo caso dei titoli edilizi) non è quello di presidiare penalmente il controllo della PA sull’attività urbanistica, ma quello di garantire penalmente che detta attività sia pienamente conforme alle norme urbanistiche vigenti.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2002</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 febbraio esce la sentenza delle SSUU n. 5115, che in tema di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">lottizzazione abusiva</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> conferma gli approdi già raggiunti dalle SSUU del 1993, Borgia con riguardo ai titoli edilizi, risolvendo il contrasto sorto in seno alla III sezione della Corte. Lo scopo del giudice penale non è quello di verificare se esiste o meno un dato atto amministrativo (l’autorizzazione a lottizzare), assolvendo nel primo caso e punendo nel secondo; il giudice penale deve piuttosto verificare – anche laddove un atto amministrativo sicuramente vi è, con ampliamento della sfera giuridica privata - se è stata integrata o meno la fattispecie penale e, dunque, se è stato leso l’interesse (bene) penalmente presidiato, che si compendia nel pieno rispetto da parte del soggetto agente della disciplina urbanistica vigente, dovendo punire laddove il bene dell’ordinato assetto urbanistico sia stato leso anche se un provvedimento autorizzativo (illegittimo) in realtà vi è stato: l’autorizzazione rientra tra quegli elementi di natura extrapenale, con effetto descrittivo, che contribuiscono a delineare la fattispecie penale, la cui concreta integrabilità è l’unico oggetto reale della verifica del giudice, il quale non disapplica nulla, verificando solo se la costruzione è “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>urbanisticamente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” lecita o illecita. L’obiettivo è quello di garantire la concreta conformazione del territorio siccome derivata dalle scelte di programmazione effettuate dalla legge o dalla disciplina di piano.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 01 marzo escono le sentenze gemelle della III sezione n. 8032-33-34-35-40 che ribadiscono quanto già insegnato, in tema di lottizzazione abusiva, dalle SSUU con la sentenza 5115, chiarendo che trattasi di un reato a consumazione alternativa che si realizza: a) per difetto di autorizzazione a lottizzare; b) per autorizzazione a lottizzare presente, ma contrastante con le prescrizioni della legge e degli strumenti urbanistici.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2004</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 30 marzo esce la sentenza della III sezione n. 15299 della Cassazione che, nell’abbracciare la tesi sostanzialistica con riguardo al sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo, parte dall’art.101 Cost. - il giudice è soggetto soltanto alla legge - per affermarne il potere di vagliare la legittimità di tutti gli atti amministrativi (nel caso di specie, edilizi: concessione edilizia, concessione in sanatoria, condono): poiché l’attività edilizia è soggetta ad autorizzazioni, concessioni e in genere atti ampliativi, laddove tali atti siano illegittimi (e dunque non conformi alla legge, dal punto di vista sostanziale e non solo formale) tale relativa caratteristica patologica (illegittimità sostanziale) non può non rifrangersi sulla fattispecie penale a tutela del bene protetto (assetto urbanistico ed edilizio del territorio), a meno che non intervengano cause di giustificazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2006</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 15 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 9121 in tema di immigrazione: la fattispecie (disapplicazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in bonam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) è quella del Prefetto che ha adottato un decreto di espulsione, al quale fa seguito l’ordine del Questore allo straniero di lasciare il territorio nazionale, che tuttavia è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">motivato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>per relationem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> rispetto al precedente decreto di espulsione prefettizio. Laddove lo straniero non esegua l’ordine del Questore, si tratterebbe di reato ex art. 14, comma 5.ter, del decreto legislativo 286/98 (prima della riformulazione del 2011), ma tale ordine, motivato solo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>per relationem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, viene assunto illegittimo per violazione dell’art. 3 della legge 241/90, e viene disapplicato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in bonam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">. Il Questore deve infatti dare seguito al provvedimento prefettizio, ma è munito di discrezionalità tecnica potendo alternativamente far accompagnare lo straniero alla frontiera, ovvero trattenerlo presso un centro di accoglienza, ovvero ordinargli di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni, sicché la motivazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>per relationem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> va considerata illegittima.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 21 giugno esce la sentenza della III sezione n. 21487 che conferma – in tema di reati edilizi - l’impostazione “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sostanzialistica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” della sentenza delle SSUU del 1993 Borgia, escludendo l’operatività della disapplicazione: l’atto amministrativo (titolo edilizio) non viene scrutinato incidentalmente nella relativa legittimità dal giudice penale, ma costituisce elemento costitutivo dell’illecito penale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2008</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 28 febbraio esce la sentenza delle SSUU n. 19601 – in tema di sindacato del giudice penale su </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">atti giurisdizionali di altri giudici</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> - secondo la quale il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta (artt. 216 e seguenti della legge fallimentare) non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall’art. 1 l. fall. per la fallibilità dell’imprenditore; pertanto, le modifiche apportate all’art. 1, l. fall. (prima dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169) non esercitano influenza, ai sensi dell’art 2 c.p., sui procedimenti penali in corso. Secondo la Corte ogni sentenza, anche se non definitiva, laddove applica la legge, ha un valore </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>erga omnes</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e non può essere sindacata e/o disapplicata da un altro giudice: essa può essere messa in discussione solo dalle parti legittimate attraverso i mezzi di impugnazione (ordinari e straordinari) previsti dalla pertinente disciplina processuale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 22 aprile esce la sentenza della III sezione n. 26144, che si occupa del caso in cui sia intervenuto un provvedimento amministrativo di sanatoria di abuso edilizio (genericamente, “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>concessione in sanatoria</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”), con effetti estintivi della fattispecie penale (contravvenzione) corrispondente: laddove tale atto amministrativo sia illegittimo, il giudice penale che accerta il mancato verificarsi dell’effetto estintivo del reato – secondo la Corte – non disapplica il provvedimento amministrativo ai sensi dell’art.5 della L.A.C. ma verifica il contrasto tra la costruzione e le norme urbanistiche vigenti, con conseguente lesione dell’interesse penalmente tutelato (assetto del territorio pienamente conforme alle scelte urbanistiche operate). In realtà la dottrina critica questa impostazione in quanto – a differenza delle ipotesi di concessione edilizia o di autorizzazione alla lottizzazione – qui il provvedimento amministrativo non incide </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ab interno</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sulla fattispecie incriminatrice, contribuendo (quale elemento extranormativo) ad integrarla – ma opera “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ab externo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” rispetto ad essa, influendo sulla eventuale estinzione del reato già consumato, con conseguente piena disapplicabilità “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tecnica</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dell’atto in questi casi (proprio perché esterno alla fattispecie penale).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2010</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione che si occupa della fattispecie – in tema di immigrazione - del provvedimento del Questore che fa seguito al decreto di espulsione del Prefetto, ribadendo che l’illiceità penale ai sensi dell’art.5.ter del decreto legislativo n.286.98 va esclusa quando il Questore si limiti a motivare </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>per relationem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> rispetto al provvedimento espulsivo del Prefetto.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2012</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 9157 secondo la quale l’art.650 c.p. è conforme al principio della riserva di legge: si è al cospetto di una norma penale in bianco che tuttavia ha carattere sussidiario e scatta solo quando il fatto non costituisca un più grave reato ovvero non sia comunque assistito da una qualche altra forma di risposta sanzionatoria, anche non penale. Quando il fatto è munito di un proprio specifico meccanismo di tutela, anche non penale (ad esempio di tipo processuale o amministrativo), l’art.650 c.p. non è operativo in forza del principio di sussidiarietà, e questo rende tale norma compatibile con il principio della riserva di legge. La Corte, sotto altro profilo, afferma che nel caso di inottemperanza all’ordine dell’autorità, il sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo si estende anche al profilo della eventuale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">illegittimità meramente formale</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (procedimentale) dell’atto, in funzione della eventuale disapplicazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in bonam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 13 settembre viene varato il decreto legge n.158, meglio noto come </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">decreto “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Balduzzi</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, il cui articolo 3 – al fine di mitigare il rigore pretorio in tema di colpa medica – esclude la responsabilità del medico per morte o lesioni del paziente nel caso in cui il medico stesso sia incorso in colpa lieve (non anche, dunque, colpa grave) nello svolgimento della propria attività (non ulteriormente perimetrata con riferimento alla idoneità dell’evento ad integrare specifiche figure di reato “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>altre</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, né quanto alla afferibilità a negligenza, imprudenza o imperizia) attenendosi a linee guida e buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 novembre viene varata la legge n.189 che converte il decreto Balduzzi n.158.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2015</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 19 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7423, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>Cervino</i></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ed altri</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, che offre una interpretazione costituzionalmente orientata (e tale da non porsi in contrasto con gli articoli 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1 della Costituzione) dell’art.44 del D.p.R. 380.01, testo unico in materia edilizia: ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) di tale norma, non possono assumersi realizzate “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in assenza</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di permesso di costruire le opere che hanno alla base un provvedimento abilitativo della PA meramente illegittimo, salvo che non si giunga alla soglia della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">collusione illecita</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o che, comunque, tale titolo abilitativo sia </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">macroscopicamente illegittimo</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, solo in questi casi potendosi ritenere “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>mancante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” anche a fini penali. La Corte precisa di porsi, con questo arresto, in linea di sostanziale continuità con la evoluzione giurisprudenziale in tema di reati urbanistici e riserva di legge, non potendosi assumere valida l’automatica equazione tra illegittimità dell’atto amministrativo (titolo edilizio) e reato urbanistico; solo ragionando in questi termini può infatti scongiurarsi la frizione con il principio di responsabilità penale per fatto proprio colpevole (l’adozione di un provvedimento favorevole da parte della PA è idoneo ad ingenerare nel privato un certo affidamento) e con quello che vieta una equiparazione ermeneutica (che sarebbe </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) tra titolo assente e titolo meramente illegittimo. In proposito, al fine di individuare quali situazioni di illegittimità rendono il titolo abilitativo improduttivo di validi effetti anche a fini penali, occorre giocoforza fare riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, individuati dall’art.12 del D.p.R. 380.01, tra l’altro, nella necessaria conformità alla previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e più in generale della normativa urbanistico-edilizia vigente; onde, lasciando da parte il caso in cui il provvedimento sia addirittura illecito, può configurarsi una illegittimità (macroscopica) rilevante anche in sede penale laddove il titolo abilitativo sia palesemente non conforme alla normativa che ne regola l’adozione e alle disposizioni normative di settore. In sostanza, per la Corte va escluso che il solo fatto della esistenza del permesso di costruire escluda ogni valutazione del giudice penale in ordine alla sussistenza del reato, potendo egli accertarne la configurabilità quando il vizio dell’atto sia macroscopico, oltre che nell’ipotesi di collusione illecita tra chi lo rilascia e chi lo ottiene.