<strong>Massima</strong> <em> </em> <em>L’articolazione sempre più ampia dell’impresa, massime dove gestita in forma societaria, ha lasciato progressivamente affiorare il problema della responsabilità penale in capo a soggetti che sovente non sono in grado di controllare il verificarsi di potenziali fatti-inadempimento-reato in ambito lavorativo, specie se di natura omissiva e connessi alla necessità di apprestare cautele anti-infortunistiche a beneficio dei lavoratori. Ne è scaturita la figura della c.d. delega di funzioni, vale a dire un meccanismo attraverso il quale non è il delegante (o, quanto meno, non è solo il delegante) a dover apprestare cautele e a subire sanzione in caso di inadempimento-reato, quanto piuttosto il delegato (o anche il delegato), purché – alla stregua del principio di effettività – egli sia concretamente munito dei poteri idonei a scongiurare in capo ai lavoratori conseguenze penalmente rilevanti.</em> <strong> </strong> <strong>Crono-articolo</strong> Nel diritto romano si riscontrano talune fattispecie di responsabilità per fatto altrui, collegate in particolare ad ipotesi di c.d. “<em>culpa in vigilando</em>”: è il caso del <em>pater familias</em> per i danni cagionati a terzi dai componenti “<em>alieni iuris</em>” della famiglia stessa; è il caso degli albergatori ("<em>caupones</em>"), degli armatori ("<em>nautae</em>"), e dei gestori di stalle pubbliche per custodia di animali in stazioni di ricambio ("<em>stabularii</em>") – non a caso tutte figure in qualche modo “<em>imprenditoriali</em>” - in relazione ai danni provocati dall'opera dei relativi sottoposti. <strong>1889</strong> La codificazione liberale non si occupa esplicitamente della delega di funzioni, anche a cagione della ancora modesta articolazione strutturale degli enti e delle imprese all’epoca in cui essa entra in vigore. <strong>1930</strong> Il codice penale, nel prevedere all’art.40, comma 2, la c.d. omissione impropria e la connessa posizione di garanzia, è il fondamento di quella giurisprudenza successiva che – anche nell’ambito degli enti e delle imprese a struttura organizzativa complessa – ritiene responsabili sempre i vertici e le figure apicali per omessa vigilanza ed avvinto omesso impedimento dell’evento (inadempimento) penalmente rilevante. <strong>1942</strong> Viene varato il codice civile che, all’art.2087, rappresenta come l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/2437.html">imprenditore</a> sia tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3071.html">prestatori di lavoro</a>: si tratta fondamentalmente del “<em>capo</em>” dell’impresa, sul quale si modella una posizione di garanzia che sarà rilevante anche sul crinale penalistico. <strong>1948</strong> Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione che, all’art.27, comma 1, prevede che la responsabilità penale è necessariamente personale e dunque (tra le altre accezioni) che non si risponde penalmente di un fatto altrui, che sarebbe peraltro difficilmente rimproverabile a chi non lo ha commesso sterilizzando, ad un tempo, la funzione tendenzialmente rieducativa della pena (art.27, comma 3, Cost.). <strong>1955</strong> Il 27 aprile viene varato il D.p.R. n. 547 in tema di norme antinfortunistiche e destinatari della relativa tutela che, all’art. 374, comma 2, pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per assicurare e conservare l'efficienza degli impianti di sicurezza, al fine di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori: una norma che sembra escludere in radice ogni e qualsivoglia possibilità di delegare le relative funzioni e, con esse, la posizione di garanzia che vi accede. <strong>1994</strong> Il 19 settembre viene varato il decreto legislativo n.626 in tema di sicurezza sul lavoro che, all’art.2, comma 1, lettera b) definisce il datore di lavoro e - per quanto in particolare concerne il datore di lavoro pubblico (in seno alle Pubbliche Amministrazioni di cui al decreto legislativo 29.93) - lo identifica nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero nel funzionario non dirigente, ma qui nei soli casi in cui egli sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale. Il 2 novembre esce una significativa sentenza del Tribunale di Venezia, Latini, alla cui stregua – massime in presenza di testate giornalistiche con molteplici edizioni locali – laddove affiorino sicuri elementi che siano capaci di escludere in concreto la possibilità di adempiere all’obbligo di controllo da parte del direttore responsabile, la delega è da considerarsi strumento idoneo ad escludere la responsabilità del direttore ex art.57 c.p. sempre che tale delega, attuata in una prospettiva di rafforzamento della tutela degli interessi esposti a pericolo, intervenga in favore di un soggetto che sia particolarmente qualificato. <strong>1996</strong> Il 9 marzo viene varato il decreto legislativo n. 242 che, modificando il decreto legislativo n.626.94 in tema di sicurezza sul lavoro, ne ridisegna l’art. 2, lettera b) conferendo nuova foggia “<em>sostanziale</em>” al “<em>datore di lavoro</em>”, da identificarsi non solo con il soggetto titolare del rapporto di lavoro, ma anche e “<em>comunque</em>” con il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione della singola impresa, ne ha la responsabilità o ha anche solo la responsabilità di una relativa unità produttiva, e ciò in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Con questo innesto normativo, all’imprenditore formalmente inteso (art.2082 c.c.) viene equiparato, in ottica appunto sostanzialistica, il datore di lavoro di fatto, in quanto tale titolare di poteri, quand’anche sulla base di una delega. Il 3 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione, <em>Altea</em>, che distingue nettamente la delega di funzioni vera e propria dalla delega di (mera) esecuzione: in particolare, nella delega di funzioni gli obblighi il cui inadempimento sia penalmente sanzionato – in una con i poteri di azione corrispondenti - vengono trasferiti ad un soggetto terzo che ne è sprovvisto, da parte di chi ne è originariamente titolare (il datore di lavoro); nella delega di (mera) esecuzione invece l’obbligo il cui inadempimento è penalmente sanzionato resta in capo al delegante e non si trasferisce al delegato, che è mero attuatore di scelte del primo, sicché o risponde penalmente il solo delegante per realizzazione diretta della fattispecie penale, ovvero il delegante risponde assieme al delegato in concorso, per avere il delegato realizzato direttamente la fattispecie penale, ed avere il delegante contribuito colpevolmente a realizzarla a cagione della omessa sorveglianza sull’attività del delegato attuatore (ex art.40, comma 2, c.p.). <strong>2000</strong> Il 25 agosto esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 9343, <em>Archetti</em>, secondo la quale gli obblighi gravanti su un soggetto che svolga attività imprenditoriale possono essere delegati, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia, ma il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive. Si tratta di uno dei primi arresti nei quali viene abbracciata la teoria c.d. mista sugli effetti della delega di funzioni (valida ed efficace), onde essa trasferisce sul piano oggettivo la posizione di garanzia in capo al delegato, ma il delegante resta potenziale responsabile a titolo di colpa (profilo soggettivo) laddove non abbia vigilato sul concreto, corretto esercizio della delega (<em>culpa in