<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’obbligazione, per rimanere la medesima, deve coinvolgere lo stesso creditore, lo stesso debitore ed avere il medesimo oggetto: laddove muti taluno di questi elementi, soggettivo e/o oggettivo, muta l’obbligazione. Se tuttavia si concentra l’attenzione sul solo oggetto dell’obbligazione, in caso di cessione del credito, l’obbligo da adempiere resta il medesimo, mutando solo il soggetto a soddisfazione dell’interesse del quale la prestazione va indirizzata dal debitore. Una fattispecie che può anche coinvolgere una globalità di crediti appartenenti ad un soggetto imprenditore, nel qual caso si assiste al fenomeno, tuttora in larga parte atipico sul versante della fonte contrattuale, del </em>factoring<em>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale civile disciplina la cessione dei crediti agli articoli 1538 e seguenti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1882</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice di commercio dedica una speciale disciplina alla cessione dei crediti derivanti da atto commerciale all’art.43, prevedendo in tali casi una disciplina diversa (non opera il “<em>retratto litigioso</em>” previsto invece per i crediti non commerciali dagli articoli 1546-1548 del codice civile: si tratta di una peculiare disciplina prevista per i crediti che siano già <em>sub iudice</em>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1923</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il Regio Decreto n. 2440 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato) prevede una speciale procedura per le cessioni di credito in cui lo Stato sia debitore ceduto ai fini della regolarità dei pagamenti. L’art. 69 prevede infatti che “<em>le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, debbono essere notificate all'amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La notifica rimane priva di effetto riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi. Potrà, per altro, il creditore fare tale notificazione all'ufficiale, tesoriere o agente incaricato di eseguire il pagamento degli ordini o di effettuare la consegna degli assegni di cui all'art. 54, lettera a).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile formula una compiuta disciplina della cessione dei crediti agli articoli 1260 e seguenti. Importante tuttavia anche l’art.658 c.c. che disciplina il legato di un <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1525.html">credito</a> (e di liberazione da un <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1525.html">debito</a>), quale cessione del credito mortis causa che ha effetto per la sola parte del credito o del debito che sussiste al tempo della morte del testatore; in questi casi, l'erede è soltanto tenuto a consegnare al legatario i titoli del credito legato che si trovavano presso il testatore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1967</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.776, in tema di vendita di immobile locato e di cessione del credito per i canoni scaduti, secondo cui mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell'altro contraente, dell'intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all'originario creditore-cedente, e l'esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all'adempimento della prestazione, non venendogli invece trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1975</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della Cassazione n. 3887, secondo la quale la cessione del credito si atteggia a negozio autonomo a causa variabile, potendo perseguire finalità diverse (scambio verso prezzo, donazione, garanzia, adempimento di altra e pregressa obbligazione): la struttura causale è generica ed incompleta e va integrata con la ragione specifica che giustifica di volta in volta il singolo trasferimento del credito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1980</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 maggio esce la sentenza della Cassazione n. 3377 che, in tema di eccezioni opponibili dal debitore ceduto al creditore cessionario, si occupa in particolare della eccezione di compensazione che il ceduto avrebbe potuto opporre al cedente, distinguendo il caso in cui la cessione gli sia stata notificata da quello in cui sia stata da lui accettata: solo in quest’ultimo caso va ravvisata una rinunzia tacita del debitore ceduto a far valere nei confronti del creditore cessionario la compensazione che avrebbe potuto far valere nei confronti del creditore cedente. Nel diverso caso di intervenuta notifica della cessione, occorre per la Corte distinguere, sulla scorta dell’art.1248 c.c., a) i crediti del debitore ceduto sorti verso il creditore cedente anteriormente alla cessione, opponibili in compensazione al cessionario; b) i crediti del debitore ceduto sorti verso il creditore cedente posteriormente alla cessione, inopponibili al cessionario.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1987</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9428 che si occupa dell’obbligazione di garanzia che assiste la cessione del credito ai sensi dell’art.1266 c.c. e che grava in capo al cedente (sia per la cessione a titolo oneroso che a titolo gratuito): si tratta per la Corte di una obbligazione accessoria, relativa alla esistenza del credito ceduto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1257 che, in tema di eccezioni opponibili dal debitore ceduto, afferma che tali eccezioni sono sia quelle da riferirsi alla validità del rapporto dal quale il credito ceduto è scaturito (titolo nullo o annullabile), sia quelle da riferirsi alla già avvenuta estinzione del credito (per intervenuto adempimento o per prescrizione).</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 maggio viene sottoscritta ad Ottawa la Convenzione Unidroit sul <em>factoring</em> internazionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 4040 che, in tema di <em>factoring</em>, si occupa della cessione globale dei crediti del cedente al <em>factor</em>, quale sorta di cessione del portafoglio clienti dal primo al secondo: particolare attenzione viene riservata ai crediti futuri che possono essere dedotti in contratto quali “<em>cose future</em>” (art.1348 c.c.) purché determinabili e collegati ad un rapporto giuridico fonte che, al contrario, deve essere già esistente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio viene varata la legge n.52 che introduce una qualche disciplina per il <em>factoring</em>, disciplinando la cessione dei crediti di impresa. Essa si aggiunge alla disciplina generale già prevista dagli articoli 1260 e seguenti c.c. in tema di cessione dei crediti. La legge in particolare prevede che l’imprenditore cedente garantisca la solvibilità dei debitori (salva espressa rinuncia da parte del cessionario), onde la cessione avviene di regola <em>pro solvendo</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio esce la sentenza delle SSUU n. 198 che, in tema di <em>factoring</em>, elenca in particolare i vantaggi dei quali si avvale l’impresa cedente, con particolare riferimento alla eliminazione (o comunque alla forte attenuazione) del rischio di insolvenza dei debitori-clienti; il conseguimento di una fonte supplementare di liquidità attraverso le anticipazioni sui crediti ceduti pattuite con il <em>factor</em>; l’utilizzazione dei servizi di informazione e consulenza forniti dal <em>factor</em>; in particolare, la semplificazione della contabilità e dell’amministrazione aziendale (il recupero dei crediti e le connesse attività di contabilizzazione e gestione vengono trasferite al <em>factor</em>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 luglio viene varata la legge n. 260 che ratifica la Convenzione di Ottawa del 1988 sul <em>factoring</em> internazionale, sicché sul piano internazionale il <em>factoring</em> è disciplinato da tale convenzione, mentre sul piano interno vige la legge 52.91 e la disciplina codicistica generale sulla cessione dei crediti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 1510 in tema di <em>factoring</em> onde – posto che l’effetto traslativo di detto contratto si produce sulla base del solo consenso tra le parti contraenti (cedente e <em>factor</em> cessionario), indipendentemente dalla volontà del debitore – la relativa notifica (al debitore ceduto) deve assumersi svincolata da qualsiasi formalità, essendo sufficiente qualsiasi mezzo idoneo a porre il debitore in grado di conoscere la mutata titolarità del rapporto obbligatorio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 dicembre esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 17162 che assume la cessione del credito quale negozio a causa variabile, da integrarsi di volta in volta con la singola finalità perseguita dalle parti che ne sono protagoniste. Essa può essere stipulata anche a fine di garanzia senza che venga meno l'immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure quando la cessione sia "<em>pro solvendo</em>" e non già "<em>pro soluto</em>", con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d'insolvenza del debitore ceduto. Diversamente, qualora la cessione abbia ad oggetto crediti futuri, l'effetto traslativo si produce solamente quando il credito viene ad esistenza, mentre tale effetto non si produce affatto nell'ipotesi in cui sia desumibile dal contratto la volontà del cedente di non privarsi della titolarità del credito e di realizzare solamente effetti minori, quali l'attribuzione al cessionario della mera legittimazione alla riscossione del credito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 6422, che ritiene <strong>valida la cessione di un credito futuro</strong>, purché tuttavia l’<strong>oggetto</strong> ne sia <strong>sufficientemente determinato o determinabile</strong>. In ogni caso, il credito futuro si trasferisce in capo al cessionario soltanto nel momento in cui il credito stesso <strong>viene in essere</strong>, per cui , fino a tale momento, il contratto di cessione ha esclusivamente <strong>effetti obbligatori</strong> fra le parti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 9761 che conferma essere valida la cessione di un credito futuro, purché tuttavia l’oggetto ne sia sufficientemente determinato o determinabile. La sentenza si occupa anche della possibilità per il debitore ceduto di opporre al creditore cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all'originario creditore cedente. Tuttavia, se dopo la cessione intervengono fatti che incidono sulla entità, esigibilità o estinzione del credito, la loro efficacia deve essere considerata in relazione alla nuova situazione soggettiva che si è stabilita in dipendenza del già perfezionatosi trasferimento del diritto. Deriva, da quanto precede, pertanto, che dopo il perfezionamento della cessione la risoluzione consensuale del contratto, da cui traeva origine il credito ceduto, convenuta tra l'originario creditore cedente il debitore ceduto, non è opponibile al cessionario. Una volta realizzato il trasferimento del diritto, infatti, il cedente perde la disponibilità di esso e non può validamente negoziarlo, recedendo dal contratto, mentre il debitore ceduto, a conoscenza della cessione, non può ignorare tale circostanza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 marzo esce la sentenza della Cassazione n. 5997 che afferma la natura bilaterale della cessione del credito, rilevando la notifica al debitore o la relativa accettazione al solo fine di escluderne la liberazione laddove paghi <em>ex post</em> al creditore cedente piuttosto che al creditore cessionario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza della Cassazione n. 13253 che ribadisce – in tema di trasporto multimodale marittimo e stradale - che la cessione del credito è negozio a causa variabile, da integrarsi di volta in volta con la singola finalità perseguita dalle parti che ne sono protagoniste.