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2016</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 21 gennaio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.2598 secondo la quale l’esercizio del sindacato incidentale di legittimità del giudice penale sugli atti amministrativi a contenuto normativo è da assumersi ammesso nei soli casi in cui questi siano frutto di attività criminosa del privato o dell’Amministrazione, ovvero siano viziati da illegittimità tale da potersi considerare sostanzialmente mancanti o inesistenti (gravemente nulli). Per la Corte, nelle fattispecie di opere urbanistiche eseguite sulla base di permessi di costruire rilasciati in forza di un regolamento urbanistico ritenuto illegittimo, il contrasto dell’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">atto normativo presupposto</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> con disposizioni della normativa regionale o nazionale di riferimento che riverbera in illegittimità dell’atto concessorio può rilevare ai fini della valutazione di astratta configurabilità dei reati previsti dall’art.44, lettere b) e c), del D.p.R. n.380.01 in tema di lottizzazione abusiva, ma nei soli casi in cui si manifesti in termini di evidenza macroscopica. La sentenza viene criticata da parte della dottrina laddove – sulla base del riferimento al concetto indeterminato di illegittimità macroscopica dell’atto amministrativo presupposto – finisce per l’avallare un ritorno alla giurisprudenza penale sulla disapplicabilità / inapplicabilità dell’atto amministrativo a fini penali </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, con corredo di possibile sindacato del giudice penale sul merito dell’atto amministrativo; si propone, da parte della dottrina medesima, di distinguere: </span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">i casi in cui oggetto di sindacato del giudice penale sia un atto amministrativo “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>normativo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” (o gli atti a valle che esso presuppone), laddove è possibile per il giudice penale semplicemente affidarsi al rapporto di gerarchia tra le fonti primaria e secondaria (con conseguente disapplicazione);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">i casi in cui oggetto di sindacato sia invece un atto amministrativo generale, ma non normativo, ipotesi in cui può rilevare la c.d. macroscopica illegittimità al fine di valutare se si è realizzata la fattispecie penale, ma non già in termini “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sciolti</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, quanto piuttosto facendo riferimento ai rapporti di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>simpatia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” o di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>antipatia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” tra gli atti concessori a valle e l’atto generale illegittimo a monte; b.1) nel primo caso (“</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>simpatia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) palesandosi macroscopicamente illegittimo anche l’atto concessorio a valle, mentre b.2) nel secondo (“</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>antipatia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”) dovendosi assumere conforme alla fonte primaria il ridetto atto concessorio a valle.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 3 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 46170 che, nel fornire una prima interpretazione dell’art. 452 bis c.p., fornisce chiarimenti utili a definire l’esatta portata di alcuni elementi della fattispecie di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">inquinamento ambientale</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">. In particolare, per quanto qui interessa, l’avverbio “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>abusivamente</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” (“</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili…</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”), secondo la Corte, deve essere inteso in un’accezione ampia, comprendente la violazione tanto di leggi (statali o regionali) quanto di prescrizioni amministrative. Per quanto concerne in particolare la possibilità di additare come abusive condotte inquinanti che risultino autorizzate sul piano amministrativo, il si pone proprio la nota questione di individuare i limiti del potere di sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo che si presenti difforme dalla legge. La dottrina ha in proposito evidenziato come la pertinente giurisprudenza abbia animato due orientamenti che, pur fornendo un differente inquadramento dogmatico a tale potere, giungono entrambi ad ammettere la possibilità di un tale sindacato piuttosto in misura piuttosto ampia; la prima impostazione fa riferimento all’istituto della disapplicazione dell’atto amministrativo ex art. 5, All. E, L. n. 2248 del 1865 (legge abolitrice del contenzioso amministrativo), mentre il secondo, definito “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sostanzialistico</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, assume invece che, quando il giudice penale accerta profili di illegittimità sostanziale dell’atto amministrativo autorizzatorio richiamato dalla norma penale di fonte primaria, egli null’altro fa che procedere all’accertamento in concreto della sussistenza degli elementi della pertinente fattispecie, non facendo luogo a veruna disapplicazione riconducibile al citato art. 5, All. E, L. n. 2248 del 1865. Qui la Corte di Cassazione segue la seconda impostazione e, al fine di individuare il limite del sindacato in oggetto, richiama talune pronunce che si sono espresse con riferimento al reato di cui all’art.260, D.Lgs. n. 152/2006, laddove si rinviene una clausola di illiceità speciale analoga a quella di cui all’art. 452 bis c.p., onde il carattere abusivo della condotta sussiste qualora l’attività si svolga continuativamente nell’inosservanza di leggi o in difetto di autorizzazioni amministrative (cosiddetta attività clandestina), potendo tuttavia il giudice di merito assumere abusivi anche quei comportamenti tenuti in presenza di autorizzazioni scadute o manifestamente illegittime, dovendosi altresì additare come abusive quelle fattispecie in cui le autorizzazioni non risultino commisurate alla tipologia di attività richiesta, ovvero siano state violate le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazioni stesse, in modo che l’attività non possa più assumersi giuridicamente riconducibile al titolo abilitativo rilasciato dalla competente autorità amministrativa. Può anche accadere, in senso opposto, che il delitto sia non configurabile pur in difetto di autorizzazione, laddove tale atto assuma un rilievo meramente formale e non sia causalmente ricollegabile agli altri elementi costitutivi del fatto (che invece farebbero considerare realizzata la fattispecie incriminatrice). Proprio collocandosi nel solco di questo orientamento sostanzialistico la Corte sembra dunque rivendicare per il giudice penale un ampio potere di sindacato su quegli atti autorizzatori frutto di condotte penalmente illecite, o in quei casi in cui le condotte inquinanti siano state tenute solo apparentemente nel rispetto di autorizzazioni amministrative (autorizzazioni scadute o manifestamente illegittime), evenienze nelle quali l’atto amministrativo può essere incidentalmente qualificato illegittimo, così consentendo l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2017</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 21 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12389 che ribadisce la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata (e tale da non porsi in contrasto con gli articoli 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1 della Costituzione) dell’art.44 del D.p.R. 380.01, testo unico in materia edilizia: ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) di tale norma, non possono assumersi realizzate “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in assenza</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di permesso di costruire le opere che hanno alla base un provvedimento abilitativo della PA meramente illegittimo, salvo che non si giunga alla soglia dell’illecito o che, comunque, tale titolo abilitativo sia macroscopicamente illegittimo, solo in questi casi potendosi ritenere “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>mancante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” anche a fini penali. La Corte precisa di porsi, con questo arresto, in linea di sostanziale continuità con la evoluzione giurisprudenziale in tema di reati urbanistici e riserva di legge, non potendosi assumere valida l’automatica equazione tra illegittimità dell’atto amministrativo (titolo edilizio) e reato urbanistico; solo ragionando in questi termini può infatti scongiurarsi la frizione con il principio di responsabilità penale per fatto proprio colpevole (l’adozione di un provvedimento favorevole da parte della PA è idoneo ad ingenerare nel privato un certo affidamento) e con quello che vieta una equiparazione ermeneutica (che sarebbe </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) tra titolo assente e titolo meramente illegittimo. In proposito, al fine di individuare quali situazioni di illegittimità rendono il titolo abilitativo improduttivo di validi effetti anche a fini penali, occorre giocoforza fare riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, individuati dall’art.12 del D.p.R. 380.01, tra l’altro, nella necessaria conformità alla previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e più in generale della normativa urbanistico-edilizia vigente; onde, lasciando da parte il caso in cui il provvedimento sia addirittura illecito, può configurarsi una illegittimità (macroscopica) rilevante anche in sede penale laddove il titolo abilitativo sia palesemente non conforme alla normativa che ne regola l’adozione e alle disposizioni normative di settore. In sostanza, per la Corte va escluso che il solo fatto della esistenza del permesso di costruire escluda ogni valutazione del giudice penale in ordine alla sussistenza del reato, potendo egli accertarne la configurabilità quando il vizio dell’atto sia macroscopico, oltre che nell’ipotesi di collusione illecita tra chi lo rilascia e chi lo ottiene.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’8 marzo viene varata la legge n.24, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">c.d. Gelli-Bianco</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in materia di responsabilità medica, che – nel tipizzare la colpa medica, con particolare riguardo a quella derivante da imperizia – introduce per il caso di morte o lesioni colpose del paziente la causa di non punibilità prevista dall’art.590.sexies, comma 2, del codice penale, onde qualora l’evento si sia verificato appunto a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. Interessante in particolare l’art.3 della legge che prevede la istituzione di un Osservatorio delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, destinato a raccogliere i dati utili per la gestione del rischio sanitario e quelli concernenti le buone pratiche per la sicurezza delle cure, giusta predisposizione di linee di indirizzo con l’ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico scientifiche delle professioni sanitarie; all’uopo viene previsto un elenco delle società e delle associazioni in parola, che presentino caratteristiche peculiari idonee a garantirne la trasparenza e la capacità professionale scientifica; si tratta nella sostanza di enti deputati ad elaborare, unitamente alla istituzioni pubbliche e private, le raccomandazioni da includere in Linee guida con la finalità di fungere da parametro per la corretta esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità tanto preventive e diagnostiche quanto terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 3 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 37787 onde </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">non integra il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'autorità (art. 650 cod. pen.) l'inottemperanza dell'</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">ordinanza contingibile e urgente</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del Sindaco che non riguardi un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato e si risolva in una disposizione di tenore regolamentare data in via preventiva ad una generalità di soggetti, in assenza di riferimento a situazioni imprevedibili o impreviste, non fronteggiabili con i mezzi ordinari, non essendo sufficiente l'indicazione di mere finalità di pubblico interesse per radicare – in caso di inosservanza – la responsabilità penale del soggetto attivo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 24 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12389 che ribadisce la necessità di una una interpretazione costituzionalmente orientata (e tale da non porsi in contrasto con gli articoli 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1 della Costituzione) dell’art.44 del D.p.R. 380.01, testo unico in materia edilizia: ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) di tale norma, non possono assumersi realizzate “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in assenza</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di permesso di costruire le opere che hanno alla base un provvedimento abilitativo della PA meramente illegittimo, salvo che non si giunga alla soglia dell’illecito o che, comunque, tale titolo abilitativo sia macroscopicamente illegittimo, solo in questi casi potendosi ritenere “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>mancante</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” anche a fini penali. La Corte precisa di porsi, con questo arresto, in linea di sostanziale continuità con la evoluzione giurisprudenziale in tema di reati urbanistici e riserva di legge, non potendosi assumere valida l’automatica equazione tra illegittimità dell’atto amministrativo (titolo edilizio) e reato urbanistico; solo ragionando in questi termini può infatti scongiurarsi la frizione con il principio di responsabilità penale per fatto proprio colpevole (l’adozione di un provvedimento favorevole da parte della PA è idoneo ad ingenerare nel privato un certo affidamento) e con quello che vieta una equiparazione ermeneutica (che sarebbe </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) tra titolo assente e titolo meramente illegittimo. In proposito, al fine di individuare quali situazioni di illegittimità rendono il titolo abilitativo improduttivo di validi effetti anche a fini penali, occorre giocoforza fare riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, individuati dall’art.12 del D.p.R. 380.01, tra l’altro, nella necessaria conformità alla previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e più in generale della normativa urbanistico-edilizia vigente; onde, lasciando da parte il caso in cui il provvedimento sia addirittura illecito, può configurarsi una illegittimità (macroscopica) rilevante anche in sede penale laddove il titolo abilitativo sia palesemente non conforme alla normativa che ne regola l’adozione e alle disposizioni normative di settore. In sostanza, per la Corte va escluso che il solo fatto della esistenza del permesso di costruire escluda ogni valutazione del giudice penale in ordine alla sussistenza del reato, potendo egli accertarne la configurabilità quando il vizio dell’atto sia macroscopico, oltre che nell’ipotesi di collusione illecita tra chi lo rilascia e chi lo ottiene.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 2 agosto viene varato il Decreto del Ministro della Salute che istituisce l’Osservatorio delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, previsto dall’art.3 della legge Gelli-Bianco.