vigilando</em>). <strong>2001</strong> Il 27 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione, n.20176, <em>Fornaciari</em>, che fa proprio il principio di effettività in ordine alla responsabilità penale, da ascriversi al soggetto che concretamente esercita i poteri nel settore in cui il reato-inadempimento trova luogo. L’8 giugno viene varato il decreto legislativo n.231 in tema di responsabilità amministrativa (para-penale) degli enti, che mutua il principio di effettività nel settore da essa disciplinato: quando una persona fisica che esercita, anche di fatto, la gestione e il controllo sull’ente medesimo, commette nel relativo interesse (dell’ente) un reato, scatta la responsabilità della compagine (art.6). <strong>2002</strong> L’11 aprile viene varato il decreto legislativo n.61 sulla riforma del diritto societario che, in tema di reati societari, riscrive l’art.2639 c.c., valorizzando il c.d. principio di effettività che, sulla scia della prevalente giurisprudenza, equipara al soggetto formalmente investito di una qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile tanto chi è tenuto a svolgere tale funzione, quand’anche diversamente qualificata, quanto chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alle ridette qualifica e funzione. In sostanza è amministratore non solo chi è considerato tale dallo statuto societario (formalmente investito di poteri gestori) ma anche chi è solo amministratore di fatto, purché eserciti in modo continuativo (non già solo episodico ed occasionale) e significativo (non già solo marginale o comunque atipico) le funzioni gestorie societarie. Il 5 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione, <em>Di Lena</em>, che prevede – affinché una delega di funzioni possa assumersi valida ed efficace – la titolarità di una completa autonomia decisionale e gestionale del delegato, che sia dunque onnicomprensiva: la Corte sembra non ammettere che la posizione di garanzia possa trasferirsi in relazione (e limitatamente) alla natura delle specifiche funzioni delegate, dovendo essere trasferite integralmente le prerogative e i poteri del garante originario (delegante). <strong>2003</strong> *Il 9 luglio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 37470, <em>Boncompagni</em>, che ribadisce il principio di effettività in ordine alla responsabilità penale, da ascriversi al soggetto che concretamente esercita i poteri nel settore in cui il reato-inadempimento trova luogo. <strong>2004</strong> *Il 01 aprile esce la sentenza della IV sezione della Cassazione, <em>Rossetto</em>, che conferma come gli obblighi gravanti su un soggetto che svolga attività imprenditoriale possono essere delegati, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia, ma il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive, ribadendo la teoria c.d. mista sugli effetti della delega di funzioni (valida ed efficace), onde essa trasferisce sul piano oggettivo la posizione di garanzia in capo al delegato, ma il delegante resta potenziale responsabile a titolo di colpa (profilo soggettivo) laddove non abbia vigilato sul concreto, corretto esercizio della delega. * * * Il 26 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione, Carraturo, alla cui stregua – pronunciandosi su una fattispecie relativa al reato detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione, siccome contestato al titolare di diversi esercizi commerciali - la delega di funzioni può considerarsi idonea a sollevare da responsabilità penale il delegante, in tutte le imprese, qualora sia accertata con giudizio <em>ex ante</em> la capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato, vi sia la mancata conoscenza della negligenza o sopravvenuta inidoneità del delegato e non si riscontrino ingerenze da parte del delegante nell'attività del delegato, fermo restando l'obbligo di vigilanza la cui inosservanza, attraverso la <em>culpa</em> <em>in eligendo</em> in ordine alla capacità professionale del delegato ed <em>in vigilando</em> sul relativo operato, profilerebbe un'ipotesi di responsabilità oggettiva del delegante. <strong>2005</strong> Il 17 ottobre esce la sentenza della sezione V della Cassazione n. 43338 onde, con riguardo all’art.2639 c.c. novellato (reati societari), è amministratore di fatto chi esercita in modo continuativo e significativo i relativi poteri, anche se non si tratta di tutti i poteri dell’amministratore formalmente inteso, purché non si tratti di atti posti in essere in modo episodico ed occasionale, dovendosi comunque riconoscere l’esercizio di una apprezzabile attività gestoria laddove si voglia imputare una responsabilità penale. <strong> </strong> <strong>2007</strong> Il 12 ottobre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 37610 che muove dall'art. 374, comma 2, DPR 547/55 laddove pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per assicurare e conservare l'efficienza degli impianti di sicurezza, al fine di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Si tratta di un onere che, nondimeno, può venire meno in forza di una valida ed efficace delega di funzioni, da parte del datore, idonea a mandarlo esente da responsabilità, la cui sussistenza può essere desunta dalle dimensioni della struttura aziendale. A tal fine, secondo la Corte, si richiede tuttavia non solo che si sia in presenza di un'organizzazione altamente complessa in senso proprio, ma anche che esista una comprovata ed appropriata strutturazione della gerarchia delle responsabilità al livello delle posizioni di vertice e di quelle esecutive; a ciò dovendosi comunque aggiungere che tale delega implicita non può esonerare da responsabilità per ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni ovvero a carenze strutturali - rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza - che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro. In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi questo soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell'effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (vengono richiamate, Sez. IV, 9 luglio 2003, <em>Boncompagni</em>; Sez. IV, 27 marzo 2001, <em>Fornaciari</em>; nonché Sez. IV, 26 aprile 2000, <em>Mantero</em>). Il 22 novembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 46962 che, in tema di reati societari ex art.2639 c.c., imputa una responsabilità penale all’amministratore di diritto o a quello di fatto (sulla scorta del c.d. principio di effettività delle funzioni svolte e dei poteri esercitati) quand’anche concorra l’opera di terzi (a propria volta, gestori di diritto o di fatto). <strong>2008</strong> L’11 gennaio esce la sentenza della sezione V della Cassazione n. 7203 che, occupandosi dell’art.2639 c.c., siccome novellato dalla riforma societaria del 2002, statuisce in primo luogo che il principio di effettività in esso accolto è applicabile anche a fattispecie anteriori alla relativa entrata in vigore (nel testo novellato), stante applicazione già <em>ex ante</em> ad opera della giurisprudenza; in secondo luogo la Corte guarda all’atto di amministrazione generatore di responsabilità penale, da inquadrarsi nel contesto della vita della società e degli effetti sociali che ne scaturiscono, per evincere come chi lo ha posto in essere non può che atteggiarsi in modo continuativo e significativo ad “<em>amministratore</em>” della società. La piena equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto si rifrange, in modo corrispondente, sulla