<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella forbice tra “</em>uno<em>” e “</em>più<em>”, il reato continuato può apparire fuorviante laddove vi si scorga una forma tipica e “</em>monistica<em>” di reato-inadempimento; si è piuttosto al cospetto di più fatti inadempimento reato avvinti dal vincolo della continuazione, onde un unico disegno criminoso sarebbe capace di far apparire meno riprovevole tutt’un insieme in successione di condotte penalmente rilevanti poste in essere dal soggetto attivo; il quale ultimo può essere uno o può essere a propria volta plurimo e collettivo, con necessità in queste ipotesi di distinguere la continuazione criminosa dall’associazione a delinquere, considerata per sé stessa ovvero in rapporto ai pertinenti reati-fine.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Nel <strong>diritto romano</strong>, dominato dal rigido canone “<em>tot crimina tot poenae</em>”, <strong>non</strong> si rinvengono <strong>tracce specifiche</strong> del regime - tipicamente <strong><em>pro reo</em></strong> – di cui alle ipotesi di <strong>concorso di reati </strong>addebitabili ad un<strong> medesimo autore</strong> ed in seguito definito “<strong><em>continuazione</em></strong>”, per il cui primo, incerto affiorare occorre fare riferimento – in epoca <strong>medioevale</strong> – agli <strong>statuti comunali</strong>: si richiamano in genere lo <strong>statuto della Valsassina del 1343</strong> che, in caso di commissione di <strong>tre furti</strong> da parte del <strong>medesimo autore</strong> prevede - in senso aggravativo - la <strong>pena di</strong> <strong>morte</strong>; ed il successivo <strong>statuto di Narni del 1371</strong> che, in ottica piuttosto <strong>mitigatoria</strong>, laddove un soggetto abbia commesso <strong>più lesioni personali</strong> o <strong>molteplici episodi di percosse</strong>, prevede una <strong>attenuazione</strong> al rigido regime del <strong>concorso di reati</strong>; si tratta di esempi significativi di fattispecie in cui rilevano <strong>più reati commessi dal medesimo autore</strong>, al netto della questione, dibattuta nella dottrina specialistica, se si tratti di ipotesi trattate come <strong>reato unico</strong> o come <strong>pluralità di reati collegati</strong> (in senso soggettivo) dall’<strong>autore</strong> che in successione li compie. Secondo una accreditata opinione dottrinale, è <strong>Bartolo da Sassoferrato</strong>, nella prima metà del secolo XIV, a <strong>delineare per primo</strong> in modo compiuto il reato continuato, quale forma di <strong>unificazione di reati diversi</strong> avvinti da un <strong>medesimo fine</strong> perseguito dal relativo autore; parimenti significativo il contributo del giurista<strong> Prospero Farinacci</strong> a cavallo tra i secoli XVI e XVII, specie in termini di <strong>rilievo</strong> attribuito all’<strong>elemento cronologico</strong> nella <strong>unificazione dei reati</strong> avvinti dalla continuazione. Si viene dunque via via delineando una <strong>particolare figura di concorso di reati</strong> con riferimento alla quale si avverte vieppiù l’esigenza di <strong>mitigare il regime sanzionatorio</strong> per il reo a fronte della <strong>sostanziale unicità del disegno</strong> da questi perseguito: l’approdo finale è l’<strong>art.80</strong> del <strong>codice penale toscano del 1853</strong>, alla cui stregua “<em>più violazioni della stessa legge penale, commesse in uno stesso contesto di azione, o anche in tempi diversi, con atti esecutivi della medesima risoluzione criminosa, si considerano per un solo delitto continuato</em>”: il riferimento è dunque a <strong>reati omogenei</strong> (elemento <strong>oggettivo</strong>) che la <strong>medesima risoluzione criminosa, </strong>riconducibile ad<strong> uno stesso autore</strong> (elemento <strong>soggettivo</strong>) per la prima volta nettamente unifica <strong>in un’unica fattispecie di “<em>reato</em>”</strong> in senso <strong>giuridico</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1889</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale <strong>Zanardelli</strong> prevede il <strong>reato continuato</strong> all’<strong>art.79</strong>, alla cui stregua <strong>più violazioni</strong> della <strong>stessa disposizione di legge</strong>, anche se <strong>commesse in tempi diversi</strong>, con <strong>atti esecutivi della medesima risoluzione</strong>, si considerano per <strong>un solo reato</strong>; ma <strong>la pena è aumentata da 1/6 alla metà</strong>. Quando il reato è continuato si applica dunque la <strong><em>fictio iuris</em> del reato unico</strong> con <strong>pena aggravata</strong>, purché tuttavia si tratti della <strong>violazione della medesima disposizione di legge </strong>(concorso <strong>omogeneo</strong> di reati), quand’anche articolantesi <strong>in tempi diversi</strong>, quale <strong>epifania esecutiva</strong> di una <strong>medesima risoluzione</strong> che <strong>si prolunga nel tempo</strong> giusta compimento <strong>plurimo</strong> dello <strong>stesso reato</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nel codice penale Rocco il reato continuato viene previsto all’<strong>art.81</strong> in tema di <strong>concorso di reati</strong>, ed in particolare al <strong>comma 2</strong>, onde – a differenza di quanto normalmente accade nelle ipotesi di <strong>concorso formale</strong> (<strong>comma 1</strong>: chi, con <strong>una sola azione od omissione</strong>, viola <strong>diverse disposizioni di legge</strong> o commette <strong>più violazioni della medesima disposizione di legge</strong>), vale a dire l’applicazione dello <strong>stesso</strong>, rigoroso <strong>regime</strong> del <strong>concorso materiale</strong> di reati di cui agli articoli precedenti (e relativo a <strong>più azioni od omissioni</strong>) – laddove con <strong>più azioni od omissioni</strong> esecutive tuttavia di <strong>un medesimo disegno criminoso</strong> il soggetto agente commette, anche in tempi diversi, <strong>più violazioni</strong> della <strong>stessa disposizione di legge</strong>, anche <strong>di diversa gravità</strong>, <strong>non</strong> si applica il principio <strong><em>tot crimina tot poenae</em></strong>, le diverse violazioni considerandosi come <strong>un solo reato</strong> (comma 3) ed applicandosi la <strong>pena che si dovrebbe infliggere per la più grave</strong> delle violazioni commesse, <strong>aumentata fino al triplo</strong>. In sostanza dunque mentre al <strong>concorso materiale</strong> (più azioni od omissioni) e <strong>formale</strong> (una azione od omissione) si applica il rigoroso principio <strong><em>tot crimina tot poenae</em></strong>, quando si è al cospetto di un <strong>concorso materiale omogeneo</strong> (più violazioni, quand’anche di <strong>diversa gravità</strong>, della <strong>stessa disposizione di legge</strong>) avvinto dal <strong>medesimo disegno criminoso,</strong> il trattamento sanzionatorio è <strong>più favorevole al reo</strong> (pena per il reato più grave, aumentata fino al triplo). Importante anche <strong>l’art.158</strong> che, in tema di <strong>prescrizione</strong>, per determinare il <strong>tempo necessario a prescrivere</strong> fa riferimento, in caso di <strong>continuazione</strong>, al <strong>giorno in cui è cessata la continuazione</strong> medesima <strong>unitariamente considerata</strong>, e <strong>non già</strong> al giorno di <strong>consumazione dei singoli reati</strong> che la continuazione avvince: una disciplina che, <strong>posticipando il <em>dies a quo</em></strong> di <strong>decorrenza della prescrizione</strong>, si pone <strong>in frizione</strong> con gli <strong>effetti</strong> – <strong>favorevoli</strong> al reo – che sottendono l’istituto stesso del reato continuato. Nel codice la continuazione <strong>è ammissibile solo</strong> con riferimento a <strong>violazioni della stessa disposizione di legge</strong>, e dunque si configura <strong>solo</strong> in presenza di una <strong>omogeneità dei reati</strong> avvinti dalla continuazione. E’ sufficientemente agevole dunque individuare <strong>quale sia la violazione più grave</strong>, trattandosi per l’appunto di <strong>violazioni omogenee</strong>, onde la fattispecie <strong>consumata</strong> è più grave di quella <strong>tentata</strong>, mentre le <strong>circostanze aggravanti o attenuanti</strong> possono sospingere nel considerare <strong>l’una fattispecie più grave dell’altra</strong>. Sulla base di queste considerazioni la giurisprudenza tenderà ad una <strong>valutazione meramente astratta</strong> al fine di valutare quale sia la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, facendo appunto riferimento, <strong>in astratto</strong>, alla violazione (omogenea) <strong>consumata</strong> piuttosto che <strong>tentata</strong>, <strong>circostanziata</strong> piuttosto che <strong>semplice</strong>, <strong>pluricircostanziata</strong> piuttosto che <strong>mono circostanziata</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la <strong>Costituzione</strong> che prevede <strong>all’art.25, comma 2</strong>, che nessuno <strong>possa essere punito</strong> se non in forza di <strong>una legge</strong> che sia <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/292.html">entrata in vigore</a> <strong>prima del fatto commesso</strong>, così cristallizzando <strong>a livello costituzionale</strong> il <strong>principio di legalità </strong>del <strong>fatto-inadempimento reato</strong> ma <strong>anche</strong> della <strong>corrispondente pena</strong>: per quest’ultima, <strong>emblematico</strong> il riferimento <strong>implicitamente contenuto</strong> nella parola “<strong><em>punito</em></strong>” utilizzata dai Costituenti, come peraltro dimostra il successivo comma 3 laddove si dispone che <strong>nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza</strong> (e, dunque, <em>a fortiori</em> a “<strong><em>pene</em></strong>”) se non nei <strong>casi previsti dalla legge</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1974</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile viene varato il <strong>decreto legge n.99</strong>, il cui <strong>art.8</strong> incide in modo consistente sull’<strong>art.81</strong> del codice penale onde chi, con <strong>una sola azione od omissione</strong> viola <strong>diverse disposizioni di legge</strong> ovvero commette <strong>più violazioni della medesima disposizione di legge</strong> (concorso <strong>formale</strong>) viene ormai punito non in modo <strong>identico</strong> a chi commette <strong>concorso materiale</strong>, bensì con la pena che dovrebbe infliggersi per la <strong>violazione più grave aumentata sino al triplo</strong>, regime prima applicabile al <strong>solo reato continuato</strong>. Quest’ultimo non si configura più solo come commissione – giusta <strong>più azioni od omissioni</strong> esecutive, anche in <strong>tempi diversi</strong>, di un <strong>medesimo disegno criminoso</strong> - di <strong>più violazioni della stessa legge</strong> (concorso <strong>omogeneo</strong>), ma <strong>anche</strong> come <strong>violazione di “<em>diverse</em>” disposizioni di legge</strong>, applicandosi dunque la continuazione <strong>anche</strong> in caso di <strong>concorso eterogeneo</strong> di reati: un cambiamento che entra peraltro in <strong>contraddizione</strong> con l’<strong>art.61, n.2,</strong> c.p., laddove si configura come <strong>aggravante comune</strong> (e dunque <strong>non come fattispecie che attenua</strong> il trattamento sanzionatorio) il c.d. <strong>nesso teleologico</strong>, ovvero l'aver commesso il reato <strong>per eseguirne od occultarne</strong> un altro, ovvero <strong>per conseguire o assicurare</strong> a sé o ad altri il <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/5515.html">prodotto</a></strong> o il <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/4382.html">profitto</a></strong> o il <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/4904.html">prezzo</a></strong> ovvero la <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/4384.html">impunità</a></strong> di un altro reato. La configurabilità della continuazione <strong>anche</strong> in ipotesi di <strong>reati eterogenei</strong> muta anche <strong>l’approccio</strong> al <strong>meccanismo di individuazione della violazione più grave</strong> (cui applicare l’aumento fino al triplo): in precedenza si è preferito un <strong>criterio di determinazione di tipo astratto</strong>, mentre si affaccia ormai la <strong>possibilità di valutare in concreto</strong> quale sia la violazione (eterogenea) più grave <strong>tra tutte quelle avvinte</strong> dalla continuazione. Si prevede infine che sia in caso di <strong>concorso formale</strong>, sia in caso di <strong>continuazione </strong>nella nuova versione <strong>allargata</strong>, la pena <strong>non può essere superiore</strong> a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti, e dunque vi è un <strong>limite massimo di pena</strong> corrispondente all’applicazione del principio previsto per il <strong>concorso materiale</strong> del “<strong><em>tot crimina tot poenae”</em></strong>. Importante anche la <strong>soppressione</strong>, nel <strong>comma 3</strong> dell’art.81, dell’inciso “<strong><em>le diverse violazioni si considerano come un solo reato</em></strong>”, che contribuirà a <strong>spostare l’asse ermeneutico</strong> della continuazione da una <strong>visione unitaria</strong> ad una <strong>sempre più parcellizzata</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 giugno viene varata la <strong>legge n.220</strong> che converte con modificazioni il <strong>decreto legge 99</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1976</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 ottobre esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong>, <strong>Desideri</strong>, che <strong>esclude</strong> la <strong>compatibilità</strong> della <strong>continuazione</strong> con le fattispecie in cui il medesimo disegno criminoso avvinca <strong>reati puniti con pene eterogenee</strong> per <strong>genere</strong> (pena detentiva e pena pecuniaria) o per <strong>specie</strong> (reclusione e arresto; multa e ammenda): il reato continuato reca una <strong>pena necessariamente unitaria</strong> ma occorre <strong>evitare</strong> di <strong>irrogare al reo</strong> un trattamento sanzionatorio <strong>più grave</strong>, sul piano <strong>qualitativo</strong>, rispetto a <strong>quello previsto per il reato satellite</strong> (in quanto l’aumento di pena <strong>si parametra sulla pena del reato più grave</strong>); ciò <strong><em>a fortiori</em></strong> dovendo rispettare il <strong>principio di legalità della pena</strong>, che <strong>preclude</strong> la possibilità di applicare <strong>una pena diversa</strong> rispetto a <strong>quella <em>ex lege</em> contemplata</strong> per il <strong>singolo reato</strong> (ancorchè satellite).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1977</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale n.34</strong> che, nel dichiarare <strong>non fondate</strong>, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 81, primo e secondo comma, del codice penale (nel nuovo testo risultante dall'art. 8 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13 e 25, secondo comma, della Costituzione, afferma come le ordinanze di rimessione muovano da una <strong>interpretazione della norma impugnata</strong> sulla <strong>continuazione</strong> (quella per cui potrebbe ad essa <strong>farsi sempre ricorso</strong> anche quando per i reati concorrenti <strong>siano comminate pene eterogenee</strong>) che, nei termini suddetti, <strong>non é certo</strong> – per la Corte - quella <strong>comunemente seguita</strong> e che, anzi, sia in dottrina che in giurisprudenza é contrastata da interpretazioni ed applicazioni di natura e di portata diversa. La <strong>giurisprudenza della Corte di cassazione</strong>, ricorda la Consulta, superando qualche incertezza iniziale, si é ormai, anche per effetto di recentissime sentenze delle Sezioni Unite penali, <strong>fermamente ed univocamente consolidata</strong> nel senso che lo <strong>speciale criterio di determinazione della pena</strong> stabilito nel <strong>nuovo testo dell'art. 81 c.p.</strong> <strong>non sia applicabile</strong> quando renderebbe necessaria <strong>l'unificazione di pene di specie diversa</strong> in <strong>una sola di unica specie</strong> <strong>anche se dello stesso genere</strong> con aumento della pena unica ai sensi del primo e del secondo comma dell'art. 81 del codice penale. Va pertanto <strong>esclusa</strong> per la Corte l'applicazione dello <strong>speciale criterio di determinazione della pena</strong>, stabilito nei primi due commi dell'art. 81 c.p., nei casi in cui il <strong>concorso formale</strong> e la <strong>continuazione</strong> si pongono rispetto a <strong>reati puniti con pene eterogenee.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 ottobre esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong>, <strong>Zavatti</strong>, che <strong>esclude</strong> la <strong>compatibilità</strong> della <strong>continuazione</strong> con le fattispecie in cui il medesimo disegno criminoso avvinca <strong>reati puniti con pene eterogenee</strong> per <strong>genere</strong> (pena detentiva e pena pecuniaria) o per <strong>specie</strong> (reclusione e arresto; multa e ammenda): il reato continuato reca una <strong>pena necessariamente unitaria</strong> ma occorre <strong>evitare</strong> di <strong>irrogare al reo</strong> un trattamento sanzionatorio <strong>più grave</strong>, sul piano <strong>qualitativo</strong>, rispetto a <strong>quello previsto per il reato satellite</strong> (in quanto l’aumento di pena <strong>si parametra sulla pena del reato più grave</strong>); ciò <strong><em>a fortiori</em></strong> dovendo rispettare il <strong>principio di legalità della pena</strong>, che <strong>preclude</strong> la possibilità di applicare <strong>una pena diversa</strong> rispetto a <strong>quella <em>ex lege</em> contemplata</strong> per il <strong>singolo reato</strong> (ancorchè satellite).