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 febbraio esce la sentenza della Cassazione n. 2747 che ribadisce la struttura bilaterale della cessione, affermando che la conoscenza o l’accettazione della cessione medesima da parte del debitore ceduto non costituisce una condizione del trasferimento (il che renderebbe la struttura trilaterale), valendo solo come elemento capace di escludere la natura liberatoria del pagamento effettuato al creditore cedente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 26664 che qualifica l’atto di accettazione della cessione da parte del debitore ceduto come mera dichiarazione di scienza con la quale egli individua il suo nuovo creditore (cessionario). Più precisamente, secondo la Corte in tema di cessione di credito nascente da un contratto di appalto, l'accettazione della cessione da parte del debitore è dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale e non vale in sé quale ricognizione tacita del debito. Né tale valenza può desumersi dal silenzio del debitore stesso sulla natura del credito ceduto, atteso che quest'ultimo si identifica con il contratto dal quale nasce, da presumersi noto al nuovo creditore; e non può desumersi neanche dalla mancata informativa al cessionario sulle ragioni della contestazione del credito, in quanto l'obbligo di diligenza di cui all'art. 1176 c. c., è imposto al debitore solo nell'adempimento della prestazione (nella specie il corrispettivo dell'appalto), mentre non può essere esteso sino ad includere l'informazione dettagliata delle ragioni del rifiuto di adempiere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.21094 in tema di <em>factoring</em>, che esclude che tale figura possa far luogo ad un collegamento negoziale. Se si ammettesse detto collegamento, il debitore ceduto dovrebbe assumersi titolare di un obbligo di correttezza e buona fede non già solo nei confronti del relativo creditore naturale, ovvero l’imprenditore cedente, ma anche nei confronti del <em>factor</em> cessionario: quest’ultimo è terzo per quanto concerne i rapporti tra imprenditore cedente e cliente ceduto, e tuttavia proprio in virtù del collegamento negoziale assumerebbe una posizione giuridicamente rilevante. In realtà per la Cassazione non esistono più negozi collegati tra loro, ma un unico negozio di <em>factoring</em> che coinvolge imprenditore cedente e <em>factor</em> cessionario e che lambisce anche il debitore ceduto senza tuttavia poter configurare in capo a questi specifici obblighi di correttezza e buon fede che non gravano normalmente in capo al debitore ceduto. Quest’ultimo può riservarsi di verificare la esistenza e la consistenza dei crediti ceduti che lo coinvolgono (per esempio ai fini delle eccezioni opponibili), ma non ha specifici obblighi di buona fede verso il <em>factor</em>. Ulteriore conseguenza che se ne ritrae è che qualora il <em>factor</em> chieda al debitore ceduto l’adempimento del credito, e si registri una mancata contestazione del credito medesimo, questo non esime comunque il <em>factor</em> dall’attivarsi per richiedere eventuali chiarimenti ed assicurazioni sul rapporto ceduto (tanto al cedente quanto al cliente ceduto), proprio perché non può pretendere un comportamento corretto e in buona fede dal debitore (cliente) ceduto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 agosto esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n.39368 (decisa nello stesso giorno, il 15 giugno, in cui viene decisa anche la sentenza gemella n.43126, pubblicata il successivo 20 settembre) in tema di tutela del creditore cessionario subentrato, giusta cartolarizzazione, nei diritti su beni poi confiscati secondo la disciplina antimafia. La Corte va in contrario avviso rispetto al Tribunale di Palermo secondo il quale l’acquisto o la successione nella titolarità del credito, avvenuta con atto successivo al decreto di confisca ed alla relativa trascrizione del pertinente vincolo, implica mala fede del creditore terzo cessionario, sia esso creditore originario ovvero, appunto, creditore a questo succeduto perché divenuto tale rispetto al proposto in data successiva alla trascrizione del sequestro, con la conseguenza onde l'esame di ogni ulteriore profilo (relativo alla ritenuta estraneità del credito all'attività illecita) risulta assorbito, non potendo il creditore per atto successivo al sequestro accedere alla richiesta ammissione al passivo. Più precisamente, secondo il Tribunale di Palermo la disposizione di cui all’<a href="http://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/07/24/codice-antimafia-edizione-giugno-2014#art52">art. 52 del D.Lgs. n. 159 del 2011</a>, in tema di misure di prevenzione patrimoniali va interpretata nel senso che la confisca pregiudica <em>ipso iure</em> i diritti di credito dei terzi che risultino da atti con data certa posteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca posteriore al sequestro medesimo: essendo i creditori istanti automaticamente in colpa, diventa per il Tribunale irrilevante la prova delle ulteriori condizioni previste dall'<a href="http://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/07/24/codice-antimafia-edizione-giugno-2014#art52">art. 52, comma 1, lett. b</a>, del citato decreto legislativo; un principio assunto applicabile nei confronti di tutti i creditori, sia originari che successivi cessionari del credito, i quali siano diventati titolari del diritto in data successiva alla trascrizione del sequestro, ed operante indipendentemente dalla natura della cessione (dei crediti), non rilevando che questa sia “<em>semplice</em>”, ovvero sia avvenuta in blocco ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58. La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, sovverte tale orientamento di merito, rappresentando piuttosto come in tema di confisca di prevenzione di beni gravati da ipoteca, il riconoscimento di una situazione di affidamento incolpevole del creditore assistito da garanzia non è necessariamente precluso dal fatto che il medesimo abbia acquistato il diritto in epoca successiva all'adozione del sequestro, quando ciò sia avvenuto mediante cessione di rapporti giuridici in blocco ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58, tale modalità di trasferimento di posizioni giuridiche potendo rendere concretamente inesigibile, per l'entità e la consistenza dell'operazione che vi è sottesa, l'onere in capo al cessionario della previa verifica della concreta situazione coinvolgente tutti i beni sottoposti ad originaria garanzia ipotecaria e correlati ai crediti ceduti. Peraltro, per la Corte la soluzione adottata dal Tribunale di Palermo non è affatto imposta dalla lettera (o dalla <em>ratio</em>) del <a href="http://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/07/24/codice-antimafia-edizione-giugno-2014#art52">D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52</a>, il quale si riferisce, evidentemente, ai crediti sorti anteriormente all'avvio del procedimento di prevenzione e non prende in considerazione l'ipotesi della successione – <em>ex latere creditoris</em> - nel rapporto obbligatorio: in base alla legislazione codicistica e alla pertinente interpretazione giurisprudenziale, la cessione del credito - in qualunque modo avvenuta - determina infatti per la Corte solo la sostituzione del nuovo creditore a quello originario, onde il nuovo creditore subentra nella medesima posizione giuridica del cedente, assumendone i diritti, ma anche gli oneri ed i rischi, con la conseguenza che sarà la (<em>sola</em>) "malafede" del cedente, nel senso ritraibile dall'art. 52 del codice, a precludergli la possibilità di far valere le relative pretese sul bene del debitore che sia stato, nel frattempo, oggetto di ablazione. La Corte conclude affermando che sono rilevanti in termini di potenziale escussione del bene confiscato i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro ovvero i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, quand’anche sia intervenuta sostituzione nel lato attivo del rapporto obbligatorio in epoca successiva al sequestro stesso, dovendo tuttavia ricorrere le ulteriori condizioni di cui all'art. 52 e, cioè, che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, in ogni caso la sostituzione nel lato attivo del rapporto non potendo peraltro comportare la sterilizzazione dell'accertamento al momento nel quale il credito è insorto, onde anche la tutela del terzo cessionario di credito garantito da ipoteca su beni sottoposti a sequestro ed a confisca nell'ambito di un procedimento di prevenzione deve assumersi per la Corte condizionata all'accertamento dei medesimi presupposti esigibili per la tutela del creditore originario, presupposti consistenti nell’anteriorità dell'iscrizione del titolo o dell'acquisto (originario) del diritto rispetto ai provvedimenti cautelari od ablatori intervenuti nel procedimento di prevenzione ed alla buona fede ed affidamento incolpevole del terzo cessionario che agisca innanzi al giudice dell'esecuzione penale per il riconoscimento dell'opponibilità all'erario del proprio diritto, non potendosi ritenere sufficiente che tali condizioni (soggettive) siano verificate in capo al cedente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 26063 onde, essendo anomalo il fatto che per l’adempimento di un debito scaduto ed esigibile il debitore non ricorra al pagamento in danaro od altri titoli di credito equivalenti, una cessione di credito in funzione solutoria è suscettibile di revocatoria fallimentare, anche se pattuita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto. Per la Corte occorre in sostanza muovere dalla nozione di «<em>pagamento anormale</em>» fatta propria dalla norma dell'art. 67, comma 1 n. 2, legge fall., con peculiare riferimento alla figura della cessione di credito: in proposito, secondo il consolidato orientamento della Corte proprio la cessione di credito, quando effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con altri titoli di credito equivalenti, e ciò in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, facendosi unicamente salva l'eventualità che la cessione sia stata nel concreto prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del credito al cui specifico soddisfacimento venga per l'appunto destinata (vengono richiamate, tra le ultime, Cass., 20 settembre 2013, n. 21610; Cass., 29 luglio 2009, n. 17683).