piena equiparazione dei relativi poteri ed obblighi, con possibilità anche per l’amministratore di fatto di incorrere in responsabilità penale per omissione impropria ex art.40, comma 2, c.p., in relazione a fatti commessi da terzi e non impediti in modo consapevole o colposo. Il 9 aprile viene varato il decreto legislativo n.81 che – nell’aggiornare la disciplina in tema di sicurezza sul lavoro e normativa antinfortunistica – ribadisce all’art.2, lettera b), quanto era previsto in senso “<em>sostanziale</em>” nella omologa norma contenuta nel decreto legislativo 626.94 con riguardo alla figura del datore di lavoro; e specifica, all’art.299, che tutte le posizioni di garanzia previste dal menzionato articolo 2 (datore di lavoro, dirigente e preposto, quali garanti per la sicurezza) gravano anche (“<em>altresì</em>”) sui soggetti che in concreto ne esercitino i poteri giuridici, seppure sprovvisti della relativa formale investitura. La presenza dell’avverbio altresì conferma, stando alla dottrina più accreditata, che si tratta tanto del datore di lavoro, dirigente o preposto “di fatto”, quanto (ed <em>a fortiori</em>), delle omologhe figure investite con rituale delega. Si è al cospetto di una forte affermazione del c.d. principio di effettività (dei poteri, delle funzioni e della connessa responsabilità penale) che trova riscontro anche sul versante definitorio del datore di lavoro pubblico: questi è sempre il dirigente con poteri di gestione, ma anche il funzionario non dirigente preposto ad un ufficio con autonomia gestionale ed individuato dall’organo di vertice amministrativo tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali si svolge la relativa attività, dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. La norma precisa che laddove l’individuazione sia stata omessa, ovvero non sia conforme agli specifici criteri testé indicati, è datore di lavoro l’organo di vertice dell’amministrazione. In definitiva, la novella normativa in parola individua – tanto in ambito privato che pubblico – il soggetto garante originario per la sicurezza e, dunque, potenziale delegante delle pertinenti funzioni. La vera e propria delega di funzioni viene tipizzata all’art.16, nel quale viene appunto disciplinata la possibilità che funzioni e poteri (con connessa responsabilità penale) siano delegate dal garante originario (individuato sulla scorta del principio di effettività) ad un garante derivato: la norma abbraccia la teoria c.d. mista o della trasformazione dell’obbligo datoriale di impedire l’evento lesivo in obbligo di vigilare che il delegato non lo impedisca; vengono trasferite “<em>le funzioni</em>” e, con esse, la posizione di garanzia (dal punto di vista oggettivo), ma ciò “<em>non esclude</em>” l’obbligo datoriale di vigilare (dal punto di vista soggettivo, e dunque della colpa) sul corretto espletamento della funzione delegata da parte del soggetto, per l’appunto, delegato. L’art.17 esclude invece in due specifici casi la possibilità di delega: a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza in ambiente di lavoro: va fatta esclusivamente dal datore di lavoro ed è finalizzata alla redazione del documento di cui all’art.28 del decreto, in cui alla valutazione dei rischi viene affiancata l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione correlative attuate; b) la designazione del “<em>RSPP</em>” responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi: può operarla solo il datore di lavoro; la dottrina ha aggiunto una terza ipotesi c) l’adempimento degli obblighi tributari, pubblicistici e personalmente gravanti solo sul datore di lavoro (come tali, asseritamente non delegabili). In caso di indelegabilità ex art.17, laddove il datore di lavoro tecnicamente incompetente si avvalga dell’opera di terzi, si è al cospetto per la dottrina di un mero incarico o delega “di esecuzione”, sicché la posizione di garanzia resta in capo al delegante, alla cui conseguente responsabilità penale (colpevole) può eventualmente aggiungersi anche quella del delegato. Il 19 dicembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.47370, <em>Tempera</em>, che – in caso di appalto – afferma che laddove non siano stati osservati gli obblighi in tema di sicurezza in ambiente lavorativo, la stipula di un contratto di appalto non è idonea ad elidere la pertinente responsabilità del committente. Il 29 dicembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.48313 che si occupa dei requisiti della sub-delega di funzioni, specificando come debba trattarsi dei medesimi requisiti di validità ed efficacia previsti per la delega, con l’aggiunta di altri ed ulteriori: diversamente opinando, il delegato avrebbe buon gioco a scaricare la propria posizione di garanzia (e le connesse responsabilità penali) sui gradi inferiori dell’<em>asset</em> d’azienda. <strong>2009</strong> Il 21 maggio esce la sentenza della Sezione IV n. 28197, che statuisce sulla peculiare fattispecie dei lavori appaltati ma eseguiti dall’appaltatore e dalla relativa manodopera presso l’azienda del committente: esistono rischi specifici dell’ambiente di lavoro in ordine ai quali il committente è tenuto ad informare l’appaltatore e i lavoratori, con connessa informativa sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate per scongiurare gli eventi riconnessi a tali rischi. Altra questione è invece quella di verificare se – per quanto riguarda le misure di sicurezza per l’ambiente di lavoro cui è tenuto l’appaltatore in quanto parte datoriale – esista un obbligo di cooperazione da parte dello stesso committente. Solo se l’attività lavorativa assume caratteri peculiari, ed in relazione ad essi soltanto, è predicabile secondo la Corte un obbligo di coordinamento del committente con l’appaltatore, in quanto trattandosi di dipendenti di quest’ultimo, normalmente la responsabilità penale grava su esso solo. In realtà, secondo la Corte occorre muovere da quanto disposto dall’art.26 del decreto legislativo 81.08 che si occupa proprio dei rapporti tra committente ed appaltatore in relazione alle rispettive forze lavoro, massime in termini di doveri informativi gravanti sul committente e di verifica della idoneità tecnica professionale delle imprese appaltatrici: se ne evince che solo per quanto concerne i rischi comuni ai dipendenti del committente ed a quelli dell’appaltatore è predicabile una responsabilità datoriale del committente anche per infortuni occorsi a dipendenti dell’appaltatore. Se invece detti infortuni coinvolgono dipendenti dell’appaltatore a cagione di omesse cautele connesse a rischi che non sono condivisi con i dipendenti del committente, quest’ultimo non può essere assunto responsabile, dovendosi in caso contrario predicare una ingerenza del committente nell’opera dell’appaltatore e, con essa, un inammissibile snaturamento dello stesso contratto di appalto. Il 3 agosto viene varato il decreto legislativo n. 106, il cui articolo 12, comma 2, integra l’art.16 del decreto legislativo 81.08 disciplinando le condizioni in cui è ammessa la sub-delega delle funzioni tra delegato-sub-delegante e sub-delegato. La sub-delega deve ovviamente presentare tutti i requisiti di validità ed effciacia previsti per la delega (ad iniziare dalla forma scritta), ai quali se ne aggiungono altri specifici: occorre in primo luogo che vi sia una previa intesa in tal senso tra delegante e delegato; non è poi ammessa una ulteriore sub-delega di secondo grado da parte del sub-delegato (che non può farsi a propria volta sub-delegante); inoltre, il delegato non può perdere <em>in toto</em> la propria posizione di garanzia attraverso la sub-delega in quanto questa può riferirsi solo a specifiche funzioni tra quelle già oggetto di delega (nel rapporto delegante-delegato). <strong>2011</strong> *Il 2 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 15065, che ribadisce, con riguardo all’art.2639 c.c. novellato (reati societari), essere amministratore di fatto chi esercita in modo continuativo e significativo i relativi poteri, anche se non si tratta di tutti i poteri dell’amministratore formalmente inteso, purché non si tratti di atti posti in essere in modo episodico ed occasionale, dovendosi comunque riconoscere l’esercizio di una apprezzabile attività gestoria laddove si voglia imputare una responsabilità penale. Il 10 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 23425 che si occupa di una fattispecie in tema di reati tributari, e segnatamente di un caso di omessa dichiarazione dei redditi, nell’ambito di una società. Si tratta dunque di una ipotesi di reato omissivo proprio, e nel caso di specie l’amministratore di fatto ha assunto a propria difesa che unico soggetto penalmente responsabile, trattandosi di reato proprio, potrebbe essere l’amministratore di diritto (prestanome), e non già il medesimo amministratore di fatto a titolo di concorso omissivo improprio (art.40, comma 2, c.p.), non rivestendo quest’ultimo alcuna posizione di garanzia. La Cassazione, anche sulla scorta di considerazioni di equità, non conforta la tesi dell’amministratore di fatto e, ponendosi nel solco della giurisprudenza in tema di continuità e significatività dell’esercizio di funzioni gestorie da parte di chi non appare amministratore (essendo solo tale “<em>di fatto</em>”), equipara quest’ultimo al prestanome amministratore di diritto. <strong>2015</strong> Il 2 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 27862 che allarga i confini di applicazione della delega di funzioni all’adempimento degli obblighi ambientali: anche aziende di modeste dimensioni ed entità organizzativa sono ora coinvolte dall’istituto. Secondo la Corte occorre garantire coerenza logico-giuridica ed applicativa all’ordinamento, onde se in materia di disciplina della sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008) è previsto (all’art.16) l’istituto della delega di funzioni, esso deve essere previsto anche in ambito di tutela ambientale, ed anche quando non si configuri il requisito di efficacia della “<em>necessità</em>” (della delega), palesandosi la delega stessa ammissibile anche in realtà aziendali di ridotta entità. Diversamente, opinando, continua la Corte, si assisterebbe ad un’ingiustificata disparità di trattamento tra chi è delegato ad adempimenti ambientali, e chi, invece, è delegato ad adempimenti in materia antinfortunistica. I requisiti di validità della delega consistono nella formalizzazione con atto scritto recante data certa, da un lato, e l’adeguata e tempestiva pubblicità del conferimento dell’incarico, dall’altro, dovendosi assumere in ogni caso non escluso l’obbligo di vigilanza del delegante sulla corretta esecuzione da parte del delegato delle funzioni trasferite, dovendo il delegante scegliere un delegato con adeguata professionalità ed esperienza finalizzate allo svolgimento delle funzioni trasferite, con assegnazione di un’idonea autonomia di spesa. Dal punto di vista pratico, la sentenza della Corte incide soprattutto sulla tenuta delle c.d. “<em>scritture ambientali</em>”, ossia i registri di carico/scarico e formulario di trasporto rifiuti e tracciamento Sistri, con oneri di controllo e vigilanza sull’attività di terzi rafforzati a seguito della rinnovata definizione di produzione dei rifiuti ex lettera f), comma 1, art. 183 del dlgs 152/2006: a seguito del decreto legge 4 luglio 2015 n.92 sul Codice dell’Ambiente, detta nozione (produzione di rifiuti) risulta infatti ormai riferita - oltre che al soggetto la cui attività produce materialmente rifiuti - anche alla persona cui sia giuridicamente riferibile tale produzione, e dunque al soggetto che ha affidato nel proprio interesse a terzi delle attività implicanti la produzione di residui, con connessa formalizzazione normativa della figura del “<em>produttore giuridico</em>” di rifiuti cui sono connessi inderogabili obblighi di diligenza nella scelta di figure idonee e legittimate all’esercizio di determinate attività, nel monitoraggio del relativo operato. La delega “<em>ambientale</em>”, sotto altro crinale, pur essendo titolo idoneo ad escludere la responsabilità penale del delegante, non appare <em>ex se</em> idonea ad esimere la struttura aziendale dalla diversa responsabilità amministrativa prevista dal dlgs 231/2001 per gli illeciti commessi a vantaggio dell’organizzazione da soggetti che ne sono al vertice. <strong>2016</strong> Il 6 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 3997 onde, nel caso del delitto di usura, il presidente di una banca assume la posizione di garanzia – rilevante ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p. – nel caso in cui, pur in presenza dei c.d. “<em>campanelli d’allarme</em>”, sia provato il dolo (eventuale) compendiantesi nel non aver vigilato l’operato dei dipendenti dell’Istituto di credito, quand’anche sia stata rilasciata loro una delega gestionale. Il 22 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.35185 alla cui stregua in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), al committente, anche se detto principio non conosce una applicazione automatica, non potendo esigersi da quest'ultimo un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre per la Corte verificare, in concreto, quale sia stata l'incidenza della relativa condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla relativa ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (viene richiamata la sentenza della Sez. IV n. 3563 del 2012). <strong>2017</strong> Il 20 febbraio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 8119 che si occupa della figura del datore di lavoro nelle Pubbliche amministrazioni, rilevante per gli oneri in materia di sicurezza sul lavoro. Ai fini dell’identificazione dei soggetti responsabili ai sensi del d.lgs. 81/08, La Corte precisa che, in ossequio al principio di separazione fra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione, per datore di lavoro si deve intendere da un lato il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, e dall’altro anche il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi tuttavia in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e sia dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In tali fattispecie non si è dunque al cospetto di una delega di funzioni, che ha rilievo laddove il soggetto destinatario di compiti e funzioni propri del datore di lavoro sia, per ciò stesso, soggetto distinto dal datore di lavoro medesimo, il dirigente/funzionario venendo investito di tutte le funzioni datoriali, comprese quelle non delegabili. Da ciò deriva per la Corte che tale soggetto è <em>ope legis</em> datore di lavoro ai fini della sicurezza e solo nelle ipotesi in cui gli organi politici omettano tale individuazione, o procedano in modo non conforme ai criteri imposti dalla legge, il datore di lavoro deve assumersi coincidere con l’organo di vertice medesimo. Il 15 marzo viene varato il decreto legislativo n.38 che, nel dare attuazione