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Pino, che si occupa degli <strong>elementi costitutivi</strong> dell’<strong>associazione a delinquere</strong> nel solco della <strong>pertinente giurisprudenza di legittimità</strong>: si tratta della <strong>formazione</strong> e della <strong>permanenza</strong> di un <strong>vincolo associativo continuativo tra 3 o più persone</strong> con lo <strong>scopo</strong> di commettere una <strong>serie indeterminata di delitti</strong>, giusta <strong>predisposizione comune dei mezzi occorrenti</strong> per la realizzazione del <strong>pertinente programma delinquenziale</strong> e – sul crinale <strong>soggettivo</strong> – giusta <strong>permanente consapevolezza</strong> in capo a <strong>ciascun associato</strong> di <strong>far parte del sodalizio criminoso</strong> e di essere <strong>disponibile ad operare per l’attuazione</strong> del programma stesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1980</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Serra, che <strong>per la prima volta</strong> ammette poter operare <strong>la continuazione</strong> anche <strong>laddove i reati avvinti</strong> dal medesimo disegno criminoso siano <strong>puniti con pene eterogenee</strong>, ed in particolare quando <strong>il reato più grave</strong> sia punito con <strong>pena detentiva</strong> e quello <strong>satellite</strong> con <strong>pena detentiva congiunta con pena pecuniaria</strong>. La Corte segue quella dottrina che – al fine di <strong>coniugare</strong> la <strong>unificazione tipica</strong> della continuazione con la <strong>necessità di non far perdere autonomia</strong> ai <strong>singoli reati satellite</strong> – propone, una volta <strong>identificata la violazione più grave</strong>, di <strong>aumentare la pena</strong> (con riguardo dunque proprio ai <strong>reati satellite</strong>) non già “<strong><em>per moltiplicazione</em></strong>” della <strong>pena base</strong> (che presuppone <strong>sempre pene dello stesso genere e specie</strong>), ma “<strong><em>per aggiunta</em></strong>”, in tal modo consentendo di <strong>determinare la pena complessiva</strong> muovendo dalla <strong>pena base detentiva</strong>, con <strong>aumento della pena omogenea</strong> ed <strong>addizione della pena eterogenea</strong> propria del <strong>reato satellite</strong>, nel <strong>limite massimo</strong> di cui al comma 3 dell’art.81, <strong>utilizzando all’uopo</strong> i <strong>criteri di ragguaglio</strong> tra <strong>pene pecuniarie e detentive</strong> previsti dall’<strong>art.135 c.p</strong>..</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1984</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Andolina, onde il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> va individuato precipuamente nella <strong>semplice e rudimentale predisposizione comune</strong> di <strong>attività</strong> e di <strong>mezzi</strong> tra gli associati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1986</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Graziano, onde il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> va individuato precipuamente in un <strong>minimo </strong>(appunto)<strong> di organizzazione</strong> che autonomizzi l’associazione dai delitti scopo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo esce l’importante sentenza della <strong>Corte costituzionale n.312</strong> che assume <strong>infondata</strong> la <strong>questione di legittimità costituzionale</strong> dell’<strong>art.81, comma 2, c.p.</strong> in tema di <strong>continuazione</strong>, sollevata con riguardo <strong>all’art.3 della Costituzione</strong>, nella parte in cui consentirebbe di effettuare il <strong>giudizio di continuazione</strong> soltanto <strong>fra reati con pene omogenee</strong> e <strong>non anche fra reati puniti con pene di specie diversa</strong>. Per la Corte, <strong>non sussiste alcuna ragione</strong> per non dare <strong>integrale applicazione</strong> all’istituto della <strong>continuazione</strong>, ed ai <strong>benefici che ne derivano</strong> in ordine alle <strong>conseguenze sanzionatorie <em>pro reo</em></strong>, quand’anche le <strong>pene che si sarebbero dovute irrogare</strong> per le <strong>singole violazioni</strong> siano di <strong>specie diversa</strong>, dovendo <strong>escludersi</strong> che in ciò sia ravvisabile <strong>una violazione del principio di legalità della pena</strong>, in quanto <strong>pena legale</strong> non è soltanto quella comminata <strong>dalle singole fattispecie penali</strong>, ma anche quella <strong>risultante dall’applicazione delle varie disposizioni</strong> incidenti sul <strong>trattamento sanzionatorio</strong>, compreso ovviamente <strong>l’art.81, comma 2, c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Olivieri, onde il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> va individuato precipuamente nel <strong>mero accordo</strong> afferente ad un <strong>generico programma criminoso</strong> (c.d. <strong><em>affectio societatis sceleris</em></strong>). La pronuncia si colloca nel solco di una <strong>progressiva rarefazione</strong> degli <strong>elementi</strong> capaci di identificare <strong>un’associazione a delinquere</strong>, massime proprio dal punto di vista <strong>strutturale</strong>, accontentandosi di un <strong>accordo di carattere generale</strong> inteso all’attuazione di un <strong>programma del tutto indeterminato di reati scopo</strong>, <strong>rilevante in sé</strong> ed a prescindere dalla <strong>effettiva consumazione</strong> di questi ultimi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 settembre viene varato il D.p.R. n.477, <strong>nuovo codice di procedura penale</strong>, il cui <strong>articolo 671</strong> viene esplicitamente dedicato (anche) alla <strong>continuazione</strong>, onde nel caso di <strong>più sentenze o decreti penali irrevocabili</strong> pronunciati in <strong>procedimenti distinti</strong> contro la <strong>stessa persona</strong>, il <strong>condannato</strong> o il <strong>pubblico ministero</strong> <strong>possono chiedere</strong> al <strong>giudice dell'esecuzione</strong> l'applicazione della disciplina del <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/6007.html">concorso formale</a></strong> ovvero, appunto, del <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/5490.html">reato continuato</a></strong>, sempre che la stessa <strong>non sia stata esclusa dal giudice della cognizione</strong>; il giudice dell'esecuzione provvede su tale richiesta <strong>determinando la pena</strong> in misura <strong>non superiore</strong> alla <strong>somma</strong> di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto. Si tratta della possibilità di applicare il <strong>regime più favorevole della continuazione</strong> <strong>anche in sede esecutiva</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Donato, che si colloca nel solco di una <strong>progressiva rarefazione</strong> degli <strong>elementi</strong> capaci di identificare <strong>un’associazione a delinquere</strong>, massime proprio dal punto di vista <strong>strutturale</strong>, accontentandosi di un <strong>accordo di carattere generale</strong> inteso all’attuazione di un <strong>programma del tutto indeterminato di reati scopo</strong>, <strong>rilevante in sé</strong> ed a prescindere dalla <strong>effettiva consumazione</strong> di questi ultimi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 dicembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione onde il principio per cui <strong>motivi di incompatibilità logica</strong> <strong>escludono</strong> l’applicazione della <strong>continuazione</strong> tra reati <strong>colposi</strong> e reati <strong>dolosi</strong> (per essere <strong>la colpa incompatibile</strong> con il <strong>medesimo disegno criminoso</strong>) non fa venir meno la possibilità di <strong>assumere configurabile</strong> la continuazione ridetta (<strong>eccezionalmente</strong>) tra il reato di <strong>detenzione e cessione di modica quantità di sostanze stupefacenti</strong> e quello di <strong>morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art.586 c.p.)</strong>, dal momento che tale ultimo reato, pur essendo punito <strong>a titolo di colpa</strong>, esige in ogni caso che <strong>il reato base sia doloso</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 aprile esce la sentenza della VI sezione della Cassazione, Morelli, che si occupa di <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso. La pronuncia si colloca in ogni caso nel solco di una <strong>progressiva rarefazione</strong> degli <strong>elementi</strong> capaci di identificare <strong>un’associazione a delinquere</strong>, massime proprio dal punto di vista <strong>strutturale</strong>, accontentandosi di un <strong>accordo di carattere generale</strong> inteso all’attuazione di un <strong>programma del tutto indeterminato di reati scopo</strong>, <strong>rilevante in sé</strong> ed a prescindere dalla <strong>effettiva consumazione</strong> di questi ultimi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 maggio esce la sentenza della Cassazione che si occupa della possibilità di configurare una <strong>continuazione</strong> tra il delitto di <strong>associazione a delinquere ex art.416 c.p.</strong> e i relativi <strong>reati scopo</strong>; la Corte <strong>nega la compatibilità</strong> tra <strong>l’accordo programmatico, generico ed indeterminato</strong>, che caratterizza <strong>l’associazione a delinquere</strong> e che si volge alla commissione da parte degli associati di <strong>una serie indeterminata di reati</strong>, con il <strong>medesimo disegno (programma) criminoso</strong> che caratterizza la <strong>continuazione</strong>, laddove i <strong>singoli reati</strong> che compendiano tale disegno (programma) sono <strong>già tutti previsti all’inizio nei minimi dettagli</strong> dal soggetto agente (o dai soggetti agenti in concorso tra loro). In sostanza, il <strong><em>pactum sceleris</em></strong> che lega i sodali nell’associazione a delinquere si compendia in un <strong>programma generico</strong> che è <strong>strutturalmente ed ontologicamente incompatibile</strong>, rispetto ai pertinenti <strong>reati fine</strong>, con quel “<strong><em>medesimo disegno criminoso</em></strong>” di cui all’<strong>art.81, comma 2</strong>, c.p., che richiede invece una <strong>precisa individuazione <em>ex ante</em></strong> dei reati che si andranno a commettere a livello <strong>unipersonale</strong> o <strong>concorsuale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 luglio viene varato il <strong>decreto legislativo n.271</strong>, recante <strong>disposizioni di attuazione al codice di procedura penale</strong>, secondo il cui <strong>articolo 187</strong> per la <strong>determinazione</strong> della disciplina del <strong>concorso formale</strong> e del <strong>reato continuato</strong> da parte del <strong>giudice dell’esecuzione</strong> si considera “<strong><em>violazione più grave</em>”</strong> quella per la quale è stata <strong>inflitta la pena più grave</strong>. La norma costituirà una freccia nell’arco dell’<strong>opzione ermeneutica</strong> tendente a considerare “<strong><em>più grave</em></strong>” la <strong>violazione in concreto assunta tale</strong> dal <strong>giudice</strong> (che infligge la pena), piuttosto che quella <strong>in astratto prevista dal legislatore</strong>. I sostenitori della tesi opposta rappresenteranno tuttavia come la norma riguardi <strong>solo le ipotesi</strong> in cui la <strong>continuazione</strong> trovi applicazione <strong>in sede esecutiva</strong>, e dunque in una <strong>peculiare fase del processo penale</strong> in cui l’<strong>unico parametro utilizzabile</strong> è quello della <strong>valutazione in concreto</strong> della gravità del trattamento sanzionatorio, dovendosi anche considerare <strong>l’impossibilità</strong> per il <strong>giudice dell’esecuzione</strong> di <strong>stravolgere</strong> un <strong>giudizio già reso definitivamente in sede di cognizione</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’11 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Niccolai, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 marzo esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.4901, Cardarilli, che afferma – statuizione che sarà poi ribadita più diffusamente dalle SSUU nel 1993 - come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Ambrosino, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Salvo, onde il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> va individuato precipuamente in un <strong>minimo </strong>(appunto)<strong> di organizzazione</strong> che <strong>autonomizzi</strong> l’associazione dai <strong>delitti scopo</strong>, dovendo in ogni caso l’organizzazione del sodalizio criminoso essere <strong>adeguata</strong> rispetto al <strong>programma criminoso divisato</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> alla cui stregua la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione va individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 1, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 gennaio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.748 che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 2, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9994 che afferma la <strong>incompatibilità strutturale</strong> tra <strong>continuazione</strong> e <strong>reati colposi</strong> onde l'<strong>art. 81</strong> c.p., anche se <strong>non pone alcuna distinzione</strong> tra <strong>delitti</strong> e <strong>contravvenzioni</strong> (in quanto la norma si riferisce ai <strong>reati in genere</strong> e tali sono sia gli uni che le altre) tuttavia presuppone una <strong>unicità di trattamento sanzionatorio</strong> collegata al “<strong><em>medesimo disegno criminoso</em></strong>” da intendersi <strong>comunque subordinata</strong> alla <strong>condizione</strong> che <strong>l'elemento soggettivo comune</strong> sia il <strong>dolo</strong> e <strong>non la colpa</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, Semeraro, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 maggio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione, Mauriello, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 giugno esce la sentenza della VI sezione della Cassazione, Montani, che si colloca nel solco di una <strong>progressiva rarefazione</strong> degli <strong>elementi</strong> capaci di identificare <strong>un’associazione a delinquere</strong>, massime proprio dal punto di vista <strong>strutturale</strong>, accontentandosi di un <strong>accordo di carattere generale</strong> inteso all’attuazione di un <strong>programma del tutto indeterminato di reati scopo</strong>, <strong>rilevante in sé</strong> ed a prescindere dalla <strong>effettiva consumazione</strong> di questi ultimi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 luglio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione che si occupa di una fattispecie di condanna per <strong>spaccio di droga</strong> e, <strong>ad un tempo</strong>, per <strong>morte come conseguenza di altro delitto ex art.586</strong> c.p.; nel caso di specie, la persona cui è stato fornita la droga è <strong>caduta in uno stato soporoso</strong> a seguito della pertinente <strong>assunzione</strong>, ed è poi <strong>deceduta in ospedale</strong> dove vi è stata <strong>condotta con notevole ritardo</strong> dal medesimo cedente; in ipotesi di tal fatta, per la Corte va <strong>esclusa la continuazione</strong> tra le due fattispecie incriminatrici dal momento che <strong>l’evento non voluto</strong>, vale a dire <strong>la morte</strong> del tossicodipendente, è stato causato da <strong>una serie di atti e di comportamenti</strong> che <strong>in concreto</strong> vanno valutati come <strong>colposi</strong>, onde <strong>non può configurarsi</strong> quel <strong>medesimo disegno criminoso</strong> che è il <strong>presupposto</strong> della continuazione e che è <strong>ineludibilmente avvinto</strong> ad un <strong>fattore intellettuale e volitivo unitario</strong> <strong>non compatibile</strong>, per la Corte, con la <strong>natura dei reati colposi</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4322 che, andando in <strong>contrario avviso</strong> rispetto al <strong>prevalente orientamento</strong> della giurisprudenza di legittimità, afferma che per “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” ai fini della <strong>continuazione</strong> deve assumersi <strong>quella “<em>concretamente</em>” tale</strong>, muovendosi dunque <strong>non già</strong> su un terreno <strong>astratto</strong>, ma<strong> concreto</strong>. Occorre dunque vedere <strong>come ha concretamente punito il giudice</strong>, <strong>non</strong> già <strong>come ha astrattamente previsto la punizione il legislatore</strong>. Bisogna giungere – per <strong>ciascuno</strong> dei reati, ed <strong>in disparte</strong> le relative <strong>previsioni edittali</strong> - alla <strong>pena da infliggere in concreto</strong>, a valle della valutazione di <strong>ogni singola circostanza</strong> e dell’eventuale <strong>giudizio di comparazione ex art.69</strong> c.p.; solo una volta compiuta questa operazione <strong>per ciascuna delle violazioni perpetrate</strong>, e dunque <strong>dei reati commessi</strong>, si individua <strong>quella più grave</strong> sulla quale <strong>applicare il <em>quantum</em> di aumento</strong> per la continuazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.1474 che, in tema di <strong>rapporti</strong> tra <strong>associazione a delinquere</strong> e pertinenti <strong>reati scopo</strong>, <strong>non esclude</strong> la possibilità di ravvisare la <strong>continuazione</strong> e, dunque, il <strong>medesimo disegno criminoso</strong>; per la Corte la questione non è infatti di <strong>compatibilità strutturale</strong>, dal momento che <strong>è ben possibile configurare</strong> un’associazione a delinquere che <strong>venga costituita</strong> e <strong>sin dall’inizio vari</strong> un proprio <strong>programma criminoso</strong> che concepisca <strong>uno o più reati scopo</strong> individuati in modo <strong>preciso</strong> o nelle pertinenti <strong>linee essenziali</strong>, così da consentire di ravvisare appunto, tra <strong>costituzione dell’associazione per delinquere</strong> e <strong>commissione dei singoli reati fine</strong> un <strong>medesimo disegno criminoso</strong> e, con esso, la <strong>continuazione</strong>. Si tratta allora di una <strong>questione di fatto</strong> il cui accertamento è demandato al <strong>giudice del