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 20 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 43123 che afferma sindacabile la scelta del medico di guardia sulla necessità di compiere o meno la visita richiesta quando ha già consigliato la terapia per via telefonica, dal momento che il delitto di cui all’art. 328 c.p. è reato di pericolo che prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione. Si tratta di una pronuncia in cui viene nella sostanza esclusa la “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>disapplicazione </i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">in malam partem” di un rifiuto di un atto di ufficio, laddove tale rifiuto assunto dal giudice quale atto illegittimo, sulla scorta tuttavia della struttura precipua della fattispecie incriminatrice scandagliata, assunta come reato di pericolo: non si tratta di disapplicare il rifiuto (quasi assimilandolo ad una omissione) quanto piuttosto di applicare la fattispecie penale, strutturalmente assunta appunto come di pericolo (e non già di danno).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 29 settembre viene varato il Decreto del Ministro della Salute che istituisce l’elenco - previsto dall’art.3 della legge Gelli-Bianco - delle società e associazioni che presentano caratteristiche peculiari idonee a garantirne la trasparenza e la capacità professionale scientifica, quali enti deputati ad elaborare, unitamente alle istituzioni pubbliche e private, le raccomandazioni da includere in Linee guida con la finalità di fungere da parametro per la corretta esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità tanto preventive e diagnostiche quanto terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale..</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 10 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 51458 che ribadisce l’orientamento per cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 650 c.p., il giudice è tenuto a verificare previamente la legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell'eccesso di potere e della incompetenza, con conseguente assoluzione dell’imputato che non si sia conformato ad un provvedimento illegittimo sotto uno dei menzionati aspetti; peraltro, ai fini dell’operatività della norma in ottica punitiva, il provvedimento deve riguardare le esigenze tipizzate dalla norma medesima (sicurezza, ordine pubblico, igiene, giustizia) ed i motivi che hanno determinato il provvedimento devono essere formalizzati in esso, da ciò dipendendo la relativa validità ed efficacia.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">*Il 4 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 54496 onde ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 650 c.p., il giudice è tenuto a verificare previamente la legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell'eccesso di potere e della incompetenza, con conseguente assoluzione dell’imputato che non si sia conformato ad un provvedimento illegittimo sotto uno dei menzionati aspetti; inoltre, l</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">'art. 650 c.p.</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> è una norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile soltanto quando il fatto non sia previsto come reato da una specifica disposizione ovvero allorché il provvedimento dell'autorità rimasto inosservato sia munito di un proprio, specifico meccanismo di tutela. Peraltro, ai fini dell’operatività della norma in ottica punitiva, il provvedimento deve riguardare le esigenze tipizzate dalla norma medesima (sicurezza, ordine pubblico, igiene, giustizia) ed i motivi che hanno determinato il provvedimento devono essere formalizzati in esso, da ciò dipendendo la relativa validità ed efficacia.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2018</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 15 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione civile n. 3740 in tema di sanzioni irrogate per superamento dei limiti di emissioni elettromagnetiche: per la Corte, l'applicabilità della causa di giustificazione riconducibile - in relazione al disposto della L. n. 689 del 1981, art. 4, comma 1, - all'esercizio di una facoltà legittima non può operare allorquando il provvedimento amministrativo autorizzatorio (che legittimi appunto tale facoltà) non si conformi alle prescrizioni inderogabili della fonte normativa sopraordinata che ne legittima l'emissione (dovendo, se del caso, essere disapplicato ai sensi dell'art. 5 L.A.C. 1865-all. E, con effetti </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) e, a maggior ragione, nel caso in cui detto provvedimento sia stato rilasciato in favore del destinatario sotto condizione dell'osservanza delle norme vigenti, oltre che di procedere alle modificazioni necessarie agli impianti, dettate dall'insorgenza di esigenze comunque implicanti il rispetto degli obblighi di legge.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 22 febbraio viene pubblicata la sentenza delle SSUU della Cassazione n.8770 che si occupa della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">responsabilità penale del medico</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, a titolo colposo, per morte o lesioni del paziente, e della nuova causa di non punibilità di cui all’art.590 </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sexies</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> c.p. della legge c.d. Gelli-Bianco n.24.17. Per la Corte, per quanto qui di interesse, il medico - nell’attività medico chirurgica - va assunto responsabile se l’evento (morte o lesioni) si è verificato in capo al paziente per colpa – anche lieve – derivante da negligenza o imprudenza; per colpa – anche lieve – derivante da imperizia, laddove il caso concreto non sia regolato da raccomandazioni, linee guida o buone pratiche assistenziali; laddove esse vi siano, per colpa – anche lieve – da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; infine per colpa (solo) grave da imperizia nella esecuzione di raccomandazioni, di linee guida e o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate (qui tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico). Viene in tal modo confermata una forma di tipizzazione della colpa medica (già in qualche modo prefigurata, seppure con coordinate diverse, nel c.d. Decreto Balduzzi) strettamente agganciata alle </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">c.d. linee guida</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che tendono sempre più a concretizzare, proprio dal punto di vista della configurabilità di una colpa da imperizia, i precetti legislativi primari, garantendo anche una maggiore tassatività delle pertinenti fattispecie incriminatrici, altrimenti affidate al soggettivismo decisionale del singolo giudice. La Corte specifica tuttavia come non si tratti di norme regolamentari da applicare in ogni caso ed inderogabilmente, dovendo esse piuttosto essere “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>disapplicate</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” dagli operatori sanitari laddove non adeguate allo specifico caso ad essi sottoposto, senza dunque rigidi automatismi: in sostanza, talvolta per andare esenti da colpa (e da responsabilità penale) gli operatori sanitari, dinanzi alla specificità di un caso ad essi sottoposto, devono piuttosto non applicare le linee guida individuate come pertinenti.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 1° marzo viene varato il decreto legislativo n. 21 che introduce nel codice penale il nuovo art. 3 bis ai sensi del quale “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”. Questa nuova disposizione introduce nell’ordinamento la c.d. “riserva di codice” volta a porre un argine all’affastellarsi di norme incriminatrici sparse in diversi testi normativi e, quindi, facilitare la conoscibilità delle norme incriminatrici. Peraltro, la dottrina non ha mancato di evidenziare come il principio sancito sia in effetti privo di efficacia vincolante dal momento che è stato introdotto al livello di legge ordinaria e quindi derogabile da una fonte successiva di pari efficacia.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 22 giugno esce la sentenza della Cassazione n. 29035 che si pronuncia circa la possibilità per il giudice penale, in sede di accertamento del fatto di reato, di ritenere non integrata la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 650 c.p., nel caso in cui l’ordine emesso dalla pubblica Autorità, violato dall’agente, sia illegittimo. Nel caso di specie, <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=3%3DNW9RR%26D%3D3Y%26A%3DT0XQT%26q%3DQNW5UU%26M%3DjJGH_tqpr_51_EsUp_O8_tqpr_46JOy.46JkJGGg76MuJ6Rk1.6L_tqpr_46A7yI_EsUp_O83U_EsUp_O8BZWbBXVZ8T_EsUp_O8KB97i9GLkCx_D_qH1Ap1ARc_I6Ff1z3n5_1A_f9IAgJB_6k_L2Ff9G3_f9_xDeE9Ae9_F7sK2KvHB_6k_RPa_dEGLk79Ag_46_4kHE3_cDAMnBxLq.8GEn_HnuR_S3MvC_FGwHz7_tqpr_54a7I_D2OuB2Lv5E_JSsm_T8KGE_o51AwC_Es1x3cUp_P6gCxAn_HnuR_RSMvC_z3oFxAiD_EsUp_P6F5d%266%3D%26kI%3DPaAXS" target="_blank" rel="noopener noreferrer">i Giudici di legittimità confermano l’annullamento del decreto di sequestro preventivo, avente ad oggetto un frigorifero e 239 bottiglie di birra, reso dal Tribunale, poiché il provvedimento di divieto emesso dal sindaco, violato dall’agente, era stato emesso dall’autorità amministrativa non competente.</a> Pertanto, viene ribadito il principio di diritto secondo cui </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><u>non è integrato il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità</u></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> quando il provvedimento amministrativo violato difetti dei requisiti di legittimità e quindi debba essere incidentalmente disapplicato in sede penale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’ 8 ottobre esce la sentenza della Cassazione n 44957, che si pronuncia in tema del carattere sussidiario del reato di cui all’art. 650 previsto e punito dal codice penale, rispetto alla sanzione amministrativa prevista dal legislatore. La Cassazione chiarisce che l'art. 650 cod. pen. è una norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile solo quando il fatto non sia previsto come reato da una specifica disposizione ovvero allorché il provvedimento dell'autorità rimasto inosservato sia munito di un proprio, specifico meccanismo di tutela, trovando quindi applicazione solo quando l'inosservanza del provvedimento dell'autorità non sia sanzionata da alcuna norma, penale o processuale o amministrativa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 7 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 54841, che si pronuncia in tema di potere di disapplicazione del giudice penale, in sede di accertamento del fatto di reato di cui all’art. 650 c.p. La Corte ribadisce che in tema di accertamento del reato di inosservanza ai provvedimenti emessi dell’Autorità, di cui all’art. 650 c.p.c., il giudice deve previamente accertare la legittimità – sostanziale e formale – del provvedimento che è stato violato, nel caso di specie. Pertanto, quando il provvedimento di carattere contingibile ed urgente (nel caso di specie, i provvedimenti previsti dall’art. 54, comma 4, del T.U.E.L. – D.Lgs. 267/2000), non sia stato emesso dall’Autorità legalmente competente, (nel caso di specie, dal solo dirigente amministrativo e non dal Sindaco) non può ritenersi integrato il reato di cui all’art. 650 c.p. </span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>2019</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 18 gennaio 2019 esce la sentenza della I sezione della Cassazione, n. 2365, la quale si occupa di chiarire il potere di disappplicazione del giudice penale nei confronti del provvedimento di rimpatrio emesso dal questore (nel caso di specie, si trattava di una misura di prevenzione, disposta dal questore per aver commesso lo straniero il reato previsto</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dall'art. 76, comma 3, D.L. vo n° 159 del 2011).</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> La Cassazione chiarisce che <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=9%3DJWDXN%26D%3D8e%267%3DU8ZKS%26v%3DWJW0aQ%26M%3DoPCH_ywlr_07_AsZv_K8_ywlr_9BFO4.02JpPCGlC2MzP2Rp7.2L_ywlr_9B774O_AsZv_K88a_AsZv_K8GfSbGeKV8X_AsZv_K8HH_E3nH2G_kA5_9pQwAjA_97u757_s_KA6pJx_6p_N2Ew7CJpK_xElOBG_k75_s2ABLvNx.01I5_JXyi_UmQCE_zKDJjA_AsZv_L6KAZ_FlSBDlPC7y_NjuW_XOM1I_67kEDE_ywlr_00xEhE5_JXyi_TCQCE_j76HhEzF_ywlr_00W7N%2607t3h%3D%262K%3DAYSWA" target="_blank" rel="noopener noreferrer">il provvedimento questorile di rimpatrio che risulti privo di motivazione o insufficientemente motivato può essere disapplicato dal giudice penale che, attraverso un sindacato di legittimità, verifica la conformità del provvedimento stesso alle prescrizioni di legge.</a> Nel caso di specie, il provvedimento del Questore viene ritenuto contrario alla legge perché nel suo corpo motivazionale fa esclusivo riferimento ad episodi di accattonaggio molesto (non più costituenti reato a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 670 cod. pen.) senza segnalare condotte illecite penalmente rilevanti così come richiesto dall'ad, 1 del D.L. vo n° 159 del 2011 che al n° 3) che indica tra i soggetti cui possono essere applicati i provvedimenti di prevenzione «coloro che debbono ritenersi sulla base di elementi di fatto, essere dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo ... la sicurezza o la tranquillità pubblica».</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 4 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14725 onde non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia sono soggetti al previo rilascio del menzionato titolo, sì che l'esecuzione dei lavori in assenza del medesimo integra il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380 del 2001.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Rispetto alla definizione di ristrutturazione edilizia data dall'art. 3, comma 1, lett. d) di tale decreto, il successivo art. 10, comma 1, lett. c), nel testo oggi vigente, assoggetta al regime del permesso di costruire - salve le ipotesi, che nella specie non ricorrono, della modifica della destinazione d'uso nei centri storici o delle modificazioni della sagoma di immobili vincolati - soltanto quegli interventi che «</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">». Si tratta degli interventi definiti di ristrutturazione edilizia c.d. "pesante" che, a differenza delle residuali ipotesi rientranti nella categoria – per la cui realizzazione è sufficiente la s.c.i.a. in forza della residuale previsione di cui all'art. 22, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001 - sono assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire con conseguente realizzazione della fattispecie penale contestata nel caso di assenza del titolo. Se, per contro, si tratti di ristrutturazione edilizia "leggera" per cui è sufficiente la s.c.i.a., quand'anche non fosse stata corretta la qualificazione dei lavori in termini di risanamento conservativo data dai richiedenti, il fatto non integrerebbe gli estremi del reato contestato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il Collegio ritiene che la Corte d’Appello sia probabilmente incorsa in errore per aver fatto applicazione dell'originario testo dell'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001, che, tra l'altro, qualificava come ristrutturazioni edilizie pesanti anche gli interventi sopra descritti che comportino «aumento delle unità immobiliari», sicché la motivazione della sentenza impugnata si è limitata a tale rilievo per ritenere la sussistenza del reato senza ulteriormente valutare se vi fosse stato aumento di volumetria.