alla delega conferita con l’art.19 della legge 12 agosto 2016, n. 170, recante appunto delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea (Legge di delegazione europea 2015), modifica l’articolo 2635 del codice civile ed inserisce gli articoli 2635.bis e 2635.ter c.c., prevedendo la sanzione penale per la corruzione tra privati anche con riguardo a chi nell’ambito dell’ente privato (società o altro) esercita funzioni direttive; in sostanza, all’amministratore di fatto. Il 17 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 52536 che ribadisce l’orientamento per cui l’unico mezzo a disposizione dell’amministratore di una società per sottrarsi alle responsabilità per lesioni subite dal lavoratore nell′espletamento delle proprie mansioni è quello di rilasciare una valida delega. <strong>2018</strong> Il 7 marzo esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 10395 che si occupa del particolare caso in cui vi siano opere già date in subappalto che, a loro volta, siano state ulteriormente subappaltate ad un soggetto che agisce con pochi dipendenti e mezzi artigianali, senza essere dotato di strutture tali da consentire una completa autonomia operativa, mentre è ancora in funzione il cantiere per la realizzazione dell'intera opera subappaltata. In simili contesti, continuano per la Corte ad incombere su chi ha ricevuto i lavori in subappalto (ed ha poi ridato i medesimi in ulteriore subappalto) le responsabilità per gli eventuali reati relativi alla sicurezza sul lavoro, nella relativa veste di responsabile dell'organizzazione del cantiere e del lavoro che ivi si svolge. Il 28 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14359 che interviene in tema rapporti tra reati relativi alla sicurezza sul lavoro e normativa edilizia. Secondo la Corte, le disposizioni normative volte a tutelare la sicurezza dei lavoratori e la pubblica incolumità non sono un sottoinsieme della normativa edilizia, attenendo a campi diversi e, dunque, imponendo obblighi diversi in capo alle diverse figure di committente, responsabile dei lavori ed esecutore dei lavori. A meno dunque che obblighi di tale natura non siano ricavabili dalla particolarità delle pattuizioni contrattuali - come avviene nel c.d. "<em>appalto a regia</em>" - l’individuazione in capo al committente di quell'obbligo di protezione altrimenti gravante sull'appaltatore nei confronti dei lavoratori e dei terzi e connesso all'esecuzione dei lavori deve essere fatto oggetto di attenta verifica in fatto delle circostanze relative all’organizzazione dell’esecuzione dell’opera, come la nomina di un responsabile dei lavori e di un coordinatore per la progettazione. Interessanti le considerazioni della Corte onde il controllo sull'esatta esecuzione dei lavori - che è previsto dall'art. 1662 cod. civ. in tema di appalto - è funzionale alla tutela degli interessi economici del contraente (committente) e nulla ha a che vedere con una posizione di garanzia nei confronti di terzi, a meno che obblighi di tale natura non siano per l’appunto ricavabili dalla particolarità delle pattuizioni contrattuali, come avviene nel c.d. "<em>appalto a regia</em>", laddove il committente riserva a sé poteri - e conseguenti obblighi e responsabilità - rispetto all'esecuzione dei lavori. La Corte richiama la giurisprudenza civilistica onde, nel cosiddetto appalto "<em>a regia</em>", il controllo esercitato dal committente sull'esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l'appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell'iniziativa del committente, sì da giustificarne l'esonero da responsabilità per difetti dell'opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di "<em>nudus minister</em>" del committente (viene richiamata la sentenza della Sez. II civ., n. 2752 del 2005 che ha confermato la sentenza di merito laddove aveva ritenuto configurabile l'appalto a regia sulla base delle clausole contrattuali che prevedevano l'obbligo dell'appaltante di fornire tutte le attrezzature e i materiali d'uso, l'esecuzione sotto la direzione esclusiva dell'impresa appaltante e del personale da essa incaricato, la previsione, quale oggetto del contratto, soltanto di prestazioni di manodopera, con contabilizzazione a parte dei lavori a giornata, sfiorando la fattispecie delittuosa di cui alla legge n. 1369/60 sul divieto di intermediazione ed interposizione di lavoro). In simili casi, le particolari previsioni contrattuali ben potrebbero per la Corte fondare in capo al committente quell'obbligo di protezione altrimenti gravante sull'appaltatore nei confronti dei lavoratori e dei terzi, connesso all'esecuzione dei lavori cui il primo appunto non sarebbe estraneo. Il 27 aprile esce la sentenza della sezione IV della Cassazione n. 18409, che affronta il tema della possibilità di esonero, da parte del datore di lavoro, di responsabilità nel caso in cui sia siano verificati, nel corso dell’orario lavorativo, degli eventi dannosi per la salute dei lavoratori e sia stata accertata anche la loro negligenza di questi stessi nell’osservare le norme di sicurezza. La cassazione offre un’interpretazione particolarmente rigorosa della posizione di garanzia, sancendo che al preposto/garante per la sicurezza dei lavoratori è demandato anche il controllo dei comportamenti negligenti di questi, quando omettono di rilevare le situazioni di pericolo. In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro. La Corte precisa che qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione. Il 9 maggio esce l’ordinanza della Cassazione, sez. lavoro, n. 11170, che si occupa di chiarire la ripartizione degli obblighi antinfortunistici in caso di somministrazione di lavoro. Nel caso specifico, la Corte precisa che la particolarità del contratto di somministrazione, la presenza di una scissione tra utilizzatore e datore di lavoro, e, soprattutto, l'impossibilità giuridica e materiale che il somministratore disponga le cautele antinfortunistiche all'interno dell'azienda dell'utilizzatore, ha determinato la scelta legislativa di articolare differentemente gli obblighi datoriali. e, deve ritenersi, le relative responsabilità. Sia nel D.Lgs n. 276/2003 (all'art. 23,comma 5), ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, che nel successivo art. 35 del D.Lgs n. 81/2015 (abrogativo dell'art. 23), il legislatore ha individuato, nella informazione dei rischi e nella formazione e addestramento all'uso dei macchinari, gli obblighi del somministratore, ed ha poi imposto all'utilizzatore, nei confronti dei lavoratori somministrati, i medesimi obblighi di protezione che la legge o il contratto pone a suo carico con riguardo ai dipendenti. A disciplinare la materia e' da ultimo intervenuto l'art 3, comma 5 del D.Lgs n. 81/2008 dispositivo delle misure in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, che ha chiarito ulteriormente che "nell'ipotesi di prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, fermo restando quanto specificamente previsto dal comma 5 dell'articolo 23 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione di cui al presente decreto sono a carico dell'utilizzatore". Dall'assetto normativo cosi' delineato consegue quindi un riparto di responsabilità che fa convergere sull'utilizzatore ogni finale responsabilità sugli specifici obblighi di prevenzione e protezione relativi alla attività di lavoro prestata in suo favore e sul somministratore una responsabilità derivata dall'obbligo di informare e formare