merito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno esce l’ordinanza della <strong>Corte costituzionale n.186</strong>, che dichiara <strong>manifestamente infondata</strong> la questione di legittimità costituzionale <strong>dell’art.81, comma 2</strong>, c.p., con riferimento <strong>all’art.3 Cost</strong>., nella parte in cui <strong>non consente</strong> l’applicazione della <strong>disciplina (<em>pro reo</em>)</strong> del <strong>reato continuato</strong> ai <strong>reati colposi</strong>, muovendo dal presupposto che <strong>non è configurabile</strong> in tema di reati colposi un <strong>disegno criminoso dell’agente</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 gennaio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione, Pastori, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 febbraio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.15, Varnelli, che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 1, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p. </strong>Per la Corte, su altro crinale, la <strong>sanzione complessiva</strong> per il <strong>reato continuato</strong> non può calcolarsi <strong>sommando pene non omogenee</strong> per genere o per specie, e dunque <strong>tra loro eterogenee</strong>, onde <strong>l’aumento da operare alla pena base</strong> nell’ipotesi di <strong>reati puniti con pene eterogenee</strong> determina la <strong>perdita dell’autonomia sanzionatoria dei reati meno gravi</strong>, l’aumento <strong>non potendo che consistere</strong> in un <strong><em>quantum</em> di pena dello stesso genere e della stessa specie</strong> di quella prevista per la violazione più grave. Più in specie, ai fini della determinazione dell’aumento di pena per la continuazione nelle ipotesi in cui il <strong>reato più grave</strong> sia un <strong>delitto punito con la sola multa</strong> ed il <strong>reato satellite</strong> sia una <strong>contravvenzione</strong> punita con <strong>pena congiunta</strong> (arresto e ammenda), la <strong>pena pecuniaria</strong>, pur <strong>di specie diversa</strong> (<strong>ammenda</strong>), si <strong>cumula </strong>a quella del <strong>reato base</strong> divenendo <strong>ad essa omogenea</strong>, in quanto <strong>porzione della pena base aumentata</strong>, mentre per il calcolo della <strong>pena detentiva</strong> (<strong>arresto</strong>) occorre procedere <strong>prima ad una operazione intermedia</strong>, governata dall’<strong>art.135 c.p. sul ragguaglio</strong> tra pene pecuniarie e pene detentive, e quindi, <strong>convertito l’arresto in pena pecuniaria</strong>, anche questa <strong>diviene porzione dell’aumento</strong> sulla <strong>pena base</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3986, alla cui stregua, nel solco di <strong>consolidata giurisprudenza</strong>, ai fini dell’applicazione dell’<strong>amnistia</strong> è <strong>giuridicamente ammissibile scindere</strong> il reato continuato nelle <strong>relative, singole componenti</strong> laddove <strong>l’unificazione</strong> (fittizia) di tali componenti finisca col risolversi <strong>non già in un beneficio</strong>, ma in un <strong>pregiudizio</strong> per il condannato, come tale <strong>incompatibile</strong> con quella <strong><em>ratio </em>di<em> favor rei</em></strong> che ispira la <strong>continuazione</strong> siccome prevista dall’art.81, comma 2, c.p.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione, Villani, che in tema di <strong>associazione a delinquere</strong> richiede, ai fini della <strong>prova dell’accordo associativo</strong>, delle <strong>dimensioni minime</strong> che caratterizzano la <strong>struttura associativa</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.323 onde il principio per cui <strong>motivi di incompatibilità logica</strong> <strong>escludono</strong> l’applicazione della <strong>continuazione</strong> tra reati <strong>colposi</strong> e reati <strong>dolosi</strong> non fa venir meno la possibilità di <strong>assumere configurabile</strong> la continuazione ridetta (<strong>eccezionalmente</strong>) tra il reato di <strong>detenzione e cessione di modica quantità di sostanze stupefacenti</strong> e quello di <strong>morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art.586 c.p.)</strong>, dal momento che tale ultimo reato, pur essendo punito <strong>a titolo di colpa</strong>, esige in ogni caso che <strong>il reato base sia doloso</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.1512 alla cui stregua, in caso di <strong>più reati giudicati separatamente</strong>, laddove per il <strong>primo reato giudicato</strong> sia stato concesso il beneficio della <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, detto beneficio <strong>non si estende automaticamente</strong> alla <strong>seconda condanna</strong> nemmeno laddove sia riconosciuta <strong>la continuazione</strong>, in quanto quest’ultima produce <strong>l’unificazione tra più reati in via automatica</strong> ai <strong>soli fini</strong> dell’applicazione della <strong>pena principale</strong>, mentre per applicare la <strong>sospensione condizionale</strong> occorre <strong>specifica valutazione del giudice</strong>, avuto riguardo alla <strong>pena complessiva in concreto irrogata</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.1477 che si occupa della <strong>continuazione</strong> in rapporto alla <strong>sospensione condizionale della pena</strong>: per la Corte, laddove si rientri <strong>nei limiti di legge</strong> (<strong>2 anni complessivi di pena detentiva</strong>, ex art.163 c.p.), la sospensione condizionale della pena può essere <strong>concessa anche</strong> a chi è stato condannato per <strong>più reati avvinti dalla continuazione</strong>, con un <strong>un’unica sentenza</strong> o con <strong>separate sentenze</strong>, e ciò atteso come, attraverso <strong>la continuazione</strong>, la <strong>pluralità di condanne</strong> è assimilabile ad <strong>una condanna unica</strong>. Si tratta di una pronuncia che si inserisce in un <strong>solco pretorio consolidato</strong> in forza del quale la continuazione viene <strong>fittiziamente assunta come reato unico</strong> al fine della <strong>concessione</strong>, per l’appunto, della <strong>sospensione condizionale della pena</strong>; ciò in quanto per la concessione di tale beneficio occorre guardare alla <strong>pena concretamente irrogata dal giudice</strong> che, laddove <strong>non superi i limiti di legge</strong>, può dunque essere <strong>condizionalmente sospesa</strong> anche quando in realtà si tratti di <strong>pene plurime</strong> afferenti a pertinenti, <strong>plurimi reati</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 31 maggio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.21509 che, in tema di <strong>rapporti</strong> tra <strong>associazione a delinquere</strong> e pertinenti <strong>reati scopo</strong>, <strong>non esclude</strong> la possibilità di ravvisare la <strong>continuazione</strong> e, dunque, il <strong>medesimo disegno criminoso</strong>; per la Corte la questione non è infatti di <strong>compatibilità strutturale</strong>, dal momento che <strong>è ben possibile configurare</strong> un’associazione a delinquere che <strong>venga costituita</strong> e <strong>sin dall’inizio vari</strong> un proprio <strong>programma criminoso</strong> che concepisca <strong>uno o più reati scopo</strong> individuati in modo <strong>preciso</strong> o nelle pertinenti <strong>linee essenziali</strong>, così da consentire di ravvisare appunto, tra <strong>costituzione dell’associazione per delinquere</strong> e <strong>commissione dei singoli reati fine</strong> un <strong>medesimo disegno criminoso</strong> e, con esso, la <strong>continuazione</strong>. Si tratta allora di una <strong>questione di fatto</strong> il cui accertamento è demandato al <strong>giudice del merito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 giugno esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.26308 che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 2, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 3 settembre esce la sentenza della sezione feriale della Cassazione, Bosone, onde il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> va individuato precipuamente nella <strong>semplice e rudimentale predisposizione comune</strong> di <strong>attività</strong> e di <strong>mezzi</strong> tra gli associati.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.43062 che, in tema di <strong>indulto</strong>, assume – ai fini della relativa <strong>applicazione</strong> – doversi <strong>scindere il reato continuato</strong> nei <strong>singoli reati</strong> che lo compongono e nei <strong>vari episodi che singolarmente afferiscono</strong> a <strong>ciascuno</strong> dei reati in continuazione, con conseguente possibilità, in tal modo, di <strong>applicare il beneficio</strong> a <strong>quei reati</strong> o a <strong>quegli episodi</strong> che rientrino nel <strong>limite temporale di applicazione</strong> dell’indulto stesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n. 1285, onde la <strong>continuazione</strong> può essere ravvisata <strong>tra contravvenzioni</strong> solo se <strong>l'elemento soggettivo</strong> ad esse comune <strong>sia il dolo e non la colpa</strong>, atteso che la richiesta <strong>unicità del disegno criminoso</strong> è di natura <strong>intellettiva</strong>, e consiste nella <strong>ideazione contemporanea</strong> di <strong>più azioni antigiuridiche programmate</strong> nelle loro <strong>linee essenziali</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.20545 che, in tema di <strong>indulto</strong>, ribadisce – ai fini della relativa <strong>applicazione</strong> – doversi <strong>scindere il reato continuato</strong> nei <strong>singoli reati</strong> che lo compongono e nei <strong>vari episodi che singolarmente afferiscono</strong> a <strong>ciascuno</strong> dei reati in continuazione, con conseguente possibilità, in tal modo, di <strong>applicare il beneficio</strong> a <strong>quei reati</strong> o a <strong>quegli episodi</strong> che rientrino nel <strong>limite temporale di applicazione</strong> dell’indulto stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.44606 che, in ordine ai rapporti tra <strong>associazione a delinquere</strong> e <strong>reati fine</strong>, esclude che la continuazione sia <strong>del tutto inconfigurabile</strong> per <strong>incompatibilità strutturale</strong>, potendo ben darsi che, <strong>sin dalla costituzione</strong> del vincolo associativo, sussista un <strong>medesimo disegno criminoso</strong> (sufficientemente <strong>specifico</strong>) che <strong>avvince</strong> per l’appunto la <strong>strutturazione associativa</strong> <strong>siccome forgiata</strong> dai sodali ed i <strong>reati fine</strong> che la compagine <strong>andrà a realizzare</strong>. Se problema si pone, esso è allora per la Corte di carattere <strong>essenzialmente probatorio</strong>, connesso com’è all’accertamento di una <strong>questione di fatto</strong> che va demandata al <strong>giudice del merito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 dicembre viene varata la <strong>legge n.251 (</strong>c.d.<strong> ex Cirielli)</strong>, il cui articolo 5, comma 2, inserisce <strong>nell’art.671 c.p.p.</strong> un <strong>terzo comma</strong>, alla cui stregua il <strong>giudice dell'esecuzione</strong> può concedere la <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/4515.html">sospensione condizionale della pena</a></strong> e la <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/5883.html">non menzione della condanna</a> nel certificato del casellario giudiziale</strong> quando ciò consegue al <strong>riconoscimento</strong> del concorso formale o della <strong>continuazione</strong>, per l’appunto, in <strong>sede esecutiva</strong>, adottando ogni altro provvedimento conseguente. Il neo innesto dimostra che, ai fini della <strong>concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena</strong>, la <strong>continuazione</strong> viene vista come <strong>reato unico</strong>, e non come pluralità di reati, sulle orme della <strong>costante giurisprudenza</strong> in materia. Altra importante novità recata dalla legge è il <strong>mutamento del termine iniziale di prescrizione</strong> per i <strong>reati avvinti dalla continuazione</strong>: esso <strong>non è più</strong>, ai sensi del novellato <strong>art.158 c.p.,</strong> quello coincidente con la <strong>cessazione della continuazione</strong>, ma quello di <strong>consumazione di ciascuno dei reati</strong> che la continuazione avvince, con trattamento <strong>maggiormente favorevole</strong> al reo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre viene varato il <strong>decreto legge n.272</strong>, che innesta nel <strong>primo comma</strong> dell’<strong>art.671 c.p.p.</strong> un ultimo periodo alla cui stregua fra gli <strong>elementi</strong> che <strong>incidono</strong> sull'applicazione della disciplina del <strong>reato continuato in sede esecutiva</strong> vi è la <strong>consumazione di più reati</strong> in relazione allo <strong>stato (unificante) di tossicodipendenza</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio viene varata la <strong>legge n.49</strong> che converte in legge il <strong>decreto legge 272.05</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 21 aprile esce la sentenza della IV sezione della Cassazione, Q. e altro, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione, D’Attis, onde il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> va individuato precipuamente in un <strong>minimo </strong>(appunto)<strong> di organizzazione</strong> che <strong>autonomizzi</strong> l’associazione dai <strong>delitti scopo</strong>; la Corte precisa che in caso di <strong>associazione con modesto organigramma</strong>, occorre che il <strong>vincolo</strong> tra i sodali sia <strong>continuativo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce la sentenza della IV sezione della Cassazione onde <strong>l’unicità del disegno criminoso</strong>, tipica del <strong>reato continuato ex art.81, comma 2</strong>, c.p., <strong>mal si concilia</strong> con i <strong>reati colposi</strong>, nei quali <strong>l’evento non è voluto</strong> dall’agente, così che <strong>la condotta</strong> – questa sì <strong>genericamente voluta</strong> dall’agente medesimo – <strong>non può considerarsi</strong> in alcun modo <strong>finalizzata</strong> (all’evento medesimo). L’<strong>unica eccezione</strong>, per la Corte, si verifica quando l’agente abbia posto in essere il reato colposo <strong>agendo nonostante la previsione dell’evento</strong>: ipotesi nella quale viene quindi contestata la <strong>circostanza aggravante</strong> di cui all’<strong>art.61, n.3</strong>, c.p., ovvero la <strong>c.d. colpa con previsione</strong>. Muovendo da questi presupposti, la Corte ha <strong>escluso</strong> la configurabilità del vincolo della continuazione tra il reato di <strong>omicidio colposo</strong> e i <strong>reati contravvenzionali</strong> commessi dal <strong>datore di lavoro</strong> in tema di <strong>norme di sicurezza</strong> dei lavoratori.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.39726, che <strong>ammette in astratto</strong> la possibilità che possa accertarsi la <strong>continuazione</strong> tra <strong>l’associazione a delinquere</strong> ed i <strong>reati fine</strong> che gli associati si propongono; la Corte distingue tuttavia il <strong>medesimo disegno criminoso</strong>, che è tipico della <strong>continuazione</strong>, dal <strong>programma criminoso</strong> che è proprio dell’<strong>associazione a delinquere</strong>. Per la Corte l’associazione a delinquere si caratterizza <strong>normalmente</strong> per un <strong>generico accordo programmatico</strong> finalizzato alla <strong>realizzazione di delitti</strong>, mentre per potersi far luogo ad un <strong>c.d. reato continuato</strong> non basta un <strong>generico piano di attività delinquenziale</strong> (proprio del singolo agente o di più soggetti agenti in concorso tra loro) occorrendo piuttosto che <strong>tutte le azioni od omissioni</strong> che si andranno a commettere siano <strong>dal principio ricomprese</strong>, nei relativi <strong>elementi essenziali ed individualizzanti</strong>, per l’appunto in un <strong>medesimo disegno criminoso</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.24750 che ribadisce la <strong>non incompatibilità logica e strutturale</strong> tra <strong>associazione per delinquere</strong>, <strong>reati-scopo divisati</strong> e <strong>continuazione</strong>, quest’ultima dunque <strong>pienamente configurabile</strong> tra i primi due (<strong>associazione per delinquere</strong> da un lato e <strong>reati scopo</strong> dall’altro). Per la Corte, in linea generale è ben vero che la continuazione – laddove presuppone la <strong>anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni</strong> della legge penale, e dunque di <strong>più reati</strong> che il soggetto agente <strong>già si prefigura tutti nella mente</strong> in modo <strong>specifico</strong>, almeno a grandi linee – è cosa <strong>ben diversa</strong> dalla <strong>mera inclinazione a reiterare violazioni</strong> della legge penale (reati) della <strong>stessa specie</strong> o di <strong>specie diverse,</strong> che normalmente si configura allorché si faccia luogo ad una <strong>associazione a delinquere</strong>, la cui <strong>attività criminosa </strong>si presenti come oggetto di un <strong>programma generico da sviluppare</strong> <strong>in futuro</strong> secondo <strong>contingenti opportunità</strong>; tale constatazione nondimeno, per la Corte, <strong>non può condurre ad escludere sempre e comunque</strong> la configurabilità di una <strong>continuazione</strong> tra l’associazione a delinquere ed i singoli reati fine, laddove chi si associa abbia <strong>già previsto sin dall’origine</strong> nel momento in cui <strong>costituisce</strong> l’associazione o <strong>vi aderisce</strong>, quale sarà il <strong>percorso criminoso da realizzare</strong> ed i <strong>singoli reati da commettere</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5579 alla cui stregua, una volta assunta <strong>l’unicità del disegno criminoso</strong> tra <strong>due fatti oggetto di due diverse sentenze</strong> e una volta applicata per conseguenza la <strong>disciplina del reato