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In quella parte, la disposizione è stata tuttavia modificata dall'art. 17, comma 1, lett. d), d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (recante, Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), conv., con modiff., in I. 11 novembre 2014, n. 164, che, interpolando la norma definitoria della ristrutturazione edilizia c.d. "pesante", ha eliminato il citato riferimento allo "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>aumento delle unità immobiliari</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" (oltre a quello, parimenti contenuto nell'originaria disposizione, "delle superfici utili"). Il solo aumento delle unità immobiliari - che, peraltro, di regola già rileva per far ritenere che l'organismo che subisca un tale intervento sia "in tutto o in parte diverso dal precedente" - non determina più, dunque, la necessità di munirsi del previo permesso di costruire, essendo al proposito necessario (al di là delle richiamate ipotesi di lavori nei centri storici o su immobili vincolati) che vi sia una modifica della volumetria complessiva o dei prospetti. Questo accertamento è tuttavia mancato da parte del giudice d'appello.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Occorre, ancora, rilevare, come la citata "novella" che ha modificato l'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001 - pur intervenuta successivamente alla consumazione del reato - sia retroattivamente applicabile ai sensi dell'art. 2, quarto comma, cod. pen.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nel sanzionare penalmente l'esecuzione di lavori in assenza del permesso di costruire, di fatti, la norma incriminatrice di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380 del 2001 richiama implicitamente proprio l'art. 10, comma 1, del testo unico (rubricato interventi subordinati a permesso di costruire), che vale dunque ad integrare il precetto penale nella sua essenziale struttura, individuando le opere che necessitano di tale titolo abilitativo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Va pertanto applicato il principio secondo cui, in tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale. Nel caso di specie, di fatti, non v'è dubbio che il citato art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001 integri il precetto penale di cui al successivo art. 44, comma 1, lett. b), incidendo sulla struttura essenziale del reato e quindi sulla fattispecie tipica, sì che il principio di retroattività della norma favorevole, affermato dall'art. 2, comma quarto, cod. pen., si applica anche in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici aventi tali caratteristiche.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Viene quindi affermato il principio secondo cui, la modifica dell'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001, operata con art. 17, comma 1, lett. d), d.l. 12 settembre 2014, n. 133, conv., con modiff., nella I. 11 novembre 2014, n. 164, che ha escluso dagli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire quelli che comportino aumento di unità immobiliari o di superfici utili, osta alla riconduzione di tali Ipotesi al reato di costruzione sine titulo di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380 del 2001 e deve trovare applicazione retroattiva, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, cod. pen., quale norma extrapenale più favorevole integratrice del precetto.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 30 maggio esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24249 che interviene a definire i diversi tipi di interventi edilizi.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Occorre richiamare l’attenzione su quanto già precisato in tema di interventi precari (Sez. 3, n. 31388 del 27/4/2018, Serio, non massimata), ricordando che l’art. 10, lett. a) del d.P.R. 380\01 individua, tra gli interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, quelli di nuova costruzione, la cui descrizione viene fornita dall’art. 3 dello stesso T.U. nella lettera e), ove si specifica che si intendono come tali tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti (che riguardano, lo si ricorda, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia). La stessa disposizione specifica, poi, che sono comunque da considerarsi come interventi di nuova costruzione tutta una serie di opere singolarmente indicate in un elenco la cui natura è meramente esemplificativa e ricavata utilizzando le qualificazioni operate dalla giurisprudenza, come emerge dalla semplice lettura della relazione illustrativa al T.U.; ai suddetti interventi vanno poi aggiunti quelli eventualmente individuati con legge dalle Regioni ai sensi del comma terzo del menzionato art. 3 e che pertanto, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Sono dunque soggetti a permesso di costruire, sulla base di quanto disposto dal T.U., tutti gli interventi che, indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via permanente del suolo inedificato (cfr. Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016 (dep.2017), Palma, Rv. 268847; Sez. 3, n. 4916 del 13/11 /2014 (dep.2015), Agostini, Rv. 262475; Sez. 3, n. 8064 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242741 • Sez. 3, n. 6930 del 27/1/2004, laccarino, Rv. 227566; Sez. 3, n. 6920 del 21/01/2004, Perani, Rv. 227565; Sez. 3, n. 38055 del 30/9/2002, Raciti, Rv. 222849 ed altre prec. conf.). Tra gli interventi di nuova costruzione indicati, dall’art. 3, alla lettera e5, citata dalla ricorrente, sono elencati, nella attuale stesura, “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”. La medesima disposizione, che ha subito nel tempo diverse modifiche, era così formulata all’epoca dei fatti per cui è processo: “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”. Le differenze, per quel che interessa nel caso di specie, per la Corte non rilevano, essendo chiara la finalità della norma di considerare interventi di nuova costruzione, quindi soggetti a permesso di costruire, tutte le strutture, di qualsiasi genere, tra le quali sono comprese quelle elencate a titolo di esempio, che siano destinate ad una stabile utilizzazione, non meramente transitoria. L’esplicita menzione di detta tipologia di interventi nel Testo Unico ha, di fatto, codificato la figura giuridica di “costruzione” elaborata dalla giurisprudenza prima dell’entrata in vigore del TU. e nella quale rientravano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificavano lo stato dei luoghi, in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, erano destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, né il mezzo tecnico con cui fosse assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’irrevocabilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo (così Sez. 3, n. 9138 del 7/7/2000, RM. in proc. Migliorini T ed altro, Rv. 217217 ed altre prec. conf.). Si è successivamente avuto modo di precisare che, ai fini della individuazione della nozione di costruzione urbanistica, non è determinante l’incorporazione nel suolo indispensabile per identificare, a norma dell’art. 812 cod. civ., il bene immobile, essendo sufficiente la destinazione del bene ad essere utilizzato come bene immobile, con la conseguenza che l’elencazione contenuta nel menzionato art. 3, lett. e) non può considerarsi esaustiva, giacché i parametri indicati possono essere analogicamente applicati ad opere simili (Sez. 3, n. 37766 del 7/7/2005, Terrin, non massimata). A conclusioni analoghe è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale (Cons. Stato Sez. VI n. 2842 del 3/6/2014). Tali considerazioni coincidono – chiosa ancora la Corte - con la nozione di precarietà dell’intervento edilizio in genere, individuata dalla giurisprudenza della Corte stessa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Gli interventi edilizi precari, categoria già individuata dalla giurisprudenza e dalla dottrina con inequivocabile indicazione delle specifiche caratteristiche, sono espressamente menzionati dall’art. 6 del d.P.R. 380/01 che, nell’attuale formulazione, li descrive al comma 1, lett. e-bis) come opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale. In precedenza, il testo unico dell’edilizia conteneva riferimenti indiretti, che riguardavano gli interventi di cui all’art. 3, comma primo, lett. e.5 e quelli per le attività di ricerca descritti nell’art. 6. L’opera precaria, per la stessa natura e destinazione che la compendia, non comporta effetti permanenti e definitivi sull’originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo e la giurisprudenza della Corte ha costantemente affermato che l’intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la relativa precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l’agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (cfr. ex. p. Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni e altro, Rv. 267759; Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata). Nel caso di specie, i necessari requisiti individuati dalla richiamata giurisprudenza mancano del tutto ed, anzi, le caratteristiche costruttive accertate depongono, unitamente alla rilevata alterazione pianovolumetrica e pianoaltimetrica del terreno, per un intervento destinato a durare nel tempo che ha già determinato una modifica dell’originario assetto dell’area su cui insiste; un’ulteriore conferma di una simile evenienza, che il ricorrente non coglie, è data dal fatto che, per dette opere, l’interessato ha ritenuto di dover richiedere un permesso di costruire in sanatoria (il cui rilascio viene ripetutamente enfatizzato in ricorso per sostenere la legittimità dell’intervento edilizio), che non sarebbe affatto necessario per un intervento precario nel senso dianzi individuato, atteso che la natura dell’opera precaria, che non determina stabili trasformazioni del territorio, non richiede per la sua realizzazione, come si è detto, alcun titolo abilitativo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Deve ribadirsi che al fine di ritenere sottratto un manufatto al preventivo rilascio del permesso di costruire in ragione della relativa asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La giurisprudenza della Corte ha ripetutamente affermato che il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l’eventuale “disapplicazione” dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all’oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (si veda, da ultimo, Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga e altri, Rv. 273218, nonché, con riferimento all’autorizzazione paesaggistica, Sez. 3, n. 38856 del 4/12/2017 (dep. 2018), Schneider e altro, Rv. 273703). Si tratta, peraltro, di un indirizzo interpretativo ormai consolidato, rispetto al quale si è dato ripetutamente conto anche di soluzioni interpretative solo apparentemente difformi e di altre, isolate, di non decisiva incidenza rispetto ad una stabile giurisprudenza ormai ultraventennale (si veda, a tale proposito, quanto evidenziato in Sez. 3, n. 50648 del 9/10/2018, Fabbri, non massimata; Sez. 3, n. 56678 del 21/9/2018, Lodice, non massimata; Sez. 3, n. 49687 del 7/6/2018, Bruno non massimata). Il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria avrebbe comunque comportato l’estinzione dei soli reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, non spiegando effetti rispetto alle violazioni del codice della navigazione e del codice dei beni culturali e del paesaggio pure contestate nel presente procedimento.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 10 luglio esce la sentenza della Sezioni Unite della Cassazione n. 30475 che interviene sulla rilevanza penale della coltivazione della cannabis all’indomani dell’entrata in vigore della L. 242 del 2016.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In primo luogo la Corte ricorda che, in base al T.U. stupefacenti, la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti, quali foglie, inflorescenze, olio e resina, secondo la testuale elencazione contenuta nella tabella II, in assenza di alcun valore soglia preventivamente individuato dal legislatore penale rispetto alla percentuale di THC, rientrano nell'ambito dell'art. 73, commi 1 e 4, T.U. stup..</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Detta fattispecie, infatti, incrimina, oltre alla coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l'estrazione, la raffinazione, la vendita, l'offerta o la messa in vendita, la cessione o la ricezione, a qualsiasi titolo, la distribuzione, il commercio, l'acquisto, l'esportazione, l'importazione, il trasporto, il fatto di procurare ad altri, l'invio, il passaggio o la spedizione in transito e la consegna per qualunque scopo o comunque l'illecita detenzione al di fuori dell'ipotesi dell'uso personale, delle sostanze stupefacenti di cui alla tabella II, dell'art. 14, T.U. stup.. E preme evidenziare che, rispetto al descritto piano repressivo delle attività illecite, il legislatore nell'anno 2014 ha espressamente previsto una sola «eccezione», riguardante la «canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'art. 27, consentiti dalla normativa dell'Unione europea» (art. 26, comma 2, T.U. stup.); proprio in tale ambito sostanziale si inscrive la seguente novella del 2016, volta a promuovere la coltivazione della filiera agroindustriale della canapa.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Osservano le Sezioni Unite che il sintagma contenuto nell'art. 1, comma 2, legge n. 242 del 2016, ove è stabilito che le coltivazioni di cui si tratta «non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza», delinea l'ambito dell'intervento normativo, che riguarda un settore dell'attività agroalimentare ontologicamente estraneo dall'ambito dei divieti stabiliti dal T.U. stup. in tema di coltivazioni.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ciò consente di comprendere appieno, sul piano sistematico, la ragione per la quale la novella non ha effettuato alcuna modifica al dettato del T.U. stup., neppure nell'ambito delle disposizioni che inseriscono la cannabis e i prodotti da essa ottenuti nel delineato sistema tabellare. Infatti, la novella del 2016 non aveva necessità di effettuare alcuna modifica al disposto di cui all'art. 14, d.P.R. n. 309/1990 (che, come sopra rilevato, pure comprende indistintamente la categoria della cannabis) poiché il legislatore del 2016 ha disciplinato lo specifico settore dell'attività della coltivazione industriale di canapa, funzionale esclusivamente alla produzione di fibre o altri usi consentiti dalla normativa dell'Unione europea, attività che non è attinta dal generale divieto di coltivazione, come sancito dal T.U. stup., pure a seguito delle recenti modifiche introdotte all'art. 26, comma 2, T.U. stup., dal ricordato decreto-legge n. 36 del 2014. Rafforza il convincimento rilevare che l'originaria versione dell'art. 1 limitava l'applicazione della legge alle coltivazioni con percentuale di tetraidrocannabinolo inferiore allo 0,3 per cento e che l'art. 5 prevedeva l'introduzione di una modifica espressa del richiamato art. 14, comma 1, lett. a), n. 6, T.U. stup., con l'indicazione di un limite soglia di principio attivo, superiore allo 0,5 per cento: ma si tratta di previsioni che non si rinvengono nel testo della legge n. 242 del 2016, definitivamente approvato.