il lavoratore. L'attribuzione di tale ultimo obbligo, peraltro, puo' essere anche oggetto di specifica traslazione dal somministratore all'utilizzatore, secondo quanto previsto dal richiamato art. 23, comma 5, e poi anche dal successivo art. 35 d i lgs. n.81/2015. Di tale pattuizione deve essere data indicazione nel contratto con il lavoratore. La possibilità di delegare all'utilizzatore gli obblighi in questione risponde ad una logica di effettività delle tutele in quanto sposta sul soggetto direttamente presente nel luogo di lavoro e diretto conoscitore dei macchinari, delle lavorazioni e, in sintesi, delle problematiche legate alla specifica sicurezza di quel luogo di lavoro, gli obblighi di puntuale e diretta formazione e informazione del lavoratore. L'accordo in questione, se indicato (come richiesto dall'art. 23, comma 5 richiamato) nel contratto individuale di lavoro, diviene opponibile anche al lavoratore, con cio' determinando l'ampliamento della obbligazione assunta dall'utilizzatore e la esclusione della responsabilità del somministratore. Il 18 maggio esce la sentenza della Cassazione, sez. IV penale, n. 22013, che chiarisce la responsabilità dell’appaltatore, anche in caso di lavori eseguiti in subappalto, in caso di infortuni sul lavoro. La Corte respinge la tesi del ricorrente secondo cui era stato erroneamente applicato dalla Corte di appello l'art. 26 del d.lgs. n. 81/08 che stabilisce la responsabilità dell'appaltatore solo per gli infortuni connessi al mancato coordinamento delle imprese, e dell'art. 36 del medesimo d.lgs. che stabilisce che il responsabile della mancata eventuale informazione/formazione è solo il diretto datore di lavoro. Sostiene la Corte di legittimità, invece, che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio nel caso di omesso controllo dell'adozione da parte del sub- appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e, comunque, quando si manifesti una situazione di pericolo immediatamente percepibile che non sia meramente occasionale. Il 23 luglio esce la sentenza della Cassazione n. 34805, la quale si occupa del concorso di colpa del coordinatore dei lavori unitamente al datore di lavoro. La Corte conferma la sentenza di merito sostenendo che correttamente nell'impugnata sentenza era stato ritenuto che alle condotte colpose del datore di lavoro, cui spettava di redigere un POS esaustivo e di formare i dipendenti, si aggiungeva quella del titolare di altra autonoma posizione di garanzia, cioè del professionista incaricato dalla committenza del coordinamento ai fini di sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione. Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ex art.92 D.Lgs.9 aprile 2008, n.81, è infatti titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione del lavoro, svolge compiti di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica della idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento (PSC); c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni fino agli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. <strong>2019</strong> L’8 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 19646 che si allinea al consolidato orientamento secondo cui il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro. * * * Il 14 maggio esce la sentenza della VI sezione civile della Cassazione n. 12753 che ribadisce il diverso rilievo che assume la delega di funzioni in ambito civile rispetto al penale. L'art. 4, comma 4, lettera d), del d.lgs. n. 626 del 1994 prevede che il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori i necessari strumenti di protezione, ma la successiva lettera f) prevede anche che egli debba richiedere l'osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti; mentre la possibilità di delegare le funzioni di prevenzione e protezione non fa venire meno la responsabilità del datore di lavoro (art. 8, comma 10, d.lgs. cit.). Ne consegue che, ove anche fosse stato realmente delegato il compito di controllare il rispetto della normativa di sicurezza ad un soggetto diverso dall'amministratore della società, ciò non escluderebbe la responsabilità di quest'ultimo e della società che egli rappresenta (art. 1228 cod. civ.). La Corte richiama in particolare il proprio consolidato orientamento secondo cui l'accertato rispetto delle normative antinfortunistiche non esonera il datore di lavoro dall'onere di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento; principio che vale in massimo grado nei confronti dei lavoratori apprendisti. Inoltre, la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso al lavoratore va esclusa solo qualora l'infortunio si verifichi per un comportamento del dipendente che presenti i caratteri della abnormità e dell'assoluta imprevedibilità. <strong>2020</strong> Il 10 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 9417 che, in tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, richiama il consolidato orientamento secondo cui trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e non delegabile il relativo dovere e si è escluso che l'eventuale delega possa modificare il destinatario dell'obbligo, titolare della posizione di garanzia, il quale, in ossequio ai criteri di tassatività e di legalità, continua a coincidere con il soggetto individuato dalla legge. Da qui la conseguente affermazione di principio secondo cui l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione. Colui che abbia affidato al commercialista ovvero ad un consulente fiscale l'incarico di compilare la dichiarazione, non può dirsi, per ciò stesso, esonerato da responsabilità, sia perché la legge tributaria considera come personale il relativo dovere, sia perché una diversa interpretazione, che trasferisca il contenuto dell'obbligo in capo al delegato, finirebbe per modificare l'obbligo originariamente previsto per il delegante in mera attività di controllo sull'adempimento da parte del soggetto delegato. Il che è contrario al dato normativo, legge tributaria, che individua nel legale rappresentante il soggetto tenuto alla presentazione delle dichiarazioni. Ancora in tempi più recenti si è ribadito che, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere; ed ha chiarito che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell'obbligo dichiarativo nè da una "culpa in vigilando" sull'operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l'atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l'omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale. <strong>Questioni intriganti</strong> <strong>Da dove nasce la c.d. delega di funzioni?</strong> <ol> <li>gli enti e le imprese presentano una <strong>struttura sempre più complessa</strong>;</li> <li>l’attività imprenditoriale ed amministrativa <strong>si va spersonalizzando</strong>;</li> <li>il potere di <strong>gestione</strong> e <strong>controllo</strong> delle attività e di regola <strong>appannaggio delle figure apicali</strong>;</li> <li>le attività sono <strong>molteplici</strong> e gli adempimenti <strong>variegati</strong>, anche perché previsti da <strong>diverse normative di settore</strong>;</li> <li>le funzioni ed i poteri ad essi connessi vengono sempre più <strong>distribuiti in modo capillare</strong>, sia in senso <strong>orizzontale</strong> che <strong>verticale</strong>;</li> <li>compiti che in via fisiologica gravano sulle figure apicali vengono <strong>distribuiti a soggetti diversi</strong> che sono parte della struttura organizzativa dell’ente;</li> <li>il problema è allora vedere se la responsabilità penale <strong>può estendersi</strong> o, addirittura, essere <strong>integralmente trasferita</strong> dal delegante al delegato;</li> </ol> <strong>Quali problemi pone la delega di funzioni?