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio viene pronunciato il decreto del Tribunale di Napoli, sez. III, il quale si pronuncia sulla fattispecie della cessione del credito avente ad oggetto un quinto dello stipendio, effettuato nei confronti della società finanziaria, in caso di sovraindebitamento, sostenendo che il contratto di cessione del quinto dello stipendio comporta la cessione di un credito futuro, che sorge solo nel momento in cui matura il diritto a percepire il relativo rateo mensile; sino a quando il credito non viene ad esistenza, la cessione ha efficacia meramente obbligatoria e la titolarità di quanto ceduto resta in capo al cedente. Tale circostanza consente al debitore di disporne e determina altresì l’inefficacia della cessione medesima alla procedura di composizione della crisi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio 2018 esce la sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 29847, resa a SS.UU. la quale, risolvendo un contrasto precedentemente insorto in giurisprudenza, chiarisce che la stessa natura della fattispecie giuridica della cessione del credito a rendere quest'ultima non assimilabile ad un fenomeno costitutivo del credito stesso e dei diritti reali di garanzia ad esso associati; e ciò in quanto la cessione non integra alcuna novazione del rapporto obbligatorio ceduto. La novazione è invero descritta dall'art. 1230 cod. civ. quale estinzione dell'obbligazione originaria a seguito della sostituzione della stessa, ad opera delle parti, con una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, accompagnata dall'inequivoca manifestazione della volontà di estinguere l'obbligazione precedente. Tanto non si verifica nell'ipotesi della cessione del credito, nella quale, come disposto dall'art. 1263, comma 1, cod. civ., «il credito ceduto è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e gli altri accessori»; e quindi, come precisato dalla giurisprudenza civilistica di legittimità, con tutte le utilità che il creditore può trarre dall'esercizio del diritto ceduto, intendendosi come tale ogni situazione direttamente collegata con il diritto stesso e che, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione (Sez. 1 civ., n. 2978 del 16/02/2016, Rv. 638677). In conseguenza di ciò, la cessione del credito, secondo i principi pure affermati dalla Corte Suprema in sede civile, ha efficacia meramente derivativa (Sez. 5 civ., n. 9842 del 20/04/2018, Rv. 648359), e non novativa o sostitutiva dell'obbligazione; ad essere sostituito è solo il creditore originario, al quale il cessionario subentra nella stessa posizione giuridica (Sez. 3 civ., n. 20548 del 20/10/2004, Rv. 577782). A tanto segue, in primo luogo, una conclusione negativa in ordine alla possibilità di riferire alla cessione del credito una previsione normativa, quale quella dell'art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 in tema di anteriorità al sequestro, dettata esplicitamente per la costituzione del diritto reale di garanzia afferente al credito; fattispecie, questa, non ravvisabile nel mero trasferimento dello stesso diritto dal creditore originario al creditore cessionario, ma alla quale neppure tale trasferimento può essere in alcun modo ricondotto in termini tali da giustificare un'interpretazione che estenda allo stesso la disciplina prevista per il momento costitutivo del diritto. A questo deve però aggiungersi, in positivo, che la ricostruzione della cessione del credito quale trasferimento al creditore cessionario delle garanzie reali e di tutti gli accessori del credito, nell'ampio significato in precedenza specificato per tale definizione, implica che il cessionario, subentrando nella stessa posizione giuridica del cedente, assume la titolarità del credito anche nella possibilità di far valere le condizioni, a quel credito afferenti, per l'ammissione dello stesso al riparto in caso di confisca del bene oggetto del diritto di garanzia associato al credito; e fra esse, pertanto, l'anteriorità della costituzione originaria del credito rispetto al sequestro del bene, che ove sussistente permane in capo al cessionario anche laddove lo stesso abbia acquisito il credito successivamente al sequestro. Da tali premesse logico-giuriche, la Corte ha elaborato il seguente principio di diritto: "Nel caso in cui la cessione di un credito ipotecario precedentemente insorto avvenga successivamente alla trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione del bene sottoposto a garanzia, tale circostanza non è in quanto tale preclusiva dell'ammissibilità della ragione creditoria, né determina di per sè uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest'ultimo dimostrare la buona fede”."</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce l’ordinanza della sezione VI civile della Corte di Cassazione, n. 17441, in tema di esecuzione forzata, la quale sancisce il principio secondo cui l'ordinanza di assegnazione resa dal giudice dell'esecuzione all'esito di un procedimento di pignoramento presso terzi determina, dal momento della sua emissione, la modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio nel lato attivo, in quanto, con la sostituzione dell'assegnatario all'originario creditore, muta il soggetto nei cui confronti il debitore è tenuto ad adempiere per liberarsi dal vincolo. Ne consegue che da tale momento (e prima di procedere alla "solutio"), la banca, terzo pignorato, ha facoltà di opporre in compensazione i propri crediti nei confronti del creditore originario, anche ove formati anteriormente all'assegnazione, poiché la coesistenza di reciproche e contrapposte ragioni di debito e credito tra originario creditore e terzo pignorato si verifica per effetto ed in conseguenza della pronuncia ex <a href="http://pa.leggiditalia.it/#id=05AC00004828,__m=document">art. 533 c.p.c.</a></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio esce la sentenza della sezione III civile della Corte di Cassazione, n. 17727, la quale si pronuncia sulle differenze tra la cessione di credito e la cessione di contratto. <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=5%3d4YNT8%26F%3dHa%26q%3dVPT4X%266%3dS4YJWA%26O%3dyLwJ_9sVt_J3_uujr_50_9sVt_I8zQD.6lLzLwIv9lO0LlTz3.lN_9sVt_I8q9DK_uujr_50HS_uujr_50QbCdQaCdNX_uujr_50c_7i0vLwI_3ApCA3wI_u7oFr_5hM0ArHv_6hF_tJh8zLr.BAEo_LhuS_WwMwG_0GxLt7_uujr_68U7J_HvOvFvL3d5rw99_JTwg_T9OAE_p9uAxG_9sVt_J6hGrAo_LhuS_VMMwG_t3pJrAjH_9sVt_J6G9X%266%3d%26lM%3dKb6cP">La cessione di credito, a differenza della cessione di contratto che comporta il trasferimento dell’intera posizione contrattuale dal cedente al cessionario, è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto.</a> In tal senso, quando le parti abbiano realizzato una cessione di contratto, ma in sostanza abbiano inteso trasferire solo il credito da questo derivante (e non il plenum dei rapporti attivi e passivi), l’interpretazione teleologica, resa dal giudice, potrà indurre anche a qualificare l’operazione negoziale come cessione di credito.</p> <p style="text-align: justify;">Il 1° agosto esce l’ordinanza n. 20382 della sezione VI civile della Corte di Cassazione, la quale respingendo il ricorso proposto da un’autocarrozzeria contro la sentenza di merito di secondo grado, conferma sostanzialmente il principio di diritto secondo cui la cessione di credito risarcitorio verso la Compagnia di Assicurazione non può risultare dalla cessione del CID; nel caso di specie, la GRB Autocarrozzeria s.r.l., in qualità di cessionaria del credito vantato dalla parte danneggiata, convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Palermo, D.V.G. e la Unipolsai Assicurazioni s.p.a., chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale nel quale la proprietaria del veicolo aveva riportato danni alla propria vettura, cedendo poi il suo credito alla parte attrice. Si costituì in giudizio la società di assicurazione chiedendo il rigetto della domanda. Secondo i giudici di merito, il modello CID, limitandosi alla dicitura "tamponamento", non permetteva in alcun modo di collegare con il sinistro alla concreta domanda risarcitoria avanzata dalla carrozzeria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce l’ordinanza della sez. III civile della Corte di Cassazione, n. 29834, che ribadisce il principio di diritto secondo cui sussiste la violazione del divieto di cessione, di cui <a href="http://pa.leggiditalia.it/#id=05AC00003025,__m=document">all'art. 1261 c.c.</a> nell'ipotesi in cui un avvocato, oltre a rendersi cessionario di un credito, abbia avuto dal cedente anche uno specifico mandato professionale per avviarne l'azione di recupero presso il debitore moroso, atteso che è coerente con la "ratio" della norma - la quale è diretta ad impedire la speculazione sulle liti da parte dei soggetti in essa contemplati - la sua interpretazione estensiva che sia volta ad attribuire un significato ampio al sintagma "diritti sui quali è sorta contestazione”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 novembre esce la sentenza n. 30183 della sezione III della Corte di Cassazione, che chiarisce i caratteri di un rapporto contrattuale qualificato come factoring. In particolare, la Corte sostiene in linea di diritto che il factoring è un contratto atipico complesso, il cui nucleo fondamentale prevede sempre un accordo in forza del quale un'impresa specializzata (il <em>factor</em>) si obbliga ad acquistare (pro soluto o pro so/vendo), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare; il <em>factor</em> paga all'imprenditore i crediti ceduti secondo il loro importo nominale, decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell'attività da esso prestata, oppure gli concede delle anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso spettano al factor, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate (Cass. 7 luglio 2017, n. 16850). La corte territoriale, nonostante abbia qualificato in termini di factoring il rapporto intercorso fra le parti, identificando nel «vantaggio di poter pianificare i flussi finanziari» il requisito discriminante in presenza di un pagamento che avveniva non in via di anticipazione ma alla scadenza della fattura, ha fatto precedere tale conclusione dal rilievo che «il factor aveva la facoltà di accreditare il prezzo dei crediti alla loro scadenza e di accordare una dilazione di pagamento al debitore ceduto a fronte del pagamento di una commissione». In tal modo si esclude l'esistenza di un obbligo per il factor di acquistare il credito, facendo dipendere l'acquisto dalla dilazione di pagamento concessa al debitore ceduto, e si contempla la commissione a carico di quest'ultimo e non del creditore cedente. Riconoscere l'esistenza di un factoring, implicante l'esistenza di un obbligo per il factor che consente al cedente di «poter pianificare i flussi finanziari», ed escludere allo stesso tempo l'esistenza dell'obbligo, costituendo il pagamento una mera facoltà (dipendente dalla concessione della dilazione al debitore, soggetto peraltro tenuto al pagamento della commissione), costituiscono affermazioni assolutamente inconciliabili ed insanabilmente contraddittorie che non consentono di percepire la ratio decidendi della sentenza impugnata. Risulta così violato il "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., che si converte in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e da luogo a nullità della sentenza (fra le tante da ultimo Cass. 17 maggio 2018, n. 12096; 22 febbraio 2018, n. 4367; 12 ottobre 2017, n. 23940).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, la quale si pronuncia sostenendo la cedibilità del credito di risarcimento del danno derivante da un sinistro stradale ai sensi dell’art. 1260 e ss. c.c. e dunque il cessionario può domandarne il pagamento al debitore ceduto nonostante quest’ultimo sia assicuratore per la r.c.a.. (Nella fattispecie, con sentenza del 26/5/2016 il Tribunale di Como aveva respinto il gravame interposto dalla società Style Car di Pasquale Palermo & C. s.n.c. in relazione alla pronunzia G. di P. Como n. 1328/2014, di rigetto della domanda originariamente proposta nei confronti della società Axa Assicurazioni s.p.a. di pagamento del credito cedutole dal sig. Antonio Tinelli, avente ad oggetto somme a titolo di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di sinistro stradale). Orbene, sostiene la Corte di legittimità che la sentenza di merito è errata poichè “nell'affermare che la cessione del credito implica attività finanziaria soggetta ad autorizzazione ex art. 106 d.lgs. n. 385 del 1992, il giudice dell'appello ha nell'impugnata sentenza invero disatteso il suindicato principio. Al riguardo vale altresì osservare che nella specie la cessione in argomento difetta del carattere della gratuità e costituisce non già un'operazione di finanziamento bensì il mero mezzo di pagamento da parte del cedente della prestazione professionale di carrozziere nella specie dall'odierna svolta dalla cessionaria del credito”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio 2019 esce la sentenza della Corte Costituzionale, la quale si pronuncia sugli effetti della cessione di azienda, con riferimento all’obbligo del datore di lavoro di retribuzione verso i dipendenti dell’azienda. Precisamente, la Corte Costituzionale dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., sollevate dalla Corte di Appello di Roma con riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, ha precisato che, nell’ipotesi di accertamento dell’illegittimità della cessione di azienda, il datore di lavoro che persista nel rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa, ritualmente offerta, ha l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione (La Corte Costituzionale precisa che, sul tema del decidere, incide la sentenza n. 2990/2018 della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, recentemente pronunciatesi in una fattispecie del tutto analoga.