continuato</strong>, ove sia stata disposta la <strong>sospensione condizionale della pena</strong> con la <strong>prima condanna</strong> per <strong>uno dei due fatti</strong>, essa <strong>non viene automaticamente revocata</strong> per intervento della seconda condanna per l’altro fatto, dovendo piuttosto <strong>il giudice valutare</strong> se il beneficio già concesso <strong>possa estendersi</strong> alla pena <strong>complessivamente</strong> (<strong>in concreto</strong>) determinata, ovvero se debba essere <strong>revocato</strong> per essere <strong>ormai venuti meno</strong> i pertinenti <strong>presupposti di legge</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 settembre esce la sentenza della sezione feriale della Cassazione n.34505 che, in tema di <strong>prescrizione</strong> dei <strong>reati avvinti dalla continuazione</strong>, in applicazione dell’<strong>art.158</strong> c.p. come <strong>novellato dalla legge 251.05</strong> (c.d. ex Cirielli), assume doversi “<strong><em>parcellizzare</em></strong>” il reato continuato, facendo decorrere la prescrizione dalla <strong>consumazione di ciascuno dei reati</strong> avvinti appunto dalla consumazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza della <strong>SSUU</strong> n.3286, che si occupa della <strong>natura giuridica</strong> – <strong>unitaria</strong> o <strong>frazionata</strong> – del <strong>reato continuato</strong> con particolare riguardo all’applicazione delle <strong>circostanze “<em>di danno</em>”</strong>, ed in particolare di <strong>quelle attenuanti</strong> previste dall’<strong>art.62, numeri 4 e 6</strong>, c.p. (<strong>danno o lucro di speciale tenuità</strong>; <strong>riparazione del danno</strong>) e quella prevista dall’<strong>art.61, n.7</strong>, c.p. (<strong>danno patrimoniale di rilevante gravità</strong>). La Corte registra in proposito un <strong>contrasto di giurisprudenza</strong> che è coerente con la <strong>diversa natura</strong> di volta in volta attribuita al reato continuato: le sentenze che lo considerano come <strong>un solo reato</strong> affermano che le <strong>valutazioni aggravatorie e quelle attenuative</strong> devono, per conseguenza, riferirsi a <strong>tutti i reati</strong> che la continuazione avvince <strong>complessivamente considerati</strong>, e <strong>non già solo a taluni di essi</strong> (ed in particolare a <strong>quello più grave</strong>); le sentenze che invece lo considerano come una <strong>pluralità di reati</strong> <strong>fittiziamente uniti</strong>, tendono ad applicare le circostanze <strong>esclusivamente al reato cui esse pertengono</strong>, senza possibilità di estensione applicativa <strong>agli altri reati</strong> che pure rientrano nella continuazione, né tampoco <strong>al reato continuato</strong> nella relativa, <strong>meramente fittizia unitarietà</strong>. La Corte muove dunque dalla <strong>natura</strong> e dalla <strong><em>ratio</em></strong> del reato continuato, che è quella di <strong>garantire in ogni caso</strong> al reo un <strong>trattamento più favorevole</strong>: ne discende che – come afferma la dottrina e la giurisprudenza prevalente – per la Corte il <strong>reato continuato</strong> può assumersi come <strong>un unico reato solo</strong> laddove una <strong>apposita disposizione normativa</strong> lo consideri in tal senso, ovvero laddove appunto la <strong>soluzione unitaria</strong> (e non parcellizzata) implichi un <strong>effetto più favorevole per il reo</strong>. Dinanzi alla <strong>continuazione</strong>, per la Corte <strong>non si muove dunque mai</strong> da una <strong>struttura unitaria</strong>, ma piuttosto <strong>parcellizzata</strong>, e dunque <strong>dall’autonomia e dalla distinzione</strong> tra i singoli reati che costituiscono l’esecuzione di un medesimo disegno criminoso: perché dalla <strong>parcellizzazione</strong> si possa giungere ad una <strong>considerazione unitaria</strong> della continuazione (sì da far luogo ad un “<strong><em>reato continuato</em></strong>”) occorre accertare la presenza di <strong>due specifiche condizioni</strong>, <strong>alternative</strong> tra loro: una <strong>apposita previsione di legge</strong> che disponga <strong>l’unitarietà</strong>; ovvero, la <strong>garanzia</strong> di un <strong>trattamento più favorevole al reo</strong> laddove si interpreti la continuazione come <strong>un solo reato</strong>. La Corte raggiunge questa prima conclusione operando anche un <strong>riferimento di tipo storico</strong>: la <strong>riforma del 1974 ha recato seco il passaggio da una continuazione meramente omogenea</strong> (stessa violazione di legge) ad una <strong>eterogenea</strong> (violazione della stessa o di diverse disposizioni di legge), in tal modo <strong>incrinando implicitamente</strong> la <strong>concezione unitaria</strong> del reato continuato; un colpo <strong>esplicito</strong> è stato poi sferrato dalla medesima riforma laddove, <strong>sopprimendo l’inciso</strong> contenuto nell’<strong>originario comma 3</strong> dell’art.81 alla cui stregua “<strong><em>le diverse violazioni si considerano come un solo reato</em></strong>”, ha optato per una <strong>visione per l’appunto parcellizzata</strong> della continuazione. Anche l’intervento riconducibile alla <strong>legge c.d. ex Cirielli</strong> (251.05) in tema di <strong>decorrenza della prescrizione</strong>, che fa ormai riferimento <strong>non già al termine della continuazione</strong>, ma alla <strong>consumazione di ciascun singolo reato</strong> che da essa è avvinto, sospinge la Corte nel senso della “<strong><em>parcellizzazione</em></strong>” come <strong>regola</strong> e della <strong>unitarietà come eccezione</strong> <em>pro reo</em>, la concezione unitaria dovendo alfine assumersi <strong>definitivamente superata</strong>, facendo luogo la continuazione ad una <strong>pluralità di illeciti</strong> e dunque ad una <strong>peculiare ipotesi di concorso di reati</strong> che può essere <strong>assunto unitariamente</strong> <strong>solo</strong> agli <strong>effetti espressamente previsti dalla legge</strong>, primo fra tutti la <strong>determinazione della pena principale</strong>; per tutti gli altri effetti che <strong>non siano espressamente previsti</strong>, la considerazione unitaria della figura può essere ammessa <strong>solo laddove da essa sortisca</strong> una applicazione <strong>più favorevole</strong> al reo. Proprio per questo motivo, prosegue la Corte, ai fini dell’applicazione delle <strong>circostanze aggravanti ed attenuanti</strong> va considerato <strong>non già</strong> il “<strong><em>reato continuato</em></strong>”, ma <strong>ciascuno dei singoli reati</strong> avvinti dalla continuazione, onde sia al fine di valutare <strong>l’attenuante della speciale tenuità del danno</strong> o quella dell’<strong>intervenuto risarcimento del danno</strong>, sia per valutare l’aggravante del <strong>rilevante pregiudizio patrimoniale</strong> di cui agli articoli 62 e 61 c.p., tanto <strong>l’entità del danno</strong> quanto <strong>l’efficacia della condotta riparatoria</strong> attribuibile al reo vanno valutati <strong>in relazione a ciascun singolo reato</strong> esecutivo del medesimo disegno criminoso, e <strong>non già al “<em>reato continuato</em>” unitariamente assunto</strong>. Prima ricaduta dell’interpretazione della Corte è che, al fine di individuare quale sia la <strong>violazione (reato) più grave</strong> ai sensi dell’art.81, comma 2, c.p. occorre considerare <strong>anche le circostanze aggravanti e quelle attenuanti</strong> riferite a <strong>ciascuno</strong> tra i singoli reati avvinti dalla continuazione; una volta <strong>individuato il reato più grave</strong>, se quest’ultimo <strong>è circostanziato</strong>, la <strong>pena-base</strong> per il calcolo dell’aggravamento di pena scaturente dalla continuazione sarà <strong>comprensiva della circostanza</strong> (normalmente, <strong>aggravante</strong> poiché proprio nell’aggravare implica la pertinente selezione come violazione “<strong><em>più grave</em></strong>”), mentre laddove le circostanze ineriscano agli altri <strong>reati esecutivi anch’essi</strong> del <strong>medesimo disegno criminoso</strong>, dette circostanze influiscono sul <strong><em>quantum</em> concreto dell’aumento di pena</strong> rispetto alla pena-base.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 gennaio esce la sentenza della IV sezione della Cassazione n.6853 , Maciocco, che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 2, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.19978 che, andando in <strong>contrario avviso</strong> rispetto al <strong>prevalente orientamento</strong> della giurisprudenza di legittimità, afferma che per “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” ai fini della <strong>continuazione</strong> deve assumersi <strong>quella “<em>concretamente</em>” tale</strong>, e dunque <strong>non già</strong> su un piano <strong>astratto</strong>. Occorre dunque vedere <strong>come ha concretamente punito il giudice</strong>, <strong>non</strong> già <strong>come ha astrattamente previsto la punizione il legislatore</strong>. Bisogna giungere – per <strong>ciascuno</strong> dei reati, ed <strong>in disparte</strong> le relative <strong>previsioni edittali</strong> - alla <strong>pena da infliggere in concreto</strong>, a valle della valutazione di <strong>ogni singola circostanza</strong> e dell’eventuale <strong>giudizio di comparazione ex art.69</strong> c.p.; solo una volta compiuta questa operazione <strong>per ciascuna delle violazioni perpetrate</strong>, e dunque <strong>dei reati commessi</strong>, si individua <strong>quella più grave</strong> sulla quale <strong>applicare il <em>quantum</em> di aumento</strong> per la continuazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 9 febbraio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.12675 che, andando in <strong>contrario avviso</strong> rispetto al <strong>prevalente orientamento</strong> della giurisprudenza di legittimità, afferma che per “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” ai fini della <strong>continuazione</strong> deve assumersi <strong>quella “<em>concretamente</em>” tale</strong>, e dunque <strong>non già</strong> su un piano <strong>astratto</strong>. Occorre dunque vedere <strong>come ha concretamente punito il giudice</strong>, <strong>non</strong> già <strong>come ha astrattamente previsto la punizione il legislatore</strong>. Bisogna giungere – per <strong>ciascuno</strong> dei reati, ed <strong>in disparte</strong> le relative <strong>previsioni edittali</strong> - alla <strong>pena da infliggere in concreto</strong>, a valle della valutazione di <strong>ogni singola circostanza</strong> e dell’eventuale <strong>giudizio di comparazione ex art.69</strong> c.p.; solo una volta compiuta questa operazione <strong>per ciascuna delle violazioni perpetrate</strong>, e dunque <strong>dei reati commessi</strong>, si individua <strong>quella più grave</strong> sulla quale <strong>applicare il <em>quantum</em> di aumento</strong> per la continuazione.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 12 febbraio esce la sentenza delle V Sezione della Cassazione n.12473, Salviani, che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 2, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11087, che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 2, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.34382 che ribadisce come la “<strong><em>violazione più grave</em></strong>” nella continuazione vada individuata <strong>secondo criteri astratti</strong>, e <strong>non concreti</strong>, e dunque facendo riferimento alla <strong>pena in astratto prevista dal legislatore</strong>; solo questa opzione garantisce infatti la <strong>certezza del diritto</strong> ancorando la decisione del giudice a <strong>criteri predeterminati dalla legge</strong> e, per l’appunto, <strong>astratti</strong>, tagliando alla radice la possibilità di <strong>interpretazioni discrezionali</strong> e <strong>soggettive</strong> da parte del giudice medesimo. Del resto, il codice penale parla di “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena più grave</em></strong>”, ponendosi <strong>a monte</strong> rispetto alla <strong>punizione</strong> e guardando quest’ultima come il <strong>frutto di una scelta astratta e legislativa</strong>, <strong>non già concreta</strong> e <strong>giurisdizionale</strong>, vale a dire <strong>discrezionale</strong> nell’ambito della <strong>forbice edittale</strong>. Per la Corte peraltro <strong>non occorre fare riferimento</strong> - per ciascuna delle violazioni commesse <strong>tra le quali identificare</strong> quella “<strong><em>più grave</em></strong>” – agli <strong>indici c.d. “<em>di gravità concreta</em>”</strong> previsti dall’<strong>art.133 c.p.,</strong> dovendosi il giudice piuttosto, e più semplicemente, affidare alla <strong>pena edittale</strong> siccome prevista <strong>per ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato). Si tratta di una <strong>interpretazione</strong> che peraltro, per la Corte, <strong>meglio si adatta</strong> alla <strong>lettera della legge</strong>, e ciò proprio in quanto il codice all’art.81, comma 2, parla di “<strong><em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già</strong> di “<strong><em>pena</em>” più grave</strong>, locuzione che avrebbe utilizzato laddove avesse voluto far riferimento ad un <strong>criterio di ordine “<em>concreto</em>”</strong> e non astratto, come tale <strong>ancorato</strong> agli <strong>indici di determinazione</strong> della pena previsti dall’<strong>art.133 c.p.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13609 che si occupa della possibilità di configurare una <strong>continuazione</strong> tra <strong>associazione per delinquere</strong> e singoli <strong>reati fine</strong>. La Corte, pur ammettendo <strong>astrattamente</strong> tale configurabilità, la <strong>nega nel caso di specie</strong> in relazione a <strong>quei reati fine</strong> che – pur rientrando <strong>nell’ambito delle attività</strong> del sodalizio criminoso e palesandosi <strong>finalizzati a rafforzarlo</strong> – <strong>non sono stati programmati</strong> (né erano programmabili) <strong><em>ab origine</em></strong> dai sodali, per essere gli stessi legati a <strong>circostanze ed eventi contingenti ed occasionali</strong> o comunque <strong>non immaginabili</strong> al momento in cui l’associazione <strong>ha preso abbrivio</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 luglio esce la sentenza della VI sezione della Cassazione, n.29581, che ribadisce <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso alla commissione di una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>: per la Corte si partecipa ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso</strong> destinato a <strong>durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque capace di creare <strong>consistente allarme sociale</strong> a cagione di questa <strong>stabilità</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché <strong>ci si accordi in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, senza creazione di una <strong>stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati avvinti</strong> appunto <strong>dal medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti</strong> i reati divisati e conseguente <strong>esaurimento dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo</strong> ad esso connesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.39378 che si occupa degli <strong>elementi costitutivi</strong> dell’<strong>associazione a delinquere</strong> nel solco della <strong>pertinente giurisprudenza di legittimità</strong>: si tratta della <strong>formazione</strong> e della <strong>permanenza</strong> di un <strong>vincolo associativo continuativo tra 3 o più persone</strong> con lo <strong>scopo</strong> di commettere una <strong>serie indeterminata di delitti</strong>, giusta <strong>predisposizione comune dei mezzi occorrenti</strong> per la realizzazione del <strong>pertinente programma delinquenziale</strong> e – sul crinale <strong>soggettivo</strong> – giusta <strong>permanente consapevolezza</strong> in capo a <strong>ciascun associato</strong> di <strong>far parte del sodalizio criminoso</strong> e di essere <strong>disponibile ad operare per l’attuazione</strong> del programma stesso. La sentenza è importante perché si sofferma sul <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per configurare la ridetta <strong>associazione</strong>, elemento <strong>idoneo a distinguerla</strong> dalla <strong>mera partecipazione a titolo di concorso</strong> rispetto ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong> senza che tuttavia <strong>vi sia alle spalle una associazione</strong>, e dunque una (più o meno) <strong>stabile organizzazione</strong>. Ripercorrendo la giurisprudenza sul punto, la Corte rileva come il <strong>grado di organizzazione necessario</strong> per predicare la sussistenza di una <strong>associazione a delinquere</strong> sia stato di volta in volta individuato ora nel <strong>mero accordo</strong> afferente ad un <strong>generico programma criminoso</strong> (c.d. <strong><em>affectio societatis sceleris</em></strong>); ora nella <strong>semplice e rudimentale predisposizione comune di attività e di mezzi</strong> tra gli associati; ora in un <strong>minimo di organizzazione</strong> capace di <strong>autonomizzare il sodalizio</strong> rispetto ai <strong>delitti scopo</strong>, con necessità che l’organizzazione associativa sia <strong>adeguata rispetto al programma criminoso</strong> divisato. Secondo la Corte non è mancata, nel corso degli anni, una <strong>progressiva rarefazione</strong> degli <strong>elementi</strong> capaci di identificare <strong>un’associazione a delinquere</strong>, massime proprio dal punto di vista <strong>strutturale</strong>, talvolta accontentandosi la giurisprudenza di un <strong>accordo di carattere generale</strong> inteso all’attuazione di un <strong>programma del tutto indeterminato di reati scopo</strong>, <strong>rilevante in sé</strong> ed a prescindere dalla <strong>effettiva consumazione</strong> di questi ultimi. Lo stesso <strong>elemento organizzativo</strong>, segnala la Corte, è divenuto <strong>via via sempre più secondario</strong>, essendo sufficiente provare che si sia <strong>perfezionato un accordo tra i sodali</strong>. E tuttavia, per