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Dette considerazioni inducono di riflesso ad attribuire natura tassativa alle sette categorie di prodotti elencate dall'art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016, che possono essere ottenuti dalla coltivazione agroindustriale di cannabis sativa L.: tanto si afferma, atteso che si tratta di prodotti che derivano da una coltivazione che risulta consentita solo in via di eccezione, rispetto al generale divieto di coltivazione della cannabis, penalmente sanzionato. Rafforza il convincimento considerare che la stessa disposizione derogatoria, di cui all'art. 26, comma 2, cit., nel delimitare l'ambito applicativo della ricordata eccezione in cui si colloca l'intervento normativo del 2016, fa espresso riferimento alla finalità della coltivazione, che deve essere funzionale «esclusivamente» alla produzione di fibre o alla realizzazione di usi industriali, «diversi» da quelli relativi alla produzione di sostanze stupefacenti. Tanto chiarito, si richiama l'elenco dei prodotti che è possibile ottenere dalla coltivazione delle varietà di canapa di cui si tratta (cannabis sativa L.):</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">c) materiale destinato alla pratica del sovescio;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">g) coltivazioni destinate al florovivaismo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Rilevano le Sezioni Unite che merita condivisione l'orientamento giurisprudenziale che, muovendo dal rilievo che la legge 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la liceità della sola coltivazione della cannabis sativa L. per le finalità espresse e tassativamente indicate dalla novella, ha affermato che la commercializzazione dei derivati della predetta coltivazione, non compresi nel richiamato elenco, continua a essere sottoposta alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. 6, n. 56737 del 27/11/2018, Ricci, cit.). Invero, la coltivazione di cannabis sativa L. ad uso agroalimentare, promossa dalla legge n. 242 del 2016, è stata utilmente definita sia mediante l'indicazione della varietà di canapa di cui si tratta, sia in considerazione dello specifico ambito funzionale dell'attività medesima, che non contempla l'estrazione e la commercializzazione di alcun derivato con funzione stupefacente o psicotropa. Pertanto, dalla coltivazione di cannabis sativa L. non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall'art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016 e, in particolare, foglie, inflorescenze, olio e resina.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Conclusivamente osservano le SU che non si rinviene alcun dato testuale, né alcuna indicazione di ordine sistematico, come chiarito, che possa giustificare la tesi - che pure è stata espressa - volta far rientrare le inflorescenze della canapa nell'ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Pertanto, la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivanti dalla coltivazione di cannabis sativa L., integra la fattispecie di reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, T.U. stup., atteso che la tabella II richiama testualmente tali derivati della cannabis, senza effettuare alcun riferimento alle concentrazioni di THC presenti nel prodotto. Ed il fatto che la norma incriminatrice di cui all'art. 73, commi 1 e 4, T.U. stup., riguardante la circolazione delle sostanze indicate dalla Tabella II, non effettui alcun riferimento alle concentrazioni di THC presenti nel prodotto commercializzato, non risulta incoerente rispetto ai limiti di tollerabilità di cui all'art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, stante la disomogeneità sostanziale dei termini di riferimento. La norma incriminatrice, infatti, riguarda la commercializzazione dei derivati della coltivazione - foglie, inflorescenze, olio e resina - ove si concentra il tetraidrocannabinolo; diversamente, la novella del 2016, nel promuovere la coltivazione agroindustriale della canapa a basso contenuto di THC, proveniente da semente autorizzata, pone dei limiti soglia rispetto alla concentrazione presente nella coltura medesima, rilevanti anche ai fini della erogazione dei benefici economici per il coltivatore ed elenca tassativamente i prodotti che è possibile ottenere dalla coltivazione, tra i quali non sono ricompresi foglie, inflorescenze, olio e resina.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">A questo punto della trattazione le S.U. ricordano l'insegnamento giurisprudenziale che da tempo ha valorizzato il principio di concreta offensività della condotta, nella verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti, oggetto di cessione. Le Sezioni Unite hanno rilevato che, rispetto al reato di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, non rileva il superamento della dose media giornaliera ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente (Sez. U, n. 47472 del 29/11/2007, Di Rocco, Rv. 237856). Successivamente, analizzando la specifica questione afferente alla eventuale inoffensività della cosiddetta coltivazione domestica di cannabis, le Sezioni Unite hanno affermato che è indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta, riferita alla idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920). Si tratta di principi recentemente ribaditi dalla Corte Costituzionale, chiamata ad occuparsi della legittimità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, anche nel caso in cui la condotta sia funzionale all'uso personale delle sostanze ricavate (Corte cost., sent n. 109 del 2016). Il Giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione, ha ribadito la validità del canone ermeneutico fondato sul principio di offensività, operante anche sul piano concreto, nel momento in cui il giudice procede alla verifica della rilevanza penale di una determinata condotta.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Si tratta di coordinate interpretative di certo rilievo, nella materia in esame, posto che la cessione illecita riguarda inflorescenze e altri derivati ottenuti dalla coltivazione della richiamata varietà di canapa, che si caratterizza per il basso contenuto di THC. Come sopra chiarito, secondo il vigente quadro normativo, l'offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., infatti, integrano la fattispecie incriminatrice ex art. 73, d.P.R. n. 309/1990. Ciò nondimeno, si impone l'effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all'attitudine delle sostanze a produrre effetti psicotropi. Tanto si afferma, alla luce del canone ermeneutico fondato sul principio di offensività, che, come detto, opera anche sul piano concreto, di talché occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 10 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 37475 onde non può ritenersi la sussistenza del reato di lavori </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sine titulo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di cui all'art. 44, comma 1, d.P.R. 380 del 2001 per opere realizzate in forza di un permesso di costruire in base al mero rilievo che lo stesso è stato successivamente revocato o annullato in sede amministrativa o giurisdizionale, dovendosi invece accertare se quel titolo potesse considerarsi già in origine </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tamquam non esset</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> per il suo contrasto con la disciplina normativa e di pianificazione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Nell'indagine sulla sussistenza del reato urbanistico demandata al giudice penale, cioè, laddove i lavori si siano svolti in base ad un permesso di costruire ritenuto illegittimo, l'attenzione non va focalizzata tanto (o soltanto) sul fatto se il titolo abbia formalmente perduto efficacia in forza di un provvedimento di revoca o annullamento intervenuto prima dello svolgimento dei lavori — non potendosi, in tal caso, evidentemente dubitare della sussistenza della contravvenzione — quanto sulla circostanza se il titolo, pur apparentemente efficace in costanza di esecuzione delle opere, fosse conforme alla disciplina normativa e urbanistica e, dunque, sussistente ai fini dell'esclusione da responsabilità rispetto al reato di costruzione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sine titulo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Secondo una linea interpretativa risalente e ripetutamente ribadita nella giurisprudenza della Cassazione, di fatti, il giudice penale può conoscere della legittimità dell'atto amministrativo che costituisca oggetto della fattispecie incriminatrice se tale potere trova fondamento e giustificazione nell'ambito della interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora la legittimità/illegittimità dell'atto si presenti come elemento essenziale della fattispecie criminosa, ciò che certamente avviene nel caso del reato urbanistico in esame, che ha di mira la tutela sostanziale del territorio, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Posto, dunque, che il permesso di costruire deve essere rilasciato «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, d.P.R. 380/2001, ribadito dal successivo art. 13, comma 1, d.P.R. 380/2001), laddove il provvedimento amministrativo, pur formalmente rilasciato, sia irrimediabilmente viziato per contrasto con il modello legale, tale da risolversi in una mera apparenza, ai fini dell'applicazione della disposizione penale lo stesso dev'essere considerato mancante e questa valutazione non viola il principio di legalità vigente in materia penale, né, fatta salva la necessità di accertare l'elemento soggettivo, quello di colpevolezza.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">In tempi meno recenti, la stessa Cassazione - proprio decidendo in un procedimento relativo al sequestro preventivo di un immobile costruito in forza di un permesso ritenuto illegittimo - ha affrontato diffusamente il tema della compatibilità costituzionale della disposizione incriminatrice in parola qualora interpretata nel senso di equiparare il titolo illegittimamente rilasciato a quello mancante. La pronuncia ha incidentalmente disatteso, dichiarandola manifestamente infondata, una questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 d.P.R. 380/2001 interpretato nel senso dell'equiparazione tra costruzione senza permesso e costruzione in forza di permesso illegittimo (era stata dedotta la violazione degli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, primo comma, Cost. per irrazionale equiparazione di situazioni diverse, violazione del principio di stretta legalità penale, violazione del principio di necessaria colpevolezza per l'applicazione di sanzioni penali). Ripercorrendo le principali tappe della riflessione giurisprudenziale sul tema, la decisione afferma alcuni principi da cui è stata tratta la massima che segue: «ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in "assenza" di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macrocospica tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante. (In motivazione la Corte ha evidenziato che tale soluzione esclude sia una irragionevole equiparazione interpretativa "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" tra mancanza "ah origine" dell'atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>ex post</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">", sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole)» (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep. 2015, Cervino e aa ., Rv. 263916).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L'articolata motivazione, richiamando i precedenti della giurisprudenza di questa Corte in materia e muovendo dai rilievi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata, li disattende nell'ottica di un'interpretazione costituzionalmente orientata e contiene diverse affermazioni di principio che possono essere così sintetizzate:</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">a) i dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riguardo alla tesi interpretativa che, ai fini di cui si discute, equipara il provvedimento illegittimo a quello mancante sono in particolare fugati dalla necessità di verificare in concreto la sussistenza del reato anche con riguardo all'elemento soggettivo;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">b) le contravvenzioni urbanistiche tutelano il bene del territorio in conformità alla pianificazione urbanistica e il giudice penale, pur non potendo procedere alla disapplicazione del provvedimento amministrativo, può effettuarne lo scrutinio di legittimità quando esso costituisce elemento oggettivo della norma incriminatrice;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">c) il provvedimento va ritenuto mancante (e cioè nullo o inesistente e non solo illegittimo) quando provenga da soggetto in assoluto non titolare del potere di emetterlo, ovvero sia privo dei requisiti essenziali di forma e contenuto;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">d) il provvedimento illecito, perché frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del privato che lo ottiene, è sempre</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i> tamquam non esset</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e va parificato al provvedimento mancante;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">e) pur quando non vi è prova della collusione, tanto che non viene neppure iniziata l'azione penale per altri reati, la macroscopica illegittimità del provvedimento può peraltro indurre a qualificare l'atto in termini di illiceità;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">f) il provvedimento non è mai mancante e non origina responsabilità penale quando sia illegittimo perché affetto soltanto da un vizio procedurale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il più marcato profilo di novità della decisione appare essere quello secondo cui, ai fini in parola, sarebbe tuttavia possibile ritenere l'illiceità, in via, per così dire, "presuntiva", dalla macroscopicità del profilo di illegittimità.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La contravvenzione di esecuzione di lavori "</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>sine titulo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">" sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione. A proposito della macroscopica illegittimità del permesso di costruire, nelle citate sentenze Iodice e Minosi si pone in luce come la decisione resa nel procedimento Cervino, qui evocata dalla ricorrente, non si ponga in contrasto con tale conclusione, avendo la stessa soltanto voluto escludere ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Richiamando quanto argomentato nella sentenza Iodice sulla scorta di un illuminante precedente, deve dunque qui ribadirsi che la macroscopica illegittimità del permesso di costruire non costituisce una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato (con ciò dovendosi pertanto rilevare l'infondatezza del contrario assunto contenuto in ricorso), ma rileva soltanto con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo di fattispecie, rappresentando un significativo indice sintomatico della sussistenza della colpa richiesta per l'integrazione del reato.