</p> <p style="text-align: justify;">Con tale pronuncia, le Sezioni Unite, infatti, chiamate a dirimere la questione relativa alla natura retributiva o risarcitoria delle somme che spettano al lavoratore dopo l’accertamento dell’illecita interposizione di manodopera, nell’ipotesi in cui lo stesso abbia messo a disposizione le proprie energie lavorative, hanno stabilito la natura retributiva delle stesse).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 marzo esce la sentenza della sez. I civile della Corte di Cassazione, n. 6522, che si pronuncia sulla cessione del credito tra coniugi, per effetto di un accordo di separazione, e sulla successiva iscrizione di ipoteca. Questo il caso di specie. Con accordo di modifica delle condizioni della separazione consensuale, il marito aveva ceduto alla moglie un credito, vantato nei confronti di un terzo in forza di sentenza di condanna del Tribunale di Treviso. L’Agenzia delle Entrate, su richiesta della cessionaria, aveva iscritto ipoteca giudiziale con riserva sui beni del debitore ceduto, rilevando che il marito, titolare del credito, “…<em>avrebbe dovuto iscrivere l’ipoteca, di cui la moglie avrebbe potuto poi beneficiare attraverso la richiesta di annotazione della cessione del credito a margine della precedente iscrizione</em>…”. La moglie aveva impugnato il provvedimento della P.A., ed il Tribunale di Treviso aveva respinto il ricorso con decreto in data 15.06.15. Avverso tale decisione la cessionaria aveva proposto reclamo avanti alla Corte d’appello di Venezia.</p> <p style="text-align: justify;">Con decreto in data 15.10.15, la Corte di merito aveva respinto il reclamo, osservando che “…<em>il decreto di omologazione delle condizioni della separazione coniugale costituiva titolo per iscrivere ipoteca giudiziale, ai sensi dell’art. 2818, ma non nei confronti di soggetti terzi debitori in base ad una sentenza di condanna rispetto alla quale vi era stata cessione del credito tra i coniugi nell’ambito dell’accordo di separazione</em>…”. La Procura Generale presso la Corte d’appello di Venezia aveva proposto ricorso per cassazione.</p> <p style="text-align: justify;">Gli Ermellini hanno sottolineato la correttezza della decisione della Corte d’appello, la cui <em>ratio</em> va individuata nella violazione della procedura di cui all’art. 2843 c.c. in ordine alla annotazione della cessione del credito, sostenendo il seguente principio di diritto: la trasmissione della ipoteca dal marito alla moglie può verificarsi solo successivamente alla sua accensione che consegue alla iscrizione costitutiva della garanzia reale ed ha effetto in favore della moglie solo a seguito della annotazione a margine ai sensi dell’art. 2843 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 maggio esce la sentenza della I sezione del TAR Campania n. 2583 che dichiara l’illegittimità di una deliberazione con la quale il Direttore Generale di una ASL ha assunto la determinazione di rifiutare il consenso a tutte le cessioni di credito e/o cartolarizzazioni notificate alla medesima Azienda Sanitaria da alcune società creditrici della medesima Azienda Sanitaria, nel caso in cui si tratti di operazioni di cessione a fini di cartolarizzazione in corso; infatti, le operazioni aventi ad oggetto cessioni di credito a fini di cartolarizzazione sono oggetto di una disciplina speciale dettata dall’art. 4, co. 4 <em>bis</em>, L. 130/1999 (introdotto dall’art. 12 <a href="http://www.lexitalia.it/n/2580">D.L. 145/2013</a> conv. in <a href="http://www.lexitalia.it/n/2603">L. 9/2014</a>), in base alla quale sono escluse tutte le formalità previste per la cessione di crediti verso la P.A. e a questa non è consentito negare l’adesione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 maggio esce l’ordinanza sentenza della III sezione della Cassazione n. 14887 che si pone in continuità con l’orientamento secondo cui in tutte le ipotesi di azione diretta disciplinate dal D. L.vo n. 209/2005, ivi compresa quella prevista dall'art. 149, il proprietario del veicolo danneggiante deve essere chiamato in causa al fine di rendergli opponibile l'accertamento della responsabilità in vista dell'azione di regresso dell'assicuratore. Ciò vale anche nel caso in cui l'azione non sia promossa dal danneggiato, ma da chi si sia reso cessionario del suo credito, giacché il cessionario fa valere lo stesso credito già spettante al danneggiato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto esce la sentenza della III sezione del TAR Sicilia – sede di Palermo – n. 2068 Secondo cui l’art. 51 (“Vicende soggettive del candidato dell’offerente e dell’aggiudicatario”) del D.lgs. n. 163 del 2006 – analogamente alla speculare previsione di cui al successivo art. 116 che riguarda la fase di esecuzione del contratto – consente, ove si verifichi in corso di gara una vicenda modificativa sotto il profilo soggettivo afferente al candidato, offerente o aggiudicatario, che il nuovo soggetto succeda nella posizione del suo dante causa, ovvero di aspettativa legittima al conseguimento del bene della vita (aggiudicazione e/o conclusione del futuro contratto di appalto), previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 21765 che ribadisce il principio secondo cui il credito di risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione ai sensi dell'artt. 1260 c.c. e ss., e il cessionario può, in base a tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto, pur se assicuratore per la r.c.a., non sussistendo alcun divieto normativo in ordine alla cedibilità del credito risarcitorio. La cessione in esame, infatti, come spesso avviene, costituisce non già un'operazione di finanziamento, bensì il mero mezzo di pagamento da parte del cedente della prestazione professionale di carrozziere svolta dalla cessionaria del credito.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 25491 onde la cessione del credito IVA importa il subingresso del terzo nella posizione del contribuente e la controversia concernente il rimborso ha comunque l'attitudine a porre questioni inerenti al rapporto tributario, da definirsi con autorità di giudicato anche in contraddittorio con il cessionario (Cass., sez. un., 28 novembre 2018, n. 30751).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò perché la cessione del credito lascia inalterati i termini e le modalità del rapporto sostanziale da cui il credito trae origine, sicché il debitore ceduto diventa obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui lo era nei confronti del suo creditore originario.</p> <p style="text-align: justify;">Di qui la conseguenza che il cessionario acquista i diritti rivolti alla realizzazione del credito ceduto, tra i quali appunto rientrano le azioni dirette all'adempimento della prestazione, compresa quella di rimborso rivolta al fisco, che necessariamente implicano l'impugnazione delle sentenze che tale rimborso abbiano vanificato.</p> <p style="text-align: justify;">La Cassazione aveva già affermato che il cessionario di un credito IVA, la cessione del quale sia intervenuta prima dell'eventuale giudizio riguardante il credito, vanta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria una posizione sostanziale autonoma che lo faculta a proporre intervento adesivo autonomo, ex art. 14, 3 0 co., del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella controversia già instaurata tra Amministrazione e contribuente titolare del credito e, quindi, di impugnare la sentenza emessa a conclusione del giudizio, a fini di economia processuale (così Cass. 7 marzo 2017, n. 5621 e prima, in termini, Cass. 17 gennaio 2001, n. 575).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 ottobre esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 26759 che affronta il seguente problema: se dalle retribuzioni spettanti al lavoratore dal datore di lavoro, che abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo e che abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, sia detraibile quanto il lavoratore medesimo nello stesso periodo abbia percepito, pure a titolo di retribuzione, per l'attività prestata alle dipendenze dell'imprenditore già cessionario, ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente la non opponibilità della cessione al dipendente ceduto. Infatti, una volta escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio, non trova applicazione il principio della <em>compensatio lucri cum damno</em> su cui si fonda la detraibilità dell'<em>aliunde perceptum </em>dal risarcimento.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la Corte, la soluzione del suesposto quesito richiede un'attenta disamina degli effetti realizzati dalla suddetta qualificazione di retribuzione di quanto spettante al lavoratore dal proprio originario datore di lavoro sul corrispettivo ricevuto per l'attività prestata dal soggetto alle dipendenze del quale, pure avendo offerto la propria prestazione al primo, abbia tuttavia continuato a lavorare. E ciò anche per dare conto di un'istintiva perplessità, in realtà frutto di un'equivoca suggestione, in ordine ad una presunta duplicazione indebita di retribuzione a fronte di un'unica attività prestata dal lavoratore, che così conseguirebbe una locupletazione non dovuta.</p> <p style="text-align: justify;">Giova allora chiarire subito come soltanto un legittimo trasferimento d'azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all'art. 2112 c.c. che, in deroga all'art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che l'unicità del rapporto venga meno qualora il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l'instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore "continui" di fatto a lavorare.</p> <p style="text-align: justify;">D'altro canto, è insegnamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità che l'unicità del rapporto presupponga la legittimità della vicenda traslativa regolata dall'art. 2112 c.c. Sicché, accertatane l'invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l'illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale). In sintesi, il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall'art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell'originario cedente.</p> <p style="text-align: justify;">Si potrebbe però obiettare come, a fronte di una duplicità di rapporti (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell'originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l'altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa), questa resti (apparentemente) unica.</p> <p style="text-align: justify;">In proposito occorre invece osservare come, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d'azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve ne sia un'altra giuridicamente resa in favore dell'originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto.</p> <p style="text-align: justify;">Ed infatti, al dipendente la retribuzione spetta tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di <em>mora accipiendi</em> nei suoi confronti. Una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l'obbligo di pagare la controprestazione retributiva. Non si dubita, ad esempio, che in base agli artt. 1218 e 1256 c.c. la "sospensione unilaterale" del rapporto da parte del datore di lavoro sia giustificata ed esoneri il medesimo datore dall'obbligazione retributiva solo quando non sia imputabile a fatto dello stesso.