la Corte anche tale <strong>rarefazione dell’elemento organizzativo</strong> dell’associazione per delinquere non appare <strong>idonea a scalfire</strong> <strong>la distinzione</strong>, pure pretoriamente delineata, tra <strong>concorso necessario</strong> proprio dell’<strong>associazione a delinquere</strong> e <strong>concorso eventuale</strong> nella <strong>continuazione</strong>, ovvero in <strong>una serie di reati avvinti dal medesimo disegno criminoso</strong>, essendo necessario comunque <strong>nel primo caso</strong> (associazione a delinquere; concorso necessario) un <strong>vincolo associativo</strong> che si fonda su un <strong>accordo stabile e duraturo</strong>, capace di creare un <strong>consistente allarme sociale</strong>, mentre <strong>nel secondo</strong> (continuazione; concorso eventuale nella serie di reati avvinti dal medesimo disegno criminoso) palesandosi sufficiente <strong>un accordo occasionale</strong>, <strong>contingente, accidentale</strong> che punti alla realizzazione di <strong>uno o più reati avvinti</strong> appunto dal <strong>medesimo disegno criminoso</strong> per <strong>esaurirsi</strong> nella <strong>commissione</strong> degli stessi, con <strong>assai minore allarme sociale</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 ottobre esce l’importante <strong>ordinanza</strong> della II sezione della Cassazione n.41084 che – rilevato il pertinente (e <strong>persistente</strong>) contrasto di giurisprudenza – <strong>rimette alle SSUU</strong> la questione se per <strong>violazione più grave</strong> di cui all’art.81, comma 2, c.p. in tema di <strong>reato continuato</strong> debba assumersi quella <strong>ricavata per via astratta ed edittale </strong>secondo la<strong> previsione legislativa</strong>, ovvero <strong>quella in concreto punita più gravemente</strong> a valle dell’accertamento operato <strong>dal giudice</strong> penale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.25939, Ciabotti, onde, in tema di <strong>reato continuato</strong>, conformemente all’<strong>orientamento maggioritario</strong>, la <strong>violazione più grave</strong> va individuata <strong>in astratto</strong> sulla base della <strong>pena edittale</strong> prevista per il <strong>reato più grave</strong>, dovendosi assumere per reato più grave quello per cui <strong>è prevista la pena edittale maggiore</strong> tenuto conto tuttavia delle <strong>circostanze</strong> in cui la fattispecie <strong>si è manifestata</strong> e l’eventuale <strong>giudizio di comparazione</strong> tra di esse. Se dunque si è al cospetto, nel contesto del <strong>medesimo disegno criminoso</strong>, di <strong>delitti</strong> e <strong>contravvenzioni</strong>, non potrà <strong>mai assumersi più grave una contravvenzione</strong>, anche perché il legislatore <strong>valuta sempre più grave</strong> la violazione compendiante <strong>un delitto</strong> rispetto a quella punita come contravvenzione, come dimostrano <strong>diversi istituti</strong> dell’ordinamento penale anche latamente inteso (<strong>prescrizione</strong> ed altro ancora). Peraltro, ponendosi anche dal punto di vista della <strong>Costituzione</strong>, <strong>non può essere il giudice</strong> a decidere quale <strong>violazione</strong> sia più grave di un’altra, dal momento che tale valutazione spetta <strong>in astratto al legislatore</strong>, del quale verrebbe – in tesi opposta – invaso il campo da parte del giudice medesimo. Del resto, il legislatore del codice penale si esprime proprio in termini di <strong>“<em>violazione</em>” più grave</strong>, e <strong>non già di “<em>pena</em>” più grave</strong>: la violazione è cosa distinta ed autonoma rispetto alla pena, ed evoca <strong>una condotta che contrasta con una norma incriminatrice disegnata dal legislatore</strong>, che la correda con <strong>un minimo ed un massimo edittale</strong> di sanzione comminabile. Ancora, da un punto di vista <strong>logico-sistematico</strong> la Corte fa notare come il <strong>legislatore processuale penale</strong> àncori <strong>diversi istituti</strong> in cui <strong>rileva la gravità</strong> del reato alla <strong>pena astrattamente comminata</strong> dalla legge, e non già a quella <strong>concretamente determinata</strong> dal giudice, come nelle ipotesi delle <strong>misure cautelari</strong> ovvero della <strong>competenza</strong> (per materia o per connessione). Peraltro, pur rimanendosi su di un piano <strong>astratto</strong>, la <strong>nozione di “<em>violazione più grave</em>”</strong> ha per la Corte una valenza <strong>non già semplice</strong>, ma “<strong><em>complessa</em></strong>”, che implica di necessità la valutazione di <strong>come tale violazione si è concretamente manifestata</strong>, dovendosi in particolare tenere conto delle <strong>circostanze</strong> che da tale epifania <strong>sono affiorate</strong> (a meno che <strong>specifiche e tassative disposizioni</strong> escludano, a determinati effetti ed ancora una volta su di un piano astratto, la rilevanza delle ridette circostanze o di talune di esse), onde <strong>l’individuazione in astratto</strong> della pena edittale <strong>richiede comunque</strong> calcolarsi <strong>nel minimo</strong> l’<strong>effetto di riduzione</strong> per le <strong>attenuanti</strong> e <strong>nel massimo</strong> l’<strong>effetto di aumento</strong> per le <strong>aggravanti, </strong>che potrebbero <strong>neutralizzarsi</strong> in caso di <strong>bilanciamento paritario</strong>. Ne escono le <strong>linee guida</strong> per l’individuazione della violazione più grave ai fini della continuazione, onde occorre sempre <strong>guardare <em>in primis</em> alla pena principale</strong> che il legislatore commina (i delitti sono sempre più gravi delle contravvenzioni, indipendentemente dalla forbice edittale); in presenza di <strong>più delitti</strong> o di <strong>più contravvenzioni</strong>, si considera <strong>più grave</strong> la violazione (reato) con il <strong>massimo edittale di pena più elevato</strong> e, a <strong>parità di massimi</strong>, quello con il <strong>minimo edittale più elevato</strong>; detti massimo e minimo vanno tuttavia calcolati tenendo conto, per <strong>ciascuna violazione</strong> (e dunque per ciascun reato) <strong>dell’effetto di riduzione</strong> indotto dalle attenuanti e <strong>dell’effetto di aumento</strong> indotto dalle aggravanti, oltre che <strong>dell’eventuale bilanciamento</strong> e degli <strong>effetti</strong> che esso sortisce in termini <strong>neutri, di aumento o di diminuzione</strong>; sicché viene ribadito il criterio astratto, ma si tratta di un <strong>astratto in parte “<em>concretizzato</em>”</strong> da <strong>come la violazione si è manifestata</strong>, e dunque dalle <strong>pertinenti circostanze</strong>, seppure facendo sempre riferimento alla <strong>forbice edittale</strong> per dette circostanze <strong>prevista astrattamente dal legislatore</strong> (e non alla concreta punizione inflitta dal giudice). Individuata la violazione più grave, la <strong>pena base</strong> sulla quale calcolare <strong>l’aumento fino al triplo</strong> ai fini della continuazione <strong>non può mai</strong> – per la Corte – essere <strong>inferiore</strong> al <strong>minimo edittale</strong> previsto per <strong>uno qualsiasi</strong> dei reati avvinti dal medesimo disegno criminoso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio esce la sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> <strong>n.32</strong> che dichiara l’<strong>illegittimità costituzionale</strong> degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre <strong>2005, n. 272</strong> (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il <strong>recupero di tossicodipendenti recidivi</strong> e modifiche al testo unico delle leggi in materia di <strong>disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope</strong>, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. In sostanza, e per quanto qui di interesse, la Corte dichiara <strong>non conforme a Costituzione</strong> la legge c.d. <strong>Fini-Giovanardi</strong> in materia di <strong>stupefacenti</strong>, nella parte in cui <strong>equipara il trattamento sanzionatorio penale</strong> previsto per le <strong>droghe c.d. pesanti</strong> anche alle <strong>droghe c.d. leggere</strong> (facendo così rivivere la <strong>precedente legge Jervolino-Vassalli</strong>, più favorevole per chi avesse posto in essere condotte penalmente rilevanti legate a droghe “<strong><em>leggere</em></strong>”).</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 aprile esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.16208 che si pronuncia sul <strong>quesito di diritto</strong> se viola o meno il <strong>divieto di <em>reformatio in peius</em></strong> scolpito all’<strong>art.597 del codice di rito penale</strong> il giudice <strong>di rinvio</strong> (giudice <strong>dell’impugnazione</strong>) che, individuata la <strong>violazione più grave</strong> ai sensi dell’art.81, comma 2, c.p. in conformità a quanto stabilito <strong>nella sentenza della Cassazione</strong> che ha disposto il rinvio, apporti <strong>per uno dei reati in continuazione</strong> un <strong>aumento</strong> di pena <strong>maggiore</strong> rispetto a quello ritenuto <strong>dal primo giudice</strong>, pur <strong>non irrogando una pena complessivamente maggiore</strong>. Nel dare risposta <strong>negativa</strong> a tale quesito di diritto - peraltro specificando come la <strong>irrevocabilità della decisione della Cassazione</strong> sulla <strong>responsabilità penale</strong> dell’imputato e sulla <strong>qualificazione giuridica dei fatti ascrittigli</strong>, quand’anche vi sia stato <strong>rinvio</strong> ai fini della <strong>determinazione della pena</strong>, <strong>esclude</strong> (ex art.2, comma 4, c.p.) che la <strong>successiva entrata in vigore</strong> di una <strong>legge modificativa più favorevole</strong> possa trovare <strong>applicazione nel giudizio di rinvio</strong> – la Corte si sofferma in modo significativo sulla figura della <strong>continuazione</strong> e sul <strong>meccanismo normativo</strong> che la <strong>compendia</strong>, forgiando il “<strong><em>reato continuato</em></strong>”. Per la Corte, quando <strong>unico appellante è l’imputato</strong>, il meccanismo previsto dall’art.81, comma 2, c.p. <strong>non può implicare</strong> per lui <strong>un effetto <em>in peius</em></strong>: e per <strong>divieto di peggioramento</strong> non potrebbe – almeno <strong>a prima vista</strong> - intendersi solo <strong>il mutamento <em>in peius</em> della pena complessiva irrogata</strong>, ma occorrerebbe spingersi a considerare anche <strong>come essa viene irrogata</strong>, e dunque al <strong>rapporto</strong> tra <strong>pena base</strong> e <strong>quantum di aumento per i reati satellite</strong>. Ma ad un più attento esame, occorre preliminarmente verificare se il reato continuato vada visto <strong>in termini unitari</strong>, ovvero <strong>in termini atomistici</strong>, e dal punto di vista <strong>strutturale</strong> esso si palesa in realtà porsi <strong>a metà strada</strong>, al confine tra <strong>concorso materiale</strong> (atomistico) e <strong>formale</strong> (unitario): da un lato infatti si assiste ad un <strong>concorso materiale di reati</strong>, e dall’altro vi è il <strong>fattore unificante del medesimo disegno criminoso</strong>, con <strong>meccanismo sanzionatorio</strong> (<strong>cumulo giuridico</strong>) identico a quello previsto per il <strong>concorso formale</strong>, con necessità di identificare <strong>la violazione più grave</strong> per aumentarla <strong>fino al triplo</strong>. L’agente <strong>cede ai motivi a delinquere una sola volta</strong>, stante il <strong>complessivo disegno criminoso</strong> che egli forgia, con <strong>minore riprovevolezza complessiva</strong> della relativa condotta e <strong>più mite trattamento sanzionatorio</strong>, onde caratteristica del reato continuato (pur essendosi al cospetto di un <strong>concorso materiale di reati</strong>) è <strong>l’unificazione della pena</strong> che – una volta individuata la violazione (reato) <strong>più grave</strong> – tende a <strong>cancellare l’individualità degli altri reati satellite</strong> che, qualora siano assistiti (come sovente accade) da <strong>pene eterogenee</strong>, divengono <strong>meri componenti di un aumento</strong> della <strong>pena base</strong> prevista per la violazione più grave: <strong>persa</strong> in qualche modo la <strong>propria singola identità</strong>, i reati satellite <strong>la ritrovano</strong>, per così dire, solo nel momento in cui <strong>va determinato il limite di ciascun aumento di pena</strong>, che <strong>non può</strong> comunque <strong>superare</strong> (anche spingendosi <strong>fino al triplo</strong> della pena base) il limite del <strong>cumulo materiale</strong>. Concludendo, si fa applicazione del <strong>cumulo giuridico</strong>, con <strong>pena base</strong> (violazione più grave) e <strong>singoli aumenti di pena</strong> di cui ai reati satellite secondo un certo <strong>ordine di sequenza</strong>: qualora <strong>muti uno dei termini</strong>, ovvero <strong>l’ordine della pertinente sequenza</strong>, si ha <strong>novazione strutturale del meccanismo di unificazione</strong> (giusta cumulo giuridico) del <strong>trattamento sanzionatorio</strong> (che normalmente atterrebbe ad un concorso materiale di reati); bisogna allora <strong>sempre considerare</strong>, come <strong>parametro</strong> per valutare un <strong>eventuale trattamento <em>in peius</em></strong>, la <strong>pena finale (unificata),</strong> che è <strong>l’unico limite</strong> davvero invalicabile da parte del <strong>giudice del gravame</strong> (anche in sede di rinvio), stando anche al parametro della “<strong><em>pena complessivamente irrogata</em></strong>” previsto dall’<strong>art.597 c.p.p.,</strong> sicché quel che conta per valutare <strong>se si è al cospetto di un trattamento sanzionatorio <em>in peius</em></strong>, <strong>vietato</strong>, è la <strong>pena complessiva</strong> che funge da parametro, e <strong>non già i singoli segmenti di pena</strong> per come concretamente (e diversamente) determinati dai due giudici del <strong>primo grado</strong>, prima, e dell’<strong>impugnazione</strong>, poi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 maggio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.22471, che – a valle della sentenza della <strong>Corte costituzionale</strong> n.<strong>32</strong> del 2014 in tema di <strong>trattamento sanzionatorio</strong> (necessariamente differenziato) per <strong>condotte penalmente rilevanti</strong> afferenti, rispettivamente, a <strong>droghe leggere</strong> e a <strong>droghe pesanti</strong> – viene chiamata a stabilire se, in presenza di <strong>condanna per reato continuato</strong>, in simili casi - in cui le <strong>condotte afferenti a droghe leggere</strong> hanno assunto il <strong>ruolo di reati satellite</strong>, in quanto <strong>meno gravi</strong> – si debba procedere ad una <strong>rivalutazione del complessivo trattamento sanzionatorio</strong> alla luce della <strong>più favorevole cornice edittale</strong> applicabile per tali ultime violazioni (a seguito della pronuncia della Consulta), ovvero se, considerato <strong>l’effetto unificante del meccanismo sanzionatorio</strong> ai sensi dell’<strong>art.81, comma 2, c.p.,</strong> a tanto <strong>non si debba procedere</strong>, dal momento che i singoli aumenti di pena si atteggiano a <strong>meri “<em>incrementi sanzionatori</em>”</strong> della individuata <strong>pena base</strong>. La Corte opta per la <strong>prima soluzione</strong>, onde per i delitti previsti <strong>dall’art.73</strong> del D.p.R. 309.90, <strong>l’aumento di pena</strong> calcolato a titolo di <strong>continuazione</strong> per i <strong>reati satellite</strong> in relazione alle <strong>c.d. droghe leggere</strong> deve essere oggetto di <strong>specifica rivalutazione</strong> da parte dei <strong>giudici di merito</strong>, alla luce della <strong>più favorevole cornice edittale</strong> applicabile per tali violazioni a seguito della <strong>sentenza n.32 del 2014</strong> della Corte costituzionale, che, nel dichiarare incostituzionali gli articoli 4.bis e 4.vicies-ter della legge 49.06 (di conversione del decreto legge 272.05) ha determinato la <strong>reviviscenza della più favorevole disciplina anteriormente vigente</strong>. Per la Corte è la stessa "<strong><em>visione multifocale</em></strong>" del <strong>reato continuato</strong> (ora <strong>unitaria</strong>, ora <strong>pluralistica</strong>) che dà ragione della necessità della <strong>individuazione delle singole pene</strong> per i <strong>reati-satellite</strong> ed è <strong>essenziale</strong> ai fini della "<strong><em>misura</em></strong>" degli <strong>aumenti da apportare</strong> alla pena-base. La <strong>perdita della autonomia sanzionatoria dei reati-satellite</strong> nell'ambito del reato continuato <strong>non comporta affatto</strong> infatti, per la Corte, la <strong>irrilevanza</strong> della <strong>valutazione della gravità dei predetti reati</strong>, in sé considerati, per l'ottima ragione che il <strong>momento sanzionatorio segue quello valutativo</strong> e dunque <strong>lo presuppone</strong> e - ovviamente - <strong>si distingue</strong> da esso. Proprio la lettera del <strong>comma 2 dell'art. 533 del codice di rito </strong>(per il quale se <strong>la condanna riguarda più reati</strong>, il giudice <strong>stabilisce la pena per ciascuno di essi</strong> e <strong>quindi</strong> determina <strong>la pena che deve essere applicata</strong> in osservanza delle <strong>norme</strong> sul <strong>concorso di reati e di pene</strong> o sulla <strong>continuazione</strong>), anzi, <strong>impone</strong> tale <strong>procedura bifasica</strong>, una procedura per la quale il giudicante, <strong>prima</strong>, "<strong><em>stabilisce</em></strong>" la <strong>pena per ciascun reato</strong>, <strong>poi</strong>, "<strong><em>determina</em></strong>" la pena da applicare per il <strong>reato unitariamente considerato</strong>. La <strong>seconda</strong> fase (la "<strong><em>determinazione</em></strong>") per le SSUU <strong>ovviamente presuppone la prima</strong>, ridefinendo, in vista della <strong>unitaria risposta repressiva</strong>, la <strong>pena "<em>complessiva</em>"</strong> da applicare. La riprova della fondatezza di tale assunto la giurisprudenza la fornisce con riferimento al tema dell'<strong>incidenza delle circostanze</strong> in relazione al <strong>reato continuato</strong>. Invero, procede la Corte, se è indubbio che il <strong>giudizio di bilanciamento</strong> ai sensi dell'art. 69 c. p. deve effettuarsi <strong>solo</strong> con riguardo alle <strong>circostanze inerenti il reato più grave</strong> (vengono citate della Sez. 6 la sentenza n. 10266/91, Capozza, e della Sez. 5 la sentenza n. 4609/96, Soggia), nondimeno, le <strong>circostanze inerenti il reato-satellite</strong>, se pure rimangono - come si è appena detto - <strong>prive di efficacia</strong> nella determinazione della <strong>pena-base</strong>, <strong>devono esser tenute presenti</strong>, sia per <strong>identificare</strong> il reato - in astratto - più grave (appunto: per la <strong>determinazione della predetta pena-base</strong>), sia per <strong>determinare l'aumento</strong> che, in relazione a <strong>ciascun "<em>reato minore</em>"</strong>, deve essere <strong>apportato</strong> alla <strong>pena-base</strong>. Ed è anzi stato chiarito (viene richiamata, della Sez. 1, la sentenza n. 33758 /01, Cardamone, e della Sez. 3, la sentenza n. 1810/10) che <strong>ciò deve avvenire anche</strong> nel caso in cui si tratti di <strong>circostanza </strong>(del <strong>reato</strong> <strong>satellite</strong>)<strong> incompatibile</strong> con la <strong>violazione più grave</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio esce la sentenza delle <strong>Sezioni Unite</strong> n. 6296 che interviene in tema di calcolo in sede di <strong>esecuzione </strong>degli <strong>aumenti per il reato continuato</strong>. Analizzando l’art. 671 c.p.p., la Corte prende atto dell’esistenza di due teorie. Secondo la prima, la norma richiamata deve essere interpretato nel senso che essa esclude la possibilità di rettificare in aumento la pena inflitta per le singole fattispecie criminose minori. A sostegno di tale conclusione le pronunce di legittimità: a) valorizzano il principio del <em>favor rei</em> che ispirerebbe l'istituto; b) evidenziano il dato processuale che è l'interessato a domandare l'applicazione del principio a sentenze rimesse alla sua esclusiva scelta, di guisa che ricorre nella specie la legittima aspettativa dell'intangibilità <em>in peius</em> della decisione; c) argomentano che, pur in assenza di un disposto normativo espresso, il giudicato è vincolante in sede di esecuzione, e che esso può essere superato soltanto a favore del condannato In base alla seconda, il giudice dell'esecuzione è vincolato alla individuazione del reato più grave ed alla pena per esso stabilita, senza che analogo vincolo ricorra quanto al trattamento sanzionatorio relativo ai reati-satellite, per i quali può pertanto rideterminare la pena in misura superiore a quella inflitta in sede di cognizione. A sostegno della tesi si richiama il dettato normativo dell'art. 671, comma 2, cod. proc. pen., il quale fa riferimento al solo limite della entità complessiva della pena inflitta col singolo titolo dedotto per la continuazione, e si assume che siffatta operazione non viola il divieto di <em>reformatio in peius</em>. Il Collegio aderisce all’<strong>indirizzo più favorevole al reo</strong> evidenziando come: a) l'istituto disciplinato dall'art. 671 cod. proc. pen., nella intenzione del legislatore, ha la funzione di <strong>mitigare il regime sanzionatorio</strong> riveniente dalle sentenze pronunciate dal giudice della cognizione, considerata la difficoltà, attesa la natura del processo accusatorio, di pervenire alla celebrazione di processi complessi e coinvolgenti plurime condotte riferibili ad un medesimo imputato, difficoltà che il legislatore non ha inteso far gravare su quest'ultimo; b) trattasi, comunque, di una potestà di tipo correttivo, rimessa <em>in executivis</em>, pur sempre <strong>subordinata alla decisione del giudice del processo</strong> circa ogni accertamento finalizzato all'applicazione della continuazione; c) La riconosciuta <strong>cedevolezza del giudicato</strong> è stata applicata sempre e soltanto in favore del condannato e mai contro, di guisa che l'opzione favorevole alla possibilità di una decisione <em>in peius</em> del giudice dell'esecuzione, chiamato a determinare la sanzione del reato-satellite nella situazione data dal ricorso in esame, si appalesa contraria all'attuale fase evolutiva del diritto penale e processuale. Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: “<em>Il giudice dell'esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 866 che, giudicando su una complessa situazione di fatto, richiama l’attenzione sull’<strong>oggetto del giudizio al fine della concessione del più favorevole trattamento del reato continuato</strong>. A tale scopo, è importante che venga dimostrata sul piano giuridico la riconducibilità delle condotte a un'unica ideazione criminosa posta a base di un originario e unitario programma criminoso e non, piuttosto, la inclinazione criminosa del reo in termini di scelta di vita ispirate alla sistematica consumazione di illeciti, non predeterminati nelle loro linee essenziali, per reperire, sussistendone l'occasione o l'opportunità, denaro/provvista economica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 gennaio 2018 esce la sentenza della Cassazione penale, sez. I, n. 979, che si pronuncia in tema di procedimento di esecuzione. Sostiene la Corte che è improponibile davanti alla Corte di cassazione (e, quindi, inammissibile il relativo motivo di ricorso) la richiesta di applicazione della continuazione tra un reato ancora sub iudice ed altro reato per il quale sia intervenuta condanna definitiva successivamente alla pronuncia della sentenza oggetto di ricorso, rimanendo aperta, in tale eventualità, soltanto la possibilità che la continuazione venga applicata, in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 c.p.p.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 53 che avalla l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unita circa l’applicabilità della disciplina del reato continuato anche in sede esecutiva.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile esce l’ordinanza della IV sezione della Cassazione n. 16104 che rimette alle Sezioni Unite la questione se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee e se, in ossequio al <em>favor rei</em>, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l'aumento di pena per quest'ultimo debba conservare il genere di pena pecuniaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 luglio esce la sentenza delle Sezioni Unite n. 35852 sull’<strong>esatta applicazione dello sconto</strong> di un terzo in caso di applicazione della <strong>continuazione</strong> tra reati giudicati con <strong>rito ordinario</strong> ed altri con rito <strong>abbreviato</strong>. La Corte giunge ad affermare che l'applicazione della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi deve operare la riduzione di un terzo della pena. In particolare, dal punto di vista applicativo, il giudice della nomofilachia insegna che se la violazione più grave è quella giudicata con rito abbreviato, prima si applica la riduzione di 1/3 (di natura processuale premiale) prevista per il rito abbreviato e poi si aumenta la pena fino al triplo tenendo conto dei reati giudicati con rito ordinario; non si può invece determinare la pena complessiva muovendo dal reato giudicato con rito abbreviato, aumentando prima fino al triplo e poi procedendo alla riduzione di pena (processuale premiale) di 1/3 per l’intera pena così determinata perché i questo modo si finirebbe per applicare <strong>l’istituto processuale premiale</strong> anche con riguardo a reati giudicati con rito ordinario ed in relazione ai quali l’imputato non ha chiesto la premialità dell’abbreviato (rinunciando contestualmente al dibattimento e a tutti gli altri effetti riconnessi al rito ordinario).</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 36036 in tema di rapporti tra <strong>reato continuato e abitualità del reato</strong>. La Cassazione ricorda i propri precedenti insegnamenti secondo cui se quindi già in sede di cognizione, i giudici, a prescindere dal rito seguito nella celebrazione del processo, abbiano rapportato la violazione di volta in volta accertata e quelle già giudicate in precedenza con distinti titoli di condanna ad unica fattispecie penale continuata, viene meno la possibilità di ravvisare la pluralità di delitti nel numero minimo preteso per legge per configurare l'abitualità nel reato. Del resto, come sostenuto dalla più autorevole dottrina, l'abitualità postula un impulso criminoso reiterato nel tempo ed autonomamente emerso e realizzato in concreto, che è incompatibile con l'essenza stessa della continuazione, che resta qualificata da una ideazione e determinazione unitaria di più reati poi realizzati separatamente, al punto che può affermarsi l'incompatibilità tra i due istituti.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre esce la sentenza della II sezione <strong>civile</strong> della Cassazione n. 22028 che ritiene non applicabili le regole del reato continuato in caso di <strong>sanzioni amministrative</strong>. Ricorda la Corte che l'istituto del cumulo giuridico tra sanzioni è applicabile alla sola ipotesi di concorso formale (omogeneo o eterogeneo) tra le violazioni contestate - per le sole ipotesi, cioè, di violazioni plurime commesse con un'unica azione od omissione - non essendo per converso invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale, cioè, tra violazioni commesse con più azioni od omissioni. In tal caso, infatti, <strong>non può invocarsi</strong> neppure l'art. <strong>81 c.p.</strong> in tema di continuazione tra reati, sia perché l'art. 8 della I. n. 689 del 1981 prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza e assistenza, sia perché la differenza morfologica tra illecito penale ed illecito amministrativo non consente che, attraverso un procedimento di integrazione analogica, le norme di favore previste in materia penale vengano tout court estese alla materia degli illeciti amministrativi. Pertanto, qualora sulla base della pluralità oggettiva delle condotte poste in essere dal trasgressore si individui una fattispecie di concorso materiale, ne consegue l'applicazione della regola del c.d. cumulo materiale e, quindi, <em>quod poenam</em>, delle sanzioni previste per ogni singola violazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 settembre esce la sentenza delle <strong>Sezioni Unite</strong> n. 40983 in tema di continuazione tra reati puniti con <strong>pene eterogenee</strong>. La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie, e puniti con pene eterogenee. Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie), posti in continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, <strong>rispettando</strong> tuttavia, per il principio della pena e del <em>favor rei</em>, il <strong>genere della pena</strong> previsto per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 c.p..</p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 46132 che, sempre in tema di effetti <em>in executivis</em> del reato continuato riconosce che, ai fini della possibile revoca dell’<strong>indulto</strong>, nel caso di commissione di delitti non colposi unificati dalla continuazione entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge sull’indulto, il giudice dell’esecuzione deve accertare quale sia la pena rilevante (non inferiore a due anni) individuandola fra quelle in concreto inflitte per ciascun reato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 49700 sui <strong>benefici penitenziari</strong> concedibili in caso di reato continuato. Secondo la Corte se sussistono più condotte delittuose, legate dal nesso della continuazione, di cui alcune integrate prima del compimento dei settant’anni, non trova applicazione il beneficio di cui all’art. 163, comma 3, c.p. (sospensione condizionale della pena), dovendo tutti i fatti essere stati realizzati dopo il raggiungimento del limite di età prescritto per legge.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 novembre esce la sentenza delle <strong>Sezioni Unite</strong> n. 51063 che intervengono sul caso di <strong>detenzione congiunta di diverse sostanze stupefacenti</strong>. Non è dubbio, chiosa la Corte, che condotte consumate in contesti diversi - e che non abbiano ad oggetto il medesimo quantitativo di stupefacente od una sua partizione - realizzano fatti autonomi e che, qualora uno degli stessi possa essere qualificato di lieve entità, i reati rispettivamente integrati concorrono e, sussistendone i presupposti, possono essere unificati ai fini ed ai sensi dell'art. 81, secondo comma, cod. pen., anche a prescindere dalla omogeneità od eterogeneità delle sostanze che ne costituiscono l'oggetto. La consumazione in tempi diversi, ma in unico contesto di più condotte tipiche (inevitabilmente diverse tra loro) in riferimento al medesimo oggetto materiale (inteso nella sua identità naturalistica), integra invece un unico fatto di reato, atteso che quelle contenute nei commi 1 e 4 dell'art. 73 T.U. stup. sono norme miste alternative. La loro eventuale convergenza con la disposizione del comma 5 sull'unico fatto configurabile determina poi un concorso apparente tra norme incriminatrici che, come pure si è già illustrato, deve essere risolto in favore di quest'ultimo qualora il fatto medesimo venga ritenuto di lieve entità.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 53408 che, ribadisce il consolidato principio secondo cui il <strong>diritto di querela</strong>, in caso di <strong>reato continuato</strong>, decorre dal momento in cui la persona offesa giunge a <strong>conoscenza del reato</strong>, ossia dal momento in cui quest’ultima sia in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari per determinarsi e proporre l’istanza punitiva. Il reato continuato, quindi, deve essere considerato quale fenomeno unitario solo per i limitati fini previsti espressamente dalla legge. Pur in presenza di un unico disegno criminoso, infatti, <strong>ogni episodio delittuoso</strong> ha sue proprie caratteristiche e diversa potenzialità lesiva: la persona offesa, conseguentemente, ha il diritto di determinarsi diversamente con riguardo a ciascuno degli episodi, formulando, eventualmente, solo per taluni di essi istanza di punizione del presunto responsabile e soprassedendo per altri. Da ciò discende la necessità di far decorrere il relativo termine autonomamente per i singoli reati; né sarebbe ragionevole ritenere che il soggetto passivo possa chiedere, sin dal verificarsi del primo episodio, anche la punizione del reo per episodi futuri.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della Corte di Cassazione n. 57355, sez. IV penale, che si pronuncia sui rapporti esistenti tra reato continuato, recidiva e abitualità della condotta ex art. 131 bis c.p. Sostiene la Corte di Cassazione che <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=4%3dNaISR%26H%3dCZ%26A%3dYCSRc%261%3dRNaEVU%26Q%3dtKGL_4rpv_E2_Eweq_OB_4rpv_D7JS9.56NuKGKq86Q5K6Vu2.6P_4rpv_D7AA9J_Eweq_OBCV_Eweq_OBLaWfLZOWCY_Eweq_OBX_2yE6LxHuKx_0qC97_oFA01KG7_oI6IuEBOm_EBJ_q_C2CmKx_7x_4BJo6GP1_56_Nq460uMx.D6D9_Nctm_YrLGI_5FHNo6_Eweq_P0P6d_JqNFHqKGA4_Inyb_SSQ6D_0Ap0HI_4rpv_E52Im09_Nctm_XHLGI_o20Lm04J_4rpv_E5a2x7mAS%265%3d%266O%3dFSTeL">a configurabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto non è compromessa dalla presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora da questi emergano elementi incompatibili con l’abitualità ex dell’art. 131-bis c.p.p..</a></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 gennaio esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I Penale, n. 749, che si pronuncia sugli elementi caratterizzanti l’identità del disegno criminoso, proprio del reato continuato. Afferma in pronuncia la Corte che <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=5%3dFaKTJ%26H%3dEa%263%3dYEUGb%263%3dSFaGWM%26Q%3dvL9L_6shv_G3_7wgr_GB_6shv_F8BSA.6xNwL9Ks9xQ7LxVw3.xP_6shv_F83AAK_7wgr_GBEW_7wgr_GBNbOfNaGXJV_7wgr_GBUDx_Az72A2Lx_9oJpP877EDRpJ8A_1_Er73PwLp_0sD_sE77vJ3_57E1A3K7G.wP1D_7wgr_HB9L2_O3M79s_Jfyd_Usjsi_3AAK1A8LtN_6shv_FX0P1_Et0wM2_Neue_Yr727wD_7wgr_Gb9L2_9oE57w93_Neue_Yrftm%26r%3d%26A8%3dZFaF3p7oc">la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi illeciti, l’unitarietà del contesto, l’analogia dei singoli reati, l’identità della spinta a delinquere non costituiscono indizi necessari di una programmazione e deliberazione unitaria, ma ciascuno di questi elementi incrementa la possibilità di accertamento dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 marzo esce la sentenza n. 10026 della Corte di Cassazione, sez. I Penale, in tema di <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=7%3dIZPVM%26G%3dJc%266%3dXJbQc%268%3dUIZLYP%26P%3d1NBK_Auku_L5_0vlt_JA_Auku_K0ERF.81M2NBJxA1PBN1U25.1O_Auku_K060FM_0vlt_JAJY_0vlt_JASdReScKVQU_0vlt_JAe_It75CyJ_wC_5JCCD6IC7Ix_8wG_zCC927w_D7_7sN8_81_M277I8MuD696O8_8wG_EC688F7_9xF46_vI6O2HC6IC7Ix_C6_Nx8w_0B9uPCCD6.1N5G_Auku_L0CO6_M7PA7w_Mjwh_Xwhwl_79EN59BOxL_0vlt_JaDN5_Hx81P6_Lix5s6ti_Wv0651G_Auku_KZCO6_7sH951B7_Lixi_Wvixk%26v%3d%26DB%3dXKaOY">obbligo di motivazione del giudice in caso di riconoscimento del vincolo della continuazione in sede esecutiva</a>. <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=6%3dGUDUK%26B%3d8b%264%3dS8aOX%26v%3dTGU0XN%26K%3doM0F_ytip_04_8qZs_H6_ytip_99CM4.7yHpM0El0yKzMyPp4.yJ_ytip_99454L_8qZs_H68X_8qZs_H6GcPZGbIQET_8qZs_H6S_Hr2sBwE_kB_3E1BB17B5Dl_7uB_nBA4p6u_9u_6qIv_7y_Hp65DvLs9t84Jv_7uB_3B43vE5_4lE21_jH4JpGA17B5Dl_B4_Il7u_5z8sK1BB1.oM3B_ytip_09AJt_L5Ky6u_HXvf_Skgug_u8CIs80JlK_8qZs_HV2M3_Cl7yKt_Kgs4q1hW_Vt5t4yB_ytip_9YAJt_6qCw4y7u_KgsW_Vtdlj%26t%3d%269z%3dWIVCX">Il giudice, segnatamente, ha l’obbligo di fornire un’adeguata motivazione solo nel caso in cui la diminuzione di pena sia lieve. Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha ribadito un principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui l’obbligo di motivazione dei provvedimenti, ed in particolar modo quello connesso alla definizione dei criteri utilizzati per la determinazione della pena, è direttamente connesso all’entità della pena irrogata.