</span></p> <p class="western" align="center"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">* * *</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Il 31 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 44523 secondo cui, pur potendo gli interventi di ristrutturazione edilizia «portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente» (così, l'art. 3, comma 1, lett. d, T.U.E.), gli stessi presuppongono comunque - come regola - il mantenimento dell'originaria impronta tipologica del manufatto, trattandosi, secondo la citata norma definitoria, di «un insieme sistematico di opere che...comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti». Laddove sia eccezionalmente prevista la possibilità di demolire integralmente l'edificio e di ricostruirlo ex novo, ciò che rappresenta il limite estremo di estensibilità di siffatta categoria d'intervento, le opere si mantengono all'interno della stessa soltanto se sia rispettato il volume originario del manufatto, trattandosi, altrimenti, di opera qualificabile come "nuova costruzione" e, vale a dire come organismo edilizio integralmente diverso sul piano tipologico da quello autorizzato con il permesso di ristrutturazione edilizia.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">Ciò posto, il Collegio afferma il principio secondo cui, laddove sia stato rilasciato un permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia con ampliamento di volumetria, non è consentita - ed integra l'ipotesi di reato di costruzione in totale difformità dal permesso - l'integrale demolizione e ricostruzione dell'edificio. Ricorre, in particolare, l'ipotesi della totale difformità cd. "qualitativa" di cui all'art. 31, comma 1, prima parte, T.U.E., per essere stato realizzato un «organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche...da quello oggetto del permesso stesso».</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><b>Questioni intriganti</b></span></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Quali sono i due aspetti complementari del principio della riserva di legge?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’aspetto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>negativo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: in materia penale interviene la legge </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>e non anche</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> fonti gerarchicamente sottordinate;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">L’aspetto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>positivo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: la legge deve essere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>precisa</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in modo da restringere lo spazio di operatività delle fonti sottordinate.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Le cause di giustificazione sono soggette al principio della riserva di legge?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la risposta deve essere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>affermativa</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> perché si tratta di derogare a </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>norme di legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che puniscono, e dunque occorre una norma di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>pari grado</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (tesi recessiva);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la risposta è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>negativa</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: il principio è espressione di una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>ratio</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b> garantista</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che non lambisce le cause di giustificazione, le quali peraltro sono previste da </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>norme di natura non strettamente penale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, sicchè la relativa produzione non soggiace allo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>statuto penalistico</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della riserva di legge (tesi prevalente).</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Quale è la natura della riserva di legge?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>assoluta</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: non è mai ammesso ad alcuna fonte sottordinata di sostituirsi alla legge o di integrarla in materia penale (tesi recessiva);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>relativa</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: la legge non è in grado di stare al passo con i tempi, specie sul crinale tecnico, e dunque deve lasciarsi integrare da atti normativi sottordinati, come ad esempio i regolamenti (tesi recessiva);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tendenzialmente assoluta</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: dettando con </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>precisione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> un </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>criterio tecnico</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, essa può rinviare a </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>norme regolamentari</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ma solo per </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>mere specificazioni</b></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tecniche</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, al fine di rimanere sempre al passo con i tempi garantendo un costante aggiornamento delle disposizioni senza entrare in rotta di collisione con il garantismo (tesi prevalente).</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Che tipo di atto amministrativo può essere richiamato dalla legge penale?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">un atto di tipo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>regolamentare</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: questo tipo di atto descrive o comunque contribuisce a disegnare la fattispecie di reato, sicché occorre che esso si limiti ad una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>specificazione di tipo meramente tecnico</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> rispetto alla disciplina legislativa, circostanza nella quale il principio della riserva di legge deve intendersi rispettato;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">un atto di tipo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>concreto e specifico</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: qui il fatto penalmente rilevante è disegnato in modo esclusivo dalla norma primaria, che richiama talune </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>classi di provvedimenti specifici</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> i quali trovano a loro volta la propria disciplina nella </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; in questi casi il principio della riserva di legge è rispettato solo a patto che le </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>classi di provvedimento richiamate</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> siano </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>ben individuate</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>chi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> può adottarlo, a quali </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>condizioni</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e sulla base di quali </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>presupposti</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">), circostanza che – a detta di parte della dottrina - </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>non</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> si verificherebbe nel caso dell’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art. 650 c.p.</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> laddove parla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>genericamente</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico ed igiene</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”: anche a voler ritenere la norma compatibile con il principio della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>riserva di legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, essa per tale dottrina non lo sarebbe </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>comunque</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> con il principio di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tassatività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">. Il rinvio ad un atto concreto e specifico della PA si pone allora al </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>confine</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> tra il principio della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>riserva di legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ed il principio di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tassatività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della fattispecie.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Che problemi pone la disapplicazione del provvedimento amministrativo richiamato dalla norma incriminatrice primaria?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">dal punto di vista della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Costituzione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, si fronteggiano l’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art. 101, comma 2</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che – nel dichiarare che i giudici sono </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>soggetti soltanto alla legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> – autorizzerebbe una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>disapplicazione indiscriminata</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in caso di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atto illegittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (proprio perché </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>contrario alla legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) – e l’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art.25, comma 2</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che, nel consacrare il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>principio di legalità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, implica il necessario contemperamento del principio della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>riserva di legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (che fonda la disapplicazione) con i principi “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>cugini</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tassatività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>irretroattività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della norma penale;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">vengono generalmente distinte </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>3 fasi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in senso diacronico: 1) fase di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>indiscriminata disapplicazione </b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>ope iudicis</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ex art. 5 della L.A.C.; 2) fase di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>fuga dottrinale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dalla L.A.C. (metà degli anni Sessanta); 3) fase di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>fuga giurisprudenziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dalla L.A.C. (inizio anni Ottanta);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">specie se la norma penale parla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>esplicitamente</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di inosservanza di un provvedimento “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>legittimo</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, laddove il provvedimento richiamato sia in realtà </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illegittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, la relativa inosservanza non porta – secondo una certa prospettiva - ad una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>disapplicazione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> vera e propria del provvedimento, quanto piuttosto all’accertamento da parte del giudice penale che </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>manca </b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">un</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b> elemento costitutivo del reato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; si oscilla allora tra la teoria della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>disapplicazione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> vera e propria (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>in bonam</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>malam partem</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) e quella </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>c.d. della tipicità formale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (nel caso di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>esplicito richiamo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della norma penale alla legittimità/illegittimità dell’atto) ovvero della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tipicità sostanziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (si prescinde dall’esplicito richiamo della norma ad un atto “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legittimo</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>legalmente dato</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> “ e così via);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la disapplicazione non può mai essere il precipitato di un controllo sul </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>merito amministrativo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del provvedimento, potendo scaturire solo dall’accertamento di un </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>vizio di legittimità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dello stesso (con qualche dubbio sull’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>eccesso di potere</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’atto amministrativo può avere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>rilevanza esterna e diretta</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sulla fattispecie penale, come nel caso dell’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>autorizzazione del Ministro della Giustizia</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> quale condizione di procedibilità della fattispecie, come tale assumendosi </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>pacificamente disapplicabile</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; </span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">l’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atto amministrativo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> può avere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>rilevanza interna e indiretta</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sulla fattispecie medesima, nel quale ultimo caso si distinguono: f.1) gli </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti- presupposto del reato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>positivi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (art.650 