</strong> <ol> <li>la frizione con il principio di <strong>personalità della responsabilità penale</strong>, intesa come necessariamente riconducibile ad un <strong>fatto inadempimento-reato proprio</strong> (non altrui) e <strong>rimproverabile</strong>;</li> <li>il rischio che, pur rimanendo <strong>vero responsabile</strong> il<strong> delegante,</strong> questi tuttavia - approfittando della articolata trama organizzativa dell’ente che gestisce – <strong>scarichi </strong>tale responsabilità sul delegato (subordinato);</li> <li>la necessità preliminare – dato un <strong>interesse penalmente tutelato</strong> – di individuare il <strong>soggetto titolare della posizione di garanzia</strong> e, come tale <strong>obbligato</strong> a soddisfare il detto interesse, incorrendo altrimenti nella sanzione penale;</li> <li><strong>il se e il come</strong> della delega, e dunque la verifica se sia ammissibile per il soggetto obbligato <strong>traslare l’obbligo penalmente sanzionato</strong> su terzi, con necessità in caso affermativo di verificare <strong>con quali specifiche modalità</strong> tale delega è ammissibile.</li> </ol> <strong>Come si identifica il soggetto responsabile?</strong> <ol> <li>si guarda alla <strong>regolamentazione interna dell’impresa o dell’ente</strong> e si verifica quale soggetto sia ivi indicato come responsabile, perché titolare di <strong>poteri di rappresentanza o di amministrazione</strong> (teoria c.d. <strong>formalista</strong>): si rischia tuttavia in questo modo di avallare responsabilità “<strong><em>di posizione</em></strong>” sganciate da una <strong>vera rimproverabilità</strong> del fatto inadempimento reato;</li> <li>si guarda alla <strong>concretezza delle mansioni svolte</strong> e dei <strong>poteri esercitati</strong> (teoria c.d. <strong>funzionale</strong>); si rischia tuttavia in questo modo di fare luogo ad una <strong>applicazione analogica <em>in malam partem</em></strong> di disposizioni che prevedono (formalmente) la responsabilità penale di <strong>soggetti diversi</strong>, che sono appunto le figure apicali dell’ente o dell’azienda;</li> <li>si guarda <strong>sia alla indicazione formale</strong> del soggetto responsabile operata dalle norme statutarie che disciplinano le attività dell’ente o dell’impresa, <strong>sia alla concretezza dei poteri esercitati</strong>, attraverso un meccanismo di imputazione dell’inadempimento-reato <strong>strutturalmente bifasico</strong> (teoria c.d. mista o organicistica): a) muovendo da una <strong>prima fase “<em>formale</em></strong>”, per individuare il soggetto attivo del reato, la norma penale usa espressioni quali datore di lavoro o dirigente, che rimandano implicitamente a quelle <strong>norme extrapenali</strong> (integratrici) che disciplinano la struttura organizzativa dell’’ente considerato, come ad esempio <strong>lo statuto</strong>, purché esso si conformi alla legislazione civile e sia <strong>adeguato</strong> al concreto assetto organizzativo dell’ente divisato; b) si passa poi ad una <strong>seconda fase “<em>sostanziale</em>”</strong> di imputazione in cui si verifica se il soggetto formalmente responsabile sia in possesso dei <strong>necessari poteri</strong>, dovendo vedere se l’<strong>elemento psicologico</strong> – in concreto – consenta di <strong>rimproverargli</strong> la condotta penalmente rilevante o se, al contrario, questa sia <strong>inesigibile</strong> nei relativi confronti a cagione di una <strong>intervenuta propagazione dei poteri</strong> e delle <strong>connesse responsabilità</strong> (anche penali) sulla base della <strong>trama organizzativa</strong> dell’ente o dell’impresa.</li> </ol> <strong>Quali sono gli istituti contermini rispetto alla delega di funzioni?</strong> <ol> <li>il <strong>reato omissivo improprio ex art.40, comma 2, c.p</strong>.: la delega di funzioni <strong>trasferisce</strong> gli obblighi già gravanti sul delegante in capo al delegato, comprese le connesse <strong>posizioni di garanzia</strong> e gli obblighi giuridici di impedire l’evento, con i connessi <strong>inadempimenti-reato omissivi impropri</strong>, dei quali risponde il delegato e non più il delegante;</li> <li>il <strong>concorso di persone nel reato ex art.110</strong> e seguenti c.p.: delegante e delegato potrebbero <strong>rispondere entrambi</strong> dell’inadempimento-reato, e ciò avviene in particolare in caso di <strong>delega di esecuzione</strong>, in cui il delegante continua a rispondere quantomeno in <strong>concorso</strong> e a titolo di <strong>omissione impropria ex art.40, comma 2, c.p..</strong></li> </ol> <strong>Come è stata accolta dalla giurisprudenza la delega di funzioni?</strong> <ol> <li>in una prima fase con <strong>diffidenza</strong>: serve ad <strong>aggirare</strong> l’imputazione di responsabilità penali che la legge (o lo statuto organizzativo dell’ente) riconnettono ad un <strong>determinato soggetto</strong>, per orientarla artatamente verso un altro <strong>soggetto terzo</strong>;</li> <li>in una seconda fase con <strong>convinta adesione</strong>: serve a rendere efficace l’adempimento degli obblighi dalla cui inosservanza (inadempimento) discende reato, peraltro consentendo la <strong>punizione del colpevole sostanziale</strong> (art.27 della Costituzione).</li> </ol> <strong>In cosa si compendia strutturalmente la c.d. delega di funzioni?</strong> <ol> <li>è un <strong>atto organizzativo</strong>;</li> <li>ha <strong>natura negoziale</strong>;</li> <li>opera un <strong>trasferimento di poteri effettivi</strong> e correlati <strong>doveri ed obblighi</strong>;</li> <li>il trasferimento ha luogo <strong>dal garante “<em>originario</em>”</strong> <strong><em>ex lege</em></strong> rispetto a determinati interessi giuridicamente rilevanti (e penalmente tutelati) ad un <strong>terzo garante “<em>derivato</em>”</strong>;</li> <li>il garante <strong>derivato</strong> - al pari di quello <strong>originario</strong> ove la delega non ci fosse, ed in luogo di quest’ultimo - <strong>risponde</strong> anche ai sensi dell’<strong>40, comma 2</strong>, c.p., in quanto (divenuto) <strong>titolare</strong> degli <strong>obblighi penalmente rilevanti</strong> di <strong>impedire l’evento</strong>.</li> </ol> <strong>Quali sono gli effetti che la delega di funzioni spiega (quando efficace) sulla responsabilità penale del delegante?