</p> <p style="text-align: justify;">A tale proposito vale la pena rammentare pure il tradizionale orientamento (formatosi antecedentemente alla modifica dell'art. 18 I. 300/1970 con la I. 108/1990) secondo il quale la pronuncia che dichiarava l'illegittimità del licenziamento e ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro faceva insorgere l'obbligo del datore, che non ottemperasse a tale ordine, di corrispondere la retribuzione dovuta, in ragione della riaffermata vigenza della <em>lex contractus</em> e della ininterrotta continuità del rapporto di lavoro, con la correlativa equiparazione, alla effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente, della mera utilizzabilità di esse, in relazione alla disponibilità del lavoratore a riprendere servizio (Cass. S.U. 13 aprile 1988, n. 2925).</p> <p style="text-align: justify;">La conseguenza che si è tratta è pure coerente con il diritto generale delle obbligazioni, che, non a caso, ha collocato, nel capo (II del Titolo I del libro IV) "Dell'adempimento delle obbligazioni", la disciplina della mora del creditore (sezione III). Per comprensibili ragioni di diversa coercibilità, essa differenzia le obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni fungibili da quelle relative a prestazioni infungibili (cui evidentemente appartengono quelle inerenti la prestazione di lavoro).</p> <p style="text-align: justify;">Sicché, per le prime la costituzione in <em>mora credendi</em> (e la conseguente offerta di restituzione) vale unicamente a stabilire il momento di decorrenza degli effetti della mora, specificamente indicati dall'art. 1207 c.c., ma non anche a determinare la liberazione del debitore, che la legge subordina (art. 1210 c.c.) all'esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido con sentenza passata in giudicato (Cass. 29 aprile 2014, n. 8711). Per le seconde, dovendo l'adempimento della prestazione di fare essere preceduto da atti preparatori, la cui esecuzione richiede la collaborazione del creditore, basta invece che il debitore, che intenda conseguire la liberazione dal vincolo, costituisca il primo in mora mediante l'intimazione prevista dall'art. 1217 c.c.: integrando insindacabile valutazione di merito l'accertamento della necessità della collaborazione del creditore, affinché il debitore possa adempiere la propria obbligazione di fare (Cass. 12 luglio 1968, n. 2474).</p> <p style="text-align: justify;">Dai principi di diritto suenunciati discende allora, siccome coerente precipitato logico-giuridico, che, mediante l'intimazione del lavoratore all'impresa cedente di ricevere la prestazione con modalità valida ai fini della costituzione in <em>mora credendi</em> del medesimo datore (il quale la rifiuti senza giustificazione), il debitore del facere infungibile abbia posto in essere quanto è necessario, secondo il diritto comune, per far nascere il suo diritto alla controprestazione del pagamento della retribuzione, equiparandosi la prestazione rifiutata alla prestazione effettivamente resa per tutto il tempo in cui il creditore l'abbia resa impossibile non compiendo gli atti di cooperazione necessari.</p> <p style="text-align: justify;">Sicché da quel momento l'attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale a quella che il lavoratore, bisognoso di occupazione, renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo: così come la retribuzione corrisposta da ogni altro datore di lavoro presso il quale il lavoratore impiegasse le sue energie lavorative si andrebbe a cumulare con quella dovuta dall'azienda cedente, parimenti anche quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un'attività resa nell'interesse e nell'organizzazione di questi, non va detratta dall'importo della retribuzione cui il cedente è obbligato.</p> <p style="text-align: justify;">Né tale prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo esclude una valida offerta di prestazione all'originario datore (Cass. 8 aprile 2019, n. 9747), considerato che, una volta che l'impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della <em>mora credendi</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Acclarato che dopo la sentenza che ha dichiarato insussistenti i presupposti per il trasferimento del ramo d'azienda, in uno alla messa in mora operata del lavoratore, vi è l'obbligo dell'impresa (già) cedente di pagare la retribuzione e non di risarcire un danno, non vi è norma di diritto positivo che consenta di ritenere che tale obbligazione pecuniaria possa considerarsi, in tutto o in parte, estinta per il pagamento della retribuzione da parte dell'impresa originaria destinataria della cessione.</p> <p style="text-align: justify;">Parimenti non sono applicabili le disposizioni contenute nel d. Igs. n. 276 del 2003 laddove all'art. 27, secondo comma (previsto in materia di somministrazione irregolare ma richiamato anche dall'art. 29, comma 3bis, in tema di appalto illecito) stabilisce che "tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata".</p> <p style="text-align: justify;">Il meccanismo che consente l'incidenza liberatoria degli adempimenti comunque posti in essere dal somministratore o dall'appaltatore è stato richiamato dalla sentenza n. 2990 del 2018 delle Sezioni unite limitatamente ai "pagamenti effettuati a vantaggio del soggetto che ha utilizzato effettivamente la prestazione" (Cass. 31 ottobre 2018, n. 27976). Il testo delle disposizioni, che espressamente si riferisce alle fattispecie della somministrazione e dell'appalto, non ne consente l'applicazione diretta alla diversa ipotesi del trasferimento d'azienda.</p> <p style="text-align: justify;">Il dato testuale che connette l'effetto liberatorio del pagamento esclusivamente in favore del soggetto che "ha effettivamente utilizzato la prestazione" esclude altresì ogni interpretazione estensiva (men che meno analogica) che consenta l'applicazione al caso della cessione di ramo d'azienda, ove l'impresa cedente, che dovrebbe beneficiare del pagamento altrui, non utilizza affatto la prestazione del lavoratore ceduto. E' che i fenomeni interpositori rappresentati dalla somministrazione irregolare o dall'appalto illecito risultano strutturalmente incomparabili con le cessioni di ramo d'azienda dichiarate illegittime nei confronti del lavoratore ceduto. Nel primo caso il soggetto che ha utilizzato le prestazioni è il datore di lavoro reale al quale è imputabile la titolarità dell'unico rapporto, mentre nel secondo caso l'impresa cedente non è il soggetto che utilizza la prestazione, invece effettuata a vantaggio di una diversa organizzazione d'impresa che diventa titolare di un altro rapporto e che paga un debito proprio.</p> <p style="text-align: justify;">Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: "<em>In caso di cessione di ramo d'azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all'art. 2112 c. c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa</em>".</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 dicembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 31577 onde l'art. 4 comma 1° L n. 130/1999 dispone che alle cessioni di credito poste in essere ai sensi della stessa legge sulle cartolarizzazioni si applica l'art. 58 comma 3 0 TUB, il quale prevede non solo che i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità di annotazione, ma anche che "restano altresì applicabili le discipline speciali , anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti".</p> <p style="text-align: justify;">Non vi è dubbio quindi che in base al combinato disposto delle due norme sopra citate è stata estesa anche ai cessionari di crediti acquistati nelle operazioni di cartolarizzazione ex legge n. 130/1999 quella speciale prerogativa concessa dal legislatore all'art. 50 del Testo Unico Bancario - che costituisce una disciplina speciale di carattere processuale - alle banche allo scopo di dotarle di strumenti rapidi ed efficaci che consentano di contenere gli immobilizzi e le perdite su crediti, i cui effetti dannosi si rifletterebbero automaticamente su tutto il sistema economico e finanziario che riceve credito dalle banche.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, la natura bancaria o meno del soggetto cessionario del credito non rileva ai fini dell'applicabilità, al caso di specie, dell'art. 50 TUB, trattandosi di una prerogativa che è stata attribuita ai cessionari dei crediti acquistati nelle operazioni di cartolarizzazione (e conseguentemente anche ai loro mandatari) direttamente dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 34113 secondo cui il trattamento delle informazioni personali effettuato nell'ambito dell'attività di recupero crediti sia lecito purché, avvenga nel rispetto del criterio di minimizzazione nell'uso dei dati personali, dovendo essere utilizzati solo i dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati. Tale principio era ben espresso dall'art. 3 del d.lgs n. 196/2003, recante il titolo "<em>principio di necessità nel trattamento dei dati</em>", e dall'art. 11 lett. d) legge cit., richiedente la pertinenza, la completezza e non eccedenza dei dati rispetto alle finalità per cui sono raccolti e trattati (tali articoli sono stati recentemente abrogati a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs n del 10/08/2018 n. 101) ed è stato recentemente riaffermato con l'entrata in vigore dell'art. 5 lett. c) del regolamento europeo sulla protezione dei dati personali 2016/679.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 1534 che ribadisce l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, poiché il T.F.R. diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, la circostanza che i ratei maturati fino al momento della cessione d'azienda siano stati (erroneamente) ammessi allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non vincola l'istituto previdenziale, il quale in quanto estraneo alla procedura, deve poter contestare il credito vantato a titolo di T.F.R. affermandone l'inesigibilità, anche parziale, col che neppure la garanzia prevista dalla I. n.297 del 1982 ha modo di operare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 febbraio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 3913 che si pone in continuità con l’orientamento secondo cui, in mancanza di espliciti divieti legali in ordine alla cessione del credito per trattamento di fine rapporto, opera la regola posta dall'art. 1260 c.c. che è quella della cedibilità dei crediti, salvo che si tratti di crediti di carattere strettamente personale o il loro trasferimento sia vietato dalla legge.</p> <p style="text-align: justify;">Detti divieti, costituendo eccezione alla regola generale della libera cedibilità dei crediti, non possono, a norma dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, essere applicati oltre i casi espressamente contemplati, né è possibile ritenere che il credito del lavoratore in ordine al trattamento di fine rapporto sia di natura strettamente personale, dovendo intendersi per tali quelli volti al diretto soddisfacimento di un interesse fisico o morale della persona, per i quali l'incedibilità è sancita in generale a tutela del debitore, in considerazione della rilevanza che assume la persona del creditore ai fini del contenuto della prestazione.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto non può di certo affermarsi - continua la Corte - per il trattamento di fine rapporto, prestazione il cui contenuto, determinato in base alla disciplina dettata dall'art. 2120 cod. civ., è collegato, sotto il profilo causale, al rapporto di lavoro e senza che, ai fini della determinazione della prestazione, abbia alcuna incidenza la persona del creditore. Né la qualificazione di credito strettamente personale può derivare dal fatto che avendo il trattamento di fine rapporto natura di retribuzione differita, a cui deve aggiungersi, secondo costante giurisprudenza, una funzione latamente previdenziale, esso assolve anche ad una funzione alimentare del lavoratore e della sua famiglia, poiché soltanto il credito alimentare che trova la sua fonte nella legge (art. 433 cod. civ.) non è cedibile, e poiché la funzione alimentare che al trattamento di fine rapporto deriva dalla sua natura retributiva va riferita soltanto a parte del trattamento di fine rapporto, ed è anche eventuale.