c.p.: si punisce un comportamento in presenza dell’atto) o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>negativi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (art.20, lettera b, legge 47/85, oggi art.44 del TU edilizia: si punisce un comportamento in assenza dell’atto, ad esempio del permesso di costruire); f.2) gli </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti-presupposto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (non del reato, ma) </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>della circostanza</b></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>del reato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (la presenza dell’atto rende il reato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>da semplice</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>circostanziato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: art. 528, ultimo comma, c.p., ovvero spettacoli osceni organizzati </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>nonostante</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>divieto dell’autorità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; f.3) gli </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti-mezzo esecutivo</b></span> <span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>del reato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (art.323 c.p.: si punisce </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>chi adotta il provvedimento,</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> così commettendo reato: qui disapplicare condurrebbe al </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>risultato paradossale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>mandare assolto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> il colpevole); f.4) gli </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti-oggetto del reato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, come nel caso del falso in atto pubblico, laddove l’atto è appunto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>l’oggetto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sul quale si spiega il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>contegno penalmente sanzionato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; f.5) gli </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti-scriminante</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, che consentono di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>escludere l’antigiuridicità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di un contegno che </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>altrimenti sarebbe reato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (esempio classico l’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>ordinanza contingibile ed urgente</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, con capacità scriminante </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>ex art. 51</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> c.p.);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">quando l’atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>restringe la sfera giuridica</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del destinatario (art.650 c.p.), la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>disapplicazione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> avviene </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>in bonam partem</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, evitando la pena; quando l’atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>amplia la sfera giuridica</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del destinatario (art.44 del T.U. edilizia), l’eventuale disapplicazione avviene </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>in malam partem</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, comportando pena (la norma sancisce la punibilità </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>in difetto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> di titolo autorizzatorio, e non anche nel caso di titolo autorizzatorio </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illegittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: se quest’ultimo viene disapplicato, il giudice penale lo rende </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>tamquam non esset</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, realizzando una fattispecie – punibile – analoga a quella di difetto di titolo autorizzatorio); in caso di disapplicazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, si pongono anche problemi di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tassatività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della fattispecie (l’atto mancante </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>non equivale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> all’atto esistente illegittimo) e di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>irretroattività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (quando si costruisce </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>il titolo esiste</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, ancorché illegittimo, e anzi esso </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>è presunto legittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> vista la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>presunzione di legittimità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che assiste gli atti amministrativi, sicché l’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>equipararlo </b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>ex post</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b> ad un titolo mancante</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> implica applicazione retroattiva della sanzione);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la disapplicazione </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tout court</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> presuppone – specie laddove la norma incriminatrice non richiami espressamente la legittimità dell’atto amministrativo – un </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>generalizzato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> potere del giudice penale di sindacare (controllare) la legittimità di tale atto, sia sul crinale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>formale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che su quello </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sostanziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: vi sono tuttavia casi in cui, per esplicita scelta legislativa, il giudice penale può sindacare </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>solo la legittimità formale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dell’atto, e non anche quella sostanziale (art. 329 c.p.: rifiuto o ritardo indebito del militare a dar seguito ad una richiesta dell’Autorità </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>formalmente legittima</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">);</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Cosa accomuna e cosa distingue le due tesi della tipicità formale e della tipicità sostanziale della fattispecie incriminatrice?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">entrambe, facendo riferimento al principio della riserva di legge, tendono a verificare come </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>rifluisce</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illegittimità dell’atto amministrativo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> previsto dalla fattispecie penale sulla fattispecie penale medesima, siccome prevista dalla legge, e tendenzialmente dalla sola legge, dovendosi tenere presente che dare rilevanza ad un atto amministrativo illegittimo previsto dalla fattispecie significa, indirettamente, lasciare che sia il provvedimento amministrativo (e non la legge, appunto) a disciplinare in concreto la fattispecie; entrambe indagano in particolare sul </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>quando un provvedimento illegittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, ai fini della tipicità della fattispecie, può essere considerato come un </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>provvedimento mancante</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>tamquam non esset</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la tesi della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tipicità formale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> si appunta sul dato letterale e ritiene che il provvedimento amministrativo illegittimo possa essere equiparato a quello mancante solo nel caso in cui la legge </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>richieda espressamente la legittimità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dell’atto (tipico l’esempio dell’art.650 c.p.); la tesi della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tipicità sostanziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> si appunta invece sul </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>bene della vita tutelato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dalla norma incriminatrice, e ritiene che il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>provvedimento illegittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sia assimilabile al </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>provvedimento mancante</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> tutte le volte che questa assimilazione sia </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>idonea a meglio tutelare il bene</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (interesse) presidiato dalla fattispecie penale; in tema di reati edilizi è progressivamente invalsa la teoria della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tipicità sostanziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, e la illegittimità del titolo edilizio è stata sempre più equiparata alla relativa mancanza, mano a mano che il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>bene giuridico penalmente tutelato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ha visto spostato il proprio baricentro dal </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>mero controllo amministrativo sull’attività urbanistica</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (una concessione edilizia esiste, ancorché illegittima, dunque non si punisce perché la fattispecie non richiede esplicitamente una concessione edilizia legittima) al </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>corretto ed equilibrato assetto del territorio</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (una concessione edilizia illegittima non garantisce un corretto assetto del territorio e dunque va considerata come una concessione edilizia mancante, anche se la norma penale non ne prevede formalmente la necessaria legittimità);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">la tesi della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tipicità formale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della fattispecie incriminatrice appare più conforme ai principi della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>riserva di legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>irretroattività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della norma penale e della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tassatività</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> rispetto alla tesi della tipicità sostanziale, che tuttavia sembra </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tutelare meglio i beni e gli interessi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> penalmente rilevanti.</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Quali sono le norme rilevanti in tema di reati edilizi, via via succedutesi nel tempo?</b></span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">in tema di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>concessione edilizia</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, che oggi è il permesso di costruire, l’art.17, lettera b), della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legge 10.77</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; successivamente l’art.20, lettera b), della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legge 47.85</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; infine l’art. 44, lettera b), del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>DpR 380.01</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (T.U. edilizia);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">in tema di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>lottizzazione abusiva</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, l’art. 28 della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legge 1150.42</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (legge urbanistica); successivamente gli articoli 18, comma 1, e 20, lettera c), della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legge 47.85</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; infine gli articoli 30 e 44, lettera c), del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>DpR 380.01</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (T.U. edilizia).</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Quali sono gli orientamenti giurisprudenziali in tema di potere di sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo?</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La riserva di legge impone che la fattispecie penale sia disciplinata dalla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, e non dall’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atto amministrativo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; laddove quest’ultimo sia illegittimo (e non solo </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>inopportuno</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, essendo il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>merito</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dell’atto pacificamente non sindacabile in sede penale), il giudice penale può sindacarlo – in particolare </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>a fini punitivi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i>in malam partem</i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) – secondo diverse prospettive pretorie che si sono sviluppate diacronicamente come segue:</span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">una prima tesi (c.d. </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sindacato estrinseco ridotto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) si concentra sull’atto amministrativo, predicandone la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>disapplicazione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> da parte del giudice penale (articoli 4 e 5 della L.A.C.) solo quando l’atto sia </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>gravemente viziato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, ed in particolare quando sia </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>inesistente</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> ovvero </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illecito</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (perché frutto di collusione tra privato e funzionario). Negli altri casi non è ammesso il sindacato, salvo che la legge indichi la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>legittimità/illegittimità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del provvedimento come </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>elemento costitutivo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della fattispecie (es: </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art.650</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> c.p.), ipotesi nelle quali il sindacato può essere </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>più penetrante</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e spingersi ad </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>ogni sorta di illegittimità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">una seconda tesi (c.d. </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sindacato estrinseco ampio</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">) – pur muovendosi ancora nell’ottica della disapplicazione dell’atto – ammette che il giudice penale possa sindacare l’atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>non solo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> quando </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>inesistente o illecito</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, ma anche quando, pur non atteggiandosi a tale, la relativa </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illegittimità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> sia comunque </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>particolarmente grave</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> perché la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>violazione di legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>vistosa</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>macroscopica</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (è l’ipotesi della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>concessione edilizia</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> rilasciata a valle di una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>omissione di atti d’ufficio ex art.328</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> c.p. da parte del funzionario competente), ovvero per </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>carenza di potere in concreto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (l’atto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>in senso astratto esiste</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, ma in concreto la legge </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>esclude</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> che possa essere adottato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>in un particolare caso</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, come nell’ipotesi di una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>concessione edilizia incompatibile con il PRG</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> per </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>vizio grave e sostanziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">);</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">una terza </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tesi sostanzialistica</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sindacato intrinseco</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> in funzione della </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>tipicità della fattispecie</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">), che poi è la più recente e la più accreditata, svilisce il ruolo della disapplicazione e si concentra esclusivamente sul se si è realizzata o meno la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>fattispecie penale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e sul se è stato </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>leso o meno l’interesse protetto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dalla norma penale (ad esempio, la tutela del territorio): da questo punto di vista il giudice penale, che è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>soggetto soltanto alla legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (e non all’atto amministrativo) ai sensi dell’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art. 101 Cost.</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e dell’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art. 2 c.p.p.,</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> può sindacare l’atto amministrativo quando sia </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illegittimo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (tuttavia dal punto di vista </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sostanziale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, e non meramente </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>formale e procedimentale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">), al fine anche di punire a tutela dell’interesse penalmente sanzionato. Il problema non è dunque se esiste o meno un provvedimento, ma se è stata o meno realizzata </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>la fattispecie penale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> siccome descritta dal legislatore, e l’atto amministrativo è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>elemento extrapenale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> della fattispecie, con </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>funzione descrittiva</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">una quarta tesi che assume che, nel caso in cui </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>l’atto sia repressivo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (e non ampliativo), fronteggiando </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>interessi oppositivi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del privato, stante la relativa </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>disapplicabilità </b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>in bonam partem</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, il sindacato del giudice penale può spingersi fino allo scandaglio della eventuale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>illegittimità meramente formale e procedimentale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> dell’atto, come nell’ipotesi di inottemperanza ad ordine dell’Autorità </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>“</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>legalmente</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>” dato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (art. 650 c.p.).</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>La riserva di legge che tipo di potere attribuisce al giudice penale quando la fattispecie incriminatrice presenta atti diversi dagli atti amministrativi?</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">La fattispecie penale può richiamare come </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>elementi costitutivi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>condizioni di punibilità</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">:</span></p> <ol type="a"> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">altri </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti legislativi</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: in tali casi il giudice penale non può disapplicare la legge, e deve tentare in prima battuta una </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>interpretazione costituzionalmente orientata</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, e in caso di esito negativo sollevare </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>questione di legittimità costituzionale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti di autonomia privata</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: in tali casi, come ad esempio nell’ipotesi dell’</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>insolvenza fraudolenta</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (art.641 c.p.), si configura la complessa ipotesi dei </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>c.d. reati in contratto</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in cui normalmente solo laddove </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>l’atto negoziale sia nullo per causa illecita</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> il giudice penale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>può disapplicarlo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, in tutti gli altri casi dovendo invece </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>applicarlo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (quando </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>solo annullabile</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, anche perché </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>civilisticamente efficace finché</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> non venga annullato su istanza della parte legittimata a chiederne l’annullamento); </span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atti di natura giurisdizionale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">: in tali casi, nei quali il riferimento va soprattutto alle </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sentenze</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (di altri giudici), il giudice penale non può spiegare </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>alcun sindacato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (ancorché la sentenza </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>non sia ancora definitiva</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">), dovendo limitarsi ad </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>applicare il provvedimento giurisdizionale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (es., </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art. 570</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del c.p. in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, con riguardo alla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sentenza civile di separazione con addebito</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>art. 388</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> c.p., dolosa inosservanza di provvedimento del giudice civile; reato di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>bancarotta</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, con riguardo alla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sentenza di fallimento</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">).</span></p> </li> </ol> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>Cosa occorre rammentare a proposito delle “</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>norme penali in bianco</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>”?</b></span></p> <ol> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">è categoria di </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>pura creazione dottrinale</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, non trovandosene menzione nel codice penale;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">assumendo la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>fattispecie incriminatrice</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> come </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>precetto primario</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> e la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sanzione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> come </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>precetto secondario</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, è “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>in bianco</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” il precetto primario che è </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>dissociato</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> da quello secondario, nel senso che la fattispecie incriminatrice si trova collocata e descritta in un </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atto diverso</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> rispetto alla norma penale, che prevede solo il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>precetto secondario</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (sanzione); </span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">chi parte dalla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>concezione sanzionatoria</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del diritto penale, ritiene ammissibili “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>norme senza precetto</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”, in cui la disposizione penale prevede la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>sola sanzione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (precetto secondario) e rinvia per la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>descrizione della fattispecie incriminatrice</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> (precetto primario) ad altra disposizione extrapenale (anche secondaria); proprio la categoria delle norme penali in bianco </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>conferma</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> questo tipo di impostazione penalistica;</span></p> </li> <li> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">chi parte dalla </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>concezione costitutiva</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del diritto penale, ritiene invece che il </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>comportamento punibile</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> debba essere posto </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>in modo precettivo dalla legge</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">; le norme penali in bianco sono allora in contraddizione con questa visione in quanto si limitano a prevedere un mero “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>dovere di obbedienza</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">” all’Autorità che </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>porrà in essere l’atto descrittivo</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>contegno punito</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">, demandando a tale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>atto normativo secondario</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> o comunque a tale </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>provvedimento</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> la </span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><b>descrizione</b></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"> del “</span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;"><i><b>cosa bisogna fare per obbedire</b></i></span><span style="font-family: Arial Narrow, sans-serif;">”. </span></p> </li> </ol>