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza dalla Corte di Cassazione, sez. I penale, n. 16128, che si pronuncia sulla <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=8%3dCUHWG%26B%3dBd%26z%3dSCXLX%26z%3dVCUDZJ%26K%3dsO6F_3vep_D6_4qdu_D6_3vep_CA9M8.9uHtO6EpBuK4OuPt6.uJ_3vep_CAz58N_4qdu_D6BZ_4qdu_D6KeLZKdEWEa_4qdu_D6W6_49w081yUm_4pG_oEyOqI5J_5EnD1_1x7u5yOmBp_KqH_tG_49nJzE48uCpI6E_o0xBl_81D5DzKlUuEy0_6Hl_Mq15D_oExHqI4D_p1_6I_y9yJ45.sOyB_3vep_DA7Jx_N1K38q_Hbxb_Soiqg_y09Iw06JpM_4qdu_DV6Oy_Cp9uKx6m1l_Mcsa_Xp5x6uB_3vep_Ca7Jx_8mC16u7y_Mcsa_Xpdpl%26p%3d%2694%3dYFQIW"> rilevanza del contesto socio-ambientale per il riconoscimento della continuazione tra reati commessi da un minore</a>, sancendo che <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=0%3dGcGYK%26J%3dAf%264%3daBZPf%26y%3dXGcCbN%26S%3drQ0N_2xix_C8_8ycw_HD_2xix_BCCU7.AyPsQ0MoDyS3QyXs8.yR_2xix_BC4C7P_8ycw_HDAb_8ycw_HDJgPhJfIeDc_8ycw_HDV8_8GvBB9xWq_BoI_sMxQuQ4L_9MmF5_9w9yCxQqJo_MuP_sI_8GmL4M30yKoK0M_nB2Jk_05L4F4SkWyMxB_0Pk_Ou94F_sMwJuQ3F_t9_5K_3GxL8C.rQ3J_2xix_CCARw_P5S20u_Pazf_ankuo_xBCQvB0RoO_8ycw_Hd5Q3_KoAySw8q9k_Og1Z_ZtCw8yJ_2xix_BcARw_0qKz8yEx_Og1Z_Ztlon%26t%3d%26G3%3daJYHY">spetta al giudice, con adeguata motivazione, considerare l’incidenza delle condizioni sociali e ambientali in cui il minore è cresciuto sulla programmazione delle condotte illecite tenute, in considerazione della particolare sensibilità del soggetto e della sua condizionabilità dal contesto che lo circonda.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 aprile esce la sentenza n. 16502 della Corte di Cassazione penale, sez. III, che si pronuncia sancendo che <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=0%3dLaTYP%26H%3dNf%269%3dYOZMX%26B%3dXLaPbS%26Q%3d5QEL_Exnv_P8_Cwpw_MB_Exnv_OCHSJ.A4N6QEK2D4QFQ4V68.4P_Exnv_OC9AJP_Cwpw_MBNb_Cwpw_MBWgUfWfNcUb_Cwpw_MBfI_CAxQ0_9BKEEARvPB_B_xK0MvP694H2_00J_9_BD99RDEBKz_02I77_CR9EyF7EG8_AAE_MvNGFxK98CA_GB9Q6Qv.DGJ7_Nnzk_Y3REI_FLFNzB_Cwpw_N0aBb_J2TDH2QEAE_Olym_YQQGJ_8A1FFI_Exnv_PAzIxF7_Nnzk_XSREI_8v7xz88LxF2J_Exnv_PAYAd%26A%3d%264O%3dQaMfQ">Il reato continuato è compatibile con l'esclusione della punibilità per particolare tenuità</a>, nel caso in cui si tratti di più azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della stessa persona.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio esce la sentenza n. 20536 della Corte di Cassazione, sez. V penale, che si pronuncia sugli atti persecutori, propri della condotta del delitto di <em>stalking</em>, e sulla loro qualificazione, chiarendo che <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=7%3d8WUVB%26D%3dOc%26u%3dUPY0S%26C%3dU8WQYE%26M%3d6N1H_FuZr_Q5_ysqt_98_FuZr_P04OK.8pJ7N1G3ApMGNpR75.pL_FuZr_P0u7KM_ysqt_98OY_ysqt_98XdGbXcASXY_ysqt_98eFp_3HNp_H3Lz71O1GFC_jGGNpLICz5CHv_MB_OuAH5yAy_7vF2I1Ly_Im83HzAJ5_l_FCH_2Fy_JsMF5sAH5_kA_29sAHNp_5CH1ABOhL7.B1E0_LXun_WmMHG_zGILj7_FuZr_Q8K7e_HlOGFlLH9y_JowW_TTO1E_A9kAIG_ysqt_0635h3yGhA0_LXun_VCMHG_j3AJhA5H_ysqt_06b9N%266%3d%267M%3dAVRbA">gli atti persecutori costituiscono un'unitaria condotta offensiva e non una pluralità di delitti continuati</a>. <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=7%3dGZHVK%26G%3dBc%264%3dXCYIV%26z%3dUGZDYN%26P%3dsN0K_3uiu_D5_8vdt_HA_3uiu_C0CR8.8yMtN0JpAyP4NyUt5.yO_3uiu_C0408M_8vdt_HABY_8vdt_HAKdPeKcJVKY_8vdt_HARFy_65Ny_KpL90nO0J3C_sJ4NyO6C98zH5_Py_O4D558Dl_75IoI0Ol_IvApH9D75_u_IzH_AIl_J2P352D55_tD_o92D5Ny_8zH0DyOqOt.B0Hw_Lgxa_WvP5G_9J6Ls0_3uiu_D8T0R_HuR4FuO598_Mbwf_WGO0H_x9tD6G_8vdt_I9p5q6lGqDw_Lgxa_VLP5G_s6xJqDrH_8vdt_I9O9W%269%3d%26tM%3dJYEbJ">Il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. ha carattere abituale ed è il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso. Pertanto, la reiterazione degli atti considerati tipici, anche se realizzati con strumenti differenti, costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, senza che si configuri una pluralità di delitti avvinti sotto il vincolo della continuazione.</a>Il 7 ottobre esce la sentenza n. 41063 della Corte di Cassazione penale, sez. III, che afferma il principio di diritto secondo cui l’imputato che richiede il riconoscimento della continuazione con reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal scopo, ma ha l’obbligo di produrne la copia, dato che questi è assistito in giudizio da un difensore che ha a sua volta l’onere di produrre gli elementi posti alla base dell’istanza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. III, n. 46370, che riconosce che, in caso di ricorso presentato denunciando il vizio di omesso errore del giudice di merito sull’applicazione dell’aumento di pena, previsto per il reato continuato, la Corte di Cassazione può eventualmente annullare senza rinvio al giudice di merito, con rideterminazione della sanzione. In specie, ove l’aumento per la continuazione determinato dal giudice di merito superi il triplo della pena inflitta per la violazione ritenuta più grave, la Cassazione deve annullare la sentenza senza rinvio e rideterminare direttamente la sanzione fissandola nel valore triplo di quella inflitta per il reato base, ritenuta la pena quale risultante dall’applicazione delle circostanze ed aggravanti e dalla comparazione delle stesse ex art. 69 c.p..</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 dicembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 49026, che riconosce che l’istituto del reato continuato è applicabile anche ai reati contravvenzionali. Infatti, secondo il ragionamento seguito dalla Corte, l'art 42 c.p. si limita a prevedere la punibilità delle contravvenzioni a titolo di colpa o dolo, indifferentemente. Ove sia dimostrato che le contravvenzioni commesse abbiano avuto tutte carattere doloso, l'istituto della continuazione è applicabile anche ai reati contravvenzionali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 giugno esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I penale, n. 24660, che si pronuncia sui presupposti <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=0%3dFWUYJ%26D%3dOf%263%3dUPdKW%26C%3dXFWQbM%26M%3d6Q9H_Fxhr_Q8_7sqw_G8_Fxhr_PCBOK.AxJ7Q9G3DxMGQxR78.xL_Fxhr_PC37KP_7sqw_G8Ob_7sqw_G8XgObXfIVQa_7sqw_G8j_8r53O93AB3LC_AtD08_rGBQxFI8EACKt_LF8_77yQx_K304F2L_13_5F0J7P5JIAtFN8_sA_0BvAHQxE7Qp.0HJ1_Joze_U4R9E_GL0J1B_7sqw_H6bBV_F3T8D3Q97F_Ofun_YKMHJ_272F0E_Fxhr_QAtEyF1_Joze_TTR9E_182HyF8p3yvF_Fxhr_QAS7e%26A%3d%26xK%3dRaMbW">per il riconoscimento della continuazione tra reati. Decidendo in merito al ricorso avverso il diniego dell’applicazione della disciplina della continuazione tra reati, gli Ermellini richiamano i principi consolidati dalla giurisprudenza in tema di accertamento dell’unicità del disegno criminoso, presupposto per l’applicazione dell’invocata disciplina.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I Penale, n. 25205, che si pronuncia sulla rilevanza della condizione di tossicodipendenza dell'imputato ai fini del giudizio sulla sussistenza della continuazione tra reati, stabilendo che ai fini del giudizio sulla sussistenza della continuazione tra reati, il giudice non può tralasciare la condizione di tossicodipendente dell’imputato, debitamente documentata in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° luglio esce la sentenza della Cassazione penale, sez. III, che si pronuncia sulla sospensione condizionale della pena, nel caso del reato continuato, affrontando la questione se possa fuirne l’ultrasettantenne. Sostiene la Corte che in presenza di più episodi criminosi, avvinti dal vincolo della continuazione, ove alcuni di essi siano stati commessi in epoca in cui l’imputato non aveva ancora compiuto settant’anni, non può trovare applicazione il disposto dell’art. 163, comma 3, c.p. che presuppone che tutti i fatti siano stati commessi “da chi ha compiuto gli anni settanta”, neppure rilevando l’eventuale circostanza che il fatto più grave sia stato commesso quando l’imputato aveva già compiuto i settant’anni.</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° luglio esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. V, n. 28364, che affronta la questione se tra le condotte condotte di produzione, detenzione e traffico di stupefacenti, si possa ritenere configurabile il relativo assorbimento o il vincolo della continuazione tra le stesse. Questa è la questione di Massima, sostenuta dalla Corte di Cassazione: ai sensi dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, che prevede condotte tra loro alternative e concorrenti, potrà realizzarsi un assorbimento tra le stesse, che cosi perdono la loro individualità, quando queste si riferiscano alla stessa sostanza stupefacente e siano indirizzate ad un unico fine, cosicché, se consumate senza una apprezzabile soluzione di continuità, devono considerarsi come condotte plurime di un unico reato. Di contro, <strong>nel caso di scissione temporale tra due condotte, non potrà parlarsi di condotte plurime di un medesimo reato, ma di condotte diverse, suscettibili di essere avvinte dal vincolo della continuazione. </strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale natura giuridica va riconosciuta al reato continuato?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta (prima opzione, <strong>recessiva</strong>) sempre di <strong>un solo reato</strong>, pur al cospetto di <strong>molteplici violazioni</strong> – <strong>omogenee od eterogenee</strong> - della <strong>legge penale</strong> (in sostanza, di più reati);</li> <li>si tratta (seconda opzione, <strong>recessiva</strong>) sempre di <strong>molteplici violazioni</strong> – <strong>omogenee od eterogenee</strong> - della legge penale (in sostanza, di <strong>più reati</strong>);</li> <li>si tratta (opzione <strong>dominante</strong>), <strong>a seconda dei casi</strong>, di <strong>un solo reato</strong> o di <strong>più reati</strong> a seconda del <strong>risultato</strong>, <strong>più favorevole al reo</strong>, che ne <strong>discende</strong>, dovendosi sempre muovere dalla <strong><em>voluntas legis</em></strong> intesa a <strong>mitigare il trattamento sanzionatorio</strong> per il reo, in funzione della relativa (e complessiva) <strong>minore riprovevolezza</strong> per essere ciascuna violazione della legge penale (e dunque ciascun reato) <strong>esecutiva di un medesimo disegno criminoso</strong>; occorre dunque guardare agli <strong>effetti più favorevoli per il reo</strong>, che possono <strong>in alcuni casi</strong> far assumere la continuazione come facente luogo, <strong>in modo fittizio</strong>, ad <strong>un unico reato</strong>, ed <strong>in altri casi</strong> far considerare <strong>in modo isolato</strong> i <strong>singoli reati avvinti</strong> dalla continuazione;</li> <li>per quanto riguarda la <strong>pena principale</strong>, la continuazione viene assunta quale <strong>reato unico</strong>, con applicazione prevista per il <strong>reato più grave</strong>, <strong>aumentata fino al triplo</strong> (c.d. cumulo giuridico);</li> <li>da come si intende la <strong>natura giuridica della continuazione</strong> (<strong>unitaria</strong> o <strong>parcellizzata</strong>) discendono tuttavia <strong>diverse conseguenze</strong> in termini di applicazione al reo delle <strong>circostanze </strong>(preferibile in genere l’opzione <strong>parcellizzata</strong>), delle <strong>cause di estinzione del reato</strong> (si pensi alla <strong>sospensione condizionale della pena</strong>, al cui riguardo è più favorevole al reo assumere il reato continuato <strong>come “<em>unitario</em>”</strong>), delle <strong>cause di estinzione della pena</strong> (si pensi all’<strong>amnistia propria</strong> e <strong>impropria</strong> e all’<strong>indulto</strong>, al cui riguardo è più favorevole per il reo assumere il reato continuato <strong>come “<em>parcellizzato</em>”</strong>), delle <strong>pene accessorie</strong> e delle <strong>misure di sicurezza</strong>, della <strong>dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato</strong> (ai fini di quest’ultima è ad esempio più favorevole al reo considerare <strong>fittiziamente</strong> la continuazione come <strong>un unico reato</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi pone la continuazione con riguardo ai reati associativi?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>tutti i reati avvinti dalla continuazione</strong>, e dunque commessi in <strong>esecuzione</strong> di un <strong>medesimo disegno criminoso</strong>, possono essere realizzati da <strong>più soggetti in concorso tra loro</strong>; il <strong>concorso di persone</strong> nei <strong>reati di cui al disegno criminoso</strong>, e dunque <strong>nella continuazione</strong>, non impone tuttavia la <strong>previa costituzione di una associazione a delinquere</strong>, neppure <strong>precaria</strong> o <strong>rudimentale</strong>; si pone allora il problema di capire <strong>quando è associazione a delinquere</strong> – strutturalmente idonea e a partecipazione necessaria dei sodali – e quando è <strong>mero concorso eventuale nella continuazione</strong>; l’<strong>associazione a delinquere</strong> prevede un <strong>accordo</strong> orientato a compiere una <strong>serie indeterminata di reati</strong>, è <strong>strutturalmente più o meno stabile</strong> e crea <strong>maggiore allarme sociale</strong>, mentre la <strong>mera partecipazione</strong> ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong> resta <strong>meramente</strong> <strong>contingente</strong> ed <strong>occasionale</strong> e <strong>l’episodio</strong> <strong>si chiude</strong> una volta <strong>commessi tutti i reati divisati</strong> e raccolti nel medesimo disegno criminoso, con <strong>minore allarme sociale</strong>;</li> <li>se un’associazione <strong>è stata costituita</strong>: b.1) ci si chiede se sia possibile – e con quali effetti – costituire una <strong>associazione a delinquere</strong> finalizzata a commettere <strong>reati scopo plurimi tra loro avvinti dalla continuazione</strong>; la risposta della dottrina e della giurisprudenza è <strong>normalmente positiva</strong>, e dunque è possibile che si configuri <strong>la continuazione tra tutti i reati scopo o tra alcuni di essi</strong>; alla fine si avrà da un lato il <strong>delitto associativo</strong>, e dall’altro i <strong>reati scopo in continuazione tra loro</strong>, e dunque un <strong>concorso</strong> tra <strong>delitto associativo</strong> e <strong>reato continuato</strong>; b.2) ci si chiede altresì <strong>cosa distingue</strong> la <strong>partecipazione ad una associazione a delinquere</strong> dalla <strong>partecipazione in concorso</strong> alla <strong>commissione di una serie di reati</strong> avvinti dalla <strong>continuazione</strong>: la risposta della giurisprudenza è, come accennato <em>supra</em>, che <strong>si partecipa</strong> ad una <strong>associazione a delinquere</strong> quando <strong>l’accordo associativo</strong> è diretto ad attuare un <strong>programma criminoso destinato a durare nel tempo</strong>, finalizzato a commettere <strong>una serie di delitti</strong> e dunque <strong>capace di creare allarme sociale</strong>; si partecipa alla <strong>continuazione</strong>, e dunque ad <strong>una serie di reati avvinti dalla continuazione</strong>, allorché ci si accordi <strong>in modo accidentale, contingente ed occasionale</strong>, <strong>senza</strong> creazione di <strong>una stabile organizzazione</strong>, con lo scopo di realizzare <strong>solo uno o più reati</strong> avvinti appunto dal medesimo disegno criminoso, con <strong>esaurimento degli effetti dell’accordo</strong> una volta <strong>commessi tutti i reati divisati</strong> e conseguente <strong>fine dell’allarme sociale</strong> e del <strong>pericolo ad esso connesso</strong>; b.3) ci si chiede infine, <strong>più a monte</strong>, se tra <strong>associazione a delinquere</strong> e <strong>reati scopo</strong> possa configurarsi la <strong>continuazione</strong>; essa <strong>può configurarsi</strong>, ma <strong>non è connaturata all’associazione a delinquere</strong>, il cui <strong>programma delinquenziale</strong> varato dagli associati <strong>può rimanere generico</strong>, <strong>impreciso</strong> e dunque non risolversi in un <strong>disegno criminoso specifico</strong>; in sostanza, secondo la maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, quando si dà l’abbrivio <strong>ad una associazione per delinquere</strong> si vara un <strong>generico programma delinquenziale</strong> che <strong>non implica preventiva e precisa rappresentazione</strong> da parte di tutti gli associati delle <strong>singole violazioni</strong> che si andranno a perpetrare, e dunque dei <strong>singoli reati</strong> che si andranno a commettere; laddove <strong>tale preventiva rappresentazione e volizione vi sia</strong>, può tuttavia configurarsi <strong>continuazione</strong> tra il <strong>delitto associativo</strong> ed i <strong>reati scopo concretamente posti in essere</strong>; non sussiste dunque <strong>incompatibilità strutturale</strong>, né <strong>indefettibile contiguità temporale</strong>, tra <strong>programma associativo a delinquere</strong> – <strong>generico ed indeterminato</strong> – e <strong>disegno criminoso</strong> della <strong>continuazione</strong> – <strong>preciso e determinato</strong> – come invece assunto da parte della giurisprudenza; si tratta piuttosto di una <strong>questione di fatto</strong> che va di volta in volta rimessa <strong>all’accertamento del giudice del merito</strong>, in quanto <strong>astrattamente</strong> è ben possibile che tra <strong>associazione a delinquere</strong> e <strong>singoli reati fine</strong> vi sia <strong>continuazione</strong>, ma in concreto ciò <strong>va accertato</strong> al fine di applicare il <strong>peculiare regime <em>pro reo</em></strong> che contraddistingue la continuazione medesima, dovendo acclararsi se il <strong>programma criminoso dell’associazione</strong>, normalmente <strong>generico</strong>, sia invece <strong>così specifico</strong> in rapporto ai reati fine divisati da configurare per l’appunto un <strong>medesimo disegno criminoso</strong>. Parte della dottrina – in una prospettiva <strong>più ideologica che sistematica</strong> - ha peraltro evidenziato come sia almeno in parte <strong>fuorviante</strong> contrapporre la <strong>genericità</strong> del programma criminoso connesso alla costituzione di un’associazione a delinquere (che può piuttosto nascere <strong>già con un programma specifico</strong> di delitti da realizzare da parte dei sodali) alla <strong>specificità</strong> del disegno criminoso proprio del <strong>reato continuato</strong> (che <strong>può non essere così specifico <em>ab origine</em></strong>, senza per questo perdere consistenza come tale, e dunque come reato continuato): piuttosto occorre verificare se il <strong>trattamento sanzionatorio più mite</strong> di cui al <strong>reato continuato</strong> sia <strong>compatibile</strong> con il <strong>giudizio di sostanziale riprovevolezza</strong> che (specie in contesti <strong>emergenziali</strong>) investe le <strong>stabili organizzazioni</strong> costituite appositamente per violare la legge penale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale rapporto si configura tra reato continuato e reati colposi?