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, secondo la Corte, occorre procedere alla ricognizione del quadro normativo posto dal d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nella versione di testo <em>pro tempore</em> vigente, applicabile anche ai crediti di un lavoratore alle dipendenze di azienda privata.</p> <p style="text-align: justify;">Detto Decreto, nel Titolo I dedicato a talune disposizioni generali, all'art. 1 stabilisce: "<em>Non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge, gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che lo Stato, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e qualsiasi altro ente od istituto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza dell'amministrazione pubblica, comprese le aziende autonome per i servizi pubblici municipalizzati, e le imprese concessionarie di un servizio pubblico di comunicazioni o di trasporto nonché le aziende private corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell'opera prestata nei servizi da essi dipendenti</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto viene stabilita la regola generale circa la insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti, anche se corrisposti da "aziende private", "salve le eccezioni" stabilite negli articoli che seguono nel Decreto o in altre disposizioni di legge.</p> <p style="text-align: justify;">L'art. 2 contiene le "eccezioni alla insequestrabilità e all'impignorabilità", con i relativi limiti.</p> <p style="text-align: justify;">L'art. 5, dedicato a "Facoltà e limiti di cessione di quote di stipendio e salario", stabilisce: "<em>Gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell'art. 1 possono contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell'ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute e per periodi non superiori a dieci anni, secondo le disposizioni stabilite dai titoli II e III del presente testo unico</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Il rinvio è al Titolo II, che concerne la "cessione degli stipendi e dei salari degli impiegati e salariati dello Stato", nonché al Titolo III che riguarda, invece, la "cessione degli stipendi e salari dei dipendenti dello Stato non garantiti dal Fondo, degli impiegati e dei salariati non dipendenti dello Stato e (dopo la modifica introdotta dalla L. n. 311 del 2004) dei dipendenti di soggetti privati".</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che nel Titolo III del testo unico in esame deve essere individuata la disciplina della fattispecie concreta che riguarda il dipendente di un soggetto privato.</p> <p style="text-align: justify;">La norma di esordio di detto Titolo II, l'art. 51, è rubricato "Facoltà dei non dipendenti dello Stato di contrarre prestiti" e prevede: "<em>Gli impiegati e salariati delle amministrazioni indicate nell'art. 1 e non contemplati nel Titolo II, possono contrarre prestiti alle condizioni e per la durata stabilite nell'art. 6</em>".</p> <p style="text-align: justify;">L'art. 52, ai primi due commi, recita: "<em>Gli impiegati e salariati delle amministrazioni indicate nel precedente articolo, assunti in servizio a tempo indeterminato a norma della legge, sul contratto d'impiego privato od in base a contratti collettivi di lavoro, possono fare cessione di quote di stipendio o di salario non superiore al quinto per un periodo non superiore ai dieci anni, quando siano addetti a servizi di carattere permanente, siano provvisti di stipendio o salario fisso e continuativo. Nei confronti dei medesimi impiegati e salariati assunti in servizio a tempo determinato, la cessione del quinto dello stipendio o del salario non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell'operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. Alla cessione del trattamento di fine rapporto posta in essere dai soggetti di cui al precedente e al presente comma non si applica il limite del quinto</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che mentre per la "cessione di quote di stipendio o di salario", sia nel caso di lavoro a tempo indeterminato che a tempo determinato, è espressamente previsto che essa non sia superiore al quinto dell'importo, altrettanto espressamente è previsto che tale limite non operi per la "cessione del trattamento di fine rapporto", fungendo essa da forma di garanzia per l'estinzione del debito contratto dal cedente.</p> <p style="text-align: justify;">Tanto trova conferma nel successivo art. 55 che, nel disciplinare la "Estensione degli effetti della cessione nei casi di cessazione dal servizio", al comma 2 dispone: "<em>Alla cessazione dal servizio, la cessione di quote di stipendio o 'salario in corso di estinzione estende i suoi effetti, a termini del penultimo comma dell'art. 43, anche sulle indennità che siano dovute agli impiegati o ai salariati indicati nell'art. 52, in base alla legge sul contratto di impiego privato o ai contratti di impiego o di lavoro</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Il richiamato penultimo comma dell'art. 43 stabilisce che: "<em>Qualora la cessazione dal servizio, anziché ad una pensione o altro assegno continuativo equivalente, dia diritto ad una somma una volta tanto, a titolo di indennità o di capitale assicurato, a carico dell'amministrazione o di un istituto di previdenza o di assicurazione, tale somma è ritenuta fino alla concorrenza dell'intero residuo debito per cessione</em>".</p> <p style="text-align: justify;">In proposito, la Corte aveva già affermato che nella nozione di "<em>indennità che siano dovute agli impiegati o ai salariati indicati nell'art. 52, in base alla legge sul contratto di impiego privato o ai contratti di impiego o di lavoro</em>" è senz'altro riconducibile il trattamento di fine rapporto e che l'inciso "<em>a termini dell'art. 43, penultimo comma</em>" (cioè del comma 3 di esso), si spiega "<em>nel senso di disporre l'estensione della cessione sulle dette indennità per tutto il residuo dovuto e, quindi, senza il limite dei quinto, previsto dall'art. 43, comma 2, per l'estensione sulle pensioni e sulle erogazioni continuative equivalenti</em>" (in termini: Cass. n. 4465 del 2011, in motivazione).</p> <p style="text-align: justify;">Ciò posto in diritto circa l'assenza di un limite di legge alla cedibilità del trattamento di fine rapporto oltre il quinto del suo importo, ricorda la Corte che, per consolidato orientamento, il contratto di cessione di credito ha natura consensuale, di modo che il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest'ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), finanche ove sia mancata la notificazione prevista dall'art. 1264 c.c. che è necessaria al solo fine di escludere l'efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario (Cass. n. 4713 del 2019; Cass. n. 15364 del 2011; Cass. n. 23463 del 2009; Cass. n. 1312 del 2015).</p> <p style="text-align: justify;">Viene quindi enunciato il seguente principio di diritto: "<em>Ai sensi dell'art. 52, comma 2, cl.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, come modificato dall'art. 13-bis del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla I. 14 maggio 2005, n. 80, alla cessione del trattamento di fine rapporto dei lavoratori pubblici e privati non si applica il limite del quinto</em>".</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste la cessione di credito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>in un <strong>contratto</strong>;</li> <li><strong>bilaterale</strong> (coinvolge il cedente ed il cessionario, mentre il coinvolgimento del debitore ceduto è funzionale solo ad <strong>opporgli</strong> la cessione);</li> <li>avente ad oggetto la <strong>cessione di un credito</strong> (o di un <strong>diritto potestativo</strong>, o di una <strong>aspettativa di diritto</strong>, o comunque del <strong>diritto ad una prestazione</strong>); il credito può essere anche <strong>illiquido</strong>, <strong>a termine</strong>, <strong>condizionato</strong> o <strong>futuro</strong> (ma con <strong>oggetto</strong> sufficientemente <strong>determinato o determinabile</strong>)</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le altre due fattispecie di ambulatorietà dell’obbligazione dal lato attivo, che si affiancano alla cessione di credito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la <strong>surrogazione per pagamento</strong> (articoli 1201 e seguenti del codice), quale <strong>cessione legale del credito</strong> conseguente ad una data fattispecie, con foggia di <strong>subingresso</strong> nella posizione di creditore di chi a.1) ha <strong>pagato</strong> direttamente il debito in luogo del debitore originario, ovvero a.2) ha <strong>pagato</strong> indirettamente concedendo al debitore originario un <strong>mutuo</strong> di ammontare pari alla somma utile a quest’ultimo per pagare il creditore originario;</li> <li>la <strong>delegazione attiva</strong>, non prevista dal codice civile e dunque <strong>atipica</strong>, ma comunque capace di coinvolgere interessi meritevoli di tutela (art.1322 c.c.).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue la cessione del credito dalla delegazione attiva?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la cessione del credito è contratto <strong>tipico</strong> previsto dal codice civile, ha <strong>struttura bilaterale</strong> in quanto coinvolge il cedente e il cessionario, ed a valle di esso il cessionario diviene <strong>titolare esclusivo</strong> del credito ceduto;</li> <li>la delegazione attiva è contratto <strong>atipico</strong> non previsto esplicitamente dal codice civile, che ha <strong>struttura trilaterale</strong> in quanto coinvolge il creditore delegante, il creditore delegato e il debitore delegatario; a valle di esso un creditore, il delegato, <strong>si aggiunge</strong> al creditore delegante con <strong>effetto cumulativo</strong> che consente ad <strong>entrambi</strong> i creditori (delegante e delegato) di agire nei confronti del debitore delegatario laddove inadempiente.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali crediti vanno considerati incedibili?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>i crediti di <strong>natura strettamente personale</strong>;</li> <li>i crediti la cui cessione sia <strong>vietata dalla legge</strong>: crediti che il <strong>minore</strong> non può cedere ai <strong>genitori</strong> (art. 323 c.c.); crediti <strong>alimentari</strong> (art. 447 c.c.); crediti <strong>litigiosi</strong> (art.1261 c.c.);</li> <li>i crediti la cui cessione <strong>sia vietata dall’accordo delle parti</strong> (creditore e debitore): il <strong>patto di incedibilità convenzionale</strong> non può tuttavia essere <strong>opposto</strong> al creditore cessionario se non si prova che quegli <strong>lo conosceva</strong> al tempo della <strong>cessione</strong> (tutela dell’<strong>affidamento</strong> del cessionario).