</strong> <ol> <li>chi parte dal fatto che <strong>il precetto penale è inderogabile</strong>, conclude nel senso onde l’<strong>autonomia privata</strong> <strong>non può incidere</strong> sulla posizione di garanzia del delegante, che resta tale: egli potrà andare esente da pena, con esclusiva responsabilità penale del delegato, solo se e quando eventualmente <strong>ne difetti la colpa</strong> (teoria c.d. <strong>soggettiva pura</strong>);</li> <li>secondo altra impostazione, la delega di funzioni <strong>elide la posizione di garanzia</strong> in capo al delegante perché <strong>incide sulla tipicità penale dell’omissione</strong>: si è al cospetto di una omissione (lesiva degli interessi giuridici di terzi penalmente tutelati, come è il caso della vita o dell’incolumità personale in ipotesi di infortunio sul lavoro) che <strong>non può considerarsi tipica</strong> proprio in forza di <strong>delega valida ed efficace</strong> che ha <strong>spostato sul terzo delegato</strong> la posizione di garanzia (e la connessa <strong>omissione tipica</strong>: si tratta della teoria <strong>oggettiva pura</strong>);</li> <li>una terza impostazione mediana vede – sul piano <strong>oggettivo</strong> - trasferita in capo al delegato la <strong>posizione di garanzia</strong> ed il connesso obbligo di attivarsi, il quale ultimo tuttavia, in capo al delegante, <strong>non ha più ad oggetto l’impedimento dell’evento lesivo</strong> (esso grava solo in capo al delegato), quanto piuttosto <strong>la vigilanza su chi</strong> (il delegato appunto) <strong>deve impedire tale evento lesivo</strong>, con conseguente attribuzione del fatto-inadempimento-reato a titolo di <strong>colpa</strong> – sul piano <strong>soggettivo</strong> - laddove esso venga perpetrato dal delegato (<strong>teoria mista</strong> o della <strong>trasformazione dell’obbligo di impedire in obbligo di vigilare</strong>, abbracciata dall’art.16, comma 3, del decreto legislativo 81.08). Resta peraltro il fatto che, pur mutando oggetto, il delegante resta – in caso di omessa vigilanza – responsabile del fatto penalmente rilevante <strong>a titolo di omissione impropria</strong> (<strong>colposa</strong>) ex art.40, comma 2, c.p., sicché <strong><em>quoad poenam</em></strong> la situazione non muta, circostanza che ha fatto sollevare critiche da parte della dottrina più garantista.</li> </ol> <strong>Quali sono i requisiti che la legge (art.16 del decreto legislativo 81.08) richiede per una valida ed efficace delega di funzioni?</strong> <ol> <li>la <strong>forma scritta <em>ad substantiam</em></strong> della delega (che deve risultare da <strong>atto scritto con data certa</strong> del delegante <strong>accettato per iscritto</strong> dal delegato): se ne evince che la delega è <strong>negozio bilaterale a forma scritta</strong>, che non può essere provato in altro modo e che, in qualche modo, <strong>dequota il c.d. principio di effettività</strong> (dei poteri) proprio laddove viene conferita fondamentale importanza alla <strong>forma</strong> della delega stessa;</li> <li>il possesso (sostanziale) in capo al delegato di tutti i requisiti di <strong>professionalità ed esperienza</strong> richiesti dalla <strong>specifica natura delle funzioni delegate</strong>; ove ciò non accada, si profila la possibilità per il datore di rispondere penalmente per il fatto-inadempimento-reato a titolo di <strong><em>culpa in eligendo</em></strong>, avendo <strong>scelto male il delegato</strong>, purché la valutazione di tale colpa nella scelta avvenga <strong><em>ex ante</em></strong> rispetto al <strong>singolo incidente</strong> fonte di responsabilità datoriale, e non <em>ex post</em>.</li> <li>l’attribuzione (sostanziale) al delegato di <strong>tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo</strong> richiesti dalla <strong>specifica natura delle funzioni delegate</strong> (diversamente non si spiegherebbe il trasferimento della posizione di garanzia);</li> <li>l’attribuzione (sostanziale) al delegato dell’<strong>autonomia di spesa necessaria</strong> per svolgere <strong>le funzioni delegate</strong> (il che, come sopra, giustifica appunto il trasferimento della posizione di garanzia);</li> <li>la non imprescindibilità di un trasferimento <strong>di tutti i poteri aziendali</strong>, come dimostra – per quanto concerne i requisiti sostanziali – il costante riferimento alla (sola) <strong>specifica natura delle funzioni delegate</strong>.</li> </ol> <strong>Quali sono i requisiti che la legge (art.16 del decreto legislativo 81.08) non richiede per una valida ed efficace delega di funzioni?</strong> La giurisprudenza ha richiesto <strong>in passato</strong>, affinché la delega di funzioni potesse assumersi valida ed efficace, una serie di <strong>ulteriori requisiti</strong> che sono stati omessi dall’art.16 del decreto legilslativo n.81.08 e che dunque devono assumersi <strong>non più richiesti</strong>: <ol> <li>la delega di funzioni non deve più essere <strong>imposta dalle notevoli dimensioni dell’impresa</strong>, e dunque può trovare spazio anche in seno ad <strong>imprese medio-piccole</strong>: la novità incentiva la distribuzione dei compiti e, con essa, il migliore e più efficace perseguimento degli <strong>obiettivi antinfortunistici</strong>;</li> <li>la delega di funzioni opera anche laddove il delegante <strong>sia venuto a conoscenza della sopravvenuta inidoneità</strong> del delegato a svolgere le funzioni delegate: l’obiettivo è quello di <strong>responsabilizzare il delegato</strong>, che resta l’unico responsabile degli eventuali fatti-inadempimento-reato; la responsabilizzazione del delegato affiora anche dalla circostanza onde esso incorre in sanzione penale anche se, a fronte della delega, <strong>permangano poteri di ingerenza</strong> del delegante nella relativa attività;</li> <li>la delega di funzioni opera anche se <strong>non vi sia nello statuto della società una espressa autorizzazione</strong> ad avvalersi di essa: è il trionfo del <strong>principio di effettività dei poteri</strong> e delle funzioni delegate.</li> </ol> <strong>Come si atteggia l’obbligo di vigilanza in caso di sub-delega di funzioni?</strong> <ol> <li>certamente il <strong>delegato sub-delegante</strong> è titolare di un <strong>obbligo di vigilanza</strong> per le funzioni specifiche sub-delegate, in modo speculare a quanto accade nei relativi rapporti con il datore delegante;</li> <li>più dubbio (anche se prevale la tesi affermativa) è se il <strong>datore di lavoro delegante</strong>, oltre ad un obbligo di vigilanza nei confronti del delegato per le funzioni a questo delegate, sia altresì titolare di un obbligo di vigilanza <strong>anche per le funzioni</strong> che il delegato <strong>ha sub-delegato</strong> a propria volta: si tratterebbe di un obbligo di vigilanza sul subdelegato che appare tuttavia una logica conseguenza della circostanza onde tutte le funzioni (comprese quelle <strong>specifiche</strong> oggetto di sub-delega) appartengono <em>ab origine</em> alla <strong>competenza</strong> e ai <strong>poteri</strong> del datore delegante.</li> </ol> <strong>In forza di delega di funzioni valida ed efficace, a che titolo il datore delegante può essere comunque chiamato a rispondere?</strong> <ol> <li>il delegato risponde a titolo di <strong>colpa</strong> di un <strong>reato colposo</strong>: l’eventuale omessa vigilanza del delegante (inadempimento all’obbligo di vigilanza) implica responsabilità del delegante a titolo di <strong>concorso omissivo colposo</strong> nel reato colposo del delegato (o, al limite, di <strong>cooperazione colposa</strong>);</li> <li>il delegato risponde a titolo di <strong>dolo</strong> per un <strong>reato doloso</strong>: l’eventuale omessa vigilanza del delegante (inadempimento all’obbligo di vigilanza) può rilevare quale <strong>accettazione del rischio</strong> e, in tal caso, il delegante può rispondere a titolo di <strong>omissione con dolo eventuale</strong>, e dunque di <strong>concorso omissivo doloso (eventuale)</strong> con il delegato; il medesimo concorso può configurarsi anche nel caso classico di <strong>omissione colposa</strong> del delegante, ma solo per chi ammette il <strong>concorso colposo nel reato doloso</strong> commesso da terzi.</li> </ol>