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>incompatibilità strutturale</strong>: ne consegue la <strong>inapplicabilità</strong> della <strong>continuazione</strong> ai <strong>reati colposi</strong>, e dunque anche alle <strong>contravvenzioni a struttura colposa</strong>, dal momento che la continuazione – giusta riferimento al <strong>medesimo “<em>disegno</em>” criminoso</strong> – presuppone indefettibilmente il <strong>dolo</strong> (dottrina e giurisprudenza maggioritarie); in sostanza, <strong>l’evento</strong> nel reato colposo <strong>non è voluto</strong>, mentre il <strong>“<em>disegno</em>” criminoso</strong> presuppone <strong>eventi non solo voluti</strong>, ma tra loro in qualche modo <strong>collegati <em>ex ante</em></strong> giusta, per l’appunto, un <strong>consapevole e volontario disegno</strong> del comune autore che, <strong>con plurime condotte</strong>, le orienta ad uno <strong>scopo unitario</strong>, <strong>voluto</strong>, che <strong>tutte le avvince</strong> e verso il quale <strong>tutte convergono </strong>palesandosi quali relative<strong> “<em>esecuzioni</em>”</strong>; ciò anche in considerazione del fatto che nel reato colposo la <strong>volontà dell’autore</strong> è <strong>connessa solo alla condotta</strong> imprudente, negligente, imperita (colpa generica) o violativa di norme (colpa specifica), e <strong>non anche all’evento</strong> che <strong>ne scaturisce</strong> e che, laddove <strong>in qualche modo previsto ed accettato</strong> quale <strong>possibile conseguenza</strong> della condotta medesima, configura già <strong>dolo</strong> (declinato come <strong>eventuale</strong>), e <strong>non più colpa</strong> (neppure <strong>con previsione</strong>, che è pure incompatibile con un <strong>progetto criminoso</strong> in cui <strong>si vogliono gli eventi</strong>, e <strong>non i pertinenti rischi</strong> assistiti dalla <strong>convinta certezza di non incorrervi</strong>): emblematico il caso - addotto ad esempio in dottrina - del <strong>costruttore edile</strong> che al precipuo fine di risparmiare <strong>non adotti determinate precauzioni</strong> a tutela dei propri lavoratori, accettando <strong>il rischio</strong> dei loro infortuni in successione, onde se <strong>è mera colpa</strong> vi è <strong>concorso di reati colposi</strong>, mentre se è <strong>dolo eventuale</strong> può potenzialmente configurarsi <strong>la continuazione</strong>;</li> <li>possibile, <strong>limitata compatibilità strutturale</strong>; ne consegue la <strong>possibile applicazione</strong> del regime della continuazione anche a fattispecie <strong>colpose</strong>, seppure in <strong>casi limitati e particolari</strong> (dottrina e giurisprudenza minoritarie); mentre in epoca recente le <strong>voci favorevoli</strong> sembrano voler scongiurare, sul piano <strong>astratto,</strong> un <strong>eccessivo schematismo concettuale</strong> della tesi opposta, gli <strong>esempi concreti</strong> più noti si ritrovano nella dottrina più remota, come nelle ipotesi di un <strong>cuoco</strong> di trattoria che avveleni in più occasioni più clienti per il relativo, <strong>continuato avvalersi </strong>di un <strong>arnese di rame mal stagnato</strong>; o nella fattispecie dell’<strong>automobilista</strong> che imprudentemente investa un pedone senza avvedersene, e ne investa poi un altro a cagione della <strong>medesima imprudenza</strong>, stavolta accorgendosene; come ben si nota tuttavia, in queste ipotesi il <strong>medesimo disegno</strong> avvolge semmai <strong>le condotte colpose in successione</strong>, e <strong>non gli eventi</strong> che – quand’anche omogenei - <strong>dalla relativa “<em>esecuzione</em>”</strong> discendono; chi è <strong>favorevole</strong> fa poi leva, secondo un <strong>criterio letterale</strong>, sulla <strong>dizione codicistica</strong>, alla cui stregua ben potrebbe un reato colposo essere commesso in “<strong><em>esecuzione</em></strong>” di un <strong>medesimo disegno criminoso</strong> che annoveri <strong>tutta una serie di reati dolosi</strong>, onde <strong>in occasione della “<em>esecuzione</em>”</strong> di tale <strong>preordinato disegno criminoso</strong>, vengono commessi <strong>anche dei reati colposi</strong>, che non possono <strong>non godere del medesimo trattamento favorevole</strong> <strong><em>pro reo</em></strong> perché si inseriscono in un <strong>contesto unitario</strong> in cui <strong>le contro spinte etiche</strong> rispetto al delitto sono comunque <strong>offuscate e affievolite</strong>, nel <strong>contesto generale</strong> di una <strong>dinamica psicologica meno grave</strong> che include tanto i <strong>reati dolosi</strong> rientranti <strong>a pieno titolo</strong> nel disegno criminoso, quanto i <strong>reati colposi</strong> commessi, dal punto di vista <strong>cronologico</strong>, per l’appunto <strong>in “<em>esecuzione</em>”</strong> di tale disegno, e dunque <strong>da esso occasionati</strong>, dovendosi anche considerare che una <strong>condotta violativa di norme cautelari</strong> vede <strong>scemare</strong> la propria <strong>evitabilità</strong> quando è per l’appunto <strong>inserita</strong>, sul crinale <strong>psicologico</strong>, nel contesto di un <strong>medesimo programma criminoso </strong>(il problema si è opposto per la <strong>morte come conseguenza di altro delitto ex art.586 c.p.</strong>, per chi la considera fattispecie di <strong>dolo misto a colpa</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>La responsabilità oggettiva è compatibile con la continuazione?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Si ritiene generalmente di <strong>no</strong>, tenuto conto del fatto che un <strong>medesimo disegno criminoso</strong>, e dunque un <strong>programma criminale divisato <em>ex ante</em></strong>, <strong>non può</strong> annoverare <strong>eventi</strong> addossati al soggetto agente <strong>sulla sola base del nesso di causalità</strong>, tenuto conto che tali eventi sono <strong>normalmente imprevedibili e concretamente imprevisti</strong>, e dunque <strong>in netta frizione</strong> con quello che è <strong>preordinatamente voluto</strong> dal soggetto agente: ovviamente <strong>non applicare la continuazione</strong> si risolve in un <strong>trattamento sanzionatorio assai rigoroso</strong> per il soggetto agente (il problema si è opposto per la <strong>morte come conseguenza di altro delitto ex art.586 c.p.</strong>, per chi la considera fattispecie di <strong>dolo misto a responsabilità oggettiva</strong>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>E’ applicabile la continuazione alle contravvenzioni?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>no</strong>: quando il legislatore forgia <strong>una contravvenzione</strong>, essa è punibile <strong>a titolo di dolo o a titolo di colpa</strong>, onde <strong>si prescinde</strong> dall’<strong>elemento soggettivo</strong> e ciò fa <strong>escludere</strong> l’applicabilità del regime della continuazione, che invece <strong>presuppone l’atteggiamento doloso</strong> (e <strong>preordinato</strong>) del soggetto agente; in sostanza, per le contravvenzioni <strong>è sufficiente la coscienza e volontà della condotta</strong>, in disparte se poi essa <strong>si traduca in un evento doloso o colposo</strong> onde, palesandosi <strong>inammissibili ed ultronee ulteriori indagini</strong> <strong>psicologiche</strong> con riguardo al soggetto agente, la continuazione è <strong>inapplicabile</strong>; peraltro, la bontà di questa opzione ermeneutica si ritrae anche <strong>dall’aggettivo “<em>criminoso</em>”</strong> che ha usato il legislatore del codice per qualificare il <strong>disegno</strong> del soggetto agente che, come tale, <strong>coinvolge solo</strong> le <strong>più gravi fattispecie dei delitti</strong>, e <strong>non anche le ipotesi</strong> in cui intervengano <strong>contravvenzioni miste a delitti</strong>, ovvero <strong>sole contravvenzioni</strong> (tesi più <strong>remota</strong>);</li> <li><strong>si</strong>: al cospetto di una <strong>contravvenzione</strong>, è possibile <strong>accertare</strong> se essa – sul piano <strong>soggettivo</strong> – è in concreto <strong>sorretta dalla colpa</strong> ovvero <strong>dal dolo</strong>, per applicare eventualmente la continuazione <strong>in quest’ultimo caso</strong>, laddove il reato contravvenzionale (acclarato come <strong>doloso</strong>) sia <strong>tra quelli inseriti nel programma criminoso</strong> <strong>divisato</strong> dal soggetto agente (tesi più <strong>recente</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si determina la pena da applicare al reo in caso di continuazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si individua la <strong>violazione (reato) più grave</strong>, tenendo conto delle eventuali <strong>circostanze</strong>; all’uopo, vanno valutati <strong>tutti i singoli reati avvinti</strong> dalla continuazione, sia dal punto di vista <strong>oggettivo</strong> che dal punto di vista <strong>soggettivo</strong>; dal punto di vista <strong>soggettivo</strong>, è importante la valutazione della <strong>colpevolezza</strong>, proprio al fine di verificare se il singolo reato <strong>è compatibile</strong> con il <strong>medesimo disegno criminoso</strong>, che rappresenta l’<strong><em>ubi consistam</em></strong> della <strong>continuazione</strong> e che il singolo reato deve aver <strong>contribuito ad eseguire</strong>; si distinguono due tesi: a.1) la valutazione va sempre fatta <strong>in astratto</strong>, trattandosi di un criterio <strong>legale</strong> e <strong>maggiormente garantista</strong>, onde un <strong>delitto</strong> è <strong>sempre più grave</strong> di una <strong>contravvenzione</strong>, anche qualora <strong>in concreto</strong> la contravvenzione sia punita in modo più grave del delitto; rileva il <strong>massimo di pena edittale</strong> e, in caso di parità, il <strong>maggior minimo edittale</strong>; a.2) la valutazione va sempre fatta <strong>in concreto</strong>, e dunque <strong>a valle dell’accertamento</strong> da parte del giudice, onde può accadere che su un piano <strong>astratto</strong> sarebbe <strong>più grave uno dei reati</strong> avvinti dalla continuazione, mentre <strong>a valle della concreta irrogazione</strong> della pena da parte del giudice è <strong>più grave un altro</strong> tra essi; che debba essere fatta <strong>in concreto</strong>, e non in astratto, affiora <strong>dall’art.187 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale</strong>, dove si considera <strong>violazione più grave</strong> quella per la quale <strong>è inflitta</strong> <strong>dal giudice</strong> (in concreto dunque) <strong>la pena più grave</strong>: tale norma <strong>non si applica solo</strong> alla fase dell’<strong>esecuzione penale </strong>(come pretenderebbero i <strong>fautori della tesi opposta</strong>), ma <strong>anche</strong> in fase di <strong>cognizione</strong>; si tratta peraltro di individuare, tra le <strong>molteplici condotte</strong> poste in essere dal reo, quella che <strong>maggiormente entra in frizione</strong> con il <strong>sistema penale</strong>, onde è necessario lasciare spazio alla <strong>discrezionalità del giudice</strong> nella concreta individuazione di <strong>quale sia</strong> appunto, anche dal punto di vista <strong>maggiormente individualizzante e di personalizzazione</strong> del rimprovero penale, la violazione più grave, in piena <strong>consonanza</strong> con la <strong><em>ratio</em></strong> della <strong>riforma del 1974</strong>, sempre meno calibrata sulla violazione in astratto e sempre più puntata sulle <strong>violazione “<em>in concreto</em>”</strong> più grave, nell’ambito di <strong>violazioni molteplici e financo eterogenee</strong>; questa opzione ermeneutica segnala peraltro una possibile <strong>aberrazione</strong> degli <strong>esiti</strong> della teoria opposta, laddove il soggetto agente commetta <strong>tante contravvenzioni</strong> punite con <strong>pena detentiva</strong> ed <strong>un solo delitto</strong> punito con <strong>pena pecuniaria</strong>, circostanza nel cui contesto – optando per <strong>la tesi “<em>astratta</em>”</strong> – occorrerebbe <strong>punire per il delitto</strong>, e dunque <strong>con pena pecuniaria</strong> aumentata fino al triplo, con trattamento penale <strong>paradossalmente più favorevole </strong>rispetto a <strong>chi abbia commesso solo contravvenzioni</strong> punite <strong>con pena detentiva</strong>; alle precedenti considerazioni si aggiunge che – poiché una volta individuata la violazione più grave, la <strong>successiva operazione</strong> dell’<strong>aumento di pena fino al triplo</strong> coinvolge <strong>senza dubbio</strong> la <strong>pena “<em>concretamente</em>” applicata</strong> – appare <strong>poco ragionevole</strong> che il legislatore abbia previsto un <strong>criterio astratto</strong> per la determinazione a monte della “<strong><em>violazione più grave</em></strong>”, per poi tarare <strong>l’aumento di pena</strong> per la continuazione sulla pena, per l’appunto, “<strong><em>concretamente</em>” inflitta</strong>, onde il giudice – più credibilmente – deve <strong>dapprima individuare il quantum “<em>concreto</em>”</strong> della sanzione da infliggere per la <strong>violazione più grave</strong> (secondo i <strong>criteri di cui all’art.133</strong>p.) e poi, <strong>del pari “<em>in concreto</em>”</strong> procedere con il “<strong><em>quantum pluris</em></strong>” per la continuazione utilizzando degli <strong>indici di personalizzazione</strong> (specie sul <strong>crinale soggettivo</strong> dell’<strong>adesione psicologica</strong> al <strong>medesimo disegno criminoso</strong>) ritratti dalla <strong>peculiarità dei reati c.d. satellite</strong>;</li> <li>si applica la <strong>pena-base stabilita per la violazione (reato) </strong>individuata come<strong> più grave</strong>, <strong>aumentandola</strong> fino ad un <strong>massimo</strong> corrispondente al <strong>relativo triplo</strong>; è <strong>il giudice</strong> in questo caso a stabilire il “<strong><em>quantum</em></strong>” <strong>concreto</strong> di <strong>aumento effettivo</strong> a titolo di <strong>continuazione</strong>; si fronteggiano <strong>due possibili opzioni ermeneutiche</strong>: b.1) la pena base <strong>va semplicemente moltiplicata</strong> per <strong>un fattore da 1 a 3</strong>, senza tenere conto <strong>in modo troppo aderente</strong> della <strong>consistenza</strong> dei <strong>singoli reati satellite</strong>; b.2) si opera sulla pena base <strong>non già moltiplicando</strong> per un fattore, ma <strong>andando per aggiunta</strong> e dunque <strong>sommando</strong> <strong>un <em>quantum</em> di pena</strong> per <strong>ciascun reato satellite</strong>, tenendo conto della relativa, <strong>specifica consistenza</strong> e delle <strong>eventuali circostanze inerenti</strong>, ovviamente <strong>entro il limite massimo del triplo</strong> rispetto alla pena base;</li> <li><strong>non si supera mai la somma</strong> delle <strong>singole pene</strong> previste per le <strong>singole fattispecie</strong> <strong>avvinte</strong> dal medesimo disegno criminoso.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si procede al calcolo del <em>quantum pluris</em> di pena per i reati satellite, laddove reato base e reati satellite siano puniti da pene eterogenee?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il problema si pone in particolare per l’ipotesi in cui il <strong>reato base</strong> (violazione più grave) sia punito con <strong>sola pena detentiva</strong>, e i <strong>reati satellite</strong> con <strong>pena pecuniaria</strong> (o <strong>pecuniaria</strong> <strong>congiunta a pena detentiva</strong>);</li> <li>operare “<strong><em>per aggiunta</em></strong>” applicando la <strong>sola pena detentiva</strong> (giusta <strong>ragguaglio ex art.135 c.p.</strong> con riguardo alla <strong>porzione pecuniaria, </strong>da<strong> trasformarsi in detentiva</strong>) è soluzione che – sul piano <strong>ontologico</strong> e <strong>quantitativo</strong> - rispetta il <strong>principio di legalità della pena;</strong> canone da ancorarsi <strong>non già solo alle singole fattispecie incriminatrici</strong>, bensì anche ai <strong>meccanismi sanzionatori comunque previsti</strong> <strong>dalla legge</strong>, tra i quali appunto il <strong>meccanismo della continuazione</strong> di cui all’art.81, comma 2, c.p.</li> <li>esiste tuttavia – oltre al <strong>limite “ontologico” </strong>(la pena deve essere <strong>prevista dalla legge</strong>) ed al <strong>limite quantitativo </strong>(del<strong> triplo</strong>) – anche un <strong>limite <em>ex lege</em> qualitativo</strong> per la <strong>pena</strong>, cristallizzato al <strong>comma 3</strong> dell’art.81, onde nei casi preveduti dall’articolo, e dunque anche nell’ipotesi della continuazione, la pena medesima <strong>non può essere superiore a quella</strong> che <strong>sarebbe applicabile</strong> a norma degli articoli precedenti (sul concorso di reati), <strong>anche</strong> dunque dal punto di vista della <strong>qualità</strong>, e <strong>non già solo della quantità</strong>: per rispettare la <strong>legalità della pena</strong> in termini di <strong>qualità</strong> (oltre che di quantità) della pena stessa, si suggerisce da parte della dottrina di procedere <strong>per addizione</strong> rispetto alla <strong>pena base</strong> aggiungendo <strong>pene anche di specie diversa</strong> (se la pena base è detentiva, le aggiunte vengono operate in termini <strong>tanto detentivi</strong> che, in caso di reati satelliti con pena pecuniaria o congiunta, <strong>pecuniari)</strong>, salvo poi operare un <strong>ragguaglio fittizio della pena finale</strong> – ex <strong>135</strong> c.p.- al solo fine di verificare che <strong>non si sia superato il limite del triplo.</strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>