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è la natura giuridica della cessione del credito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>negozio autonomo che produce specifici effetti</strong>, come dimostra l’art.1264 c.c. dove si dice esplicitamente che essa “<strong><em>ha effetto</em></strong>”, e come conferma la relativa collocazione nell’ambito delle <strong>obbligazioni in generale</strong>; la <strong>causa</strong> di tale negozio è da considerarsi <strong>astratta</strong>, in quanto il trasferimento del credito si produce <strong>senza la necessità di una qualche giustificazione</strong> (tesi recessiva), ovvero quale “<strong><em>causa generica costante</em></strong>” o “<strong><em>causa variabile</em></strong>” - finalità di trasferire un credito - che deve tuttavia essere <strong>integrata</strong> con la <strong>causa specifica perseguita di volta in volta</strong>, gratuita, onerosa, solutoria, di garanzia e così via (tesi più accreditata);</li> <li>si tratta dell’<strong>effetto di un altro negozio</strong>, e dunque compendia <strong>una “<em>fattispecie effettuale</em>”</strong> rispetto ad un <strong>negozio diverso</strong> come la vendita (se il credito viene ceduto verso un corrispettivo) ovvero la donazione (se viene ceduto in modo gratuito e per spirito di liberalità). La <strong>causa</strong> della cessione del credito e dunque <strong>esterna</strong> e riposta nella <strong>causa del diverso negozio</strong> del quale costituisce <strong>effetto </strong>(tesi recessiva).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che struttura presenta la cessione del credito?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>se <strong>il debitore interviene</strong> nel negozio, mediante <strong>accettazione</strong>, la cessione ha <strong>struttura trilaterale</strong>; se invece non vi interviene, essa ha struttura <strong>bilaterale</strong> (tesi dualistica, ormai recessiva);</li> <li>si tratta di un negozio che ha <strong>sempre struttura bilaterale</strong>, che vi partecipi o no il debitore ceduto, perché coinvolge il creditore cedente e il creditore cessionario (tesi <strong>monista o unitaria</strong>, ormai maggioritaria). Notifica al debitore o accettazione da parte del debitore medesimo (art.1264 c.c.) non costituiscono né un <strong>elemento costitutivo</strong> né un <strong>requisito di efficacia</strong> della cessione, alla quale <strong>è bastevole il consenso traslativo</strong> tra cedente e cessionario (art.1376 c.c.): esse servono solo a <strong>rendere opponibile al debitore ceduto</strong> la cessione (se il debitore <strong>paga <em>ex post</em></strong> al creditore cedente non può assumersi liberato). Laddove la cessione <strong>non sia partecipata</strong> al debitore ceduto, e questo paghi al creditore cedente, viene in rilievo <strong>l’art.1189 c.c.</strong> in tema di <strong>pagamento in buona fede al creditore apparente</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa accade se il creditore cedente opera plurime cessioni del medesimo credito e il pagamento del debitore ceduto avviene dopo la notificazione a lui della cessione o dopo la relativa accettazione?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Se il credito è <strong>incorporato in titoli di credito</strong>, vige il regime che presidia la <strong>presentazione del titolo</strong> di credito medesimo; se la cessione del credito è <strong>soggetta a trascrizione</strong> (ad esempio in caso di cessione di <strong>crediti inerenti all’azienda alienata</strong>: art. 2643, comma 1, n.9 c.c.) si applica il regime della anteriorità della trascrizione; in ogni altro caso, opera <strong>l’art.1265 c.c.</strong> onde:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>prevale il <strong>creditore cessionario B</strong> – anche se <strong>in mala fede</strong> - la cui cessione sia stata <strong>notificata</strong> al debitore o da lui <strong>accettata</strong> per <strong>prima</strong> con <strong>atto di data certa anteriore</strong>, quand’anche la relativa cessione <strong>sia posteriore</strong> a quella operata al <strong>creditore cessionario</strong> <strong>A</strong>, il quale ultimo <strong>non ha</strong> tuttavia <strong>provveduto per tempo</strong> a notificare o a fare accettare al debitore ceduto la <strong>propria cessione</strong> (anteriore a quella di B);</li> <li>stesso regime si applica se, in luogo di due cessioni, l’operazione riguarda un duplice <strong>usufrutto di crediti</strong>, <strong>sequestro di crediti</strong> o <strong>pegno di crediti</strong>: a dirimere il conflitto è sempre l’<strong>anteriorità</strong> della <strong>notifica</strong> al debitore o della relativa <strong>accettazione</strong> con atto di data certa.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che tutela può essere erogata al primo cessionario che tuttavia abbia visto prevalere il secondo cessionario ex art.1265 c.c.?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il primo cessionario A, secondo notificante o destinatario di accettazione, può ottenere:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il <strong>risarcimento del danno</strong> dal <strong>creditore cedente</strong> in mala fede (che ha ceduto anche al creditore B, poi prevalso), a titolo <strong>contrattuale</strong>;</li> <li>il <strong>risarcimento del danno</strong> dal <strong>debitore ceduto in mala fede</strong> (che ha ricevuto la notifica o ha accettato la cessione al creditore B con atto di data certa anteriore, <strong>pur sapendo</strong> che il credito era stato già ceduto al creditore A), a titolo <strong>aquiliano</strong>;</li> <li>il <strong>risarcimento del danno</strong> dal creditore B, secondo cessionario e primo notificante o destinatario di accettazione dal debitore ceduto <strong>e consapevole</strong> della anteriorità della cessione ad A, a titolo <strong>aquiliano</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa accade se il creditore cedente opera plurime cessioni del medesimo credito e il pagamento del debitore ceduto avviene prima della notificazione a lui della cessione o prima della relativa accettazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>non opera l’art.1265</strong>c. - che riguarda i soli casi in cui, quando avviene il pagamento, la notifica al debitore ceduto o la relativa accettazione <strong>siano già intervenute</strong> – ma <strong>opera l’art. 1376</strong> c.c. sulla <strong>cessione ad effetti reali</strong>, sicché il pagamento è efficace (liberatorio) solo se è operato <strong>nei confronti del primo cessionario A</strong>, che ha acquisito il credito dal creditore cedente, e non anche al creditore cessionario B, che <strong>è solo apparentemente tale</strong> in quanto il creditore cedente non poteva cedergli un credito che ha già ceduto al cessionario A;</li> <li>opera <strong>anche in questo caso l’art. 1265</strong>, sicché laddove il creditore cessionario B <strong>notifichi per primo</strong> al debitore ceduto la cessione (o ne ottenga per primo l’accettazione), il pagamento già operato al creditore cessionario A <strong>non potrà assumersi liberatorio</strong> per il debitore ceduto.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che natura giuridica può essere ascritta all’atto di accettazione della cessione da parte del debitore ceduto?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è mera <strong>dichiarazione di scienza </strong>con la quale egli <strong>individua il soggetto attivo della pretesa</strong> che lo coinvolge (tesi prevalente);</li> <li>è <strong>negozio giuridico</strong> di <strong>riconoscimento del debito</strong> nei confronti del nuovo creditore ceduto (tesi recessiva);</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In tema di garanzie che assistono la cessione del credito ex art.1266 c.c., quale è la posizione della giurisprudenza e della dottrina?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la garanzia concerne <strong>la sola esistenza</strong> del credito al momento della cessione (c.d. <strong><em>nomen verum</em></strong>);</li> <li>la garanzia concerne, oltre alla esistenza del credito, anche <strong>altri predicati</strong> del medesimo strettamente connessi alla <strong>sorte del negozio</strong> che ne costituisce la fonte (c.d. <strong><em>nomen bonum</em></strong>): è il caso del credito che esiste al momento della cessione, ma successivamente il <strong>contratto dal quale scaturisce</strong> viene <strong>annullato</strong>, <strong>risolto o rescisso</strong> (anche se in simili casi, secondo parte della dottrina, considerato che il contratto annullabile è pienamente efficace fino all’annullamento, il credito al momento della cessione deve assumersi esistente); o il caso del credito esistente <strong>ma ormai prescritto</strong>. Altra ipotesi è quella di <strong>negozio-fonte nullo o inefficace</strong>. Altra ancora è quella in cui il cedente abbia <strong>ceduto un credito altrui</strong> e dunque sia <strong>privo di legittimazione a cederlo</strong> al momento della cessione.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue la cessione <em>pro solvendo</em> dalla cessione <em>pro soluto</em>?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>nella cessione <strong><em>pro soluto</em></strong> il creditore cedente <strong>garantisce</strong> al cessionario <strong>il solo <em>nomen verum</em></strong>, ovvero l’<strong>esistenza</strong> del credito ceduto, non potendosi assumere responsabile se il debitore poi <strong>non adempie</strong> al cessionario perché <strong>insolvibile</strong>, il <strong>rischio di insolvenza</strong> del debitore ceduto ricadendo dunque sul <strong>creditore cessionario</strong>;</li> <li>nella cessione <strong><em>pro solvendo</em></strong>, che muove da una <strong>esplicita garanzia</strong> tra le parti, il creditore cedente garantisce al cessionario <strong>anche l’adempimento</strong> del debitore ceduto e quindi <strong>la relativa solvenza</strong>, il <strong>rischio di insolvenza</strong> del debitore ceduto ricadendo dunque sul <strong>creditore cedente</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In quali casi la legge prevede esplicitamente che la garanzia sia <em>pro solvendo</em> a favore del creditore cessionario?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>parzialmente, in caso di <strong>assegnazione di un credito a valle di una divisione ereditaria</strong> (art.760 c.c.);</li> <li>in caso di <strong>cessione di credito in pagamento</strong> (art.1198 c.c.);</li> <li>nella fattispecie dello <strong>sconto</strong> (art.1859 c.c.);</li> <li>in caso di <strong>conferimento di un credito in società</strong> (art. 2255 c.c.).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Nella cessione <em>pro solvendo</em> in cosa consiste la garanzia a favore del cessionario?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il cessionario non può ottenere dal cedente <strong>l’importo del credito</strong> (non pagato dal debitore ceduto), ma solo <strong>il corrispettivo che ha versato</strong> al cedente per la cessione, oltre <strong>accessori</strong> (interessi legali, spese di cessione, spese sostenute per escutere infruttuosamente il debitore): si tratta del <strong>danno emergente</strong> che ha subito dalla cessione, e che può ottenere dal cedente attivando, secondo la dottrina, una <strong>clausola risolutiva implicita</strong> della cessione, o comunque un proprio <strong>diritto potestativo</strong> (art.1267 c.c.);</li> <li>il cessionario <strong>non può ottenere</strong> dal cedente il <strong>lucro cessante</strong>, in quanto il patto che estende la garanzia oltre i limiti di cui all’art. 1267, primo comma, c. <strong>è nullo</strong>; si vuole evitare che la cessione del credito si trasformi in un modo surrettizio di <strong>finanziare il creditore cedente</strong> sottoponendolo ad un <strong>elevato costo di restituzione</strong> della somma finanziata, così <strong>snaturando la causa</strong> del negozio di cessione;</li> <li>se il cessionario è <strong>negligente</strong> nell’iniziare o nel proseguire le azioni verso il debitore ceduto, e sussiste un <strong>nesso causale</strong> tra negligenza del cessionario e mancata realizzazione del credito, la garanzia <strong>è esclusa</strong> (art.1267, comma 2, c.c.);</li> <li>l’onere della <strong>preventiva escussione</strong> è <strong>accessorio</strong> alla cessione, ma le parti possono <strong>escluderlo</strong> esplicitamente, salva in ogni caso la necessità per il creditore <strong>cessionario</strong>, una volta <strong>richiesto infruttuosamente</strong> il pagamento al debitore ceduto, di <strong>risolvere subito la cessione</strong> mettendo il creditore cedente nella <strong>possibilità di agire lui</strong> verso il debitore.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare con riguardo al regime delle eccezioni che il debitore ceduto può opporre al creditore cessionario?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un sistema <strong>rigido</strong>, che ha reso la cessione del credito uno <strong>strumento poco duttile</strong> nei commerci e ha favorito la nascita dei <strong>titoli di credito</strong>, in cui il regime delle eccezioni è assai più favorevole al <strong>portatore</strong> del <strong>credito incorporato</strong> nel titolo;</li> <li>la rigidità del regime delle eccezioni dipende alla natura di <strong>acquisto a titolo derivativo</strong> della cessione del credito in capo al cessionario, sicché egli acquista <strong>lo stesso credito</strong> già in capo al cedente;</li> <li>mentre è certo che il debitore ceduto può opporre al cessionario <strong>tutte le eccezioni collegate al titolo</strong> dal quale il credito ceduto è sorto, più dubbia è l’opponibilità anche delle eccezioni relative alla <strong>validità</strong> ed all’<strong>efficacia</strong> del <strong>negozio di cessione</strong>;</li> <li>chi ritiene che il debitore ceduto abbia l’onere di opporre al creditore cessionario anche le eccezioni relative alla validità ed all’efficacia del <strong>negozio di cessione</strong>, per conseguenza assume che nel caso in cui tali eccezioni non siano opposte, il debitore ceduto non possa considerarsi <strong>liberato</strong> pagando al cessionario, con conseguente onere in capo a lui di <strong>accertare</strong>: a) l’<strong>avvenuta stipulazione</strong> del negozio di cessione (e qui il debitore ceduto può avvalersi della <strong>d. legittimazione storica</strong> del cedente, che gli consente di <strong>presumere</strong> fino a prova contraria che il creditore è il solo cedente e di pretendere per conseguenza dal cessionario, ad esempio, i documenti originali della cessione; b) la <strong>efficacia giuridica</strong> del negozio di cessione (qui il debitore ceduto, non essendo parte del negozio di cessione, può essere ritenuto responsabile di un pagamento affrettato solo se versa in <strong>colpa grave</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa è e quali problemi pone la cessione del credito a scopo di garanzia?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>nella cessione del credito a <strong>scopo di garanzia</strong>, il creditore cedente è <strong>debitore del creditore cessionario</strong> (che spesso è una banca), sicché la causa della cessione è <strong>garantire</strong> il cessionario della pretesa che egli vanta verso il cedente;</li> <li>se il cedente non adempie al proprio debito verso il cessionario, questi <strong>potrà esigere il credito</strong> nei confronti del debitore ceduto; se invece il cedente adempie all’obbligazione verso il cessionario, quest’ultimo <strong>deve retrocedere</strong> il credito ricevuto in garanzia al debitore cedente;</li> <li>si sono posti dubbi in ordine alla violazione del <strong>divieto del patto commissorio</strong>, che sono stati tuttavia superati dalla giurisprudenza – tenendo conto del fatto che si tratta normalmente di <strong>crediti pecuniari</strong> - facendo <strong>applicazione analogica dell’art.2803</strong>c. in tema di <strong>pegno irregolare</strong>: laddove il debitore-creditore cedente non adempia la propria prestazione nei confronti del creditore cessionario, questi <strong>può esigere il credito ceduto</strong> dal debitore (ceduto), ma laddove vi sia <strong>un <em>surplus</em></strong>, questo <strong>va poi restituito</strong> al cedente, circostanza capace di escludere l’esposizione di quest’ultimo a pressioni da parte del proprio creditore (cessionario).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste il factoring?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è un negozio <strong>atipico</strong>, che utilizza <strong>lo schema della cessione del credito</strong> di cui al codice civile, e che ci viene dal mondo <strong>anglosassone</strong>;</li> <li>coinvolge <strong>due imprenditori</strong>, l’imprenditore cedente da un lato e l’imprenditore cessionario (<strong><em>factor</em></strong>) dall’altro;</li> <li>ha ad oggetto la cessione dei crediti derivati o derivanti dall’<strong>esercizio dell’impresa del cedente</strong>;</li> <li>la cessione può avvenire <strong><em>pro soluto</em></strong> o <strong><em>pro solvendo</em></strong>;</li> <li>la cessione può essere <strong>ad effetti reali</strong>, se coinvolge <strong>globalmente</strong> crediti <strong>esistenti</strong>;</li> <li>la cessione può essere <strong>ad effetti obbligatori</strong>, se coinvolge crediti <strong>futuri</strong> o se comunque occorrono <strong>distinti negozi di cessione successivi</strong> per trasferire i singoli crediti promessi in cessione;</li> <li>la cessione può essere <strong>strutturalmente unica</strong> (tutti i crediti presenti e futuri), ovvero articolarsi in <strong>una sequenza contrattuale</strong> in cui ad una <strong>convenzione iniziale</strong> (<strong>senza</strong> effetto <strong>traslativo</strong>) seguono poi <strong>singoli negozi di cessione</strong> dei vari crediti (ciascuna <strong>con effetto traslativo</strong>);</li> <li>la <strong>volontà dei debitori ceduti</strong> (clienti dell’imprenditore cedente) non spiega <strong>alcun effetto</strong>, sicché la notifica della cessione dal <em>factor</em> può perfezionarsi <strong>in qualunque guisa utile</strong> al raggiungimento dello scopo, <strong>senza precise formalità</strong>;</li> <li>il contratto <strong>è oneroso </strong>(è prevista <strong>una commissione</strong>), e il <strong><em>factor</em></strong> offre all’imprenditore cedente una <strong>controprestazione</strong> in <strong>servizi</strong> o in <strong>denaro</strong>, oltre che, di regola, l’<strong>anticipazione totale o parziale</strong> dell’importo ceduto;</li> <li>con le dovute differenze, la funzione di finanziamento lo avvicina alla figura dello <strong>sconto bancario</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Pur nella molteplicità delle relative estrinsecazioni contrattuali, quale è il nucleo essenziale della complessa convezione di factoring?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il <em>factor</em> si impegna – per un <strong>periodo di tempo determinato e soggetto a rinnovo</strong> – ad assumere in veste di cessionario <strong>la titolarità dei crediti</strong> dei quali un imprenditore è o diverrà titolare <strong>in connessione con la vendita</strong> dei beni che <strong>produce</strong> e/o <strong>commercializza</strong>;</li> <li>il <em>factor</em> si avvantaggia di <strong>una commissione</strong> per il recupero dei crediti dell’imprenditore cedente; normalmente, <strong>anche prima dell’incasso</strong> dei singoli crediti, versa all’imprenditore cedente <strong>delle anticipazioni</strong> che contribuiscono a definire <strong>la causa di finanziamento</strong> dell’operazione di <em>factoring</em>;</li> <li>se la cessione avviene <strong><em>pro soluto</em></strong>, il factor si assume il rischio dell’insolvenza dei debitori ceduti, accreditando in ogni caso all’imprenditore cedente <strong>l’intero importo dei crediti ceduti </strong>(dedotta la commissione); se avviene <strong><em>pro solvendo</em></strong>, il factor accredita all’imprenditore cedente <strong>le sole somme</strong> che ha <strong>di volta in volta recuperato</strong>;</li> <li>il factor presta all’imprenditore cedente dei <strong>servizi aggiuntivi</strong> che si compendiano in una <strong>collaborazione nella gestione aziendale</strong> (con particolare riferimento alle <strong>contabilità</strong> riferibili ai <strong>crediti ceduti</strong>) ed in attività di <strong>consulenza e informazione</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare della delegazione attiva?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una <strong>ipotesi peculiare</strong> di <strong>modificazione soggettiva</strong> del rapporto obbligatorio <strong>dal lato attivo</strong>, e dunque <strong><em>ex latere creditoris</em></strong>;</li> <li><strong>non</strong> è <strong>espressamente prevista</strong> dal codice civile, e tuttavia trova <strong>fondamento</strong> nella <strong>autonomia negoziale</strong> di cui all’<strong>1322</strong> c.c., con peculiare riferimento al <strong>potere</strong> delle parti di <strong>forgiare contratti atipici</strong> intesi a perseguire <strong>interessi meritevoli di tutela</strong>;</li> <li>si tratta di un <strong>accordo di tipo trilaterale</strong>, circostanza che <strong>distingue</strong> la delegazione attiva dalla <strong>cessione di credito</strong> (laddove il rapporto è invece <strong>bilaterale</strong>, coinvolgendo i soli cedente e cessionario);</li> <li>il <strong>delegante</strong> è <strong>soggetto attivo</strong> (creditore) di un <strong>rapporto obbligatorio</strong> nei confronti del <strong>delegato</strong> (debitore),</li> <li>il delegante <strong>autorizza un terzo</strong>, detto <strong>delegatario</strong>, a <strong>rendersi destinatario</strong> da parte del debitore delegato della <strong>promessa di pagare a lui</strong> quanto il delegato <strong>deve <em>ab origine</em></strong> al creditore delegante;</li> <li>il <strong>debitore originario delegato</strong> è dunque <strong>parte dell’accordo trilaterale</strong>, nel cui contesto il creditore delegatario <strong>si aggiunge al creditore delegante</strong> con <strong>effetto cumulativo</strong>, onde laddove il debitore delegato <strong>non adempia</strong>, possono agire <strong>tanto il creditore originario delegante</strong>, quanto quello <strong>“<em>nuovo</em>” delegatario</strong>;</li> <li>la delegazione attiva <strong>si distingue</strong> allora dalla cessione di credito per <strong>due fondamentali ragioni</strong>: g.1) è <strong>trilaterale</strong>, e non bilaterale; g.2) è <strong>cumulativa</strong>, e non privativa (il nuovo creditore non sovrapponendosi al vecchio <strong>con effetti esclusivi</strong>, ma <strong>aggiungendosi</strong> ad esso).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In che rapporti si pone la cessione del credito con l’opzione ex art.1331 c.c.?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>una questione specifica concerne la possibilità di sottoporre a cessione il patto di opzione, onde – secondo la tesi prevalente – l’opzionario può cedere il proprio diritto potestativo ad un terzo, salva la necessità, discussa, di ottenere il consenso da parte del concedente alla ridetta cessione;</li> <li>si fronteggiano nondimeno in materia 2 tesi: b.1) il diritto potestativo dell’opzionario va assimilato ad un diritto di credito, onde la cessione dell’opzione deve assumersi disciplinata dagli articoli 1260 e seguenti c.c. in tema di cessione del credito, non occorrendo dunque di regola il consenso del concedente ceduto; b.2) il diritto potestativo dell’opzionario, proprio perché tale (diritto potestativo), non può essere assimilato ad un diritto di credito, configurandosi dalla natura strettamente personale e dunque, già solo per questo, di regola incedibile, a meno che non intervenga il consenso del concedente; si aggiunge che il patto di opzione accede normalmente ad un contratto più ampio, sicché non si può cedere l’opzione senza cedere l’intero contratto nel quale essa si inserisce, e per la cessione del contratto occorre, ai sensi dell’art.1406 c.c., da un lato il consenso per l’appunto del concedente (contraente ceduto) e, dall’altro, la mancata esecuzione delle prestazioni che ne discendono.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>